Fuori s’è abbassata la temperatura
di Davide Bregola
Considerate il caso che se una notte d’inverno un viaggiatore invece di raccontarvi una cosa ne raccontasse altre. In una notte d’inverno, o in più notti, questo viaggiatore dovrebbe raccontarvi di storie geopoliticamente confinanti, in una zona definita, tra Emilia Lombardia e Veneto. Ma questo viaggiatore s’accorge che parlare di nutrie, polveri d’inquinamento causate dalle centrali elettriche Edipower, percentuali di disoccupazione da profondo sud, sinistre in Municipio, cibarie e manodopoera extracomunitaria, sedi di Fasci italiani del lavoro (un partito che si candiderà alle elezioni di Sermide), uomini che vanno a caccia e poi scuoiano la selvaggina cacciata con a fianco il nipotino, serre in nylon per la coltivazione del melone in ogni dannato periodo dell’anno, soldati indigeni in guerra in Iraq, acquabomber, notizie dai media più influenti, esotismo e fibre ottiche, zolle e cercatori d’oro in Po…Ecco, s’accorge che non è il momento giusto per raccontarlo, per cui il nostro viaggiatore, d’inverno, decide di non farlo.
Per questa notte il viaggiatore, che è anche il narratore, vorrebbe fermarsi. Fuori s’è abbassata la temperatura. Drasticamente, dicono alla radio. Allora in questa notte d’inverno il viaggiatore non vorrebbe andare là fuori sondando come uno qualsiasi della Ecole du regard e registrare ciò che vede, ma vorrebbe registrare ciò che pensa alla luce di ciò che leggerà. Immaginatevi che il suo viaggio, il viaggiatore, l’abbia già fatto. Ora c’è il lento ritorno a casa, come nei romanzi di Peter Handke, in cui i protagonisti scappano dai loro luoghi, per poi ritornare con una nuova consapevolezza.
Ha lì con sé TTL, diversi numeri, e Il Domenicale di Dell’Utri, dicono che paghi tanto, Il Domenicale, ma non ha finito, c’è pure Domenica del Sole 24. Tutte pagine culturali, dunque.
Gli viene questo pensiero: il popolo italiano non sa più pensare. Le persone hanno perso la capacità di pensare da sé, di ragionare. Si lasciano attaccare da tutto ciò che non è pensiero, e assorbono, immagazzinano, nel loro hard disk solo virus. Ci vorrebbe un antivirus e pure un bel defrag, per riorganizzare i file. Tutto ciò lo può dare una nuova capacità di pensare.
Ma se una notte d’inverno il viaggiatore si mettesse a leggere Stilos cosa potrebbe accadere?
C’è Benedetta Centovalli che recensisce il libro La frantumaglia di Elena Ferrante, e riporta alcuni stralci in cui si parla di verità: «orchestrare menzogne che dicono sempre, rigorosamente, la verità», «quando si scrive non bisogna mai mentire. Nella finzione letteraria è necessario essere sinceri fino all’insostenibile, pena la vacuità delle pagine». Sullo stesso numero di Stilos, nella rubrica di Giulio Mozzi denominata Scriptorium si parla di darwinismo nell’opera di Zola e di Provvidenza nei Promessi sposi…vado a riassumere grossolanamente, per arrivare al punto: «Allora, quella cosa banale che si dice dei romanzi, che creano un mondo, penso che si possa ridirla con un po’ di ricchezza in più: i romanzi inventano un mondo e, pur senza uscire da questo mondo, alludono, da dentro quel mondo, a qualcosa che c’è là fuori; e in questo dirigere i nostri occhi verso il là fuori c’è, forse, quella che si chiama “la verità della letteratura”.»
Stranamente in questi ultimi tempi le due parole “Verità” e “Letteratura” le trovo spesso unite assieme, e questo mi fa pensare che dev’esserci qualcosa di poco casuale in tutto ciò. Come ben sapete così come le persone destinate a diventare importanti nella nostra vita le incontriamo non una, ma almeno venti volte prima che incominciamo a prendere l’indicazione sul serio, così succede anche per i concetti o le parole. Verità e letteratura unite assieme chissà quante volte le ho incontrate prima di questi ultimi giorni, ma solo ora me ne accorgo. Pensavo: Letteratura come vita l’abbiamo incontrata da Bo in poi, Critica e verità le abbiamo incontrate assieme con Barthes, di cui ho qui davanti il libretto verde di Einaudi, del ’69, ma non c’ entra nulla con letteratura e verità, credo, anche perché Barthes parla di letteratura e verosimiglianza prendendo a prestito da Aristotele il verosimile. Provo allora a pensare di cavarmela cercando le due parole unite assieme nel campo della sociologia della letteratura. Chi non si ricorda Mukarovsky e i semiologi della scuola di Praga? Ho chiesto delucidazioni perfino a quella “semiofila”, ossia maniaca di semiologia, di mia “suocera” (non sono ancora sposato, ma lei è la mamma della mia bella). Vediamo lì se c’è letteratura e verità, se ne danno conto e ne svelano tutti gli arcani. Nulla, pare che l’approccio sociologico indichi il rapporto tra letteratura e società inteso solo in questo modo: società, ideologia, economia incidono sulla narrativa. Ma allora qui si può sempre tirare fuori la weltanschauung, ossia la “visione del mondo” dell’artista o il zeit geist, ossia lo “spirito del tempo” che a quanto pare, una volta era parola molto di moda ed efficace per spiegare lo stile culturale che pervadeva tutte le manifestazioni di questo “spirito”. Anche qui, però, la terminologia letteraria non mi viene in aiuto, anzi, mi manda fuori tema. Devo forse iniziare a pensare in modo “metafisico”? Non so, mi viene da pensare alla “vocazione” artistica a servizio della “bellezza”. Vocazione è una parola troppo forte, legata alla religione, a una prospettiva religiosa nel fare narrativa, per cui non è che mi va molto bene come termine, ma ammettiamo che dovessi accettarlo, posso ammettere che la bellezza sia l’espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza. Kalokagathia per gli antichi Greci era locuzione che abbracciava bellezza e bontà, era “bellezza-bontà”, e non invento nulla, sto ricordando il manuale Paravia di Abbagnano che usavamo tutti al Liceo. Filosofi e filosofie nella storia volume primo.
“La potenza del bene si è rifugiata nella natura del bello” scriveva Platone. E’ vivendo e operando che lo scrittore potrebbe stabilire il proprio rapporto con l’essere, con la VERITA’ e con il bene, forse. Ecco allora che mi viene in mente se Bellezza e verità di Rella potrebbe tornarmi utile, ma non l’ho più. L’ho prestato per far colpo a una donzella (prima di essere fidanzato con Laura, tranquilli tutti!) e mi sono giocato il libro senza peraltro ottenere risultati di nessun tipo.
Poi mi viene da pensare che ogni forma autentica d’arte è, a suo modo, una via di accesso alla realtà più profonda dell’uomo e del mondo. Ma sono sicuro che Verità sia sinonimo anche di “realtà più profonda”? Qui seguirà il dibattito. Già mi vedo tra massimalisti e creatori di opere su richiesta ad accapigliarci sulla letteratura che finalmente da adesso in poi farà grande il nostro paese. Sarà l’inizio di un nuovo Rinascimento! Le figlie di Bush dovranno venire in Italia a studiare Bonvesin della Riva e Antony Franchini! La verità letteraria non dovrebbe essere la realtà, altrimenti sarebbe solo buon giornalismo! Come quello di «Libero», o «Il Giornale»… Il giornalismo, quando è buono, racconta la realtà, la letteratura non dovrebbe raccontare la realtà, o almeno non dovrebbe raccontare solo quella, ma assieme ad essa dovrebbe raccontare la verità, appunto, frutto di un’immaginazione che va al di là del quotidiano. Ma siamo daccapo. E qui mi viene un’intuizione: non è che verità voglia dire svelare l’uomo all’uomo?
Ma questa intuizione è una trovata o un’idea? Perché c’è gran differenza tra trovata e idea. La trovata è, chennesò, Learco Ferrari con quello stile, di Nori, ma l’idea è “Il ciclo degli ultimi” di Camon. Una trovata è: Il pensiero debole, un’idea è Le opere acroamatiche di Aristotele! Chi vuol intendere intenda.
A proposito: ma letteratura come verità è più vera nello stile o nel contenuto? Un mio amico dice: lo stile è tutto! In un romanzo ciò che fa una grande opera è prima di tutto lo stile, aggiunge e ripete. Sembra Céline, me ne rendo conto, ma è un mio amico giardiniere che lo dice.
L’uomo di oggi, come l’uomo di tutti i tempi, forse si aspetta di essere illuminato sul proprio cammino e sul proprio destino, mettendosi a contatto con le opere d’arte! Ma ci pensate? Noi che oggi scriviamo dovremmo avere l’ambizione, o la capacità, o fare un tentativo di illuminare l’umanità (di dire la verità?) con ciò che scriviamo! A me vien voglia di non far leggere più nemmeno una riga di ciò che scrivo e scriverò. E a te Nicola Lecca?
Ora vado un po’ a ruota libera, esprimendo la mia idea: questo concetto di letteratura come verità sarà sempre incompreso o mistificato, oppure si può continuare un dialogo che sicuramente ha millenni di vita, ma rapportandolo alla contemporaneità? Cos’è oggi la letteratura come verità? Oggi chi scrive deve cercare il vero. Dire solo ciò che crede di sapere bene, scrivere solo ciò che crede di sapere bene tacendo sul resto per non confondere e confondersi. Oggi chi scrive dovrebbe esprimersi con sincerità respingendo l’orgoglio o l’egocentrismo. Dovrebbe andare al puro, al profondo, all’autentico. Chi riuscirà nella sua ricerca a trovare la verità mediante la letteratura, dovrà comunicarcela nella maniera che sarà più conforme alla sua verità interiore.
Quindi messa così, la frase, ha un senso. Mi spiego: tutte le persone che scrivono sono o dovrebbero essere o dovrebbero tendere alla verità. Chi arriverà più vicino ad essa farà cosa gradita se ce la comunicherà. Ma anche qui siamo al punto di partenza. Cosa intendiamo per verità? Spiegatemelo voi che state leggendo questa sbrodolata!
La verità è Dio?
E’ la bellezza?
E’ il Verbo?
E’ la donna?
E’ l’uomo?
E’ l’umanità?
E’ metafisica?
E’ storicità? (per un po’ ho creduto che Croce potesse venirmi in aiuto, ma poi ho desistito)
La verità è la conoscenza?
La verità è la certezza che siamo vivi e che dovremmo morire?
Ma no, così come la verità non è la realtà, nemmeno potrà essere una “certezza”.
«Ama ciò ch’è veridico e per questo amore, non fidarti della compagnia esclusiva delle persone intelligenti», scriveva Guitton nel libro Il lavoro intellettuale che mi sono trovato a leggere oggi dopo che con Laura, la mia ragazza, abbiamo fatto un giro a piedi per il paese. A un certo punto ci siamo messi a parlare del film Il ritorno vincitore del Leone d’oro ’03 e mi ha sconcertato la sua arguta critica: Quel film è fatto a Matriosche! Va dal macro al micro. Parte on the road con spazi immensi, poi va all’isola, alla casa dove il padre dei ragazzi scava, al buco scavato, alla scatola che estrae…e all’inabissaemnto del corpo del padre. Tombola! Mica ci avevo pensato io a questo gioco di scatole dal macro al micro! Mentre lo guardavo cercavo i riferimenti e i tributi cinematografici a Tarkovskij, a Kiarostami… io sempre lì a cercare bibliografie, intanto lei mi stende con delle interpretazioni che farebbero la fortuna di un Cineforum! Uno scherzo del genere me l’ha fatto pure con Le ore, film tratto dal romanzo di Cunningham, e sabato scorso con Dogville che io ho subito rinominato Sermidville (il paese dove abito si chiama Sermide). E le ho chiesto: Ma io e te siamo più la Kidman che subisce e la fa pagare o gli abitanti di Dogville? Siamo tutti entrambe le cose…mi ha risposto. Già.
Strano perché pure a lei ho chiesto di darmi una sua interpretazione di Letteratura come verità, e sapete cosa abbiamo fatto? Ha voluto andare al cimitero a farmi vedere la casetta di famiglia dove sono sepolti i suoi antenati da 200 anni a questa parte. Dapprincipio non volevo entrare. Porta sfiga entrare lì senza una ragione, le ho detto. Non fare lo stupido, entra.
Siamo entrati, e mi ha fatto vedere gli avi. C’è pure un posto vuoto. Ho toccato ferro. Ma lei mi ha spiegato che quello è il posto che s’è comperata sua nonna che ha 84 anni e va ancora in bicicletta e legge senza occhiali (come il papa, dice sempre sua nonna). Come? Uno deve o dovrebbe già sapere dove verrà sotterrato dopo morto?
Ma io diventerei pazzo se sapessi già in che buco andrò a finire.
Laura invece mi ha detto che è rassicurante sapere che “da morti” saremo esattamente lì. Appoggiati tra mamma, papà e marito (come nel caso della sua nonna ottantaquattrenne). E a conti fatti potrebbe avere ragione. Ma cosa c’entra la visita al cimitero con la verità? Le ho chiesto.
C’entra, c’entra…
Ma allora la Verità c’entra anche con la consapevolezza della morte? Mah.
Eppure sono sicuro che sapendo cosa vuol dire esattamente Letteratura come verità potrei vivere meglio. Anzi, potrei perfino scrivere meglio!
In generale si intende per verità la qualità per cui una procedura conoscitiva qualsiasi risulta efficace o ha successo. Ma è la stessa cosa se al posto di verità metto letteratura? La letteratura è la qualità per cui una procedura conoscitiva qualsiasi risulta efficace… Non è proprio la stessa cosa. Però letteratura come verità ha quel “come” che paragona i due termini, li mette sullo stesso piano.
Ma definizione di verità è diversa da criterio di verità. Ma allora se cerchiamo di dare una definizione di verità, e quindi di letteratura come verità, dobbiamo dare due proposizioni (definizione e criterio) o una sola?
Dal loggione mi suggeriscono: verità come rivelazione! Ma allora letteratura come verità come rivelazione, se vogliamo approfondirla solo un po’ potrebbe dire: La letteratura è vera letteratura quando è rivelazione, o quando è anche rivelazione.
Ma cosa deve rivelare?
La verità, deve rivelare, mi suggeriscono ancora dal loggione.
Sì, ma siamo al punto di partenza!
Rivelatemi voi la verità.
Silenzio dal loggione! Scena muta.
Mi piace il Dizionario filosofico della Utet perché è pratico come un muratore:
«Si possono distinguere 5 concetti fondamentali della verità:
· la verità come corrispondenza
· la verità come rivelazione (Vedi dal loggione!)
· la verità come conformità a una regola
· la verità come coerenza
· la verità come utilità»
Bello quando si arriva in poco tempo al nucleo!
La verità come corrispondenza: «Vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello che le dice come non sono».
La verità come rivelazione ha due forme fondamentali, quella empiristica e quella teologica. La empiristica consiste nell’ammettere che la verità è ciò che immediatamente si rivela all’uomo, è perciò intuizione, sensazione o fenomeno. La teologica è quella secondo la quale Verità si rivela in modi privilegiati, eccezionali, attraverso i quali si rende evidente il loro principio, il loro essere, l’essenza delle cose (ossia Dio).
La verità come conformità a una regola è: «Prendendo a fondamento il concetto che io giudico il più saldo, tutto ciò che è in accordo con esso è vero».
La verità come coerenza è: Ciò che è contraddittorio non può essere reale, la verità, quindi, è coerenza perfetta .(ma qui realtà è uguale a verità, e non so se mi va bene).
La verità come utilità è: «Vero non significa in generale se non ciò che è adatto alla conservazione dell’umanità. Ciò che mi fa perire quando ci credo non è vero per me, è una relazione arbitraria e illegittima del mio essere con le cose esterne». Per farla più chiara, è vero solo ciò che è utile a estendere la conoscenza, o mediante essa, per dominare la natura, per la solidarietà, per mantenere l’ordine del mondo umano. Quest’ultima definizione deriva dal Pragmatismo. E’, quindi, molto pragmatica!
Ma il Dizionario filosofico e il riassunto che fa nelle pagine sulla Verità nelle varie concezioni filosofiche m’è tornato utile per rispondermi alla domanda: Cosa intendiamo per “Letteratura come verità”?
Di cosa parliamo quando parliamo di Letteratura come verità? (vi ricorda un titolo di Carver? Scordatevelo! Anche voi che vorreste scrivere come lui!)
E se scrivessi:
Letteratura come verità come corrispondenza
Letteratura come verità come rivelazione (Vedi dal loggione!)
Letteratura come verità come conformità a una regola
Letteratura come verità come coerenza
Letteratura come verità come utilità
Sarei a capo dei miei quesiti o mi sarei creato una giustificazione per spiegarmi il quesito iniziale?
La verità sembra avere un valore apotropaico, scaccia il male. La letteratura a volte scaccia il male dai nostri pensieri, a volte li agevola. Letteratura come verità non ha quindi un completo valore apotropaico, ma questo non so perché m’è venuto in mente! Ha iniziato a balenarmi in testa questo bel termine: apotropaico, senti che suono onomatopeico!
Sa dirmi qualcosa Wu Ming in merito a letteratura e verità?
Sa dirmi qualcosa Aldo Dieci?
Sa dirmi qualcosa Scarpa? (L’architetto, eh! Non lo scrittore e nemmeno il citico Domenico)
Sa dirmi qualcosa Simona Vinci?
Sa dirmi qualcosa Casadei? (Raoul, non Umberto, né Alberto)
Sa dirmi qualcosa Fabrizio “Taver” Tavernelli anima e mente dei Groove Safari?
Sa dirmi qualcosa Ermanno Paccagnini?
Sa dirmi qualcosa Nicola Lagioia? (Vedi Aldo Dieci!)
Sa dirmi qulcosa Mario Desiati?
Sa dirmi qualcosa Valeria Parrella?
Sa dirmi qualcosa Tommaso Ottonieri?
Sa dirmi qualcosa Giovanni Pacchiano?
San dirmi qualcosa Ammaniti padre e figlio?
Sa dirmi qualcosa Arnaldo Colasanti?
E Andrea Cortellessa?
La nostra letteratura, in questo periodo storico particolarissimo e delicato (si dice così, no!), in Italia, è in grado di dire la Verità? E se sì, cos’è questa verità?
E’ semplicemente dire: La vita è uno skifo! Magari detto per 800 pagine e bene-bene, come nel caso dell’ Uomo senza qualità o come nei Canti del caos 1&2 del mantovano Moresco.
Oppure: La vita è tutto un complotto! Come nel caso di Genna Giuseppe e delle sue opere? (A proposito, Genna, cos’è la “letteratura come verità”?) Oppure: La verità è andare a insegnare in carcere! come narra Edoardo Albinati?
Secondo voi basta dire “Io so” come ha fatto Pasolini negli Scritti corsari?
O c’è dell’altro?
Attendo delucidazioni, fatevi un giretto anche voi al cimitero. Un mio amico fino a 2-3 anni fa ci andava il 2 novembre per cercare una compagna. Il 2 novembre i cimiteri sono stracolmi anche di persone vive che vanno a mettere fiori. Il mio amico diceva che là si è molto più fragili, e quindi più sensibili all’amore. Giuro che lo diceva veramente, magari non con queste parole, ma il concetto era quello. Poi invece un altro mio amico ci andava perché diceva che la sua ragazza si eccitava di più a fare l’amore al cimitero. E’ vera anche questa.
Sì, tua sorella! Mi dicono dal loggione.
Non ho sorelle.
Bye bye.
Scrivetemi.
Delucidatemi.
Nel frattempo, al cimitero, Laura mi vuole fare vedere la parte nuova.
Per scherzare le dico: Perché, vuoi che ti faccia sotterrare lì?
Ma risponde: E’ scientificamente provato che mediamente gli uomini muoiono prima delle donne.
Anche questa è una verità che mi mette tristezza. Voglio immediatamente uscire.
Aneddoto sulla verità: Tempo fa parlavo con un noto intellettuale, di cui non farò il nome per ovvi motivi, di Verità segrete esposte in evidenza di Zolla. Avrò parlato per una buona mezz’ora di questo Zolla, e dopo la mia sbrodolata il noto intellettuale mi dice: Ma Emile Zola non ha mai scritto un libro del genere. Infatti, ho risposto gentilmente. Per mezz’ora le ho parlato di Elémire Zolla.
tratto dal numero 24 del 2004 di Nuovi Argomenti
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confuso, incasinato, disorganico, inconcludente.
Stimolante assai.
G.
L’appunto più doveroso fa vatto sulla frase: “La verità letteraria non dovrebbe essere la realtà, altrimenti sarebbe solo buon giornalismo! Come quello di «Libero», o «Il Giornale»…” O mio Dio!!!
Evidentemente non viene compreso il sottile e arguto gioco ironico.
bregola mi piace. il suo modo di scrivere per accumulo mi ricorda un po’ le prime canzoni di battiato. la barba col rasoio elettrico e le penne stilografiche con l’inchiostro blu, per intenderci.
Interessante come un momento di crisi adolescenziale. Prego distruggere e riprovare.
arturo, pensa alle tue di crisi. senili. bregola è bravissimo.
Mah. La letteratura è una cosa seria, certo. Ma vedere scritta tante volte la parola “verità” è quasi imbarazzante.
E poi quel chiedere alla suocera con quell’aria da intellettuale, gli occhialini da intellettuale a mezzo naso…
Per Don Giovanni: confermo il mio giudizio, e ti tranquillizzo, non soffro di crisi né giovanili né senili. Può anche darsi che Bregola sia bravissimo (non mi esprimo, non lo conosco abbastanza), ma di sicuro confermo che questo pezzo è da cestinare. Non credo comunque che Bregola abbia bisogno di un cane da guardia.
Qualche mese fa il pezzo di Davide era stato messo su altro blog. Ma nessuno lo ha indicato. Forse si poteva fare. E poi questo pezzo è stato scorciato di un paragrafo abbondante. Si parlava di me. Va bene, non mi offendo. Non è questo – oppure ‘questo’, visto che mi riguarda, è solo il pretesto per fare una riflessione. Mi domando se scorciare di un paragrafo abbondante un testo sia una cosa che si può fare. Quando si scrive, va bene proprio tutto? E che ci sia o non ci sia un paragrafo abbondante, tutto sommato, fa lo stesso? Questo sarebbe ‘scrivere’? Ma ‘scrivere’ non è il risultato di una ‘scelta’? Io dico che se in un testo tolgo un paragrafo abbondante e il testo funziona ancora, allora quel testo ‘non funziona’ proprio.
Senza volerne a Davide.