In memoria di un eroe borghese. Intervista a Umberto Ambrosoli.
di Jacopo Guerriero
«Di mio padre nessuno poteva dire “è uno dei nostri”».
Così afferma Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio, il commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, ucciso da un sicario l’11 luglio 1979, a Milano. Una figura ingombrante, capace di ricostruire, tassello per tassello, la rete di traffici illeciti tessuta dal banchiere Michele Sindona. Il «salvatore della lira» secondo Giulio Andreotti, di certo il mandante riconosciuto di un omicidio annunciato.
Tutti sapevano delle minacce ad Ambrosoli. L’uomo che fece chiarezza sulla fallimentare Franklin National Bank, che spiegò come i cittadini italiani pagavano i debiti accumulati da Sindona nel corso degli anni, con l’avallo dei governanti. Finì che una sera, nel periodo americano, estraendo dal taschino della giacca un bossolo d’oro, Licio Gelli promise al banchiere:«Ci posso pensare io ai nemici dei miei amici». L’assassino di Giorgio Ambrosoli si chiamava William J.Arico. Aveva conosciuto Sindona grazie a un trafficante di droga incontrato in carcere in America, Robert Venetucci. Il suo prezzo fu di 90.000 dollari.
«Il mio papà era estraneo a qualsiasi tipo di apparato economico e finanziario e questa è già una testimonianza della libertà di cui è stato capace e che ha saputo difendere. Un esempio di coerenza prima ancora che di coraggio». Lo ripete più volte, Umberto Ambrosoli, anch’egli avvocato, tornando con la memoria agli anni di bambino. Anni non facili, ma comunque sereni:« E’ indubbio che a me è mancata la persona di mio padre. Un padre che è anche così facile idealizzare, perché tutti ne parlano bene, perché i suoi amici ne sentono l’assenza e dicono che era importante. Di fondo però c’è il suo esempio fantastico, da tutti i punti di vista, che ogni giorno genera grande positività.
L’occasione del nostro colloquio è l’uscita di un nuovo volume –oggi in libreria- scritto da Renzo Agasso: Il caso Ambrosoli. Mafia, affari, politica (ed. S. Paolo, pp. 176, euro 12,50).
Avvocato, neppure ai funerali gli uomini delle istituzioni furono vicini a suo padre. Che clima c’è, oggi, intorno alla sua memoria?
Sono molto colpito dal fatto che a distanza di così tanti anni si creino sempre nuovi episodi per tramandare il suo ricordo. Commemorazioni, intitolazioni di vie o di piazze. Ancora in questi giorni, qui a Milano, la sede distaccata dell’Università degli studi sta pensando di intitolargli un’aula.. Mi capita sempre, poi, di incontrare persone che sentendo il mio cognome si incuriosiscono e si commuovono. Qualsiasi assenza del passato è nulla a fronte del sempre vivo ricordo che c’è nel presente di una vicenda ormai lontana nel tempo.
Quanta verità è circolata, negli organi di informazione, sulla figura di suo padre?
E’ una domanda difficile. Per noi della famiglia mio padre è sempre, anche oggi, una presenza costante. Ma è certo –non sono io a dirlo quanto piuttosto i testimoni di quell’epoca- che gli anni in cui è collocata quella vicenda sono anni di silenzi e di critiche ingiuste. Qualche tempo fa Ferruccio De Bortoli, ricordando mio padre, scrisse che forse la stampa ha motivo di avere sensi di colpa, non essendo riuscita a creare il clima giusto intorno alla sua figura. Aveva un ruolo che, già si capiva, allora, era tanto importante e tanto delicato. Le eccezioni sono poche: oltre all’inchiesta di Stajano –raccolta poi in Un eroe borghese, uscito per Einaudi- e alla biografia che esce in questi giorni mi piace ricordare il grande articolo di Marco Vitale su Giorgio Ambrosoli, a pochi giorni dalla sua morte. C’era, già allora, la possibilità di avere una certo tipo di sensibilità. Diciamo che questa sensibilità si è sviluppata solo molto dopo.
Una sua impressione personale: è cambiato qualcosa di quell’intreccio tra politica, finanza e massoneria che suo padre ebbe il coraggio di sfidare?
Non so se è cambiato qualcosa. Penso a chissà quante storie ci sono di persone che si trovano davanti a scelte drastiche e, vivendo il peso di quelle scelte con drammaticità, non si tirano indietro. E noi non ne sappiamo nulla.. Forse perché non hanno un ruolo pubblico, forse perché sono così sole che nessuno ne sa niente.
Il mondo politico è un mondo in costante mutazione e al contempo in perenne staticità per le tipologie di equilibri che lo contraddistinguono. E’ tutto molto incerto. Non so neanche se oggi sarebbe possibile aprire un’indagine come quella sulla P2 , con tanto di commissione parlamentare, non so se sarebbe possibile aprire una commissione parlamentare come quella su Sindona. Devo dire che non so neanche se di queste due commissioni, allora, si fece un uso politico come quello che oggi viene da immaginare potrebbe essere fatto nel vedere certi lavori parlamentari di indagine.
A proposito di Sindona: che sentimenti prova la sua famiglia verso l’uomo che diede l’ordine di uccidere suo padre?
La rabbia è uno dei sentimenti umani più comuni, è un moto che fa i conti con le altre emozioni e poi con la razionalità. E’ un moto che, nella vicenda di mio padre, per quel che riguarda la nostra famiglia non si è mai affermato. E’ rimasto qualcosa che è passato, ma solo di tanto in tanto. Perché non è stato così? Da un lato la capacità di nostra madre di promuovere riflessioni positive. Dall’altro è andata così perché la vicenda di mio papà è una sorta di luce per me. E’ un faro capace solo di proiettare cose positive. Per me è così, io l’ho vissuta così. Il che non vuol dire che non ci siano stati momenti di difficoltà, di rabbia, che non ci siano ancora oggi.
Corrado Stajano ha definito suo padre un “eroe borghese”. Per la sua professione di avvocato, per le sue abitudini e le sue idee. A leggere la nuova biografia di Agasso si scopre che più volte si cercò di farlo passare come un pericoloso comunista. Dove sta la verità? Si è fatto luce sulla verità?
Giorgio Ambrosoli aveva un incarico ben chiaro, molto tecnico, e svolgendolo da questo punto di vista ha saputo –anche con grande capacità- rimanere al di fuori di qualsiasi concreta accusa di partigianeria. Il che non vuol dire che le accuse di partigianeria non siano avvenute. Ma queste sono state forse la conclamazione della sua indipendenza. Dietro c’era una visione dello stato molto particolare, molto sentita. Quanto a quello che accadde: preferisco appoggiarmi alle sentenze che caratterizzano i due processi celebrati: sono sentenze che disegnano un quadro dell’Italia di quegli anni molto avvilente.
Un personale ricordo di suo padre?
Il ricordo di una persona serena, presente nel suo ruolo familiare, giocosa e autorevole senza essere autoritaria Mi ricordo quando mi svegliavo di notte e sempre lo trovavo al tavolo a lavorare. Un tavolo pieno di carte che tirava fuori dalla borsa che aveva sempre con sé e alla mattina non erano più lì.
Se devo pensare a un’immagine di mio padre, mi viene in mente una fotografia in cui accenna un sorriso che è il sorriso di cui io poi ho memoria. E’ un sorriso molto ironico, sembra mi dica che anche attraverso i drammi c’è sempre da pensare in positivo. Anche in tutto quello che è successo c’è da pensare in termini positivi. Ed è verissimo, nella popolazione il suo esempio è rimasto.
________________________________
Pubblicato su Liberazione, 7 aprile 2005
Comments are closed.
Preziosa ed ottima intervista Jacopo. Davvero ottimo lavoro. Il caso Ambrosoli è uno dei nodi centrali per comprendere il nostro tempo. Una vicenda capace di contenere in nuce tutte le strategie, i volti, le manovre finanziarie ed economiche, che hanno preso corpo nei vent’anni successivi alla morte di Ambrosoli.
Bellissima davvero. Grazie.
Grazie a te, Roberto. Un saluto con nostalgia, speriamo di vederci presto.
Avrei due curiosità.
1. Non ho ben capito il ruolo di Gelli.
2. Perchè nessuna domanda su Andreotti? Il “grande” di cui parlava il mafioso che minacciava al telefono Ambrosoli (cose che si vedono nel bellissimo film di Placido)?
Ciao Lorenzo.
1. Almeno fino a un certo punto gli ambienti massoni sostennero Sindona (prima di scaricarlo). Il progetto di uccidere Ambrosoli, stando a quanto dice Agasso nella sua biografia (ma lo scrive anche Scalfari), venne proprio da Sindona e Gelli (io ho citato l’episodio).
2. Perchè la famiglia preferisce in questo modo. Se vuoi un mio parere personale esistono altre aree di indagine che meriterebbero un approfondimento rispetto ai due gradi di giudizio che possediamo. Ma non vanno tanto in «direzione politica» -sul ruolo di Andreotti si sa praticamente tutto- quanto..da un’altra parte.. Segreto!
Jacopo, questo pezzo bello e pieno di cose è davvero degno di un Roberto Saviano. So che hai un meraviglioso rapporto con l’ego e non ti sentirai sminuito ma contento, se per farti un complimento cerco questo paragone.
Un abbraccio ammirato e un saluto anche a Roberto.
non solo è un bel pezzo, che fa bene all’esecizio della memoria, che mantiene aperte domande squisitamente e altamente politiche su cosa sia il potere in Italia, ma anche un modo per riproporre l’importanza e la necessità della responsabilità personale, di ognuno di noi cioè, nella vita quotidiana. il rigore, l’onestà nel proprio mestiere, il senso del dovere per il quale ciascuno dovrebbe sentirsi tenuto a fare sempre del proprio meglio anche nelle attività più modeste e comuni. sono lieta anche di vedere che bella persona sia il figlio di Ambrosoli. paola
Grazie Raul, grazie di cuore. Io sono felice di star al fianco di Jacopo…
un abbraccio stretto.