La molteplicità narrativa 1

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Un confronto tra il romance e Jacques le Fataliste di Diderot

di Andrea Inglese

In queste pagine proporrò una comparazione tra le tecniche narrative proprie del romanzo in prosa del ‘200 (il ciclo Lancelot-Graal) e del poema cavalleresco ferrarese del ‘400 (l’Orlando Innamorato e l’Orlando Furioso) con le tecniche narrative di un romanzo francese del ‘700, il Jacques le Fataliste(1) di Diderot. Due testi critici costituiranno i principali riferimenti per quanto riguarda l’analisi delle tecniche narrative dei romanzi e dei poemi epico-cavallereschi: Il tessuto del racconto. Il “romance” nella cultura medievale (2) di Vinaver, dedicato all’analisi della tecnica dell’entrelacement nel ciclo Lancelot-Graal, e “Maraviglioso artificio”. Tecniche narrative e rappresentative nell’Orlando Innamorato(3) di Praloran, che studia l’applicazione di quella stessa tecnica nel poema del Boiardo.

È necessario dire immediatamente che tale comparazione ha rivelato più differenze ed estraneità che analogie. Ciò è dovuto a due fattori principali e connessi tra loro: un arco di 233 anni separa la terza edizione del Furioso (1532) dall’inizio della stesura di Jacques le Fataliste (1765), un arco che vede l’eclissi progressiva del genere romance e l’ascesa incontrastata del novel nell’orizzonte delle istituzioni letterarie occidentali.

Il trascorrere del tempo e i mutamenti dell’orizzonte storico implicano anche mutamenti sul piano specifico delle forme narrative e dei paradigmi ideologici che le sottendono. Nonostante tale distanza cronologica e culturale, la scelta di accostare il romanzo di Diderot alle tecniche narrative del romancesi è rivelata comunque feconda. Jacques le Fataliste si presenta infatti come un esemplare alquanto eccentrico di novel, tanto che è stato spesso considerato un precursore dell’anti-romanzo novecentesco. In realtà, l’interesse per quest’opera è conseguenza del suo volto ancipite, girato verso Cervantes, Swift e Sterne, da un lato, e verso Joyce, Robbe-Grillet e Beckett, dall’altro. Tracce del passato e germi del futuro sembrano compresenti in modo quasi inestricabile agli occhi del lettore contemporaneo nelle righe di Jacques le Fataliste. Ma nulla pare più lontano dal philosophe Diderot che lo spirito del romance. In lui, semmai, è il romanzo della tradizione comica e picaresca a confrontarsi con un sapere antropologico nuovo, quello illuministico, teso a smascherare le ataviche illusioni umane, spesso servendosi di quelle illusioni stesse in forma di contravveleno. Il portavoce della ragione, il philosophe, è anche un consapevole artefice d’illusioni: romanzi, commedie, tragedie, ecc.

Se però il romanzo di Diderot davvero segna una soglia significativa, rinviando sia al passato che al futuro del novel, esso può essere altrettanto utile per la nostra ricerca di quelle opere romanzesche contemporanee costruite in modo consapevole e programmatico utilizzando i modelli narrativi del romance. Sarà infatti possibile vedere come alcune caratteristiche secondarie della tecnica narrativa dell’entrelacement, sopratutto nell’uso più tardo che ne fanno il Boiardo e l’Ariosto, siano riattualizzate da Diderot seppure secondo strategie testuali del tutto estranee all’orizzonte ideologico dei poemi epico-cavallereschi. Nel mutare dei materiali tematici e dei registri stilistici, alcuni procedimenti compositivi permangono e sono applicati con intenti parodistici e di straniamento.

Nonostante queste premesse, deve essere comunque chiarito l’aspetto che mi ha spinto ad accostare un testo come Jacques le Fataliste a testi quali il Lancelot o il Furioso. In un passo dell’Inconscio politico(4) Jameson affermava: “È nel contesto della graduale reificazione del realismo nel tardo capitalismo che il romance viene sentito ancora una volta come il luogo dell’eterogeneità narrativa e della libertà da quel principio di realtà di cui una rappresentazione realistica ora opprimente è l’ostaggio” [127]. Ora, alla luce di questa dicotomia, che vede da una parte il romance (espressione dell’eterogeneità narrativa e del principio di piacere) e dall’altra il romanzo realista (espressione della reificazione e del principio di realtà), Jacques le Fataliste si presenta come un romanzo anomalo che, nell’epoca in cui si gettano le basi del romanzo realista, presenta tratti formali che richiamano l’irriducibile molteplicità del romance.

Lo sconcerto del lettore di fronte alla fluidità narrativa spinta fino all’informe dei cicli arturiani o dei poemi del Boiardo e dell’Ariosto si ripresenta, seppure in misura minore, anche nel lettore del romanzo di Diderot. L’informe di cui parliamo è una categoria della lettura e, in questo caso particolare, di una lettura poco approfondita, disattenta, gravata da molti pregiudizi. Vinaver si sofferma su questa impressione fallace che il lettore-critico moderno ha ricevuto dal romance francese del XIII secolo. Questo errore di lettura, a voler essere schematici, è riconducibile a due cause fondamentali: l’influsso della poetica aristotelica e, in tempi più recenti, della struttura del novel, il cui intreccio ruota generalmente intorno alla vita di un solo individuo.

A ciò si aggiunga la progressiva scomparsa di quelle facoltà mnemotecniche che un lettore medievale era supposto possedere, per trarre piacere dal fitto e complesso tessuto narrativo del romance arturiano. Vinaver ricorda come l’equivoco permanga perfino in quegli studiosi novecenteschi che per primi operarono una rivalutazione della letteratura medievale: “Gaston Paris riconobbe, è vero, che nei tardi romances di cavalleria si potevano rinvenire esempi di prosa squisita, ma solo per trovare la narrazione «incoerente», «oscura», «vuota», finanche «assurda»” [102-103]. Vinaver cita anche Gustav Gröber che “ritenne ad esempio che in essi [nei romances] non era se non un accumulo di storie «senza forma o sostanza»” [103]. Ebbene analoghe accuse si possono fare (e si sono fatte) per Jacques le Fataliste.

Anche questo romanzo, a suo modo, elude alcuni canoni compositivi fondamentali della narrativa occidentale. Ciò che distingue però, anche sotto questo rispetto, il romanzo di Diderot dai romances medievali è che la reazione (negativa) del lettore nel primo caso è stata calcolata dall’autore mentre nel secondo caso è del tutto accidentale. Diderot vuole consapevolmente giocare sulle aspettative del lettore del XVIII secolo, saggiandone i limiti; l’autore dei cicli arturiani lavora invece in armonia con il suo uditorio. Ed è proprio in virtù di questo programmatico rovesciamento del moderno canone romanzesco in via di consolidamento, che Diderot giunge ad utilizzare tecniche compositive “obsolete” spesso prossime ai procedimenti dell’entrelacement.

Vinaver afferma che la tecnica compositiva dell’entrelacement consiste “nel forgiare legami significanti e tangibili tra episodi originariamente indipendenti”, in modo tale da “stabilire, o per lo meno suggerire, una serie di relazioni tra temi sino ad allora irrelati” [102]. Se la dispersione dei temi narrativi è la condizione di una letteratura che conosce un’osmosi continua tra trasmissione (e variazione) orale e trasmissione scritta, allora il lavoro di agglutinamento e di intreccio inclusivo di tale molteplicità tematica illustra una tappa significativa nella storia del libro in Occidente. L’entrelacement segna quindi un momento di profonda riorganizzazione nell’ambito dell’istituzione letteraria medievale che coinvolge in primo luogo una diversa gerarchia tra testo scritto e testo orale.

Il testo scritto (il romance arturiano) diviene ora luogo a un tempo di raccolta e di moltiplicazione di un patrimonio disperso che affonda le sue radici nelle varianti tipiche della trasmissione orale. In Jacques le Fataliste è rintracciabile per certi aspetti un’operazione inversa. Diderot appartiene ormai irrevocabilmente alla civiltà del libro. Tale civiltà, proprio a partire dal XVIII secolo, pone le condizioni per un mercato diffuso dei beni culturali che tanto sviluppo avrà nei due secoli successivi. Per il discorso che qui ci interessa, ciò sta a indicare una compiuta separazione della sfera letteraria da ogni forma orale di narrazione. Nel processo di “reificazione del realismo”, di cui parla Jameson, un ruolo fondamentale ha avuto senz’altro questa rescissione del romanzo dalle radici orali dei patrimoni narrativi. L’estinzione di tali patrimoni ha peso non tanto sul piano puramente tematico, ma piuttosto su quello compositivo e “architettonico”.

Diderot in Jacques le Fataliste si pone come scopo quella che potremmo chiamare un’anamnesi dell’oralità nel quadro stesso di due generi libreschi per eccellenza, ossia il romanzo picaresco e il romanzo galante. Tale riemersione dell’oralità si afferma, come già abbiamo accennato, attraverso un procedimento in parte inverso a quello dell’entrelacement: piuttosto che agglutinare i fili narrativi, Diderot sembra scucirli. Di contro alla tecnica dell’“intreccio”, quella di Diderot potrebbe allora apparire come una tecnica della “scucitura” narrativa.

L’importanza di una “scrittura dell’oralità” in Jacques le Fataliste è sottolineata in un saggio di Pierre Campion(5). L’impulso narrativo è come dominato da una verve che, come ci dice Campion, “c’est le génie même de la parole en tant qu’elle est inventive” [32]. Ma è importante ciò che viene specificato subito dopo: “inventive comme elle est (…) dans la conversation, c’est-à-dire à la fois réglée et libre, libre des convenances, de l’ordre, de la logique et de la rhétorique de tout discours, et cependant réglée par un ordre secret, organique, par une nécessité et des liaisons qui échappent au parleur lui même” [32].

Il recupero dell’oralità si presenta allora come introduzione di un disordine e di una molteplicità apparentemente acentrica nella narrazione, che però rimane coesa e coerente ad un livello più profondo. A questo proposito Campion cita una lettera a Sophie Volland del 20 ottobre 1760, in cui Diderot scrive: “C’est une chose singulière que la conversation. […] Voyez les circuits que nous avons faits. Les rêves d’un malade en délire ne sont pas plus hétéroclites. Cependant comme il n’y a rien de décousu dans la tête d’un homme qui rêve, ni dans celle d’un fou, tout tient aussi dans la conversation ; mais il serait quelquefois bien difficile quelquefois de retrouver les chaînons imperceptibles qui ont attiré tant d’idées disparates”.

Che il principio della divagazione e della scucitura sia applicato in modo sistematico in Jacques le Fataliste è dimostrato da un’affermazione dello stesso narratore che autocommenta la propria opera in questi termini: “Et votre Jacques n’est qu’une insipide rhapsodie de faits les uns réels, les autres imaginés, écrits sans grâce et distribués sans ordre” [248]. Si annuncia anche qui il problema di un’eterogeneità di temi e di una molteplicità di nuclei narrativi che non sono riconducibili entro le coordinate di unità, compiutezza e organicità tipiche della tradizione.

Note
1) Diderot, Jacques le Fataliste, Garnier Flammarion, Paris 1970.
2) E. Vinaver, Il tessuto del racconto. Il “romance” nella cultura medievale, Il Mulino, Bologna 1988.
3) B. M. Praloran, “Maravaglioso artificio”. Tecniche narrative e rappresentative nell’“Orlando Innamorato”, Pacini Fazzi, Lucca 1990.
4) F. Jameson, L’inconscio politico (1981), trad. it. di L. Sosio, Garzanti, Milano 1990.
5) P. Campion, La littérature à la recherche de la vérité, Seuil, Paris 1996.

(Continua)

[in Nuova Prosa, n°39, 2004]

1 COMMENT

  1. STREPITOSO! un grazie di cuore per questa bellissima analisi che mi sono bevuta tutta d’un fiato. Perdona l’entusiasmo, ma il tema mi è molto caro.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.