Postblobbismo
di Elio Paoloni
Cinema. Televisione. Pubblicità (timidamente). Tutto rigorosamente separato, come se il cinema non si consumasse ormai quasi esclusivamente via cinescopio. Come se gli Autori non tornassero sempre più assiduamente in palestra, a confezionare short. Come se novelas, soap, telefilm, tv movie, videoclip e quarkate non avessero attinenza con l’Arte del secolo (scorso). Come se tutta la tivù, politica e comici compresi, non fosse affare di sceneggiatura, scenografia e regia.
Burocraticamente, il Critico si occupa di Cinema, disdegnando il commercial, cioè buona parte del vero grande cinema, e lasciando la cronaca televisiva a straniti nientologi perennemente in bilico tra il rimpianto del bel Varietà d’una volta, variante post bellica dell’avanspettacolo, e la caccia affannosa allo specifico televisivo. Che schifo questa tivù, che suborna le masse e rende schiavi i nostri figli. Il Cinema, ah, quello sì che è educativo.
Parliamone, come nei talk show di buone intenzioni.
Producer quiz: chi ha costruito Cinecittà?, chi si è avvalso del genio di Leni Riefensthal?, in quale capitale dell’immaginario ha imperversato la caccia alle streghe maccartista?
Noi, al cinema, eravamo schiacciati dalla monumentalità dei personaggi. Tutto ciò che veniva rappresentato era importante, vero. Perché, altrimenti, tutta quella gente se ne sarebbe stata lì, al buio, in religioso silenzio (chi tace…) schiacciata dal fulgore, dall’evidenza, dall’enormità del tizio sul lenzuolo?
Oggi, a tre anni, un bambino cambia canale, alza e abbassa il volume, spegne il televisore. Attorno persone in carne e ossa, ben visibili, commentano sprezzanti o si impossessano del telecomando. I protagonisti televisivi sono piccoli, in ogni senso. E il bimbo impara che la telecamera può essere puntata su fatti noiosi o riprorevoli. Li scarta.
Viva il cinema in TV, allora? Un problema esiste, inutile nasconderlo: poiché gli italiani non hanno voluto proibire l’ inserimento proditorio degli spot, nulla potrà dissuadere il programmatore dallo spiattellarli nel momento migliore (per lui che intende captare l’attenzione dello spettatore) cioè il peggiore per chi desidera restare immerso nel flusso espressivo dell’Autore. Un rimedio ci sarebbe: affidare l’inserimento a programmatori adatti. La “troupe” di Blob corre il rischio di rimanere disoccupata. Affidiamole la scelta degli spot adatti all’opera. In assonanza o in dissonanza ma pertinenti. Insomma blobbiamo i film. Gli Autori non me ne vogliano: molte opere ci guadagneranno, le altre reggeranno anche a questo. In quanto alle aziende, non rompano con le fasce orarie: le gratifichi il contributo alla creazione di una nuova forma artistica. Saranno mecenati, non semplici sponsor. E poi il sostegno alla marca durerà due ore: un intero film come commercial. Già ora, in fondo, il film in tivù non è che un megaspot, elemento di disturbo della sana programmazione televisiva. Va detto anche che alcuni esilaranti episodi di dissonanza avvengono già. Nulla di consapevole, però, di continuativo e illuminante.
Si deve andare in fondo, anche con la penna. Occorre esaminare i telefilm come programmi politici in ottantotto punti e raccontare le tribune politiche come trame di B movie, trastullarsi con i tiggì-carosello e trasalire agli spot come fossero tiggì.
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Questa è una provocazione intellettuale, apprezzabile per la sua paradossalità (alla Swift, per intenderci). Almeno, lo spero.
Epperò, occorrerebbe sapere cosa significa che ‘il cinema è educativo’. Perché un film esposto nella sala buia è come un’icona esposta in una Chiesa alla luce delle candele. E’ un’opera d’arte nella sua integrità. Nella sua (in)compiutezza. Che cosa a che vedere questo con la funzione pedagogica? Nulla. Un film, semmai, dovrebbe diseducare. Come ogni opera d’arte, il film deve incrinare una visione. Altrimenti – come sempre più spesso accade – è poltiglia spettacolare, anche se sta distesa sul lenzuolo bianco – in quel caso, come cadavere.
E non vede, l’autore, che proprio i fatti da lui citati dimostrano con ogni evidenza come lo Spettacolo sia per sua natura totalitario? Che il suo totalitarismo ha il fine proprio di educare? Che non è un caso se siano i stati i regimi totalitari a far propria la propaganda pubblicitaria americana e compierla integralmente? Che oggi lo Spettacolo usa i mezzi messi a punto dai regimi totalitari senza più il bisogno dei loro apparati ideologici?
Oggi, è sufficiente puntare la telecamere su un fatto noioso, e lasciar intendere che è interessante. Nessuno lo scarterà.
Trovo incongruente col resto del pezzo la chiusa. E infatti sono assolutamente d’accordo con quanto vi si afferma.
Certo, tende a essere totalitario. Ma, appunto, trovo che sia meno totalitaria la tivvì del grande, sacro, artistico cinema, che una funzione pedagogica, suo malgrado, l’ha sempre avuta. Ma non mi prendere troppo sul serio.
ok. la prossima volta che ci incontriamo (e che ci scontriamo) ti farò delle pernacchie…;)
… perchè, come hai ben detto, ero provocatorio e paradossale