Le illusioni costano meno della verità #1
Perché permettiamo al mondo di andare come va
di Franco Del Moro
Dal numero 70 della rivista Ellin Selae (info: ellin@libero.it), propongo questo articolo, che è anche un capitolo in anteprima dal prossimo libro di Franco Del Moro. T. S.
Comincerà in modo lento.
Un giorno andrà via la corrente per qualche ora, un altro giorno mancherà l’acqua, qualche volta ci saranno problemi con la linea telefonica o con il gas, ogni tanto capiterà di trovare il benzinaio chiuso…
Poi ci sarà un leggero incremento… la corrente e l’acqua mancheranno contemporaneamente e sempre più spesso, al supermercato non si troverà la verdura fresca per una intera settimana, tutti i combustibili, di qualunque tipo, aumenteranno di prezzo…
E improvvisamente verranno i giorni del caos: niente più elettricità, né benzina, né ciò che per esistere necessita di elettricità o benzina, cioè quasi tutto; i servizi prima dati per scontati diventeranno delle eccezioni sempre più rare; recuperare acqua o cibo non sarà più questione di allungare una mano o fare la spesa in qualche negozio, il valore del denaro diminuirà da un giorno con l’altro…
E ci si chiederà come è stato possibile arrivare a quel punto senza accorgersene, senza che nessuno dicesse niente, facesse niente.
Ma ogni cosa in realtà era scritta a chiare lettere da tempo, i segnali c’erano tutti, bastava solo aver voglia di leggerli, di interpretarli.
Si, ma quando, e dove?
Oggi, adesso, proprio qui. E non su codici ermetici o rapporti top-secret, ma su libri e periodici facilmente reperibili in tutte le città, ascoltando quello che dicono certi intellettuali, certi artisti, certi ricercatori. Persino su internet, volendo.
Ma allora, se tutto si sa già da tempo, perché non succede nulla? Niente sollevazioni popolari, niente boicottaggi di massa, niente scioperi generali…
La questione assomiglia a quello che io chiamo “il paradosso della guerra”, perché il fatto che ci sia sempre almeno una guerra in qualche parte del mondo è un paradosso.
Ed è un paradosso per questo motivo: se chiedessimo personalmente a tutti gli abitanti della Terra di qualunque razza, età e religione: “Tu vuoi la guerra? Saresti contento se nel tuo paese ci fosse la guerra? Hai voglia di andare in guerra?”, sono più che certo che il 100% delle donne e il 99,9 % degli uomini risponderebbe “no” a tutte le domande, e sarebbero sinceri, perché davvero, eccetto gli psicopatici e le menti disturbate, nessuno, in qualunque paese viva, ama la guerra.
Eppure, e questo è il paradosso, c’è sempre una guerra in corso da qualche parte.
Dunque cosa pensare? Che il 99,9% non è in grado di opporsi allo 0,01%? Che la guerra è un cataclisma naturale, come gli uragani, che si formano a prescindere dalla volontà degli uomini? Che la guerra scoppia all’improvviso per autocombustione spontanea, anche se nessuno ha acceso neppure un fiammifero?…
Io sono propenso a credere che le crisi, anche le più indesiderate, invece si aprono proprio perché tutti hanno ignorato i segnali di pericolo a monte della crisi, nella convinzione che qualcun altro, prima o poi, sarebbe intervenuto, avrebbe fatto qualcosa per impedire la crisi.
Questa attitudine umana, ossia non sentirsi personalmente responsabili di ciò che riguarda tutti, è stata anche studiata a livello sociologico.
Lo spunto a intraprendere questa ricerca per la prima volta venne da un fatto di cronaca accaduto qualche anno fa in un quartiere di New York e costato la vita a Kitty Genovese, una giovane donna che stava rincasando dal lavoro.
Kitty Genovese venne aggredita per la strada da un rapinatore armato di coltello. La ragazza in un primo momento riuscì a scappare gridando aiuto e attirando così l’attenzione di molte persone che si fermarono o affacciarono alle finestre delle loro case. Il rapinatore raggiunse la ragazza e sotto gli occhi attoniti di diversi testimoni (le indagini appurarono che furono almeno 38), la picchiò e pugnalò brutalmente, poi, indisturbato, lasciò la scena del delitto. Tutti coloro che assistettero all’omicidio si mostrarono turbati e indignati per quanto era successo ma rimaneva un fatto da capire: perché nessuno era intervenuto e neppure aveva tempestivamente chiamato la polizia. Eppure l’intera aggressione era durata più di mezz’ora.
Due psicologi sociali, John Darley e Bobb Latané, studiarono il caso e giunsero alla conclusione che quando una ingiustizia si consuma sotto gli occhi di un gruppo sufficientemente ampio di persone, il senso di responsabilità individuale si diluisce considerevolmente, ossia tutti si aspettano che ci sarà qualcuno che, prima o poi, farà qualcosa e intanto nessuno fa niente.
Questo è il motivo per cui, a mio avviso, le motivazioni nichiliste dello 0,01% possono realmente condurre alla catastrofe il restante 99,9%. Ed è quello che la storia dimostra dal tempo dei Faraoni, su su fino a Hitler, alla guerra in Iraq, alla globalizzazione, allo sfruttamento del Terzo Mondo, alla devastazione dell’ecosistema… è sempre lo 0,01%, la percentuale psicopatica dell’umanità, quella troppo avida e troppo potente, che gioca a bowling con il resto del mondo.
Loro tirano la palla; mentre noi, i popoli, la natura, gli animali, le civiltà… siamo i birilli.
A volte la palla è una guerra, altre volte una speculazione economica su vasta scala, altre ancora una sperimentazione scientifica… c’è solo da sperare che non facciano mai strike.
Perché strike, in questo caso, significherebbe fine della vita sul pianeta Terra, così come l’abbiamo conosciuta sino ad oggi.
Dal punto di vista degli avvoltoi un campo di battaglia seminato di cadaveri è un posto molto invitante, e questi signori oscuri e onnipotenti, lo 0,01%, quelli che guardano il mondo dalla stessa ottica degli avvoltoi, sanno quello che non solo i sociologi, ma anche dei semplici direttori di marketing sanno, ossia che la stragrande maggioranza delle persone è fortemente influenzabile dalle norme sociali, e le norme sociali possono essere “costruite” ad hoc in laboratorio da chi ha interesse a influenzare la vita delle persone.
Le persone fanno scelte di vita che in genere si definiscono “libere” ma che sovente sono invece l’esito fatale di pressioni sociali preesistenti: c’è chi va al cinema sotto la spinta del conformismo, ma c’è anche chi con lo stesso spirito mette al mondo dei figli.
Norme sociali costruite in laboratorio sono ovunque intorno a noi, ma sono difficili da percepire, spesso ci uniformiamo a loro in modo incosciente.
Si possono costruire “piccole” norme sociali (in genere per vendere un prodotto, creare una moda, spingere le persone verso un certo consumo piuttosto che un altro) o “grandi” norme sociali (per far affermare una corrente politica, o far adottare in massa un copione di vita, uno stile di vita).
Finché si tratta di spingere le persone a comprare tutte lo stesso tipo di scarpe, andare in vacanza negli stessi giorni e negli stessi posti o guardare gli stessi programmi televisivi, poco male, le persone desiderano essere accettate e sentirsi affiliate al gruppo di appartenenza, per questo tollerano di venire pesantemente influenzate, purché lo siano anche tutti gli altri
.
Ma quando si tratta di decisioni grandi, decisioni di civiltà, decisioni di vita o di morte, le cose possono presentare aspetti assai più insidiosi.
Per esempio: supponiamo che una èlite di persone potenti e senza scrupoli (il solito 0,01%) avesse interesse a creare consenso popolare intorno a un’idea altrimenti difficile da far accettare, come per esempio dichiarare guerra a un Paese straniero al fine di predarlo delle sue risorse, cosa potrebbe fare?
Potrebbe costruire giorno dopo giorno un’immagine sempre più negativa e repellente del “target”, come fece il ministro della propaganda di Hitler nei confronti degli ebrei.
Oppure, volendo fare più alla svelta, potrebbe creare un sanguinoso attentato e far ricadere la colpa su esponenti del Paese al quale intende muovere guerra.
Supponiamo, sempre pourparler, che questa risorsa ambita fosse il petrolio, e il Paese interessato a metterci le mani sopra fossero gli Stati Uniti… vista in quest’ottica allora non trovate che l’attentato alle Torri Gemelle sia stato un evento incredibilmente appropriato a creare un forte consenso verso una (altrimenti sgradita) dichiarazione di guerra? Come sarebbe stato possibile influenzare milioni di persone nel giro di pochi minuti, se non con un trauma proprio di questo tipo?
E i falsi dossier sulle presunte armi di distruzione di massa possedute dal Paese che, guarda caso, è anche quello che possiede le maggiori riserve di petrolio mondiali, non ha proprio l’aria di una mera operazione di propaganda, per nulla dissimile da quelle nazifasciste degli anni Trenta, volta a creare una opinione collettiva che “legittima” i grandi capitalisti occidentali ad intervenire militarmente in quel Paese?
Ma le mie sono solo congetture, lascio volentieri ad altri ben più qualificati analizzare le pieghe riposte dei grandi eventi della Storia, io mi limito ad osservare il mondo intorno a me che, seppur piccolo, non è meno ricco di risvolti preoccupanti.
Eccone uno.
(1–continua)
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questo brano è un’anteprima del libro
Riposare nel cuore della tempesta
(pp. 196; 14,00 euro; ISBN 88-89621-00-1; Ellin Selae ed. – tel 0173/791133 – email: ellin@libero.it)
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