Concittadini
di Tiziano Scarpa
Sono le otto del mattino. Ho preso un treno alle sei. Sonnecchio nello scompartimento. Mi godo il viaggio in prima classe che mi verrà rimborsato dagli organizzatori del convegno. Un giovanotto piuttosto basso, in giacca e cravatta, legge il giornale.
Verso Brescia un vocìo in una lingua incomprensibile non mi fa dormire. Non è il giovanotto basso, che continua a leggere il suo giornale in silenzio. Sono due nordafricani, con i borsoni pieni di merci.
Passa il controllore, ci chiede i biglietti.
“Senta,” dice il giovanotto basso, “queste borse appartengono a quei due signori che poco fa erano seduti qui e adesso stanno in piedi in corridoio. Presumo che non abbiano il biglietto di prima classe, ma non posso dirlo con certezza. In ogni caso, ritengo che non possano lasciare qui le loro borse incustodite.” Si esprime in un italiano da biglietto di prima classe. Finito il suo discorso, non aspetta la risposta del controllore, gira la testa e riprende a leggere il giornale.
Il controllore esce dallo scompartimento.
Io continuo a seguire la scena con gli occhi socchiusi, fingendo di dormire.
I due nordafricani non se ne vogliono andare in seconda classe.
“Che cazzo hai paura, credi che mettiamo bomba?” dice il più spavaldo dei due. “Siamo in regola, qua in piedi, che cazzo vuoi?” Ha due baffetti sottili.
“Ma avete un biglietto di seconda,” fa notare il controllore. “Prendete le vostre borse e cambiate vagone.”
“Ma pesa! Io qui in piedi, che cazzo vuoi!”
Il giovanotto in giacca e cravatta riprende la parola, non si è mai rivolto ai due nordafricani, non li ha neanche presi in considerazione, anche questa volta parla al controllore:
“Chiami la polizia ferroviaria.” Il tono è pacato, inflessibile, come se stesse leggendo le previsioni del tempo.
Il controllore esita: “Eh, ma quelli i poliziotti stanno a Milano, mica sul treno…” Ha un’inflessione meridionale.
“Chiami la polizia ferroviaria. Glielo chiedo come cittadino, intanto. E se non la chiama, glielo chiedo come avvocato.” Poi aggiunge: “Lei non si fa trattare così.”
Il controllore tira fuori il telefonino.
Il baffetto nordafricano gli dice apertamente: “Vaffanculo, vaffanculo!”
Dal corridoio arriva la voce di un uomo anziano. Si fa avanti, è alto e massiccio: “Torna al tuo paese, se devi venire a rompere i coglioni qui!”
Il più giovane dei due nordafricani ha la pelle più scura, è un tipo gioviale, cerca di aggiustare la cosa con il controllore, gli chiede di lasciar perdere.
“Eh, poi vediamo,” gli dice il controllore, facendogli capire che non sarà certo lui a inseguirli alla stazione pretendendo che mostrino i documenti e si facciano perquisire le borse.
Alla fine i due afferrano i loro bagagli giganti e cambiano vagone.
Continuando a far finta di dormire, apro una fessura tra le palpebre, guardo meglio l’avvocato in giacca e cravatta.
In realtà, non è vestito molto bene. Il completo che indossa è stazzonato, e ha tutta l’aria di esserlo stato anche prima del viaggio in treno. Le scarpe sono logore, scalcagnate. Se è vero che è un avvocato, dev’essere uno che ha fatto fatica per conquistare la professione, ha l’aria di quello che all’università si comprava i libri facendo il cameriere di sera.
L’uomo anziano massiccio fa capolino nel nostro scompartimento, si rivolge soddisfatto all’avvocato: ”Visto come hanno sgomberato, i due padroni del mondo!” dice. “Vengono qui a fare tanto gli sbruffoni, questi arabi del cazzo, ma per fortuna c’è ancora chi gli ins–“
“Non ho prestato particolare attenzione a quale etnia appartenessero i due signori che se ne sono andati,” lo interrompe l’avvocato, “e ad ogni modo per me non avrebbe fatto differenza. Italiani, nordafricani, extracomunitari… non ritengo sia una distinzione pertinente. Poiché sono miei concittadini, o comunque aspirano a esserlo, debbono seguire le stesse regole che seguo io.”
L’anziano corpulento rimane a bocca aperta. Biascica: “Ah… Ma allora mi… mi sono sbagliato su di lei…! E sì che ero venuto qua per stringerle la mano, pensi un po’. Le persone che ragionano come lei sono le più pericolose: quelli là non sono mica nostri concittadini! Non gliene frega niente delle nostre regole. Sono di un’altra… Di un altro mondo! Mi dispiace tanto, me lei è quasi peggio di quel signore là che se ne sbatte e fa finta di dormire in un angolo!”
Caro TIziano,
dici che a qualcuno manca il coraggio, lo scontro con se stessi. Caro il mio veneziano, sapessi quanto ti conosco! Io non volevo neanche aprire un mio blog, ma poi mi son detto: VOGLIO ESSERE GRAFFIATO A SANGUE VIZIATO, VOGLIO ESSERE MORSO E PUGNALATO! MA VOGLIO VEDERE COI MIEI OCCHI!!!
Non ho mai nascosto il mio essere GAY, i miei dispetti e capricci! ODIO LA SEMPLICITA’!Ne avrei da dirti…
Ma per adesso solo un abbraccio sincero.
Gli amici scrittori di Treviso ti salutano
Formidabile il raccontino! Per il prosieguo suggerisco: il controllore si riscatta sacrificando una gamba per impedire che il treno deragli, arriva un omone con le mani callose e la faccia piena di fuliggine che mena il passeggero razzista e lo fa scendere dal treno (ma quello ghigna cattivo lo stesso). I concittadini scorretti vanno in seconda classe e molestano la maestrina dalla penna rossa. La fine te la immagini; il controllore è ricoverato, l’omone con le mani callose è stanco, s’è addormentato, il buon De Rossi, diventato avvocato, viaggia solo in prima per tener fede ai suoi principi,e Tiziano De Amicis è corso al convegno ansioso di fare la morale a tutti.
Eh già, facciamo un finale alla raul montanari, con la mestrina che se la gode un sacco.
un saluto amichevole. marco