Il beejay
Note sui recensori di romanzi
di Tiziano Scarpa
Nessuno, credo, si sognerebbe di dire che Linus o Albertino sono musicologi, né critici musicali. Loro per primi, ne sono convinto, rifiuterebbero queste qualifiche. Le considererebbero indebite, esagerate. Linus e Albertino sono due deejay.
Da dove viene il termine deejay? L’etimologia spiega che si tratta di un’abbreviazione di jockey of the disc: “fantino del disco”. I presentatori radiofonici salgono in sella a un disco e lo fanno correre. Proponendolo ai radioascoltatori, lo fanno conoscere, ne agevolano il successo. Tra l’altro, faccio notare che questa metafora ippica sottintende un’idea agonistica della musica pop: i consumi culturali sono una gara. C’è chi vince e c’è chi perde. E ci sono purosangue e ronzini. Ma un fantino che sappia come cavalcarli può fare la differenza.
Esistono molti deejay. Alcuni lavorano in radio assai ascoltate. Altri in piccole emittenti a diffusione limitata. Un disco lanciato da Linus o Albertino ha più possibilità di avere successo di quelli promossi dal deejay di RadioMozzarella. E non è detto che il deejay di RadioMozzarella sia meno preparato musicalmente o abbia gusti peggiori dei suoi colleghi più famosi. È una questione di ascolti, tutto qui.
Il fantino del disco ha dei gusti, che riesce a imporre. O meglio: non è nemmeno questione dei suoi gusti personali; spesso la sua abilità consiste nel capire se un disco può piacere alla gente, cioè al pubblico della sua radio. Di conseguenza, glielo proporrà. È un gioco di specchi, ma permette al deejay di dimostrare il suo potere di arbitro del gusto. Deve farlo: lavorare in una radio assai ascoltata fa gola a molti, e persone in grado di dire quattro parole al microfono fra un disco e l’altro ce ne sono tantissime.
Allo stesso modo, non sono sicuro che si possa parlare di critici letterari per una parte delle persone che recensiscono romanzi sui giornali. Sono esperti di letteratura? Non mi sembra. Che cosa hanno dato alla letteratura italiana, alla saggistica, all’interpretazione dei classici o dei grandi scrittori contemporanei? Nulla. Semplicemente, scrivono sui giornali. Esprimono pareri personali su un libro. Sono giornalisti che si occupano di romanzi. Niente di più.
Perciò eviterei di fare confusione. Gran parte di coloro che chiamiamo critici letterari sono semplicemente beejay. Sono book-jockey, fantini del libro. C’è chi scrive su giornali e riviste più diffusi, e chi meno.
Per dimostrare la sua effettiva incidenza, il beejay ha un sistema: prendere un esordiente che nessuno ha ancora letto, recensirlo tempestivamente il giorno stesso dell’uscita del libro, e incensarlo. Se l’esordiente avrà successo, tutti diranno che la recensione del beejay ha fatto la differenza decretando il successo di quel libro. Nessuno ne aveva parlato prima, l’autore era sconosciuto: è stato il beejay a tirare fuori il coniglio dal cappello!
Naturalmente, un abile beejay promuove soprattutto libri che possono incontrare il favore del pubblico, in un gioco di specchi spacciato per gerarchia di valori. In questo modo il beejay dimostra il suo potere di arbitro del gusto dei lettori. Deve farlo: lavorare per una testata a larga diffusione fa gola a molti, e persone in grado di mettere insieme quattro acche di pareri personali su un romanzo ce ne sono tantissime.
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Mi permetto di allargare il discorso ai redattori e soprattutto alle editor delle varie case editrici, che, se non hai ancora sufficiente forza contrattuale (= un vero best-seller o long-seller all’attivo) si permettono di smembrare e massacrare il tuo testo a loro piacimento. Te lo dico sull’onda di una grave incazzatura che mi sono preso a proposito del libro che sai. La mia povera prefazione di oltre venti cartelle è stata ridotta a cinque con soppressione sistematica di tutto ciò che caratterizza il mio stile e vari salti logici nel raccordo tra le parti sopravvissute. Ho proposto di firmarla con uno pseudonimo, ma non ne hanno voluto sapere. È una vita che mi scontro con ***le*** editor dell’editoria (per ragazzi e non). Ho anche scritto “L’incredibile storia della Fata Fatuccia e della Strega Forestana” a proposito di Orietta Fatucci (Einaudi Ragazzi) e Margherita Forestan (Mondadori Ragazzi) e sono ormai giunto alla conclusione che l’idea di violentare letterariamente gli autori sia una sorta di proterva malattia professionale tipicamente femminile. Forse connessa alla
classica invidia del pene. O forse certi capo redattori pensano che se uno non fa dei tagli è come se non facesse un editing. Tagliare, si sa, non è difficile. Ed è appariscente. Insomma, si fa bella figura con l’editore che, naturalmente, non osa quasi mai contraddirli:-/
Hai ragione, TS!
Nell’alveare di carta è pieno di bee :D
Vedi fra gli ultimi episodi di beejayismo, D’Orrico con Piperno. A dir poco imbarazzante!
MI sa che il pezzo di Scarpa voglia proprio parlare di Piperno-D’Orrico senza.
MI sa che il pezzo di Scarpa voglia proprio parlare di Piperno-D’Orrico .
MI sa che il pezzo di Scarpa voglia proprio parlare di Piperno-D’Orrico.
Mi pare che il discorso di Tiziano Scarpa vada un po’ oltre D’Orrico e Piperno. Peraltro, cose molto simili, anche se con linguaggio diverso e forse meno efficace, le scrive Mengaldo sull’ultimo numero dell’Ospite ingrato, nell’ottima sezione sulla responsabilità della critica (c’è anche l’ultimo scritto del povero Franco Brioschi)
Le recensioni sono difficilmente “pulite”, libere dal parere personale dell’uomo lettore.
Tutti usano la propria credibilità per spingere qualcosa in cui magari credono realmente. Questo forse è il vero dramma, ma non si può fare un processo alle intenzioni. Si usano spesso parole spropositate come “Capolavoro”, d’altronde Ts ha definito così l’ultimo libro di Nicola Lagioia che seppur ben scritto non penso proprio lo si possa considerare tale. Si considera forse un beejay?
Penso di no, d’altronde era un’opnione personale, ma un po’ di parsimonia non guasterebbe.
Credo che Scarpa usando “capolavoro” intendesse proprio “capolavoro”, e spiegasse il perché.
Seguo Scarpa da tanto tempo, anche sul web, e non l’ho mai visto beejaizzare o d’orricare (che poi è il motivo per cui lo seguo da tanto tempo).
beejay mi fa anche venire in mente un gregge di belanti/zelanti…
il fatto che lo consideri un capolavoro e ne spieghi il perchè non fa del libro di Lagioia un capolavoro. fa di Ts un non beejay. O un beejay intelligente, che parla con cognizione di causa. Comunque non penso che la discussione sia su l’essere capolavoro o meno del libro di Lagioia.
Invece a me beejay fa venire in mente api un po’ più aggressive delle api: vespe. :-)
Sciama via, miserabile!
E io? Come sto di profilo? Varda te, nessuno mi caga. Eppure sono bello anche davanti. Giuro. Signore, fatevi…avanti!
Una domanda per tutti: Giuseppe Genna è un beejay?
Per Antonio Cataldi.
Avevo scritto: “Allo stesso modo, non sono sicuro che si possa parlare di critici letterari per una parte delle persone che recensiscono romanzi sui giornali. Sono esperti di letteratura? Non mi sembra. Che cosa hanno dato alla letteratura italiana, alla saggistica, all’interpretazione dei classici o dei grandi scrittori contemporanei? Nulla. Semplicemente, scrivono sui giornali. Esprimono pareri personali su un libro. Sono giornalisti che si occupano di romanzi. Niente di più.”
Giuseppe Genna ha dato molto alla letteratura italiana. Ha scritto cinque o sei libri, romanzi e saggi. Il suo lavoro in rete non è fatto mica solo di articoletti di lancio. Ci sono decine e decine di saggi suoi, in rete, dai tempi di Clarence a oggi. E’ uno scrittore e un critico letterario. Non è certo un “beejay”. Diciamo che a volte “approfitta” di questa autorevolezza e assume comportamenti da “beejay”, da autentico ultrà dei beejay, per lanciare un libro, con le tipiche armi del “beejay”: conoscenza del libro anticipata grazie a lettura delle bozze, pubblicazione dell’articolo di lancio il giorno stesso dell’uscita in libreria, ecc.
“Genna ha dato molto alla letteratura italian”… ma se ha ancora il latte sulle labbra e la faccia facciosa!
Per Tiziano Scarpa: hai letto il saggio di Mengaldo sull’Ospite ingrato che devo aver citato in uno dei post sopra? Mi sembra che sosteniate tesi assonanti (non certo identiche, ci mancherebbe). Penso comunque ti possa interessare, al di là della vicinanza di idee.
Non ci sono dubbi che Genna ha dato e sta dando molto alla letteratura italiana e non solo, e produce Pensiero. E’ ammirevole anche i ritmi che tiene…scrivere libri, scrivere articoli, tenere un sito ricchissimo, lasciare spunti nei blog. Ma dorme? dormi Giuseppe? io sto invecchiando, qualche ora di sonno in più riesco adesso a farmela. E per me è un miracolo. Non è Giuseppe che fai come Mallarmé che disse: Io non dormo, sono sveglio ventiquattro ore al giorno…ci si abitua, si pensa molto dolcemente, ma con la chiarezza del cristallo( cit. in Bachelard, La poesia della Materia).
Il latte sulle labbra Genna? oh, ma invecchia pure lui, non è mica più l’enfant prodige… oppure a 35 anni si è ancora fanciulli? :-)
Sì, produce Pensiero a 360° e non sono in molti a farlo.Ecco.
Ci faccia un esempio di genna-pensiero destinato a durare nel tempo:-/
L’esempio è il http://www.miserabile.it
Non occorre poi sempre essere d’accordo su tutto per riconoscere il pensiero. Inoltre si può riconoscere il pensiero di uno scritto anche non condividendolo per nulla, ma apprezzando il ragionamento fine e/o la forza che l’articolazione linguistica di quell’autore porta con sé.
Ho capito, ti senti investito dai suoi luminamenti.
Io, lo confesso, ancora no.
A 35 anni oggi si è giovanissimi, a 45 ragazzi, a 55 quasi adulti, a 60 giovani adulti, a 75 maturi con riserva, a 80 pantere grigie, a 85 non più giovani, a 90…;-)
Grazie a Scarpa per la risposta.
Non volevo essere polemico, ma intendevo proprio quello che ha detto Scarpa. A volte Genna si scaglia contro certa critica o giornalismo paraletterario, a volte paradossalmente e un po’ ambiguamente sembra assumerne i toni e gli strumenti. Io, personalmente, devo ancora capirlo del tutto.
I am a Beejay!
Magari più del tipo Alternative Radio, magari più del tipo con la fissa per il pop psichedelico scozzese o l’electrolounge svizzera, insomma magari più del tipo balzanamente entusiasta di cose stampate solo su vinile verde e in 500 copie tutte firmate, ma sono così. Un Beejay. Grazie a Tiziano per la splendida idea e la definizione tutt’altro che offensiva e anzi davvero cool.
Quando devo presentare qualcuno, sulla cartella stampa dell’incontro, enti pubblici biblioteche e associazioni mi chiedono sempre: “cosa scriviamo di lei? Critico letterario?” A me viene la pelle d’oca per l’imbarazzo e se sono in tempo li fermo. Poi, spesso, ne usciamo con uno stringato ma tetro “Presenta Piersandro Pallavicini”, che mi da un po’ di nausea. La prossima volta proverò a proporre di scrivere “Beejay: Piersandro etc”. Francamente, mi piace.
Caro Piersandro, mi spiace contraddirti, ma tu sei uno scrittore che ha dato molto alla letteratura italiana, per esempio con il tuo bellissimo “Madre nostra che sarai nei cieli”. Ma capisco quel che dici: ci sono occasioni, situazioni, contesti in cui ci si comporta da beejay, si svolge la funzione, il ruolo di beejay. Presentare un disco in una radio non è mica un atto negativo. Discutibile è che questo atto di presentazione (e spesso di pura propaganda pubblicitaria) venga considerato un autorevole atto di critica musicale…
Certo Tiziano, su questo ci siamo capiti bene, e davo per scontato l’essere d’accordo. E ti ringrazio per le cose belle che dici e hai sempre detto sui libri che ho scritto: mi sento certamente uno scrittore a pieno titolo, ma non mi sento invece “critico letterario” a nessun titolo, nonostante faccia recensioni e abbia fatto anche cose un po’ più complesse e architettate in passato. Quando mi è toccato parlare di questa mia “seconda funzione” spesso ho detto “sono uno che scrive dei libri degli altri, utilizzando le proprie armi di scrittore”. Con il sottinteso che mi mancavano una preparazione e l’uso consapevole degli strumenti della critica, e che dunque semplicemente leggevo e, alquanto umoralmente e magari “artisticamente”, commentavo (magari con la pretesa di ricavare qualche schema, come pretende la mia formazione scientifica).
Poi, sarà a causa della mia sfrenata passione per la musica pop e i suoi connessi, però a me il tuo “Beejay” piace proprio (e lo dico sul serio e senza alcuna ironia). L’idea di essere quello che fa “girare le pagine dei libri” così come certi DJ notturni – con la voce stanca e roca e la borsa piena di jazz e bossanova – fanno girare i dischi, la trovo assolutamente romantica e fascinosa. Per cui se mi concedi il furto (ma in realtà ti citerò sempre, menzionando l’uso che intendevi fare tu del termine!) mi piacerebbe privarla della connotazione negativa che gli hai dato e definirmi così…
Perché non proviamo a guardarla così? Esiste il beejay (ottima definizione, Tiziano, anzi invenzione) ed esiste il critico. Questo è lo stato delle cose. Bisognerebbe che il beejay svolgesse bene il suo lavoro e il critico pure, che avessero entrambi una loro deontologia.
Compito del beejay è quello di “far girare i libri” presso il suo pubblico: ha un rapporto stretto e dialettico con il suo pubblico e attraverso tale rapporto è legittimato.
Dico il “suo” pubblico perché non esistono solo Linus e Albertino ma anche quelli che mettono su il jazz e bossanova di cui parla Piersandro, quelli delle trasmissioni world o frontiera (che, d’accordo, passano nelle ore più strane delle sempre più scarse radio libere ecc.).
Il beejay (come il deejay) tiene quindi conto del gusto del (suo) pubblico e al tempo stesso,conoscendolo, cercherà di indirizzarlo, di allargarlo e raffinarlo.
Il buon beejay fa gli interessi del suo pubblico e non delle case editrici. Non promuove un libro per dimostrare la sua pessima opinione su tutto il resto, perché di tutto questo al suo pubblico non gliene frega niente.
In Italia, lo sappiamo, manca una cultura della divulgazione. Anche i più grossi squali del buisiness editoriale, anche i mediatori più populisti si sentono, in fondo, appartenti a un elite. Il loro populismo ha un cuore cinico.
In Germania esiste una trasmissione televisiva condotta da una giornalista di nome Elke Heidenreich che ha mandato in classifica libri di Bunin e Lermontoff nonché il grandioso e difficile romanzo della giovane Terezia Mora di cui vi parlerò, quando uscirà da noi. Ma la gran parte dei libri che Heidenreich sceglie e presenta con garbo e semplicità, sono per un pubblico largo, quello della tivù. Facili, coinvolgenti, avvincenti, ma -davvero-di buona qualità. Scelti, perdippiù, anche fra la produzione delle piccole case editrici.
E la critica? Bisognerebbe che anche quella avesse più spazio, non fosse così rilegata (e degradata) ai sempre più striminziti compitini standard -riassunto più apprezzamenti- dei vari supplementi. Sui libri si può ragionare molto più in profondità e non è vero che nessuno ha la pazienza di seguire. Lo dimostra molto bene il tuo pezzo su “Fiona”. Facciamone altri, facciamone di più.
manca “babele” di augias, ma manca anche “per un pugno di libri” di casella e bignardi…
Ho perso il cidì del Gra.D.It. di De Mauro, quello con le marche d’uso. Sono però quasi certo che a ‘deontologia’ abbia apposto la marca ‘arcaico’, ‘desueto’, ‘obsoletissimo’. Mica soltanto per la critica letteraria: proprio per la vita di ogni giorno.
Largo ai beejay, dunque, nell’accezione spiegata benissimo da Helena; largo alla bossa nova e alla lounge svizzera, abbasso la demagogia mid-cult di chi usa Piperno o altri per vendere se medesimo (e non penso al solito, stracitato D’Orrico)