Una festa importante
di Sergio Nelli
Il 30 novembre ricorre nella nostra regione una nuova festa: la Festa della Toscana. Lo ha deciso fin dall’anno 2000 il Consiglio Regionale, scegliendo questa data che richiama quel 30 novembre 1786 nel quale il granduca Pietro Leopoldo, con l’ispirazione e l’appoggio di Cesare Beccarla e non senza contrasti interni, promulgò il nuovo Codice Criminale.
La rivoluzione francese di lì a poco spazzò via lo spirito riformatore dei sovrani illuminati.
Lo stesso Pietro Leopoldo sull’onda dei primi fatti rivoluzionari ripristinò frettolosamente, nel 1790, la pena capitale. Nel 1795 il nuovo granduca, Ferdinando III, alzò il tiro della restaurazione reintroducendo la massima pena anche per i delitti di lesa maestà e per i gravi delitti contro la religione. Con l’annessione della Toscana alla Francia nel 1809 le cose non cambiarono. Il “taglio della testa” restò, benché poco praticato e convertito spesso in lavori forzati a vita, rilegittimato.
Per la prima volta nella storia degli stati moderni venivano abolite la pena di morte e la tortura.
Negli anni a seguire, la fiaccola abolizionistica passò in Toscana nelle mani dei moderati cattolico-liberali che si raccolsero intorno all’”Antologia” del Gabinetto Vieusseux, un periodico aperto e pluralistico, la cui prima fase durò dodici anni fino alla chiusura operata dalla censura nel 1833, dopo l’ennesimo giro di vite reazionario, a seguito forse del fallimento dei moti rivoluzionari del 1831 in Italia.
Come si evince anche da questi pochi dati, la vicenda dell’abolizione fu assai contrastata.
Credo che la festa voluta dal Consiglio regionale della Toscana, una vera e propria festa, con le scuole che chiudono ecc. ecc., abbia diversi connotati che provo a configurare brevemente
1. Un giusto orgoglio per un primato di civiltà partorito da una tradizione straordinaria che ebbe nell’Età dei Comuni e nel Rinascimento le sue massime espressioni.
2. La celebrazione di un periodo di fermenti e di riforme che durò almeno venticinque anni, cioè dal 1765 al 1790, con appunto quel momento particolarissimo, l’abolizione della pena di morte e della tortura volute dal Codice Leopoldino, con l’affermazione conseguente di un principio fondamentale che la stessa rivoluzione francese, mentre tagliava anch’essa le teste, non interruppe ma sancì con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
3. La riaffermazione dello spirito abolizionistico che proseguì in Toscana nell’”Antologia” del Vieusseux, in un contesto di dibattito aperto, di attenzione al nuovo nelle lettere nelle scienze e nelle arti, di lotta contro il fanatismo e i pregiudizi, in una proposta politica di lungimiranti interventi sul territorio e con una costante e illuminata cura nei confronti dell’istruzione nonché sulla questione della lingua come nesso e vettore dell’identità italiana.
Naturalmente le iniziative in agenda che da giugno-luglio accompagnano la Festa, per terminare il 29 novembre e dare il via a un nuovo ciclo, si discostano dal nucleo cercando di far incontrare per via di contiguità molte altre cose importanti. L’anno scorso il tema scelto per la riflessione e la mobilitazione era quello della Disabilità. Quest’anno invece è: La pace e la guerra viste con gli occhi dei bambini.
La cosa non entusiasma. Un altro centro di irradiazione sarebbe stato meglio, ma tant’è.
In questo clima di dibattiti affannati dopo la vittoria di Bush, di richiami al pragmatismo e alla cautela, con ammonizioni nei confronti dei rischi di una frattura non più solo politica ma orizzontale e culturale fra destra e sinistra (che condannerebbe peraltro, secondo alcuni, la sinistra a una perenne sconfitta), anche questo varco può servire a riaffermare, senza irridere nessuno, senza minimizzare, ma con fermezza, alcuni valori di civiltà (di una civiltà) ai quali nel nostro paese e nel mondo molti uomini sentono di appartenere.