L’inganno estremo
di Giulio Mozzi
“Ma come, non è per un’idea di verità che si distruggono i miti?”. Questa è la frase che più mi colpisce nell’intervento di Sergio Nelli Mitopoiesi e mitoclastie, fortemente critico verso la mia “immaginazione” Politica: pezzo di un pezzo (anche in Nazione indiana con il titolo: Gli Stati del romanzo).
Rispondo: sì, è per un’idea di verità che si distruggono i miti.
Giacomo Leopardi, Zibaldone, 16.09.1821: “Le illusioni non possono esser condannate, spregiate, perseguitate, se non dagl’illusi, e da coloro che credono che questo mondo sia o possa essere veramente qualcosa, e qualcosa di bello. Illusione capitalissima: e quindi il mezzo filosofo combatte le illusioni perché appunto è illuso, il vero filosofo le ama e le predica, perché non è illuso: e il combattere le illusioni in genere è il più certo segno d’imperfettissimo e insufficientissimo sapere, e di notabile illusione”.
E’ un passo celeberrimo, esito della riflessione giovanile di Leopardi attorno a “vero”, “falso”, “errore”, “inganno” e “illusione”. Si potrebbe dire che la poesia di Leopardi non parla d’altro che di questo, in sostanza. Quando dichiara, nel 1833 (dodici anni dopo), la definitiva rinuncia all’illusione (A se stesso: “Perì l’inganno estremo / ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento, / in noi di cari inganni, / non che la speme, il desiderio è spento”) il tono del discorso non è esattamente quello tutto felice di chi ha scoperta finalmente la verità.
Sì, certo, è per un’idea di verità che si distruggono i miti. Per un’altra idea di verità, invece, si può provare a erigerli: o, quanto meno, a immaginarli.
So che questo è un discorso ingenuo.
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Bellissima risposta (Grazie per Leopardi- Indimenticabile la caustica definizione del mezzo filosofo). Ingenuità significa anche “esser liberi per nascita” e solo ingenuamente la multiforme verità abita le idee, per un momento, e muove a distruggere o creare. Immaginare.
Sì, ingenuo. Ma c’è un’altra scelta ?
E’ probabile che già lo si sappia, ma vale la pena comunque ricordarlo: Leopardi sta citando Pascal (che a sua volta – vado a memoria – citava – Charron, che – credo – a sua volta citava Montaigne, che a sua volta…). La coppia mezzo filosofo / filosofo riprende la coppia demihabile /habile della liassa Raison des effets della progettata Apologie pascaliana (intorno ai §§ 90-100 dell’ed. Lafuma: se interessa vi dò il riferimento preciso). Il locus classicus è: bisogna essere folli a non essere folli.
Caro Massimo, la citazione leopardiana era semplicemente quella più a portata di mano.