Il Natale di Gesù Esposito

di Tiziano Scarpa

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Stava arrivando l’inverno, ma quella mattina il sole stendeva il suo mantello caldo sulla città. I ragazzini correvano per la strada in camicia. Solo Filippo aveva freddo. Era salito fino a Sant’Elmo, per guardare Napoli dall’alto. Gli uomini, laggiù in fondo, erano più piccoli di un bruscolo nell’occhio.

Un rombo sordo saliva dalle strade e dalle piazze. I soldati, le armi. I segreti e le chiacchiere. Il vulcano placido. Il mare più grande del cielo. Anche il sole voleva partecipare: truffare ed essere truffato, farsi amare. Tutta Napoli era di buon umore. Invasa dalla luce, la città si arcuava sul golfo come un sorriso.
Solo Filippo si sentiva ghiacciare, dentro. Mancava poco a Natale, e non aveva ancora pensato a niente. Il signor Aniello avrebbe cacciato lui dalla bottega e si sarebbe tenuto Pasquale. Isabella doveva partorire fra poche settimane. E lui? Filippo aveva diciannove anni, ma si sentiva come un vecchio sterile. Non riusciva a trovare l’idea giusta. Eppure il mondo era quello. Eccolo là. Ce l’aveva tutto sotto gli occhi. Questa era Napoli, quello era il mare. Che cosa bisognava aggiungerci ancora?
Guardava la città, dall’alto. Rimuginava.
Il sole. Napoli. Isabella.
La sua Isabella… Sempre allegra, non protestava mai. L’aveva sposata già incinta, ma lei non gli rimproverava niente. Reagiva a tutto con una risata fresca. Persino di fronte al prete che li guardava severo era scoppiata a ridere. Gliel’aveva detto in faccia, durante la Messa:
“E si vede che il nostro amore è così grande che dentro il matrimonio non ci stava tutto!”

* * *

“Don Antonio, lo capite che io ho le mani legate? Mi devo inventare le cose senza poterlo fare veramente.”
“Ma che dici?”
“Eh, dico che ce ne sarebbero di cose da mettere.”
“Le cose ci sono già tutte. Nel Vangelo non manca niente.”
“Una donna che dà una mano a Maria, per esempio.”
“Il concilio ha detto che non ce le potete più mettere, le levatrici.”
“Che concilio?”
“Il concilio di Trento. Il papa e tutti i vescovi. Più di cent’anni fa.”
“Ma san Giuseppe sarà pure andato a chiamare una donna, per aiutare quella povera ragazza a partorire.”
“Nossignore. Non c’era nessuno, in giro. Neanche l’asino e il bue ci potresti mettere… Figurarsi altre donne! Solo la Vergine.”
“Seduta.”
“Non ti sta bene?”
“Distesa a riposarsi non la posso fare? A tirare un po’ il fiato…”
“Assolutamente no! Il concilio ha detto che la madre di Dio non ha sofferto. Il parto di Cristo è andato bene. La Madonna sta seduta, tranquilla, segno che è in buona salute. E se non ti piace così, mettila in ginocchio, a adorare il figlio di Dio.”
“Eppure le ho viste, in chiesa, le statue di Maria ancora sconvolta dal parto, stesa in un angolo, a riposare…”
“Quelle le hanno fatte prima del concilio. In buona fede. Ma avevano un’immaginazione troppo sbrigliata.”
“Allora lo vedete che ho ragione. Non sono libero di immaginare.”
“Tu sei un artigiano libero di servire la fede cristiana.”
“Io sono un artista!”
“Ma lo stanno dicendo in tutta Europa, i filosofi professori: i tipi come voi sono solo artigiani. La vostra è arte minore. Quello che conta è il sublime. Il bronzo, il marmo… l’idea. Voi alle vostre statuette ci mettete i vestiti!”
“E certo! Le devo fare nude?”
“Di stoffa vera, li fate! Di cotone, di canapa… Vi perdete dietro ai particolari. Triviali, siete. Non sapete astrarre. Non sapete cogliere l’ideale!”

* * *

“Amore mio! Che hai?! Stavi gridando. Che ti succede?”
“Un brutto sogno. Ho visto la Madonna che partoriva.”
“E che succedeva?”
“Le usciva la testa di Gesù dalla… sì, insomma. Dalla pancia.”
“Che c’è di strano?”
“Non ci avevo mai pensato che Gesù era uscito proprio da lì… Che impressione!”
“E da dove doveva uscire?”
“Ma Gesù bambino metteva fuori la testa, e sapeva già parlare! La Vergine aveva una bocca sotto la veste, le usciva la voce da quella testolina insanguinata che teneva tra le cosce.”
“Gesummio! Che diceva?”
“Diceva: ‘Filippo, lo vedi quanto male ho fatto a venire al mondo? Non sono ancora nato e già c’è una donna che soffre… Così come mi vedi ora, mi devi fare nel tuo presepe. Mentre esco fuori dalla mia mamma.’ Questo mi ha detto Gesù, nascendo…”
“Com’è che fai questi sogni? Non mi impressiono io, che tra poco devo partorire davvero. Senti qua…”
“Si muove!”
“Io dormo e il mio bambino sta sveglio dentro la mia pancia. Preferisce dormire di giorno. Il cambio ci diamo, io e la mia creatura.”
“Isabella, ti voglio tanto bene!”

* * *

“Filippo, Pasquale!”
“Signor Aniello, che c’è?”
“Venite qua. Vi devo dire una cosa.”
“Comandate.”
“Rinieri si è inventato le statuette con il filo di ferro, che si possono mettere nella posizione che uno vuole.”
“E facciamole anche noi!”
“Certo che le possiamo fare. Ma l’idea è sua. Una bottega che copia non si fa onore.”
“E a noi che ce ne importa? Con l’onore o senza, le vendiamo lo stesso.”
“Ce ne importa che il principe di Roccaraso e i clienti che contano non vengono più a ordinare qui. Si fanno fare la collezione nuova dalla bottega di Rinieri, con la firma sulle statuette. Oggi ormai non conta l’arte, ma la firma.”
“E noi copiamo pure la firma.”
“Non dirlo neanche per scherzo, Pasquale!”
“Ma noi non siamo artisti. Lo dicono anche i filosofi professori.”
“Non importa cosa siamo noi, ma l’arte nostra. Comunque, figli miei… Vi posso chiamare figli?”
“E che, no? Magari!”
“Pasquale, Filippo. Mi piange il cuore, ma io in bottega non vi posso più tenere tutti e due. Vi ho preso che eravate due ragazzini, mi siete diventati due lavoranti esperti. Ma quest’anno è arrivata la metà delle ordinazioni. Posso mettermi a copiare Rinieri, anche se non sta bene. Però ci vuole un’idea nuova.”
“Ma Gesù che nasce non si può inventare. Ieri ho parlato con il parroco: don Antonio dice che…”
“Si può inventare quello che ci sta intorno. È sempre stato così. Il presepe è quello che sta intorno a Gesù. Ma anche quello non basta…”
“E che ci vuole di più?”
“Una trovata. Quest’anno ormai è andata così. Ma io non posso più tenervi a lavorare con me tutti e due. Chi mi propone un’idea che mi faccia riconquistare la stima del principe, lo tengo fino a Natale, a terminare le ordinazioni che ho avuto quest’anno. Ma l’altro…”
“Signor Aniello, lo sapete che voi avete appena creato due nemici? Io a Pasquale fino a un momento fa gli volevo bene… Ma adesso lo devo fregare! La mia Isabella sta per avere un bambino… Non posso perdere il lavoro.”
“Non piangere, Filippo. Sei un uomo.”
“Amico mio, adesso io a te ti devo fregare per forza, anche se non voglio! Lo capisci?”

* * *

“Filippo, non ascoltare i preti. Tu sei un artista. Tu lavori per la gloria di Dio! Credi a me, che per Dio ci lavoro da una vita. Se non ci fossi io, come fareste a capire che Dio è più grande di tutti? I soldati del Signore sono belli, biondi, con la pelle rosa, le ali da gallina… Quei piedoni candidi, con le unghiette curate, senza un graffio: non l’hanno mai toccata, la terra… Io sono una chiavica, tutto bruciacchiato, tengo le corna, ho le ali sporche, due calli grossi come zoccoli a furia di raspare per i vicoli… Se non ci fossi io che mi faccio sbaragliare da Dio, come lo vedreste che è lui il più forte? Sei un artista, Filippo! Non badare ai preti. Cristo vuol bene al mondo. Cristo vede Napoli e decide che vale la pena di rinascere ogni anno. Se Cristo vedeva questa città la prima volta che è venuto, col cavolo che nasceva a Betlemme… Sceglieva Napoli! Tu questo devi fare, Filippo. Tu sei l’evangelista nuovo! Devi far nascere Cristo a Napoli. Il tuo presepe quest’anno lo farai grande come tutta la città, perché a Cristo quando vede Napoli gli torna la voglia di incarnarsi, vuole andare al mercato a contrattare, anche lui… Pure a lui gli viene voglia del nostro caffè, se ne va in giro a perdonare le puttane sorridenti che ci sono qui, si fa sfottere dai ragazzini dei nostri quartieri…”
“Aaah!”
“Amore mio, che c’è!?”
“Ho sognato il diavolo!”

* * *

“Gli affari come vanno?”
“Eh, quest’anno male.”
“Perché?”
“Il signor Aniello dice che si sono impazziti tutti per le statuette di Rinieri. Quelle con il filo di ferro sui gomiti e sulle ginocchia, sotto i vestiti. Le puoi mettere nella posizione che vuoi.”
“Ma così diventa un giocattolo! Non è più arte.”
“E che vi devo dire? Al principe di Roccaraso sono piaciute, e quello che piace al principe diventa moda a corte, e in tutta la città…”
“Ma, anche il bambino ha il filo di ferro?”
“No, il bambinello è nudo, si vedrebbero gli snodi.”
“E la Madonna e san Giuseppe?”
“Quelli sì.”
“E ti pare che la Madonna è un bambolotto, che la puoi mettere come vuoi? Con le braccia che magari fanno una mossa sconveniente? Per non parlare delle… Delle gambe! Non mi fare commettere peccato a dirlo! È una cosa inaudita! È blasfemo!”

* * *

Il mercato brulicava. Le urla, le bocche sdentate. Le cascate di frutta. I colli delle galline mozzati con un taglio secco. I rivoli di sangue, tra le risate.
Filippo guardava le facce. Gli avambracci, le mani. I piedi nudi.
“Terracotta,” pensava. “Siete solo terracotta ancora cruda. Io a voi vi posso rifare tutti quanti di terracotta. Riesco a fare tutto da cima a fondo, con la terracotta. Io so rifare il mondo con una cosa sola. Ho nelle mani il segreto. Lo modello, lo dipingo, prende mille forme, diventa quello che voglio io. La carnagione degli uomini e delle donne. Le rughe dei vecchi, le piaghe dei mendicanti. Le verdure, gli animali… La dispensa piena di formaggi. E nel formaggio, il topo. Siete solo cattive imitazioni della mia terracotta! Tutto è la stessa cosa… tutto! Quasi tutto. I vimini, quelli non mi riescono bene. Devo usare i vimini veri per fare le ceste… E gli occhi: per quelli ci vuole il vetro… E il vasellame d’argento, viene bene solo con l’argento autentico. Ma voi qua siete meno dell’argento e del vetro, valete meno dei vimini e degli stracci sbrindellati che portate addosso. Siete fatti tutti della stessa pasta… Terracotta da mettere in forno!”
Filippo camminava, rimuginava… Sognava a occhi aperti le statuette con la sua firma, il punzone con il marchio di una bottega tutta sua: ‘Filippo Esposito’ c’era scritto, sotto i piedi delle statuette…

* * *

“Che hai fatto, Filippo! Sei impazzito! Hai regalato le statuette a tutta la città…”
“Non le ho regalate, le ho prestate.”
“Ma la gente se le venderà!”
“La gente è in gamba. Dopo l’Epifania me le restituiranno. Il mio presepe è grande come tutta Napoli! Ho messo le figure dei bevitori nella taverna di Aurelio Pepe a Mergellina. E il ciabattino nella bottega di Federico, a San Filippo a Chiaia. I pastori li ho seminati in cento case: al mercato, al Lavinaio, ai Ventaglieri… Tutta Napoli è diventata un presepe!”
“E la grotta con l’asino e il bue, dov’è?”
“Quella bisogna cercarla. Cristo bisogna cercarlo. Ma c’è!”
“Sei pazzo! Il signor Aniello ti caccerà.”
“Sarà entusiasta, invece. Mi dispiace per Pasquale…”
“Ma se ha già scelto proprio lui!”
“Che dite?! Che idea ha avuto Pasquale?”
“Ha fatto un presepe con i ritratti dei nobili. Pure il re, ci ha messo. Il principe di Roccaraso è uno dei Magi, poi ci sta la contessa Rachele che visita la grotta a cavallo, il marchese Giammatteo è uno zampognaro con le canne di madreperla… Il prossimo anno se le compreranno tutti. Tutta la nobiltà di Napoli vorrà il presepe con le statue rassomiglianti. Vedrai: se non s’arrabbia per questa pazzia che hai fatto di dare in giro le statuette, forse il signor Aniello ti tiene.”
“Ah, è così? Ma sono io che non voglio più lavorare da lui!”

* * *

“Filippo! Che stai a ciondolare qua?”
“Lasciatemi stare che sono abbacchiato. Entro a farmi restituire la statuetta del bambinello…”
“Qui dagli orfanelli l’hai messa?”
“Perché no?”
“E come si chiamerà Cristo? Gesù Esposito?
“Chi lo sa.”
“Filippo, lascia stare la terracotta. Vieni a vederne un altro, di bambino…”
“L’ha fatto Pasquale? Assomiglia al figlio del principe?”
“Ma che dici… L’ha fatto Isabella: tua moglie!”
“Ha partorito?!”
“Le sono venute le doglie all’improvviso.”
“E come sta?”
“È un po’ stanca… Ma è andato tutto bene. Su, che aspetti? Corri da lei!”
“E il bambino?”
“È una bambina! Bellissima… Buon Natale, Filippo!”

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Pubblicato su “Il Giornale dell’Arte” – dicembre 2003.

Nella foto: Ron Mueck, Mother and Child, 2001.

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