Le scimmie… (93)
di Dario Voltolini
avete aperto le finestre e il vento
saliva dalla strada e gonfiava le tende
avete incerato i gradini di pietra che salgono le vostre rampe interne
gli androni avete messo nuovi punti luce
li ho visti l’altra sera
sono a coppa
di vetro smerigliato
avete ospitato nelle stanze riunioni di commercialisti
e corpi di amanti dalla pelle fredda
uffici
malati stesi a letto belle case bianche
case mie case franche
volevo abitarvi in ogni appartamento
passavo sotto nella strada e guardavo in su
verso le vostre balconate
le terrazze
gli angoli le rientranze
i piani aggiunti in seguito le sporgenze
i tetti le antenne paraboliche le finestre d’angolo
gli ingressi tetri laminati e fiochi
i portoni di legno ben conservato
i cortili dietro le cancellate
dove eravate quando io ero via?
i campanelli i citofoni i corrieri che consegnano
i muri spessi i lucernari le autorimesse
i magazzini i negozi che si aprono sul corso
le scuole le fabbriche belle case
case affrante case marce case multifunzionali
i vostri serramenti metallici i pilastrini all’angolo del balconcino
le discese scoscese verso il fiume
la magnolia al centro della zona verde condominiale
l’entrata del pronto soccorso appena inaugurato
nei letti avvoltolati nelle lenzuola i corpi degli amanti
in tutto questo tempo
cos’hanno fatto?
si sono mai guardati negli occhi?
hanno quella pelle così liscia
anche gli uomini
e così fredda
in certe circostanze arriva una brezza profumata non si sa se siano i fiori
o la fabbrica di biscotti
il tram si ferma davanti al macellaio
e sopra
al livello dei tetti
inestricabili soffitte accolgono le visite
degli amanti così fuori orario
così silenziosamente che nemmeno
senti frusciare gli abiti che vengono lasciati cadere ai bordi del letto
passano già i pipistrelli fra i palazzi belle case
bianche stanche belle case spalancate
neanche le bombe della guerra
hanno aperto tanti muri
la fantasia di abitare in ogni luogo fa di meglio
ogni vano catastale
belle case aprite le finestre delle cucine
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“Dove eravate quando io ero via?” si domanda – con finta costernazione – il nostro giovane poeta.
La risposta, naturalmente, se l’era già data nel terzo verso: a incerare i gradini di pietra.