Ultimo paradiso terrestre, una storia d’amore
di Francesco Longo
Questa è urban art, o postgraffitismo.
Lui, un make up artist, è in un lussuoso lodge nascosto nella vegetazione, dove un dj anglo-cinese remixa vecchi brani di pop mandarino.
Minimalismo e party esclusivi. Lei è perdutamente invaghita di questo ex jewel-designer (ora make up artist). Lei, in bikini, tra oggetti biodegradabili, un letto small size e una concept car da nababbi sta davanti a un drink king size. Lei, “l’osannata bionda”: un debutto strepitoso, voce suol da “vecchia scuola”, una vita di massaggi ayurvedici, sessioni di yoga, docce a effusione e cosmetici totalmente naturali, con proprietà rilassanti. Passa tutto il tempo in giro per installazioni di giovani artisti, o per “il meglio della cucina fusion”. È chiamata “la Regina”, nella capitale del design.
La sua vita. Eleganti foyer, schermi ultrapiatti, jacuzzi all’aperto per 20 persone, ogni genere di sport invernale, shopping fino all’happy hour, specialità sudamericane, serate a sorseggiare “cerveza” ghiacciata, sushi per eventi di “eat art”. Sempre stress per lavoro, nei club-icona degli anni 60 (quelli delle star, ora bolly-wood). E l’inaugurazione dello storico locale-champagneria di Soho, atmosfera “cool’n’chic”, effetto stucco, con sofà e poltrone e acquari marini.
Il make up artist, progetta stickers nell’isola, nel lussuoso lodge nascosto nella vegetazione con davanti, l’unico chiosco-bar (col dj e live set, ogni sera). Scende nel privé con velluti e mobili rossi laccati, ispirati alle atmosfere coloniali, e qui ritrova “l’osannata bionda” in bikini: due aperitivi, seduti al grande bancone di marmo verde. Una lista di drink che ruota intorno ai diversi perlage: protagonista, lo champagne in miscele vintage o shakerato in frizzanti cocktail come il Lush o il Royal Twist.
Lei e lui, soli. A picco sul mare (molto “charming house”), magari assaporando una tazza di tè, dettagli hi-tech, atmosfera veneziana doc, ristrutturato secondo i principi dell’eco-architettura. Tramonto. Lei: un impacco esfoliante e demineralizzante, un concentrato di benessere. Poi, dopo un forfait antistress a base di alghe pure, impacchi di fanghi anti-age, e getti d’acqua, e piscina con nuoto controcorrente, esce con addosso solo un simil-pizzo stile Oriente. Quasi notte.
La remise en forme di corpo e viso, ideale per ridare giovinezza al viso, cancella dal viso i segni di stanchezza: uno dei simboli del cambiamento. Un perfetto esempio di sincretismo.
Nel megascreen del salotto, nel lussuoso lodge nascosto nella vegetazione, un ragazzo fotografa con il suo cellulare la statua della Madonna addolorata durante una processione religiosa, sfilando davanti ad un caffè bohémien old school, (dove i nuovi talenti della musica elettronica internazionale, della scena musicale e artistica sempre in fermento, si incontrano). Lì, nello schermo acceso, di notte, la città si accende di pub e locali alla moda, giovani con occhiali firmati e computer palmari, e in alto un megaposter di una compagnia di telefoni, con lo slogan che dice: “ottieni di più dalla vita”.
Un leggendario albergo (accanto al lodge che ospita il make up artist e “l’osannata bionda”) da mille e una notte, e BMW con maniglie d’oro. “In Qatar non abbiamo né esercito né carri armati, solo Al Jazeera”, dice il cameriere che viene da padiglioni di vetro e acciaio, dove i giovani più creativi della capitale studiano liberamente, a piedi nudi e con la musica a tutto volume, tra gallerie e atelier di fama mondiale.
“È una città camaleontica”, dice lei: “aerosol art, l’ansia di rinnovamento, ragazzi con rollerblade”. Davanti al lussuoso lodge nascosto nella vegetazione (una spiaggia rinomata), gli studenti si tuffano in mare nudi e ubriachi, lì dove artisti e giovani performer finnici hanno piena licenza di sbizzarrirsi, passando da registi di nicchia a film-maker di culto. Lui guarda “l’osannata bionda”, (sala con interni in mogano, ottone e velluto). Urlando nel microfono si può interagire con animali e umanoidi proiettati sullo schermo.
Fuori, si fa scorta di lamponi e aringhe, si va poi in gita in barca intorno alla baia, attraccando sugli isolotti. Seguono poi picnic sulla neve e vaporosa sauna nei mökki, e per finire, un tuffo nel ghiaccio per smaltire la sbornia di löyli (vapore) e vodka.
Incontri insospettati e shopping liberatorio, spuntini di mezzanotte e una palestra per cani.
“Vitale e un po’ underground, no?” dice “l’osannata bionda” commentando l’isola: frequentatissima da gente conosciuta in chat o forum per motociclisti, o mailing list per scambiarsi “dritte” sui nuovi diet-guru di riferimento. Il lussuoso lodge nascosto nella vegetazione non sembra un luogo per raduni di club (né duelli fra hooligans, né rendez-vous di surfisti), ma uno di quei sogni che durano il tempo di una sigaretta, un trailer, o la fine di un malinconico road movie. Lei lo guarda, dice: “un design visionario e onirico che dilata i confini del quotidiano”.
Lei si avvicina, lo sfiora, gli sussurra, “le illusioni sono una fonte di godimenti”. È un tributo al design dell’ambiguità. Pianissimo, ancora all’orecchio: “il sogno e il desiderio sono le uniche armi contro la triste prigione delle banalità”. Amore a prima vista, una vacanza fuori dagli schemi, la spiaggia di Est End.
Un ragazzo dai tratti cinesi, un lungomare punteggiato da panchine che seguono il semicerchio della baia, i fuoristrada arrancano. “Rendere lucenti i capelli, un successo garantito”, pensa lei (o forse, pensa, basterebbe qualche sport no-limits, o vedere insieme della land-art). Il make up artist sfiora “l’osannata bionda”. Ora tocca al make up artist: “È come la mostra di un disegnatore sudafricano”, dice lui. E dietro, una scritta si riaccende, e nel neon si legge: una lingua di sabbia e un lussuoso lodge nascosto nella vegetazione (se cercate l’ultimo paradiso terrestre).
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Leggo le prime righe e mi perdo in una lingua non mia. E allora mi domando se è così necessario calarsi le braghe di fronte all’invadenza di parole americane, e se rifiutarle, come mi viene naturale in ogni articolo e racconto che scrivo, è solo segno di un passatismo ormai inutile o se invece, come suggeriscono i francesi e gli spagnoli, è un modo per ribadire la ricchezza della nostra lingua e il fastidio per questo neocolonialismo culturale, ma anche politico.
Un giorno, quando avrò ancora più tempo da perdere di oggi (dunque mai), scriverò un pezzo su Marco Lodoli. Sul caso Marco Lodoli, uno scrittore che esordì con un romanzo burgessiano dal titolo antigeopolitico “Snack Bar Budapest” e che pubblicava gli unici racconti leggibili su riviste putrescenti già alla nascita come Panta. Uno scrittore chiaramente dotato di altro passo, altra capacità respiratoria rispetto ai subdotati allora e oggi in circolazione, uno che faceva scintillare le parole davanti ai concetti e non viceversa, uno scrittore che, in breve, faceva dell’altissimo intrattenimento. Poi si è rincoglionito. Sì, lo so, ci siamo tutti rincoglioniti, ma il suo caso è allarmante. La geopolitica, la difesa della lingua italiana, le stradine di Roma e i barattoli trasportati dal vento. Le finestre accesse alle due di notte nei palazzi cadenti. Dio mio. La poesia, i fiori. E’ finito tutto. Lodoli è passato dall’altissimo intrattenimento alla bassa rottura di palle. E si è ridotto a lagnarsi nei forum. Io pure mi lagno, ma io mai ho scritto un capolavoro antigeopolitico come “Snack Bar Budapest”, quel romanzo burgessiano unico e così memorabile negli anni 80. E’ vero, la gente si perde, gli scrittori poi.
Good, very well. L’ho trovato molto cool. Nel senso delle presa per il cool.
hi, G.
E’ vero, Tedoldi, ma tu hai scritto un discutibile, disturbante e meraviglioso racconto finto (o vero?)nazi-fascio sulla Qualità dell’aria. Quindi ti lagni a torto. O a ragione.
Questo Tedoldi ha stoffa. L’ho letto ne La qualità dell’aria. Validissimo anche Muzzi. Una bella antologia. Tedoldi è un oberstuermfuehrer della prosa italico-europoide. Lodoli non l’ho mai letto. Ammetto la mia ignoranza.
Il racconto qui sopra è interesting, nulla di più. Molto presa per il cool ma anche molto funny. Merci bien.
Riassumendo: uno scrittore che ama la sua lingua,
la sua città e la poesia è un rincoglionito. Dovrebbe rimanere sempre antigeopolitico (chissà che vuol dire, non lo capisco nemmeno io che pure avrei scritto un romanzo di questo tipo) e burgessiano (e anche qui faccio fatica a decifrare).
Caro Lodoli,
intervengo (dopo il suo bis) per ringraziarla. Dal suo commento ho capito quanto sia facile capire esattamente l’opposto di quello che leggo, pur essendo in buonafede. Ho imparato soprattutto la prudenza. Ho imparato che quando leggo qualcosa, ho due possibilità: leggerla per intero e soltanto allora esprimermi, oppure restare in silenzio, evitando di fare brutte figure: le brutte figure di quello che non capisce cose che sono evidenti a tutti. Dovrò stare attento a non capire il contrario di quello che un testo intero dice, e in fondo non sarà difficile, basterà non fermarsi alla mia prima impressione. Facile! Ho imparato che la sicurezza che col tempo acquisisco in quello che faccio (scrivere, fare della critica), spesso mi può far cadere nella sciatteria del giudizio, nella peggiore incuria, nella fretta cieca di voler intuire tutto subito, e solo per farmi sentire più intelligente degli altri!
grazie perchè in fondo mi è d’esempio
Lodoli, io ho la stessa difficoltà a capire la sua poesia e la sua città di quanta lei ne abbia a capire i miei aggettivi esterofili. Se ne faccia una ragione: si è rincoglionito.
a quanto pare l’alienazione nella comunicabilità tra esseri umani non passa per il logorio semantico dei paradisi artificiali di make-up artist e bionde in bikini, ma nei pregiudizi arroganti dei letterati. come fate a non capirvi con tanta disinvoltura e tanto orgoglio? sembra quasi una rivendicazione politica, ancor più che esistenziale: “se io non parlo la tua stessa lingua, non ti capisco, anzi io non ti voglio capire perchè il tuo modo di parlare mi da al cazzo”.
il pezzo di francesco mi piace ma è un pò pericoloso, non nella sua possibilità di essere malinterpretato sortendo una reazione così fuori luogo come quella di lodoli, ma nel senso di non uscire allo scoperto in una critica più radicale. voglio dire fare critica cool e scrivere pezzi cool sui danni del coolismo, cooling, coolness or whatever, fa correre il rischio di restare impantanati nello stesso circolo vizioso, di non uscire dal gioco lingustico. insomma se addirittura è stata coniata un’espressione come presa per il cool, mi sembra che una critica di questo tipo abbia già perso molto della sua eversività. un continuo prendersi per il culo per i propri vizietti stilistici e comportamentali tradisce il sospetto che a quei vizietti non si rinunci molto volentieri.
smi
Smi dice cose abbastanza giuste, soprattutto quando dice “…se addirittura è stata coniata un’espressione come presa per il cool, mi sembra che una critica di questo tipo abbia già perso molta della sua eversività”. Non so se dico fregnacce (la qual cosa mi riesce con andamento abbstanza regolare): ma il racconto di Longo, che rileggendolo altre volte -rettifico il mio giudizio di prima – è parecchio bello (è un pò come quelle canzoni non esattamente orecchiabili che al primo ascolto non ti sembrano granchè e poi più le ascolti più ti piacciono)forse il racconto non raggiunge il suo “target” di eversività- se quello beninteso era il target. Ma, piuttosto, fa del moralismo. Un pò come Bret Easton Ellis il quale, come abbiamo capito, è un moralista di quelli duri. Moralismo quindi nell’accezione nobile del termine. Longo, se vorrà, potrà dire se ho detto delle castronerie.
cara smi condivido quel che dici, ma po’ si scrive con l’apocope non con l’accento. arrogantemente fraterno, christian
Ok, smi, esco allo scoperto. Niente critica radicale. Giusto “fare critica cool e scrivere pezzi cool”. Esco pure dal circolo linguistico, ma al vizietto stilistico do solo un piccolo colpetto, nulla di più.
Moralismo nell’accezione nobile del termine. Ecco. Qualcuno che fa centro, prima o poi, si trova (siamo su indianNation)
grazie a tutti sti lettori, stavolta sarei serio.
Bene Longo. Io sono un cecchino, uno che stava col Generale Custer e si è salvato all’ultimo momento…Ed è finito con gli indiani.
Auguri per tutto.
Ho letto gli ultimi commenti e sto meditando di tradire: passo dalla parte di Lodoli. Ritiro l’accusa di rincoglionimento. A parte il tutti contro uno, che non è ammissibile per principio, ma sapete che non si capisce un’acca di quel che scrivete? Mi sa che Lodoli è ancora più bravo di noi.
colpa della tastiera tedesca. intendo il pò.
Va bene Tedoldi, forse ha ragione lei.Io però non sono andato contro nessuno, Lodoli, davvero, non l’ho mai letto. Però non faccia un altro giro di valzer, sennò qui rincoglioniamo tutti assieme.
Lo legga, lo legga. E non si preoccupi dei valzer altrui.
tedoldi è il mio punto di riferimento. è sempre già dall’altra parte anche prima che ci sia un’altra parte. ho insistito per pubblicare un suo racconto nell’antologia la qualità dell’aria e adesso lo cito a memoria. a tal punto che a un certo punto qualche giorno fa all’ennesima rilettura, mi sono scoperto che parlava di me quando si riferiva genericamente ai “morti di fame”. per questo lo ammiro e quindi lo detesto, perché è capace di costruire epifanie risolutive senza aver creato nessuna costruzione drammatica, e lieto fini senza far iniziare nessuna storia. fra due anni tedoldi sarà un autore einaudi di punta, e lui e lodoli andranno in vacanza insieme.
Me ne compiaccio. Chi sarà il tour operator?
(Tedoldi, non faccia il duro con me.)