Duo da camera (2)
di Andrea Inglese
Di questo ricco festino (salsa
di lingue, ciocche, tette e coscette)
non mi fiacco che a notte tarda
(aromi di fori e fiori, labbri mielati),
ma tu che mi sei pane e uva, cuoca
e servetta, hai deciso per sempre
il mio destino: schiavo ingrassato
del tuo piatto, inchiodato al muro,
indefesso ti mordo, rodo, mastico,
ma mai giungo all’osso, e avanzarti
non posso.
*
Ti sei la schiena scorticata sulla raspa
del tappeto da fachiro (con il raspo
e la gazza golosa che vi pesca)
e io che ti ero sopra ho le mie colpe.
Ora ti passo con mano di mammina
il mercurocromo sulla piaga, ti soffio
quando arde, t’incollo una garza
ben squadrata. È passata in un lampo
l’era ingorda della carne, già trema
di balia stremata la mia voce
intenerita sulla tua guancia neonata
di donna ritornata bimba da nanna,
dea di culto asessuata in culla.
*
In questa cella ci rivoltiamo ardenti
come in pentola, in trappola, all’inferno.
Ogni nostro budello è una burella
da percorrere ciechi verso un’aria,
una luce, un sonno calmo d’evasi.
*
Ti scarabocchio la schiena con pioggia
spermatica, e cado svenuto
mentre imprechi per una stella filante
che t’incolla una ciocca. Dopo potrai
punirmi, addentarmi dove più
sento il tuo fiato, il tuo labbro
che spaccano. E le tue unghie
stamperanno il verdetto e la pena
sulle mie cosce, nelle reni, nel giglio
intonso del mio cervello.
(da Inventari, Zona Editrice, 2001)
(immagine di Balthus)
Delizioso. E’ edito da qualche parte?
Non per sembrare l’apologeta di Inglese (oltre alla lussuria amicale che ci fa incontrare, non per somiglianza, ma proprio per rimorchiare), ma questo è punto culminante della poesia erotofanica degli ultimi decenni. Non vi è nessun accenno alla scoria retorica ecolalica, nessun cedimento all’ipostile da poeta ‘culto’, nessuna stanchezza postcoitale. Insomma funziona anche sul versante dell’erezione supralirica e supracanonica, ed oltre i cinque minuti di triste media nazionale.
Oltre ad essere edita da Zona è recensita dal ‘me’ biografico in un’ “Immaginazione” di un anno e mezzo fa circa.
Vada per zona, tanto devo ancora prendere frixione.
f.
Sporcaccione! ;-)
Caro Elogio storna da te qualsiasi tentazione di autobiografismo, che altrimenti ci inguaiamo entrambi. Rimaniamo nell’ambito di spassionate analisi strutturaliste…
Ma il tuo intervento mi ha dato voglia di scrivere una glossicina, sul significato di scrivere, oggi, in tempi post-erotici e pornografici, delle poesie “d’amore”…
“Duo da camera”, infatti, è cronaca poetica di un’esordio amoroso esclusivo e monogamico (insomma per nulla libertino.)
Ci trovo sarcasmo, voglia di impallinare ogni residuo sentimentalistico e ogni illusione di amore-risarcimento.
Il lessico lussurioso non mi sembra affatto liberatorio, semmai porta a evidenziare ancora di più il fondo cupo, privo di vie di fuga.
Resta infine una tenerezza solidale, da compagni di cella.
Questa marcatura quasi-tragica la ritrovo anche in “Bilico”, che tuttavia preferisco per la più forte attenzione al racconto e per il linguaggio più piano (Meno “poetico”? Meno distaccato?).
ben detto: mi ritrovo perfettamente (e vedrai il seguito…)