Vomitorium (4)
di Gianni Biondillo e Leonardo Colombati
GIANNI BIONDILLO:
Leonardo, ricominciamo un discorso che avevamo già fatto l’altro giorno a Roma, mentre si chiacchierava degustando un tiramisù che si è depositato all’istante sui miei rotondissimi fianchi.
Te la senti? Avresti voglia di continuare questa sorta di birra virtuale fra amici?
LEONARDO COLOMBATI
State parlando di molte cose. Troppa carne al fuoco.
G.B.
Quello di cui vorrei discutere con te è, l’avrai capito ormai, di come il mondo dell’editoria/letteratura (vedi tu) abbia fatto irruzione nella mia vita. Da scrittore anomalo (io, architetto nella vita) a scrittore anomalo (tu, venditore di cavi di fibre ottiche). Anzi: tu doppiamente anomalo, perché, ufficialmente, ancora non esisti. Esisterai solo da dopo il 5 maggio (“ei fu”, etc, etc). Che però esisti lo stesso virtualmente, da circa un anno, da quando Giulio e Giuseppe hanno “montato il caso”.
L.C.
Bontà loro…
G.B.
Ti confesso che avevo chiesto ad un altro “scrittore anomalo” (di cui non faccio il nome) di parlare con me di tutto ciò. Ha cortesemente, ma fermamente, rifiutato l’invito. Parlare di queste cose pubblicamente, mi ha scritto, ha avuto per lui conseguenze pessime. Cito: “Preferirei di gran lunga scrivere di mafia o camorra. Meno rischi.”
In un certo senso lo capisco. Parrà assurdo (e anche un po’ ingenuo da parte mia) ma anch’io ho dovuto ricredermi di “questo mondo” da quando lo frequento. Mi ha fatto spesso paura. Vivevo come dovessi continuamente camminare rasente il muro. Mi aspettavo la coltellata alle scapole da chi neppure immaginavo. Non spaventarti, sto volutamente esagerando e non è, ovviamente, così per tutti; ho conosciuto persone fantastiche in questi mesi. Insomma, non preoccuparti, esci di casa tranquillamente. E poi: quale “mondo” è esente da altezze e bassezze? In quale disciplina non ti capiterà mai di incontrare persone fantastiche o terribili?
In ogni caso, se vuoi un consiglio: aspettati di tutto. Se (e io ti auguro il contrario) il tuo romanzo non dovesse andare bene ci saranno voci che cercheranno di demolire il lavoro “mediatico” fatto fin ora (“ma chi si credeva di essere? Il genio sconosciuto, che cialtrone”). Se, come ti auguro di cuore, andrà per il meglio, aspettati di peggio. Non ti perdoneranno nulla. Meno che mai il successo. A partire dagli stessi lettori.
L.C.
Caro Gianni, parliamo della divisione che hai fatto degli scrittori in tre categorie: “iperuranio” (quelli, pochissimi, che campano esclusivamente dei diritti dei loro libri); “veri scrittori” (quelli che campano con attività collaterali alla letteratura: insegnamento, editoria, collaborazioni a giornali e tv, ecc.); e “scrittori anomali” (quelli che hanno un altro lavoro: ingegneri, architetti, commessi viaggiatori).
G.B.
Forse ormai dovremmo aggiungerci anche le varie categorie esposte da Raul, ma, per ora, lasciamo perdere…
L.C.
Stai parlando, evidentemente, di soldi. Cosa posso dire in proposito? Che tutti gli scrittori – “veri” o “anomali” che siano – aspirano ad entrare nell’iperuranio. Anche quelli che danno alle stampe libri difficili fino all’illeggibilità sperano in cuor loro che il “lettore-medio” resti misteriosamente folgorato sulla via di Damasco, lasci l’ultimo Ken Follett sullo scaffale della Feltrinelli e vada alla cassa con il suo.
G.B.
Qualcuno, correttamente, ha fatto notare che questo discorso può valere per i narratori, mentre per i poeti, che non vivranno MAI della loro scrittura, bisognerebbe fare un discorso differente. Non so se è completamente vero, ma comprendo il senso di questa affermazione.
L.C.
Ho nominato il lettore – questa figura sognata, blandita e pubblicamente denigrata dai nostri scrivani. Ecco: mi sembra logico partire dall’assunto che uno scrittore è innanzitutto un lettore. Lasciando perdere gli appartenenti alla categoria dell’iperuranio, mi sembra che la divisione che tu hai proposto la si debba intendere in primo luogo con riferimento ai lettori.
Quelli che tu hai chiamato “veri scrittori” diventano dunque “veri lettori” (o meglio, i c.d. “lettori forti”). Chi sono? Sono appunto i giornalisti, i professori e gli studenti universitari, gli editor et similia. Una piccola minoranza rispetto al totale della popolazione, ma una fetta considerevole del mercato librario. Se si pensa che tra loro va ricercata la maggioranza degli scrittori italiani, appare subito chiaro come l’insieme dei “veri scrittori” e quello dei “lettori forti” si sovrappongono fino a creare una zona grigia più estesa che in qualsiasi altro paese occidentale, uno stagno limaccioso dove si manifesta in tutta la sua potenza il sentimento dell’invidia.
G.B.
L’invidia? E’ di questo che stiamo parlando? Non so se hai letto il commento di Aldo Nove al pezzo di La Porta, mi sembrava interessante.
L.C.
No, non l’ho letto.
G.B.
Aspetta che te lo copio e incollo.
Dice ALDO NOVE: “mi piacerebbe, un giorno, fare un seminario “serio”, vissuto ai limiti dell’autolesionismo ma veramente sincero, sull’INVIDIA. Ecco, l’invidia, così come si presenta in un mondo in cui l’assenza di parametri qualitativi legittima ognuno a sentirsi usurpato di tutto da chiunque, è forse il motore principale dell’attuale “dibattito” letterario italiano e innanzitutto della “critica” (e non mi sto riferendo, in questo caso, a La Porta), in tempo appunto di vacche così scheletriche da diventare invisibili. Io, ad esempio, non ho problemi ad ammettere di essere “invidioso” dei contratti, quelli sì miliardari (non certo i miei, che non riesco a pagare l’affitto di un bilocale con il lavoro che mi deriva dall’editoria e dal giornalismo) di Melissa P. Come sono “invidioso” di Baricco, che in tempi di vacche magre è comunque uno scrittore reale, che piaccia o meno (a me non piace). Pure, il fatto stesso che io pubblichi per Einaudi (e non per contratti “miliardari”) fa sì che sia invidiato da chi per Einaudi non pubblica (e magari, e ci credo, perché no) ha più talento di me. Che magari, a sua volta, pubblica comunque gratis per un piccolo editore ed è a sua volta invidiato da chi non pubblica affatto etc.”
Cosa dice Antonello, se non, umanissimamente, che l’editoria drogata, restauratoria, viola i sentimenti anche dello scrittore che nella scrittura crede davvero (vivendoci a malapena) piuttosto che in quello che “usa” la scrittura per altri interessi, sostanzialmente pecuniari…
L.C.
Niente di osceno, per carità. Da che mondo è mondo l’invidia è una della principali molle che scattano nelle persone di genio. Bloom ha posto Dante e Shakespeare al centro del suo Canone occidentale perché essi “superano tutti gli altri scrittori occidentali in fatto di acutezza cognitiva, energia linguistica e forza di invenzione”, ma anche e soprattutto per la vitalità delle loro opere, non solo perché a distanza di decenni o di secoli esse continuino a parlarci, ma soprattutto perché costringono lo scrittore posteriore a confrontarsi con esse (ad esempio, tutto il capitolo che Bloom dedica a Joyce è giocato sull’agone tra il dublinese e Shakespeare). È questa una forma nobile d’invidia. Ce n’è di più terra terra – invidie di cortile – il cui oggetto non è lo scrittore canonico di cinque secoli fa ma l’amico narratore che pubblica in una casa editrice più grande della tua, quello che vince un premio letterario mentre tu devi lottare con le unghie e con i denti per un trafiletto sulla Gazzetta del Mezzogiorno…
G.B.
In effetti, se ripenso alle parole di Raul… Agli uffici stampa che non funzionano, agli “usurpatori”, come direbbe Tiziano, che drogano il mercato…
L.C.
Queste due forme di invidia sono comunque positive: potrebbero scatenare il riflesso dell’adesso glielo faccio vedere io chi sono… Purtroppo, però, nel superinsieme dei “veri scrittori”/”lettori forti” convive spesso il convincimento d’appartenere ad una casta intellettualmente e moralmente superiore: se si legge così poco, in Italia, chi lo fa con una certa regolarità è portato a ragionare in termini di riserva indiana (ooppss…).
G.B:
Questa è una cattiveria! Ma te la perdono.
L.C.
Voglio dire che tutti coloro che nuotano nello stagno limaccioso di cui parlavo credono si saperla lunga sulla letteratura. Il riflesso condizionato che ne deriva ha qualcosa in comune con la storia del califfo che ordinò la distruzione della biblioteca di Alessandria argomentando: “O questi libri dicono le stesse cose del Corano, e sono dunque inutili, o dicono cose diverse, e sono falsi e dannosi”.
Soluzioni? Due: trattenere l’invidia; bruciare il Corano. La prima è di difficile realizzazione. La seconda, a chi spetta di metterla in pratica? Da quanto hai sottinteso tu, il compito potrebbe essere svolto dagli “scrittori anomali” – categoria alla quale appartengo anch’io, visto che per guadagnarmi il pane faccio il salesman per una ditta che produce cavi in fibra ottica.
Forse è vero. Ma c’è un problema. Questa schiatta di scrittori – che prima di tutto sono “lettori anomali” – quando fanno il loro ingresso nel mondo editoriale sono portati anch’essi, più o meno consapevolmente, a tuffarsi nello stagno limaccioso. Certo, può essere in loro un più accentuato disincanto – dipendente dal fatto che a fine mese percepiscono un salario svincolato dal loro impegno letterario –; ma quanto può durare? C’è un momento in cui si rimane incantati…
Insomma, di Gadda si dice sempre: “Era un ingegnere”. Ma chi se la beve?
Per concludere, questo gioco io lo svilupperei così: quali sono le condizioni (tempo, vendite,ecc.) all’avverarsi delle quali è automatico il “salto di categoria”?
G.B.
Dunque l’invidia… Leonardo, ormai lo hai capito, io ho deciso di essere sincero in queste lettere aperte. Voglio mettermi in gioco, non voglio nascondermi dietro un certo bon ton di facciata. La tua domanda finale mi ha molto colpito. Voglio parlarti della mia esperienza (e non ci farò una bella figura, probabilmente).
Come ben sai sono, in buona sostanza, uno scrittore “fortunato”. Sia il primo che il secondo romanzo hanno avuto ottime recensioni e un ottimo riscontro del pubblico. Tutto posso fare che lamentarmi. Sono un miracolato da Sant’Antonio da D’Orrico, il mio primo romanzo verrà tradotto in Germania, c’è già qualcuno che mi corteggia per eventuali riduzioni televisive/cinematografiche. Ti confesso che ho seguito la serie infinita di recensioni positive come se cavalcassi un puledro impazzito. C’era un grado di visibilità su quello che facevo che quasi mi spaventava.
Se dovessi fare i conti di quello che, in soldoni, ho guadagnato con il primo romanzo ci pago l’affitto di casa e la luce per un anno circa. Nulla di più. NON sono diventato ricco, insomma. Ma questo, “l’uomo della strada” non lo sa. Pensa che tre giorni dopo che era uscito “per cosa si uccide” incontrai un architetto da cui ho lavorato anni addietro. Mi guarda e mi dice: “Biondillo. Ho visto il suo romanzo. Immagino che non faccia più l’architetto, ora.”
Capisci?
Nell’immaginario collettivo, scrivere significa appartenere a una casta che non ha più bisogno di nulla. Ma noi sappiamo che non è vero. Sappiamo che l’affitto bisogna pagarlo, eccome. Tutti, altro che anomali, veri, finti. Tutti pagano l’affitto. E, forse, a maggior ragione, chi vive di “scritture” dovrebbe avere maggior rispetto da parte di tutti. Con i libri non si campa, se continuano a scrivere una ragione ci sarà, no? Insomma, la mia generalizzazione era troppo di parte e poco sincera. Ma questo è un altro discorso, che farò più avanti.
Adesso mi interessa insistere sul concetto di cultura logocentrica che esiste in Italia. Non c’è giorno che, nelle pagine culturali dei quotidiani, non si recensisca un libro. Raramente, in media una volta la settimana, c’è un articolo “d’arte”. Che comprende: scultura, pittura, architettura, grafica, fumetto, design, etc. (e molto spesso sono articoli di mostre d’arte di pittori del passato, in pratica di ciò che è “contemporaneo” in fatto di arti visive se ne parla con il lumicino). Perché?
Se, facendo i conti della serva, considerassi il fatto che con la parcella di una villetta per sciuri in Brianza io guadagnerei tanto quanto ho guadagnato con “Per cosa si uccide” mi renderei conto di questa sproporzionata visibilità. Della mia villetta (bella? Brutta? Capolavoro? Schifezza immonda?) non ne parla nessuno. Del mio primo romanzo ho una cartelletta piena di recensioni.
Ma torniamo alla tua domanda. Io sono uno scrittore fortunato, è vero. Eppure… questa ossessione logocentrica, questa sensazione di essere il centro del mondo (ti ricordi Shakespeare? “Potresti vivere nel guscio di una noce e crederti al centro del mondo”), di reggere le sorti della nazione, di parlare nel nome di un popolo, o contro di lui, l’idea che il tuo rovello interiore sia di interesse pubblico, o troiate di questo tipo, quando in effetti, come ricorda Franz nel primo intervento, siamo assolutamente nella periferia dell’interesse nazionale, dopo un anno ha avvinto pure me. Avvinto.
(ma poi: chi lo dice che ha avvinto pure me come se fosse ovvio che accadesse in quanto accade a tutti? Perché estendo naturalmente agli altri quello che ho provato, di sicuro, solo io?)
E pensare che mi piaceva la risposta che De Cataldo dava quando gli chiedevano: “perché un giudice scrive dei libri? Non gli bastano le sentenze?” e lui rispondeva serio: “ogni scrittore deve avere un mestiere di scorta. Non per arricchirsi, ma per scrivere meglio” (parole di Victor Sklovskji). Mi sentivo protetto dalla mia “anomalia”.Quanto è durata?
L.C.
Quanto è durata?
G.B.
Ti faccio un esempio fuori dai denti: ho passato una settimana a rosicare dopo l’uscita del libro del tuo caro amico Alessandro Piperno. Ho discusso per giorni con altri scrittori e amici di un libro CHE NON AVEVO LETTO. Mi sono lasciato sprofondare nella dietrologia, nell’idea di meccanismi editoriali perversi, nell’idea di un grande burattinaio, in tutto, TUTTO, pur di non ammettere che stavo rosicando. Io, che mi ritenevo esente da tutto ciò. Una mattina mi sono svegliato (o bella ciao, etc.) e mi sono detto: “ma sei scemo? Ma cosa stai facendo?”
Stavo perdendo il contatto con la realtà, ecco cosa stavo facendo. C’ero cascato. E se penso che, ad esempio, c’è un libro come quello di Franz che non ha recensito nessuno e che io reputo straordinario, allora un po’ mi sono fatto schifo.
L.C.
Quindi gli scrittori non hanno contatto con la realtà?
G.B.
Sarebbe facile dirti di sì. In pratica i “veri scrittori” (che sono, ormai è chiaro, gli scrittori tutti, senza nessuna distinzione, che non ha mai avuto alcun senso) e i “veri lettori”, spesso, si guardano, in un gioco perverso di specchi, e confondono il reale con il virtuale. E se è così, siamo così certi che i poeti ne siano esenti? Proprio perché loro non vivono per statuto di quello che scrivono, il risentimento, l’invidia, il rosicamento, etc. etc., per aver avuto meno visibilità, attenzione, per non aver avuto un qualche minimo “attestato di esistenza nel mondo delle patrie lettere”, non è forse, ancora più devastante?
Ma sarebbe una risposta, alla fine, ancora troppo facile.
(to be continued…)
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Riassunto della quarta puntata (concetti salienti):
1)Il fatto che io pubblichi per Einaudi…
2)Il mio primo romanzo verrà tradotto in Germania…
3) C’è già qualcuno che mi corteggia per eventuali riduzioni televisive/cinematografiche…
4) Un grado di visibilità su quello che facevo che quasi mi spaventava…
5) Io sono uno scrittore fortunato, è vero.”
Biondillo, hai solo scritto un paio di provinciali gialletti. Datti una ridimensionata.
Angelini sei talmente accecato dal livore da non leggere quello che c’è scritto: è Nove che pubblica per Einaudi, sei capace di cogliere il senso della parola copio-incollo? Mah!
In ogni caso Biondillo comincia a rompere.
Giovanni, dai, ho quasi finito. Poi mi zittisco per un bel po’. GIURO.
Ma “rompere” almeno dal mio punto di vista è un pregio, Giovanni spiegati meglio.
Gianni, solo una precisazione: a suo tempo delle recensioni io le ho avute, e tutte ottime; il problema è che sono arrivate con estremo ritardo. Più anomalo di così…;-)
In bocca al lupo a Colombati: tra l’altro una decina d’anni fa anch’io ho fatto il rappresentante per una ditta (tedesca) di cavi elettrici.
Ccciai racccione, Rossi. Dovevo scrivere Guanda. Ma il senso resta quello sintetizzato da «Oscar Wilde» in uno dei commenti a Vomitorium 1:
“Basta parlare di me, parliamo di voi: cosa pensate di me?” (in questo caso: ‘Cosa pensate della MIA straordinaria ANOMALIA?’)
Non riesco a immaginare cosa succerebbe a Biondillo se nella sua vita FACESSE IRRUZIONE l’incarico di scrivere la nuova serie di ‘Un posto al sole’… La stoffa ce l’ha (per quel genere di scrittura):-/
P.S.: speriamo che la paladina Adele (sospetta collaboratrice di Vanna Marchi) non scagli altre maledizioni su di me e sui miei figli.
P.P.S. Avrei altre osservazioni da fare sul termine ‘Vomitorium’ (nemmeno Biondillo tirasse fuori da chissà quali abissi queste sue chiacchierate biondillo-centriche). Mi pare si sia anche velatamente imparentato a Baudelaire, accennando al suo cuore messo a nudo:-/
Un saluto a Colombati. Pasquetta con lui ha avuto più senso. (Peccato per il pranzo). :-) E comunque al circolo della bocciofila ci hanno spennati. :-) Sono sicuro che Colombati farà il botto da quarantamila. :-) Però, questa iniziativa Vomitorium, per una questione ideologica, non mi piace. :-) Certo, l’invidia c’entra – ma forse, Aldo Nove, ha confuso parola: voleva dire /competitività/ oppure /vanità/. Pensare: “Io sono meglio di quello lì” è competitività. Sentire il sangue alla testa perché il nostro migliore amico, che credevamo come noi, ad un certo punto fa il botto e vince il Bancarella o pubblica due romanzi per mondadodri, e questo, inspiegabilmente, ci fa andare il sangue alla testa, ecco, questa è invidia. :-)
Credo. :-P
Perché sbaglio sempre le parole quando parlo? Volevo dire: “spirito di competizione” (ch’entro mi rugge…). :-&
Prima precisazione:
In riferimento all’affermazione:
“…convive spesso il convincimento d’appartenere ad una casta intellettualmente e moralmente superiore: se si legge così poco, in Italia, chi lo fa con una certa regolarità è portato a ragionare in termini di riserva indiana (ooppss…). ” Il riferimento storico di Nazione Indiana è esattamente la negazione di Riserva Indiana, la Nazione Indiana è l’unione di tutte le identità pellirossa mentre la Riserva è il luogo in cui i bianchi yankee ficcavano i pellirossa riducendoli assolutamente all’isolamento. La Nazione Indiana non è castale, isolata, claustrale ma aperta, spalancata, trasversale, contaminata e sopratutto si compatta intorno alle eterogeneità. Attenzione ai concetti…
Seconda precisazione:
In riferimento a “….parlare di queste cose pubblicamente, mi ha scritto, ha avuto per lui conseguenze pessime. Cito: “Preferirei di gran lunga scrivere di mafia o camorra. Meno rischi.”
Dammi l’indirizzo di questo nostro amico scrittore che vede nel parlare di editoria e di scrittori più rischi che di scrivere di camorra e mafia. Ho qualcosa da raccontargli per quanto riguarda chi scrive pubblicamente di camorra e se vuole sapere cosa accade a chi scrive di mafia, può parlare con Orioles, chiedergli quanto guadagna (meno meno meno di uno scrittore dell’iperuranio, meno meno di uno scrittore animalo…meno e basta) eppure è una delle firme più coraggiose del panorama giornalistico italiano.
Lo so che è ironia…infatti io ironicamente ribatto…
Roberto, hai ragione, infatti. Ed infatti il suddetto non ha accettato l’invito. Qualcosa vorrà dire, no?
Precisazione: “… La Nazione Indiana non è castale, isolata, claustrale ma aperta, spalancata, trasversale”
Ah, adesso capisco perché avete costretto (vabbè, forse solo ‘consigliato’)chi mi aveva chiesto un pezzo su Andersen a fare marcia indietro. Potremmo dire con Kubrick (e qui strizzo l’occhio al “peraltro simpatico” Montanari): Nazione WIDE SHUT. Sì, spalanchiusa, per capirci.
a me piace gianni il vomitorium, perché spesso la forma divagante e rilassata permette di far affiorare aspetti o dettgli importanti, che le pose più vigili trascurano o censurano
A pensarci bene Nazione indiana ormai ha un archivio di topic interessantissimi, anzi proprio preziosi, lo dimostra l’antologia “Best off” di Minimum fax che ha fatto razzia proprio qui. L’unico argomento che manca, e mi dispiace perché per un sacco di buoni motivi non dovrebbe mancare, è la letteratura per l’infanzia.
Ecco, se questa osservazione è valida, e se è vero che una persona antipatica, finanche pezzo di merda, può produrre pensieri utili, non si dovrebbe interpretare “Andersen! Andersen!” come un “se ne vada!”.
Straconcordo col post sopra di Andrea Inglese sul Vomitorium.
Caro Andrea Barbieri, a che scopo precisare che straconcordi ***in questo caso*** con Andrea Inglese? Tu straconcordi ***sempre*** e ***comunque*** con tutti i titolari della Spalanchiusa. Sei quasi l’Emilio Fede della situazione. Vedrai che, un giorno, la tua fedeltà sarà premiata e ti verrà consegnato un indianino di pelouche tutto per te.
Quanto a me, non preoccuparti. Per cacciarmi dovranno chiudere lo spazio interattivo e rassegnarsi a farsi le ‘belle belline’ tra di loro. Naturalmente per alcuni ho della reale stima, ma mi diverto un sacco a stare all’opposizione nei riguardi dei più sbruffoni. Le cose che dico, spiacevoli o meno, le penso davvero. Di risultare simpatico non me ne po ffregà de meno. Mi sono alienato BEN ALTRE simpatie con la mia coerenza e la mia sincerità.
E mi dispiace vedere che anche i nostri alternativi Augh-Augh trattino solo con chi liscia loro le penne.
Non farei l’emilio fede per un indianino di peluche, la redazione mi ha promesso un astroboy di Tezuka alto settanta centimetri in plastica dipinta a mano.
Negli insulti Lucio ti voglio meno pigro.
Tesoro, io non insulto: constato. Il complimento “pezzo di merda” è tuo.
Ieri ho visto “Con la morte nel cuore” di Biondillo in una libreria di Tortona – se è arrivato fino a qui, che è un’isola infelice, dove non arriva un libro se non dopo sei mesi di prenotazione, significa che è un libro che funzia. Anzi: se fossi in Guanda lo metterei nella bandella delle riedizioni: “Distribuito anche a Tortona!”. :-! Viva la birra sgasata e calda! :-)
Ti dico cosa non mi piace tanto di questi dialoghi – fermo restando che siete tutti bravi e soprattutto belli. Non mi piace tanto che si parli di “vero scrittore” e “vero lettore”. Mi fa venire in mente “vero olio d’oliva” o “vera zuppa di lenticchie”. Mi sa di spot. Mi vuoi convincere che ci siano in giro “falsi scrittori”? Esistono “falsi oli d’oliva”? Non lo so, forse in giro esistono falsi oli d’oliva, ma il punto è: devi essere tu a dirmelo? E sei sicuro che quello che produci tu è il “vero olio d’oliva”? Hai questa pretesa? Poi: gli scrittori “producono”? “producono” mi sembra una parola da non usare più per un po’, perché è stata troppo usata: lo scrittore adesso nel 2005 addirittura ‘produce’? E cosa, di grazia? Lo scrittore è un essere produttivo? Ma no. Scherza. Ride. Aristotele nmetteva gli scrittori in un padiglione particolare, a parte: lo scrittore non produce nemmeno la verità, secondo Aristotele, per non parlare di Platone… Sono le piccole parole che rivelano la profondità di pensiero di uno scrittore – dire “produrre” è asservirsi al sistema produttivo: uno scrittore è una macchina? è un impiegato? Manca tutto un lavoro critico sulle parole (oddio, sono sicuro che Andrea Barbieri, sarà pronto a farsi beffe di quello che dico, ma insomma). Io sono per una scrittura che continuamente abolisca ogni coloritura, che sia la scrittura di un bambino, o che ci assomigli, ma che sia pensata – e pensata bene. Sia pensata come differenza (sì, differenza) dagli altri linguaggi. Che non sia contaminata, anche solo in un avverbio, o in un verbo.
Questo mi infastidisce. Mi infastidisce che dici editoria/letteratura: ma sì, viva il parroco, Biondillo! Editoria e letteratura stanno sullo stesso piano! Apposta ho usato la congiunzione coordinante “e”! Forse sono io, ma se sono io, sono contento di essere così. Sono contenbto di isolarmio dal mondo. Sono contento di non poter parlare più con moltissime persone. Io, Biondillo, di un narratore come te non mi fido: uno che scrive editoria barra letteratura, senza minimamenete porsi il problema, è uno che mi può raccontare solo storie di cui non ci si può fidare. E mi fermo a questo esempio.
Ecco, Biondillo, perché ti fai un vanto del tuo lavoro d’architetto. Perché tu, Biondillo, tu non ci credi nella letteratura (che fa lo stesso con editoria… vedi tu…). Tu non ci credi nel valore di un avverbio. Non ci credi nel valore di una congiunzione disgiuntiva. “Seghe mentali” pensi da quel gran scrittore praticone che sei. (Sentivo Cacciari che diceva in televisione: “il vero filosofo è sempre concreto”; ci sono almeno due parole che mi infastidiscono: “vero”, “sempre” e due che mi fanno sorridere: “filosofo”, “concreto”).
La concretezza nella letteratura è pensare – e pensare bene. Pensarci su – e tanto.
Allora ti dico questo: se mi dici che sei un giallista senza pretese che sbanca le classifiche, mi va bene; ma se mi dici che tu e la letteratura (o l’editoria… fai tu… e poi: stiamo solo scherzando tra amici…) vi frequentate, allora dovrai essere pronto ad affrontarmi tutte le volte che lo dici.
Tu schjerzi, ma io non scherzo.
Ti chiedo solo di stare attento quando metti in fila le parole.
Biondillo, se vuoi, puoi considerarmi “un vero lettore”! :-)
Marco Candida, che dire di quell’esordio da “vero cagone”: «Quello di cui vorrei discutere con TE è, l’avrai capito ormai, di come il mondo dell’editoria/letteratura (vedi tu) abbia fatto irruzione nella MIA(1) vita.»
(1) Sottintentendo: “Mica nella TUA”.
Lucio, la mia delusione è massima, pensa un po’ che prima di “pezzo di merda” avevo scritto “Celine”. Quindi mi riferivo a un grande. Sicuramente più grande di noi due almeno.
Non capisci proprio una mazza, eh.
Marco, usando Giulio: letteratura è qualcosa di scritto, editoria qualcosa di pubblicato. Io parlo di qualcosa di scritto e pubblicato. Ho detto fin dall’inizio che questo mio percorso è basato, volontariamente, sull’impronta. Come dice Andrea Inglese “spesso la forma divagante e rilassata permette di far affiorare aspetti o dettgli importanti, che le pose più vigili trascurano o censurano”.
Io SO che non ci sto facendo una bella figura. Io SO che sto apparendo come un gretto semplicione. Io non ho fiducia granitica nelle mie idee. Io ogni tanto mi rimetto in gioco.
Tra l’altro era previsto che gli schiaffi li pigliassi solo io. Come se fin ora avessi parlato da solo!
Ma devi sapere che apprezzo di gran lunga le tue osservazioni. Perché basate su quello che è tato scritto. E non tanto sui pregiudizi (che poi, alla fine ci caschi pure tu… insomma: sei certo di essere esente da pregiudizi e luoghi comuni? E non è proprio questo quello che sto dicendo SU DI ME?)
Pazienza, al prossimo vomitorium svelo le carte.
Per Barbieri. Copio-incollo il pezzo: “Ecco, se questa osservazione è valida, e se è vero che una persona antipatica, finanche pezzo di merda, può produrre pensieri utili, non si dovrebbe interpretare “Andersen! Andersen!” come un “se ne vada!”.
Dov’è ‘Celine’?
Ah, Marco, prima che lo dimentichi: non mi hai mai letto quindi non mi conosci. Io potrei uccidere per un avverbio!
(e poi: dove avrei detto che gli scrittori “producono”?)
Che gli scrittori producono, l’ho detto io, e ho riflettuto su una espressione che si trova in migliaia di libri: non mi pare di aver usato virgolette.
Chi ti ha detto che non ti leggo?
Monica, ti ha letto.
(Mi ha detto che sei bravo; e i giudizi delle donne non si possono non ascoltare – se Monica mi dicesse che Cioè è una rivista interessante, io ne comprerei tre pacchi)
Io ti seguo su NI.
(Oppure la tua prosa subisce radicali trasformazioni e epocali transustanziazioni nei tuoi libri – che avevo in programma di acquistare, comunque -?).
E poi: volevi un “vero lettore”? Eccotelo.
Oggi compro il tuo libro e ti dico se ha una struttura tutta coerente e matematicamente garantita.
E per finirla, adesso dico una cosa che rivoluzionerà tutta la storia della letteratura: la letteratura non è un’opinione.
Per quel che riguarda i poeti, la situazione invidia è abbastanza simile. Si veda quel che succede sul blog di Atelier (www.atelierpoesia.it).
L’abbastanza si riferisce a due fatti: il poeta comunque deve fare altro, e in ogni caso i lettori sono pochi pochi. Pubblicare un libro di poesia è al più un passatempo costoso come uno sport non troppo costoso; per cui un poeta bravo e maestro in un paesino di campagna può diventare iperurano semplicemente facendo avere le sue poesie a qualche altro iperurano (magari nel frattempo muore, ok), con una tiratura di 50 copie. Un narratore che non viene pubblicato e distribuito, non esiste. O no?
C’è dell’innocenza extra, in quel che ho scritto; ma sto parlando di iperurani.
visto che in questi giorni siamo tutti molto cattolici, per la questione dell’invidia mi rifarei al sommo Poeta il quale (Pg XVII, 115-120) dice che l’invidioso: «E’ chi, per esser suo vicin soppresso, spera eccellenza, e sol per questo brama ch’el sia di sua grandezza in basso messo; è chi podere, grazia, onore e fama teme di perder perch’altri sormonti,
onde s’attrista sì che ‘l contrario ama». che è un modo più bello di ripetere il catechismo, cioè che l’invidia è il dispiacere del bene altrui. quando invece semplicemente si vorrebbe ANCHE per sé il bene che capita a un altro, allora si è gelosi. l’invidia è un vizio capitale, la gelosia è un difetto. allora dividiamo gli scrittori tra peccatori mortali e peccatori veniali? ;-)
Lucio, avevo scritto “Celine”, poi l’ho cancellato e ho scritto (per generalizzare) “pezzo di merda”, ma pensavo a gente del calibro di Celine. Mi dispiace di averti illuso. Tu sei tra i meri “antipatici”.
Ne approfitto per dire che l’equivoco Andersen-se ne vada è in “Le cose non sono le cose” di Paolo Nori, dove, in due pagine, racconta la vita dello scrittore in modo un po’ lunatico e molto divertente.
Be’, in sostanza l’errore è tuo, che ti esprimi in modo confuso, immaginando che ciò che esiste nel tuo cervello (comprese le tue personali esperienze di lettore) sia anche in quello degli altri. È tipico del pensiero infantile. Inoltre no, non mi ero affatto “illuso” di essere un pezzo di merda. Mi illudo, semmai, del contrario, ovvero di essere un po’ meno ipocrita di tanti tromboni che qui si danno convegno. Mi fa piacere osservare che l’unica persona da te attaccata (finalmente!) sia io. Anche per Emilio Fede i nemici DI LUI diventano automaticamente anche suoi nemici. Così tutto si tiene, no?
(Dai, non prendertela, scherzo COME SEMPRE, o servizievole indianino delle Romagne).
Scusa Angelini, dici che vago nel pensiero infantile, ma tu mi fai un complimento enorme. Pensa solo, per fare un microesempio, ai bambini che dicono “il pensiero è nella bocca”. Pensa a tutti i quadri della transavanguardia che illustrano quel modo infantile di rappresentare il mondo. E poi dovrei prendermela?!?
Ai visto no a chi hanno fatto illustrare la Bibbia raccontata, ed. Salani: Mimmo Paladino. Vuoi mettere quella Bibbia lì, e le cagate per adulti che mette in vendita Repubblica.
Non fare il tontolone, andreuccio: non intendevo riferirmi alla FRESCHEZZA del pensiero infantile, ma al semplice fatto che i bambini non ritengano necessario circostanziare le proprie affermazioni, dando per assodato che gli altri sappiano già tutto. Ma ammetto di non essere un norologo. Credo, anzi, (a proposito dei libri di Nori) che ‘letto uno, letti tutti’.
Biondillo che rosica per Piperno. Ma perché? Qual è il motivo? Cosa vorrebbe Biondillo che già non ha? Non è detto che confessando una cosa squallida, quella cosa diventa meno squallida.
Non la volevo rendere meno squallida. Ti assicuro, non ne vado fiero.
Be’, intanto Biondillo è grasso, brutto e panzuto. Poi Piperno è subito schizzato in vetta alle classifiche di vendite (e mica con un gialletto, ma con una vera opera di vasto repiro) senza alcun bisogno di andare a rompere i coglioni ad altri scrittori con la domanda: “Ehi, tu, immagino morirai dalla voglia di parlare di come il mondo dell’editoria/letteratura abbia fatto irruzione nella mia vita… su, da bravo, dimmi subito che cosa pensi del fatto che IO sia così anomalo?”
[Be’, ora la pianto. Se no qualcuno comincia a pensare che ce l’abbia a morte con il nostro tenerissimo architetto, mentre in realtà non mi frega nulla di lui.]
più che altro qualcuno comincia a pensare che non hai un cazzo di niente da fare.
oh io lo trovo troppo simpatico angelini
Mi permetto di chiedere: ma di che cosa state parlando? Argomento inutile, pezzo pubblicato inutile di conseguenza, commenti e insultini a mezza voce quà e là… beh, inutili?
Sì, ho letto pezzo e commenti, ma mi sono divertito.
Vella
Michael Newman-Quindi lei crede nella divisione di classe, nelle forme e nelle strutture sociali?
W.H.Auden -Fino a un certo punto sì; si parla con persone a cui si ha qualcosa da dire: in questo modo le cose filano un po’ più lisce. E io credo che il prerequisito fondamentale della civiltà sia la capacità di condurre una conversazione educata.