Il fallimento papale
di Slavoj Zizek
(Su Nazione Indiana tendiamo a non riportare articoli già disponibili in rete. Per una volta, trasgredisco questo stile di comportamento incollando l’articolo del filosofo sloveno uscito sul manifesto il 7 aprile scorso. T. Scarpa).
L’ambigua reazione di Karol Wojtyla nei confronti di Passion, il film di Mel Gibson, è ben nota. Subito dopo averlo visto, profondamente commosso, ha mormorato: “È proprio come avvenne in realtà!”, dichiarazione poi velocemente ritrattata dai portavoce ufficiali del Vaticano. La reazione spontanea del papa è stata dunque immediatamente sostituita dalla posizione neutra “ufficiale”, emendata in modo da non ferire nessuno. Con questa ritrattazione, con questa concessione alla sensibilità liberale, il papa ha tradito ciò che di meglio c’era in lui, la sua intrattabile posizione etica.
Oggi, in un’epoca di ipersensibilità verso il rischio di essere molestati dall’Altro, sta diventando un atteggiamento sempre più diffuso lamentarsi della “violenza etica” e criticare quegli imperativi etici che ci “terrorizzano” con le loro brutali imposizioni. L’ideale normativo di questa critica è un'”etica senza violenza”, che (ri)negozia perennemente le sue norme: la critica culturale più alta incontra qui inaspettatamente la psicologia pop più bassa.
Durante una serie degli “Oprah Winfrey shows” John Gray, l’autore di Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere, ha spinto questa posizione all’estremo: dato che, in fin dei conti, “siamo” le storie che raccontiamo a noi stessi su noi stessi, la soluzione a un’impasse psichica sta nella riscrittura “positiva”, creativa, del nostro passato. Gray non aveva in mente semplicemente le comuni terapie cognitive che mirano a trasformare le “false credenze” negative su se stessi in un atteggiamento più positivo, nella certezza di essere amati dagli altri e capaci di risultati creativi, quanto piuttosto un’idea più “radicale”, pseudo-freudiana, di regressione fino alla scena della ferita traumatica primordiale.
Gray accetta la nozione psicoanalitica secondo cui un’esperienza traumatica nella prima infanzia può segnare per sempre lo sviluppo futuro del soggetto facendolo virare in senso patologico, ma propone che il soggetto, sotto la guida del terapeuta, dopo essere regredito fino alla sua scena traumatica originaria ed averla così rivissuta direttamente, “riscriva” questa scena, questa struttura ultima del suo universo di significato, rendendola più “positiva”, benigna e produttiva. Se, ad esempio, la scena traumatica primordiale che grava sul nostro inconscio deformando e inibendo la nostra creatività è quella di nostro padre che ci gridava “Non vali niente! Ti disprezzo! Non combinerai niente di buono!”, noi dovremmo riscriverla ottenendo così una nuova scena con un padre benevolo che ci sorride affettuosamente dicendoci: “Sei in gamba! Mi fido pienamente di te!”
New Age cristiano
Per portare questo gioco fino alle estreme conseguenze, quando Wolfman, nel famoso caso clinico di Freud, “regredisce” fino alla scena traumatica che aveva determinato il suo sviluppo psichico successivo (il coitus a tergo dei genitori cui aveva assistito) la soluzione non sarebbe forse riscrivere la scena? In questo modo egli avrebbe visto solamente i suoi genitori stesi sul letto e intenti a leggere, il padre un giornale e la madre un romanzo sentimentale.
Il problema è che quanto viene qui evocato come esagerazione satirica, oggi sta succedendo veramente. Si pensi a come le minoranze etniche, sessuali ecc. riscrivono il loro passato in chiave più positiva, di autoaffermazione: gli afro-americani sostengono che molto prima della modernità europea, gli antichi imperi africani possedevano già un alto livello di sviluppo nella scienza e nella tecnologia, ecc.
Su questa falsariga, possiamo immaginare una riscrittura dello stesso Decalogo. Qualche comandamento è troppo severo? Regrediamo fino alla scena sul Monte Sinai e riscriviamola! “Tu non commetterai adulterio, a meno che esso non sia emotivamente sincero e non serva alla tua realizzazione profonda…”
Che cosa va perduto, in questa totale apertura del passato alla sua successiva riscrittura? Esemplare è qui The Hidden Jesus di Donald Spoto, una lettura “liberal” del cristianesimo contaminata dalla New Age, in cui a proposito del divorzio possiamo leggere: “Gesù ha chiaramente condannato il divorzio e il nuovo matrimonio. (…) Ma Gesù non è andato oltre, non ha detto che il matrimonio non può essere rotto (…). Da nessun’altra parte, nel suo insegnamento, c’è una situazione in cui egli incateni per sempre le persone alle conseguenze del suo peccato. Tutto il suo approccio nei confronti delle persone era liberarle, non legiferare (…). È del tutto evidente che di fatto alcuni matrimoni semplicemente crollano, che gli impegni vengono abbandonati, che le promesse vengono violate e l’amore tradito”.
Il rovescio del diritto
Queste righe, per quanto comprensibili e “liberal”, implicano una confusione fatale tra alti e bassi emotivi, e un impegno simbolico incondizionato che deve resistere proprio quando non è più supportato da emozioni dirette: “Tu non divorzierai, tranne quando il tuo matrimonio `di fatto’ crolla, quando diventa un peso emotivo insopportabile che frustra tutta la tua vita”. In breve, tranne quando la proibizione di divorziare avrebbe guadagnato il suo pieno significato (giacché chi divorzierebbe quando il suo matrimonio è ancora vitale?).
È così che oggi tendiamo a stabilire un collegamento negativo tra il Decalogo (i comandamenti divini imposti traumaticamente) e i diritti umani, sebbene in ultima analisi il tema moderno dei diritti umani sia radicato nella nozione ebraica dell’amore per il vicino. Ossia, all’interno della nostra società liberal-permissiva, post-politica, in fondo i diritti umani sono semplicemente il diritto di violare i dieci comandamenti. “Il diritto alla privacy”: il diritto all’adulterio, commesso in segreto, quando nessuno mi vede o ha il diritto di intromettersi nella mia vita. “Il diritto di cercare la felicità e di possedere la proprietà privata”: il diritto di rubare (o sfruttare gli altri). “La libertà di stampa e la libertà di esprimere la propria opinione”: il diritto di mentire. “Il diritto dei liberi cittadini di possedere armi”: il diritto di uccidere. E, infine, “la libertà di fede religiosa”: il diritto di adorare falsi dei.
Quando, dunque, ci liberiamo di questo meccanismo? L’estrema ironia postmoderna è lo strano scambio tra Europa e Asia: nel momento stesso in cui, a livello dell'”infrastruttura economica”, la tecnologia e il capitalismo “europei” stanno trionfando in tutto il mondo, a livello della “sovrastruttura ideologica” l’eredità giudaico-cristiana è minacciata nello stesso spazio europeo dall’assalto del pensiero “asiatico” New Age. Quest’ultimo, nelle sue diverse guise che vanno dal “buddismo occidentale” (odierno contrappunto al marxismo occidentale, in contrapposizione al marxismo-leninismo “asiatico”) ai diversi “Tao“, si sta affermando come l’ideologia egemonica del capitalismo globale.
In questo risiede la più alta identità speculativa degli opposti nella civiltà globale di oggi: pur presentandosi come un rimedio contro la tensione e lo stress della dinamica capitalistica che ci consente di liberare e mantenere la nostra pace interiore, la Gelassenheit, in realtà il “buddismo occidentale” funge da perfetta appendice ideologica a questo tipo di dinamica.
Dobbiamo qui menzionare il tema ben noto del “future shock”, ossia di come oggi, psicologicamente, le persone non riescono più a tenere testa al ritmo abbacinante dello sviluppo tecnologico e dei cambiamenti sociali che lo accompagnano. Semplicemente, le cose si muovono troppo in fretta: prima che abbiamo il tempo di abituarci a un’invenzione, questa è già soppiantata da un’altra, sicché siamo sempre più privi della più elementare “mappa cognitiva”. Il ricorso al taoismo o al buddismo offre un’uscita da questa situazione, decisamente più efficace della fuga disperata nelle vecchie tradizioni: invece di sforzarci di stare al passo con il ritmo in accelerazione del progresso tecnologico e dei cambiamenti sociali, dovremmo piuttosto rinunciare al tentativo di mantenere il controllo su ciò che avviene, rifiutandolo in quanto espressione della moderna logica del dominio. Dovremmo invece “lasciarci andare”, vivere alla giornata, opponendo una distanza interiore e un atteggiamento di indifferenza alla danza folle del processo di accelerazione: una distanza basata sulla nozione che tutto questo sconvolgimento sociale e tecnologico è in fin dei conti solo un proliferare non sostanziale di sembianze che non riguardano il nocciolo più recondito del nostro essere… Si è quasi tentati di resuscitare qui il vecchio, famigerato cliché marxista della religione come “oppio dei popoli”, come appendice immaginaria della miseria terrestre: la posizione meditativa “buddista occidentale” è probabilmente il modo più efficace, per noi, di partecipare pienamente alla dinamica capitalistica conservando allo stesso tempo l’apparenza della sanità mentale. Se oggi fosse vivo, Max Weber scriverebbe senz’altro un supplemento al suo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo intitolato L’etica taoista e lo spirito del capitalismo globale.
La grandezza di Giovanni Paolo II stava nel fatto che egli impersonava il rifiuto di questa facile scappatoia liberale. Anche quanti ne rispettavano la posizione morale, solitamente accompagnavano quest’ammirazione con l’osservazione che egli restava però irrecuperabilmente all’antica, addirittura medievale, attaccato ai vecchi dogmi, non in contatto con le esigenze attuali. Come si può al giorno d’oggi ignorare la contraccezione, il divorzio, l’aborto? Non sono questi, semplicemente, fatti della nostra vita? Come può il papa negare il diritto ad abortire persino a una suora rimasta incinta in seguito a uno stupro (come è effettivamente successo nel caso delle suore stuprate durante la guerra in Bosnia)? Non è evidente che, anche se in linea di principio si è contrari all’aborto, in un caso così estremo si dovrebbe piegare il principio e acconsentire a un compromesso?
Ora possiamo capire perché il Dalai Lama è molto più adatto alla permissiva epoca postmoderna. Egli ci propone un vago spiritualismo basato sul benessere, senza obblighi specifici: chiunque, anche la più decadente star hollywoodiana, può seguirlo continuando allo stesso tempo nel suo stile di vita promiscuo e avido di denaro… Il papa, al contrario, ci ricorda che un atteggiamento propriamente etico comporta un prezzo da pagare; è il suo testardo attaccamento ai “vecchi valori”, il suo ignorare le pretese “realistiche” del nostro tempo anche quando le argomentazioni contrarie appaiono “ovvie” (come nel caso della suora stuprata), a renderlo una figura autenticamente etica.
Ma Giovanni Paolo è stato all’altezza del suo compito? La chiesa cattolica ha la sua organizzazione segreta, la famigerata Opus Dei, la “mafia bianca” della chiesa, l’organizzazione (semi)segreta che incarna in qualche modo la pura Legge al di là di ogni legalità positiva: la sua regola suprema è l’obbedienza incondizionata al papa e la spietata determinazione a lavorare per la chiesa, con la (potenziale) sospensione di tutte le altre norme. Di regola i suoi membri, il cui compito è penetrare nei principali circoli politici e finanziari, tengono segreta la loro affiliazione. In quanto membri dell’Opus Dei, essi sono effettivamente “opus dei”, “opera di dio”, ossia assumono la posizione perversa di strumento diretto della volontà divina.
L’appendice segreta
Ci sono poi i molti casi di bambini molestati sessualmente da preti. Questi casi sono talmente diffusi, dall’Austria e dall’Italia fino all’Irlanda e agli Usa, che possiamo effettivamente parlare di un’articolata “controcultura” all’interno della chiesa, con il suo insieme di regole nascoste. E c’è un’interconnessione tra i due livelli, dato che l’Opus Dei interviene regolarmente per mettere a tacere gli scandali sessuali dei preti. Incidentalmente, la reazione della chiesa agli scandali sessuali rivela anche il suo modo di percepire il proprio ruolo. Essa sostiene che questi casi, per quanto deplorevoli, sarebbero un suo problema interno e mostra una grande riluttanza a collaborare con la polizia nelle indagini. E, in un certo senso, è giusto: molestare i bambini è un problema interno della chiesa, è cioè un prodotto intrinseco della sua organizzazione istituzionale e dell’economia libidica su cui essa si basa. Non si tratta semplicemente di una serie di reati particolari riguardanti individui che si dà il caso siano preti.
Per rispondere a questa riluttanza della chiesa non dovremmo limitarci a dire che abbiamo a che fare con dei reati e che la chiesa, non partecipando pienamente alle indagini, ne diventa complice. Al di là di questo, la chiesa come tale, come istituzione, va indagata in relazione al modo in cui essa crea sistematicamente le condizioni perché tali reati avvengano. Questa è una delle ragioni per cui non possiamo spiegare gli scandali sessuali che vedono coinvolti i preti come una manovra degli oppositori del celibato finalizzata a dimostrare come le pulsioni sessuali dei preti, non trovando uno sbocco legittimo, siano destinate a esplodere in modo patologico. Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, avremmo comunque dei preti che molestano i ragazzini: la pedofilia è generata dalla stessa istituzione cattolica del sacerdozio, come sua oscena appendice segreta.
Ed è qui che il papa ha fallito: a dispetto delle sue pubbliche espressioni di preoccupazione, egli ha evitato di affrontare le radici e le conseguenze degli scandali sulla pedofilia. Sotto il suo pontificato, l’Opus Dei è diventata più forte che mai e il papa ha persino dichiarato santo il suo fondatore (un antisemita dichiarato e un protofascista), un atto che manifestamente contraddice e dunque cancella la sua apologia nei confronti degli ebrei per i crimini commessi ai loro danni dalla chiesa per secoli. Per questo motivo, Giovanni Paolo II è stato un fallimento etico, una prova di come anche una posizione etica sinceramente radicale possa essere una posa fasulla, vuota se non prende in considerazione le sue condizioni e conseguenze.
Traduzione di Marina Impallomeni
Pubblicato su il manifesto, 7 aprile 2005.
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Pezzo molto interessante e complesso, che propone una prospettiva originalissima, come sempre in Zizek. Grazie a Tiziano per averlo postato. Sono abbastanza stupito dell’assenza di commenti, finora.
Faccio due osservazioni:
1. Il passaggio sul sacerdozio come precondizione strutturale, e non casuale, ai casi di pedofilia mi suona azzardato. Credo che un’affermazione del genere andrebbe sottoposta a un vaglio di tipo quantitativo, verificando i numeri e provando a fissare una soglia oltre la quale si può parlare di un “sistema”. Non posso farlo io e non mi esprimo al riguardo: mi limito a manifestare una certa perplessità da laico.
2. Trovo più interessante dissentire da un passaggio cruciale del pezzo, quello in cui si parla del “buddhismo occidentale” (scilicet addomesticato) come forma di spiritualità perfettamente compatibile con qualunque stile di vita, anche il più distante dalle premesse antimaterialiste che tale spiritualità propone.
Ma questo è esattamente ciò che fa il cattolicesimo!
Abbiamo quotidianamente di fronte agli occhi esistenze manifestamente in contraddizione con una fede cattolica non solo esibita ma – penso – sinceramente abbracciata: a parte casi umoristici come le solite starlette televisive che si dichiarano tutte credenti e praticanti, si va dalla devozione religiosa di Callisto Tanzi (grande peccatore, per usare un termine cattolico, contro la buona fede del prossimo) a quella di moltissimi politici cattolici, che come Pierferdnando Casini o lo stesso Silvio Berlusconi assumono comportamenti privati – in particolare nella gestione delle relazioni sentimentali e nella loro (mancata o compiuta) istituzionalizzazione – che fanno a pugni con la dottrina cattolica e con la predicazione di Giovanni Paolo II.
Come si spiega questo?
Semplice. Il cristianesimo cattolico, diversamente da quello protestante e da altre declinazioni, è tutto fondato sull’etica del perdono.
Il cattolicesimo propone ai suoi fedeli un’agenda che essi non potranno mai rispettare; il senso di colpa che ne deriva viene compensato dal perdono, elargito sia individualmente, nel segreto del confessionale, sia collettivamente nei grandi riti di indulgenza collettiva, più o meno dichiarata, di cui i funerali del papa sono stati un notevole esempio.
Paradossalmente, questo concetto di perfetta integrazione fra norma e anomia, fra peccato e perdono, è stato illustrato in modo lucidissimo da Rocco Buttiglione, durante una puntata di Otto e mezzo in cui si discuteva della sua famosa bocciatura davanti alla Commissione Europea.
Buttiglione ha spiegato che il fatto che la Chiesa continui a considerare peccatore l’omosessuale non significa per nulla che l’omosessuale (o il peccatore in genere) venga sottratto all’attenzione della Chiesa stessa, o relegato a un rango inferiore di dignità di fronte a Dio e al sacerdote. Essendo tutti noi peccatori e tutti noi perdonati, truffatori, politici corrotti, adulteri e gay (mi scusino i gay per la generalizzazione, che non è opera mia), qualunque stile di vita risulta alla fine compatibile con la fede cattolica, a prezzo della convivenza con un certo grado di senso di colpa e dell’esclusione da determinati sacramenti (in teoria, chi convive senza matrimonio non può partecipare all’Eucarestia, per esempio), che tuttavia non pongono il trasgressore nella condizione di essere extra ecclesiam.
Quindi obietterei a Zizek che non solo il buddhismo stile Dalai Lama, ma anche il cristianesimo cattolico è una religione adatta nella prassi all’ottica “liberale” in senso ampio (sia negativo che positivo: antiautoritaria, in ogni caso) che caratterizza ampi strati della società occidentale.
Pezzo di un’idiozia unica, tipico del cerebralismo di marca occidentale, che ha divorato tutto e adesso si nutre di sé. Pezzo di un’ingenuità filosofica devastante, di un’insipienza assoluta e di nulla radicalità. Zizek è una moda, è una moda, è una moda. Una chicca suprema: “Ora possiamo capire perché il Dalai Lama è molto più adatto alla permissiva epoca postmoderna. Egli ci propone un vago spiritualismo basato sul benessere, senza obblighi specifici” – a cui, non essendo buddhista secondo la variante tibetana, ma avendo studiato le pratiche oltre che la teologia della tradizione a cui il Dalai si rifà, posso soltanto rispondere con un sonoro vaffanculo o con una più pertinente sdegnata indifferenza.
Raul, honey, che dire, poi, dell’ateismo? Non si hanno più obblighi, né rituali, né spirituali VERSO chicchessia. Un’autentica liberazione! Più compatibile di così con i ritmi, gli stili di vita e i deliri d’onnipotenza di certi pescicani dell’Occidente…
Tornando all’etica del perdono, ti rimando alla situazione della nostra giustizia *laica*, dove i peggiori delinquenti ricevono sostanziosi sconti di pena non solo a fine stagione (ah, non ci sono più le stagioni dei saldi di una volta!), ma prima ancora di aver messo un solo alluce in carcere, se mai qualcuno di essi ce lo metterà mai.
[Non c’è bisogno che tu mi risponda. La consegna qua dentro è ‘ignorare l’irrispettoso Angelini’]
Mi colpisce che la spiegazione del fallimento papale sia occupata per tre quarti dalla spiegazione del fallimento del liberalismo, che è il vero bersaglio degli interventi (giornalistici e non solo) di Zizek: qui in materie etiche e religiose, altrove in materie economiche e politiche. Zizek mostra subito di avere molto apprezzato quella che chiama l’intrattabilità etica di questo Papa. Pazienza se questa intrattabilità porta con sé posizione veramente intrattabili su tematiche come l’omosessualità o la contraccezione: l’importante è che non sia stato un Papa liberale. Liberale pare essere per Zizek sinonimo di ipocrisia e finzione: il Papa ci ha risparmiato la finzione di una religione cattolica liberale, ed edulcoramenti in stile new age, e di questo la franchezza di Zizek gli rende merito: “un atteggiamento propriamente etico ha un prezzo da pagare”, spiega il pensatore di Lubiana, che non si preoccupa troppo di vedere chi paghi quel prezzo. Però il Papa ha fallito. E perché? Perché la sua Chiesa ha un’appendice segreta, fatta di preti pedofili e Opus Dei. Ed è un’appendice consustanziale alla Chiesa come istituzione.
Sarà. A me verrebbe voglia di replicare così: beh, non ti piacciono le ipocrisie liberali, perché ora fai la mammoletta? Zizek dice che il Papa ha fallito perché alcuni atti del Pontefice (es.: la beatificazione del fondatore dell’Opus Dei, “antisemita dichiarato e protofascista”) contraddicevano e anzi cancellavano certe sue aperture (“l’apologia nei confronti degli ebrei per i crimini commessi ai loro danni dalla chiesa per secoli”). Oh Zizek, ma forse il nostro tempo liberale (lo dico nei termini più generici possibili) qualche merito ce l’ha nella richiesta di perdono della Chiesa. E poi, caro il mio hegelo-lacaniano, com’è che ora ti spaventi per le contraddizioni della Chiesa? Lo vuoi intrattabile, il Papa? Eccoti servito.
Angelini, la consegna qui dentro non è di ignorare lei, ma di ignorare chiunque sia irrispettoso, appunto, e abbia atteggiamenti sabotatori nei confronti non tanto di NI quanto di chi la frequenta e vorrebbe poter discutere in pace con gli altri. Non sempre ci riusciamo, a essere così impeccabili (io per primo, peggio di tutti) perché a volte ci si incazza e la rispostaccia esce, ma abbiamo deciso almeno di provarci. Se mi lei scrive un’osservazione interessante in una forma rispettosa, a parte l’insistenza nel tu asimmetrico, io sono pronto a risponderle.
Tralasciando considerazioni più profonde (l’ateismo non è mai mancanza di ethos; ma scherziamo?), l’ateismo sarebbe un’ottima soluzione PRATICA al problema degli stili di vita compatibili, questo è certo.
Però osservo una cosa che mi ha sorpreso e colpito moltissimo, seguendo il dibattito che si è aperto da un po’ di tempo a questa parte su questo blog.
C’è stato chi ha parlato, per NI, di anticlericalismo, di delirio mangiapreti, di ossessione atea e così via.
Ma se si fa la conta, cosa si scopre?
Che anche qui, nel regno dei radicali e dei nuovi vandali, i credenti vincono a redini basse. Gli atei, se ci sono, sono pochissimi oppure timidissimi.
Proviamo a leggere i post e i loro commenti, e lo scopriremo facilmente.
Scorriamo le risposte all’appello di Andrea Inglese e quelle al controappello di Mozzi: il diverso volume di adesioni è quasi imbarazzante.
(A proposito, Giulio: questa faccenda di Italialaica è talmente comica e postsituazionista che forse non c’era bisogno di sparare con la mitragliatrice contro un passero. Tanto alla fine vincete sempre voi, stai tranquillo: se si va su una spiaggia di notte e si fa la gara a chi accende più roghi, scusa la metafora, a bruciarsi le penne saranno sempre quei quattro gatti. Perché più di quattro non sono, mi pare.)
Quindi non citerei l’ateismo fra i menu che assicurano una buona digestione esistenziale.
A giudicare da quanto poco viene richiesto, parrebbe decisamente gnucco – almeno nella sua forma dichiarata, assunta, realmente VISSUTA.
Che poi ci sia in giro abbondanza di cristiani che vivono da atei, nel senso deteriore del termine, è una cosa abbastanza evidente; ma questa non è colpa del cristianesimo, neppure nella sua forma che chiamiamo cattolicesimo: in sede di coscienza individuale, una cosa è la certezza che i peccati verranno perdonati, un’altra la rimozione violenta e vigliacca non dirò di Dio, ma del confronto con l’Altro da sé, con il mistero, il buio, il di là (non necessariamente l’Aldilà).
Questo confronto, per me, è il requisito indispensabile per essere qualcosa di diverso da un’oloturia, per riprendere la celebre metafora sviluppata da Alberto Moravia nella “Vita interiore”: un organismo marino costituito da un tubo carnoso con due buchi, uno di ingresso e uno di espulsione.
Che bella discussione si sta sviluppando. Grazie a tutti!
Montanari, è una vita che la SCELTA del cosiddetto “tono semi-serio” mi procura complicazioni di ogni tipo. Ti ho già detto che dopo il libro “L’incredibile storia della fata Fatuccia e della strega Forestana” sono stato messo al bando 8RESTAURATO!!!!! da tutte le editor dell’editoria per ragazzi). E tuttavia non lo mollo. In it.cultura.libri, a suo tempo, solo Giulio Mozzi e pochi altri interpretarono nel modo giusto il senso del mio incazzosossimo “personaggio” di Ow Ouch, mentre tutto il resto dei postatori perse tempo a offendersi, a offendermi (in tono tutt’altro che semi-serio) e a sentirsi leso nella propria maestà… un po’ come qui, per intenderci. Sicuramente da te non mi aspettavo la gran cazzata del “tu asimmetrico”. Ne deduco che nemmeno tu sei immune da quel fanfaronismo fin qui oggetto di varie mie ironie. E allora sai che ti dico (con quella franchezza che fingesti di apprezzare)? Ma vaffanculo pure tu, va!
L’ira funesta mi ha fatto infilare vari errori, tra cui incazzosossimo > incazzosissimo.
Post Scriptum: i brufoli che assicuravi “scomparsi da vent’anni”, caro LEI-NON-SA-CHI-SONO-IO, ci sono dunque ancora: nel cervello:-/
Angelini, scusa, ma visto che tu stesso ammetti, confessi e certifichi che, tranne il serafico e saggio Mozzi e pochi altri, in rete, fra newsgroup, siti e blog vari hai fatto arrabbiare inalberare irritare praticamente TUTTI, non pensi che qualche domanda dovresti portela? Non ti ha mai sfiorato il dubbio che ci sia qualcosa che non va nel tuo tono, nell’impostazione del tuo discorso, che prima o poi puntualmente finisce per farti mandare affanculo ed esservi mandato dal pressoché universo mondo? D’accordo, il mondo non ti capisce. Ma possibile che abbia SEMPRE torto il mondo? Sicuro che qualche responsabilità non ce l’hai anche tu? Non dovresti averne il sospetto, visto che va SEMPRE; SEMPRE; SEMPRE a finire che esasperi, stufi, sei preso e prendi a male parole, ecc.? Un sorriso amichevole :-)
Sarò filosoficamente ingenuo e pure modaiolo, ma so che quel che ho letto – articoli e libri – di Zizek è tutto meno che idiota. In ogni caso ci andrei molto cauto con questo modo di sparare a zero senza argomentare. Insomma, è solo all’Angelini che in questo luogo è inibita l’irrispettosità?
Ho praticato e studiato il buddhismo, e i suoi insegnamenti – pratici ed etici – sono per me di grande valore. Ma Zizek ha ragione (anche se questo non è molto chiaro nel suo pezzo) se si riferisce il suo discorso alle modalità dell’integrazione (e dunque dl tradimento) del buddhismo nello stile di vita occidentale – ché lo stile New Age (la spiritualità da supermarket) si traduce in una retraite nel privato auspicata dall’Impero, e compatibile con la differenza specifica dell’uomo consumatore.
(Quanto alla giusta posizione delle argomentazioni di Zizek sulla pedofilia, rimanderei a ‘Il godimento come fattore politico’).
E’ comprensibile che Giuseppe Genna reagisca in maniera così nervosa e per nulla argomentata (come fa sempre quando si parla di Zizek), perché Zizek, occupandosi di doppie verità, leggi “diurne” e “notturne”, livelli di potere palesi e occulti, tocca uno dei nodi cruciali degli interessi intellettuali e umani di Genna, e lo fa da un punto di vista opposto a Genna: è evidente gli dia sui nervi: perché, letteralmente, tocca un nervo scoperto genniano. Questo sia detto con il massimo rispetto per Zizek e Genna. Sono due posizioni inconciliabili. Solo che penso che Zizek, se mai leggesse Genna, non reagirebbe così, argomenterebbe e smonterebbe i presupposti genniani, palesandoli, con ordine e totale chiarezza. Indovinate, fra i due, qual è l’atteggiamento intellettuale che preferisco…
Condivido i vostri contributi, Rovelli e Nervo Scoperto, ma forse non erano necessari. L’intervento di G. Genna che cosa dice? 1. Che Zizek è di moda. 2. Che Genna conosce il vero buddhismo. Il primo punto vale quel che vale (un filosofo è di moda perché dice cose interessanti e radicali sulla sua epoca? o perché è funzionale alla sua epoca?)
Il secondo punto: è ricorrente l’attitudine di Genna a richiamarsi a un “altrove” mistico del pensiero, a un oltre che conosce solo lui perché l’ha studiato a fondo (non come noi poveri razionalisti), un oltre che rimane inverificabile, fuori del discorso, ma non del tutto fuori, giacché fa capolino (come pura citazione, menzione culturalista) quel tanto che basta a delegittimare i discorsi e le argomentazioni fatte “qui”, alla luce del sole (dove per “luce del sole” si deve intendere la condivisione degli argomenti confutabili e la delimitazione delle questioni trattate). E’ un procedimento dialettico che non porta a nulla, se non, appunto, a una dichiarazione (pura e inerte dichiarazione) di dissenso fondata su protocolli occulti, o comunque protocolli e paradigmi lasciati sistematicamente (volutamente, strategicamente) fuori dal discorso-che-si-sta-facendo-qui. Zizek dice una cosa? Genna non ribatte, ma dice che quella cosa è una fesseria appellandosi a un’altra cosa più vera, nota solo a lui, ma che lui asserisce essere quella vera e giusta. Giudicate voi se è questo il modo di confutare. E’ talmente evidente che Genna distorce Zizek. Zizek è chiarissimo nel riferirsi a un “buddismo OCCIDENTALE”, a una versione edulcorata e addomesticata del buddismo. Sta dicendo che un certo atteggiamento (di trattabilità etica) buddista si presta a – è funzionale al – capitalismo globale. Non sta mica mettendo in questione i fondamenti del vero e ortodosso buddismo (o di quello che Genna considera tale, avendolo studiato). Semmai, trovo molto più efficace l’obiezione di Montanari, che, senza tanti appelli al “vero” buddismo, porta un argomento semplice e chiarissimo, verificabile da tutti, ossia quello del cattolicesimo accomodante. Montanari, insomma sta dicendo che, senza star tanto a chiamare in causa le versioni occidentali del Tao, del buddismo e tanta New Age, basta vedere come è declinato il cattolicesimo oggi (e non solo oggi) per capire come questa religione, ossia quella concretamente praticata dagli individui, sia in realtà eticamente “trattabile”, e funzionalissima al capitalismo globale, o sistema economico dominante (chiamatelo come volete). Insomma, per Montanari oggi un nuovo Max Weber scriverebbe semmai “L’andazzo cattolico e lo spirito del capitalismo globale”.
Genna dice:
“ma avendo studiato le pratiche oltre che la teologia della tradizione a cui il Dalai si rifà”
e non osserva che il Dalai Lama potrebbe anche non rifarsi correttamente nelle sue azioni a quella tradizione che, peraltro, è complessa e più che mai discussa all’interno dell’universo buddhista stesso.
Per il resto sono daccordissimo con Alderano.
(scusate è venuto fuori un commento troppo lungo a. i.)
Mi ero ripromesso di togliermi di torno su questa questione per due buoni motivi. 1) Sono già intervenuto troppo per i miei gusti e probabilmente per quelli degli altri. 2) Non vorrei essere catalogato in modo caricaturale come “Quello che ce l’ha con dio e i credenti”. Sono contento comunque di aver innescato una discussione che si è ispessita di contributi diversi e appassionati, nei post e nei commenti.
Ma in forma di congedo, vorrei almeno segnalare alcune dei problemi fondamentali che le recenti discussioni hanno sollevato. Alcuni sono problemi di sempre, si dirà. Risaputi. Ed è questo il preoccupante, perché su di essi non si sono fatti passi avanti. Altri sono forse problemi insolubili, ma non per forza sterili.
1 – Interferenza stato-chiesa
Il mio discorso si è mosso da una semplice constatazione, e ad essa ritorno. Nel nostro stato laico, la chiesa cattolica esercita un’influenza diretta sulla vita pubblica, finendo con il condizionare, su certe questioni, anche la vita di persone che cattoliche non sono. Il prestigio culturale della chiesa diviene infatti immediatamente merce di scambio nell’arena politica.
Poiché il cattolicesimo fa parte della nostra eredità culturale (credenti timidi, agnostici e atei compresi), questa interferenza di sfere è in qualche modo più o meno tollerata. E’ un effetto collaterale dell’identità italiana, nazione che porta nel suo seno un altro, anomalo, stato: il Vaticano.
Ora questa interferenza di una particolare dottrina etica, dalle fondamenta dogmatiche – in quanto etica basata su verità rivelate e soprannaturali –, è nociva per la libertà delle persone che sono estranee a quella dottrina etica e a quella verità.
Uno dei modi più efficaci per richiamare l’attenzione su questa interferenza, è rivendicare il proprio ateismo. Solo in questo modo può risultare chiaro quanto poco un cittadino di uno stato laico debba subire, sulle sue scelte di vita, vincoli posti da precetti appartenenti a una religione particolare.
Questa discussione, ovviamente, non investe nessun giudizio sulla bontà o meno delle religioni (meglio la cattolica o la buddista), o delle credenze. Essa dovrebbe svilupparsi in un solco ben preciso. 1) Ci riconosciamo nella nostra costituzione, per quanto riguarda la separazione tra stato e chiesa? 2) Se sì, esaminiamo se davvero, nel caso italiano, se vi siano circostanze dove questa separazione viene violata.
2 – La bontà “storica” di questo Papa.
Qui, malgrado quello che sembra dire Giulio Mozzi, il problema non è così insondabile. Nel senso che non è difficile reperire già alcuni dati fondamentali, a partire dai quali formulare un giudizio.
Questo discussione è, innanzitutto, come ha suggerito gina, interna alla chiesa stessa e alle sue diverse componenti.
Ma ognuno qui può (e ha diritto di) farsi un suo giudizio. In questo giudizio, ovviamenti, che si fatto all’interno o all’esterno della chiesa, entrano in gioco le nostre etiche rispettive.
Per me, ad esempio, bloccare lo sperma dentro un astuccio di lattice, non ha niente di negativo. E diventa addirittura, per conoscenza scientifica del fenomeno, azione necessaria per bloccare epidemie che si trasmettono sessualmente. Allo stesso modo ritengo contraddittorio, sul piano dottrinale, che per difendere una vita “virtuale” si metta a repentaglio una vita reale. E ritengo una forma di crimine la situazione in cui si possono venire a trovare, in dati paesi, tutti i preti che obbediscono rigorosamente alle infallibili direttive papali: ho il potere di fornire un’informazione o uno strumento che può salvaguardare la vita di una persona in pericolo, ma non glieli fornisco. (E su questo, mi dispiace, ma nessun argomento di Zizek né di nessun altro mi convincerà del contrario.)
3 – Confronto tra etiche a base dogmatica (ossia basate su rivelazioni soprannaturali) e etiche laiche e non dogmatiche.
Questa è ovviamente la discussione più difficile e oscura. Non sono neppure sicuro di aver formulato in modo adeguato i termini più generali della questione.
Si tratta di un confronto tra differenti sistemi di valori ed idee. Un confronto che può avere come scopo ultimo, quello di riconoscere per l’intera specie umana la superiorità di un certo sistema su un altro. “Superiorità” è qui termine difficilissimo da definire. Possiamo ricorrere a formule tipo: “sistema che garantisca la felicità per il più gran numero di persone”; “o che possa garantire una riduzione della sofferenza (umanamente evitabile) per il più gran numero di persone”. Un intervento come quello di Franco Buffoni ha l’ambizione di inoltrarsi senza indugi in tale discussione.
Anche in quest’ultimo caso, la rivendicazione del proprio ateismo ha un significato importante. Essa permette di sollecitare una riflessione preliminare: esistono etiche laiche e non dogmatiche? La mia risposta è sì. Se una persona atea non è semplicemente amorale, ma ha un’etica, ebbene allora esistono etiche laiche non dogmatiche.
Ora, come purtroppo molti commenti e intereventi dimostrano, su questo vige un radicato pregiudizio di tipo “religioso”. Ossia, una sacco di gente pensa, con argomenti più o meno seri, che NON può esistere un’etica laica non dogmatica. Se queste persone avessero ragione, non si potrebbe in alcun modo arrivare nemmeno al confronto tra etiche religiose (per farla breve) e etiche laiche. E cio’ sarebbe, per altre persone, tra cui il sottoscritto, un impedimento grave al progresso dell’umanità. (Ebbene sì, ho usato questa formula. E per il momento non me ne pento. Non trova nulla di più adeguato al concetto.)
Detto questo rimane da affrontare il problema preliminare: dimostrare che esiste un’etica laica e non dogmatica. E che possa avere caratteristiche tali, almeno, da “concorrere” con quelle confessionali e dogmatiche. (Nel senso che, dopo appurato esame, verrebbero eliminate dal “concorso” etiche quali il “superomismo” nella sua forma “il più forte è anche il più buono” – ammesso che rientri nella categoria suddetta).
Ora una tale dimostrazione implica un certo grado di “tecnicità” inevitabile e non può non riposare anche sui risultati prodotti dall’ambito disciplinare della filosofia e, in particolar modo, della filosofia morale. Io credo, ad esempio, che non sarei in grado di produrre una tale dimostrazione, anche in forma “divulgativa”, se non attraverso un certo lavoro di riflessione e studio. Ma non ritengo che tale dimostrazione resti zona franca degli specialisti. Penso che elaborando le nostre “intuizioni etiche”, come le definisce il filosofo morale Charles Taylor, possiamo già compiere un buon pezzo di strada.
Come post-scriptum:
Raul Montanari ha colto perfettamente il senso dell’Appello di Italialaica, definendolo post-situazionista. Non so quale sia lo spirito dei signatari, ma per me è chiaro il suo aspetto paradossale e la sua funzione straniante. Ma è grazie al controappello di Mozzi che si è sviluppata una vera discussione, per altro non banale, sulla questione della “simbolica” laica o religiosa, nazionale, culturale, insita nella toponomastica.
Un ateo può avere amici cattolici, stimare musulmani praticanti, emozionarsi leggendo l’Antico Testamento, passare ore in una chiesa, godendosi ogni dettaglio pittorico, scultoreo o architettonico, rimanere affascinato da un rito d’iniziazione animista, essere tormentato dal pensiero della morte, soggiogato dall’estraneità radicale dell’universo, interrogarsi sulla finalità della natura, ritenere che un sacco di cose siano inspiegabili, essere contrario all’ateismo di stato, e considerare che ognuno è libero di credere in uno o dieci milioni di dei, laddove questa sua credenza non riduca la libertà e non leda i diritti di un’altra persona non credente. E può abitare senza risentimento in via S. Francesco d’Assisi, sperando però che quel papa che si aggiudicherà una stazione o uno stadio sia, se non santo come san Francesco, almeno meno controverso di Giovanni Paolo II (sul quale c’è già una quantità di testimonianze molto“critiche”)
Per Buio Diavolini. Dici: “In rete, fra newsgroup, siti e blog vari ***hai fatto*** arrabbiare inalberare irritare praticamente TUTTI”.
Non è esatto dire che ho irritato praticamente TUTTI. Ho sempre irritato, più che altro, i «tromboni» ai quali ho rivolto i miei fanciulleschissimi strali. Ow Ouch fu un travestimento a sé.
Il solo fatto che Montanari abbia reagito pretendendo il lei (che in rete NON si usa mai, e nemmeno qui in Nazione Indiana), la dice lunga su quanto, da un lato, si prenda sul serio, dall’altro su cosa nasconda dentro di sé: un fascistello violento che segretamente teme e che, (secondo me) a volte gli scatena i famosi attacchi di panico:-/
Più coerente sarebbe a chiedermi di dargli del voi (come ai tempi del Duce), più littorio e VIRILE del femmineo lei.
Per ironia della sorte, sto appunto traducendo un romanzo in cui due amici discutono a lungo sulla possibilità di iniziare a darsi del “du”, dopo anni di “De” (in danese). Uno ce la fa, l’altro proprio no. A Montanari bisognerebbe senz’altro dire: Kan DE tale dansk?
(Sommessamente:) al centro del pezzo di Zizek, della sua struttura argomentativa, non mi pare stia il buddismo, la new age o non so cosa. Non vedo cosa cambi se al post del buddismo ci mettiamo il cattolicesimo accomodante. Zizek infatti dice di apprezzare proprio il carattere non accomodante, in materia etica, di questo papa. Buddismo o cattolicesimo accomodante sarebbero entrambi, in questa logica, “facili scappatoie liberali”, morbidi pannicelli caldi. Il vero problema ‘logico’, mi pare, non è dunque se sia vero in punta di fatto che il cattolicesimo effettivamente praticato sia o meno accomodante, o se il buddismo sia effettivamente così consonante con il permissivismo postmoderno, ma è piuttosto se Zizek può da un lato apprezzare la grandezza etica di GP II per quanto urta e dà sui nervi ai liberali (ai latitudinari, ai casuisti, ai gesuiti, agli ecumenici, a quel che volete voi) e dall’altro lamentare la beatificazione del fondatore dell’opus Dei (e quel che di altro ci mette sopra). Senza dire che questo bel realismo con il quale Zizek afferma convinto che una posizione etica non ipocrita comporta un prezzo mi piacerebbe che venisse sbattuto in faccia a chi quel prezzo lo paga: per esempio agli omosessuali.
Però forse mi sbaglio, è il punto della questione è che cos’è il buddismo. E allora io, che nulla so, mi taccio.
Per Andrea Inglese.
“In principio era il Verbo, poi ci fu una grossa esplosione: il Big Bang. La testa di Dio (la ‘D’) volò da una parte, tutto il resto da un’altra, sbriciolandosi in una miriade di piccoli, affannati ‘io’ condannati alla ricerca dell’Unità perduta.”
[Incipit de “La Madonna del Latte”, di Solingo Augellin]
Caro Massimo, per quanto mi riguarda rilanciavo una questione sollevata così violentemente che non se ne poteva tacere. E’ vero, il punto di snodo dell’argomentazione è l’intrattabilità etica del Papa. Ma credo che l’intrattabilità dell’etica sia questione di merito – a prescindere dal merito delle posizione wojtyliane, che a quanto mi risulta Zizek è ben lungi dall’approvare. Mi pare che il suo discorso miri a rilevare quanto sia contraddittorio, nonché ipocrita, continuare a porre la validità della Legge affermando al contempo la ‘legittimità’ della sua trasgressione, della sua sospensione ad libitum. L’Amore abolisce integralmente la Legge. Aut-aut.
Caro Andrea, non so chi non ti abbraccerebbe per lo slancio e la bellezza con cui hai scritto il lungo ultimo paragrafo del tuo post. Però, nel momento in cui chiedi in modo così nobile una fede che non leda la libertà altrui, cogli nel segno e contemporaneamente tralasci un problema fondamentale.
Invece di teorizzare mi spiego subito con un esempio.
Se io fossi un cattolico credente e praticante, dovrei credere che nelle cliniche in cui si praticano gli aborti vengano compiuti degli infanticidi. Degli omicidi.
Questa convinzione non sarebbe accessoria (per fortuna o per sfortuna, noto che per molti lo è), ma starebbe al centro della mia concezione generale della vita umana, cioè di uno dei due pilastri su cui si basa tutto ciò in cui credo e per cui vivo, l’altro essendo ovviamente la fede nel Cristo risorto.
Ora, io considerei mio DOVERE picchettare i reparti ospedalieri, impedire fisicamente al personale medico di operare. Lo considerei l’unico modo coerente di agire per non rendermi complice di quella che, se fossi un cattolico credente, mi apparirebbe una strage degli innocenti.
Questo lederebbe la libertà altrui?
Certamente!
Ma la lederebbe allo stesso modo di quando stai nel tuo appartamento e senti le urla di una donna che viene picchiata, stuprata, uccisa al di là della parete. Lederesti la libertà del suo assassino, se intervenissi personalmente o chiamassi la polizia? In un certo senso sì. Ma come potresti metterti i tappi nelle orecchie e lasciare che la vittima venga uccisa? Come potresti addomesticare la tua coscienza? Sono sicuro che tu, Andrea, correresti in difesa di una persona che rischia di venire ammazzata, come correrei io.
Il punto è proprio questo.
Se io, cattolico credente e praticante, ho una fede sincera, io DEVO credere che il feto e prima ancora l’embrione sono vita, e battermi con tutte le mie forze per impedire che vengano soppressi. E, detto fra noi, anche se quando vedo le facce e sento le voci di quelli del Movimento per la vita provo una certa avversione, anche se tutti i miei amici cattolici sono persone accomodanti, ragionevoli, mentalmente apertissime, tolleranti (altrimenti avrebbero problemi anche a tollerare me e le cose che dico, no?), spesso ho la sensazione che la verità – la verità della fede – non possa non stare nell’integralismo.
Ecco dove la fede è in obbligo di ledere la libertà altrui.
Tutti consideriamo nostro dovere partecipare alla battaglia di ogni uomo per la vita e contro la morte; nessuno di noi considererebbe alieno dal suo essere uomo il partecipare giorno per giorno, momento per momento, a questa guerra.
Ma se il concetto di vita viene esteso in virtù di un articolo di fede, articolo centrale, ripeto, e non accidentale, è giocoforza che il cattolico debba occuparsi anche del resto del mondo, anche di noi; debba mettere per così dire il naso, gli occhi e le mani in casa d’altri, perché ANCHE quello che succede lì è affar suo – è in realtà affare di tutti.
Voi, Raul, affermate: ‘Non so Andrea chi non ti abbraccerebbe’. Be’, posso dirvelo: io. Perché? Semplice.
Inglese dice:
“Raul Montanari ha ***colto perfettamente*** il senso dell’Appello di Italialaica, definendolo post-situazionista.”
Voi, Montanari,rispondete:
“Non so, Andrea, chi non ti abbraccerebbe.”
Poi arriva Biondillo e attacca:
“Aspetta, aspetta: parli de La verità bugiarda, uscito oggi, che ho avuto la fortuna di leggere qualche mese fa. Lo so che non dovrei dirlo, non fa parte delle regole di Nazione Indiana. Ma ho voglia di dirlo, insomma. Vedrai che sarà tutto un: “ecco che si fanno i pompini a vicenda, ecco che si fanno pubblicità…”, ma me ne frego… ”
Infine arriva quel provocatore di Angelini, prende un po’ in giro questo minuetto di cicisbei e allora tutti si strappano le vesti gridando:
“Attenzione, quello lì è scrofoloso, irriguardoso, ci ha la rogna, non ci fa i complimenti, bisogna ignorarlo, bisogna farsi dare del lei…”
Be’, Montanari, avete capito perché io non vi abbraccerei? Non solo per i brufoli…
Sono d’accordo Raul: il nucleo dogmatico di un’etica religiosa, se non “ammorbidita” o “modernizzata”, porta inevitabilmente a ledere la libertà altrui (libertà intesa come autonomia delle scelte di vita); ma rispetto a questo problema “fondamentale” due soluzioni, una di breve termine, l’altra di lungo termine. 1) Seperazione stato-chiesa. C’è una legge che regola l’aborto? Si. Gli antiabortisti fanno i picchetti? Bene, che si becchino un po’ di “cure” della polizia, come succede ai “disubbidienti” in altri contesti. Poi starà agli elettori decidere di virare verso uno stato dalle leggi teocratiche o meno. 2) Come debellare il nucleo dogmatico di ogni etica religiosa (e il suo inevitabile fondo integralista)? Passando ad un’etica laica e non dogmatica. Qui apriamo una prospettiva “evoluzionistica” delle etiche umane, ecc. ecc.
Dal mio punto di vista Angelini, tu tieni tutti sotto ricatto costante. Il meccanismo che usi è questo. Prendi di un pezzo pubblicato su Nazione Indiana le parti che ti possono essere utili, le pieghi come vuoi tu, aggiungi un po’ di accuse e insulti all’autore, e spingi “invio”. Se qualcuno ribatte qualcosa, distribuisci una gelatina di ulteriori accuse e risatine che implicitamente dovrebbero dimostrare qualcosa (come il siparietto inventato tra Montanari Inglese e Biondillo). Tutto allo scopo di far passare la pazienza e ottenere una reazione sopra le righe. A quel punto il gioco è concluso, hai vinto tu: hai dimostrato che qui c’è una cricca di censori, una cordata di paraculi e apprendisti paraculi a difenderli. Bravo.
Barbieri, l’Emilio Fede di Nazione Indiana.
Riguardo ai picchetti degli anti-abortisti. Prendiamo una persona genericamente “sensibile”: dovrà essa piangere ***ogni secondo della propria vita*** pensando ai bambini che muoiono, all’umanità sofferente, al clima di restaurazione culturale imperante…?
Credo che nemmeno il preoccupato Moresco, mentre si abbuffa di spaghetti al pomodoro, si dia pace:-/
Ma guai a chi non si allinea ai pedanti bla-bla-bla…
Io mi divertivo un sacco quando, ai tempi in cui compravo l’Espresso, leggevo gli sfottò di Saviane
contro i mezzibusti della tivù. Forse, nel mio piccolo, anzi piccolissimo, anzi addirittura inesistente, ne sono rimasto influenzato. C’è chi si ispira ai Grandissimi, chi ai Minimi:-)
[Suvvia, Montanari, sto scherzando. Devo ripeterVElo ogni volta?]
Oh, che cappella! Non: “nemmeno il preoccupato Moresco”, ma “lo stesso preoccupato Moresco”.
Scusate se mi intrometto. Ma a mio parere è il caso di sottolineare la differenza tra etica e diritto. chi manifesta davanti a un ospedale dove si praticano gli aborti, per quanto mi riguarda ha tutto il diritto di farlo. Anzi lo auspico. Giusto è vedere la differenza nelle strade, liberamente manifestata, e non rappresentata alla TV. Libertà di opinione. Altro è il caso dell’impedimento fisico ad esercitare una facoltà riconosciuta dalla legge. L’ordinamento giurdico italiano, per ora e a determinate condizioni,prevede e consente l’aborto. Non consente, invece, di picchiare una donna, un uomo, di violentare un bambino o di maltrattare un cane. Il discrimine sta qui. In linea di principio, se un cattolico viola l’ordinamento giuridico italiano, ne paga il prezzo. Lo stesso prezzo che non paga all’interno della chiesa, beninteso, quando viola i suoi precetti. I peccatori, gli omosessuali, le donne che abortiscono e utilizzano contraccettivi, i pedofili, i divorziati, i responsabili dei genocidi, i portatori insani di democrazia imperiale infatti restano cattolici (parecchi di loro tra i 26 milioni, secondo la questura:), che si strappavano i capelli ai funerali di venerdì). Niente epurazioni, se no dove li trovano i figuranti (pensate che abbiano scomunicato le madres che pregano affinchè JUANPABLOSECUNDOILGRANDESANTOSUBITO bruci all’inferno? mica, in argentina le madres de plaza de mayo sono una potenza, sia a livello popolare che e governativo. Kirchner infatti ha disposto la rimozione del vescovo militare – nominato dalla chiesa ma pagato dallo stato- che ha proposto di buttare pinochetticamente a mare un ministro del governo favorevole alla depenalizzazione dell’aborto). Resta salvo naturalmente, il culo di diventare santi,come nel caso di escrivà de balaguer. E aperto, anzi spalancato e forse a monte:) il problema dell’etica laica, e del suo ruolo nel processo legislativo delle democrazie RAPPRESENTATIVE.
Siami consentita a proposito del prefato Angelini questa locuzione citante EDUARDO il grande:
“Chisto pare che niente fa
eppure scassa o cazzo…”
Per Mario Bianco. In realtà devo stare seduto al computer intere ore, come tutti i traduttori. Avendo l’ADSL tengo sempre aperti sia il testo della traduzione, sia, per i momenti di break, Nazione Indiana. Quindi da un lato ***lavoro*** (Cfr. la canzone “Io, lavoreròòòòòò…”), dall’altro ogni tanto mi rilasso dicendomi: “Andiamo a vedere che cosa hanno aggiunto adesso i miei amici di Nazione Indiana per far vedere di quali abissalità di pensiero sono capaci!”:-)
Appello: AIUTARE LUCIO ANGELINI
Vi sarete resi conto che Lucio Angelini ha urgente bisogno di cure psichiatriche. Gli specialisti costano molto, e considerata la gravità del caso è il caso di trovare i migliori professionisti del settore. Inoltre le cure saranno onerosissime: i pastiglioni dai colori psichedelici dovranno essere dosati su misura per l’Angelini, dosaggi massicci per tentare di riportarlo alla realtà. Insomma è un caso umano e tutti quanti abbiamo il dovere morale di aiutarlo. A questo scopo aprirò un conto corrente su cui sia possibile versare una somma in favore del povero Angelini, se possibile utilizzerò anche il mezzo del versamento tramite sms. In concomitanza verrà avviata dai familiari del caso umano in oggetto la procedura per l’interdizione.
Noi tutti vogliamo che Lucio (lasciatemelo chiamare confidenzialmente per nome, benché della sua personalità rimanga poco o nulla) torni lucido come un tempo! Appena avrò altre informazioni, cari amici sodali e maestri, vi farò sapere. Nel frattempo chiedo a chiunque di dare massima divulgazione alla presente.
Saluti cordiali.
Andrea, sei come Linus, quindi anche simpatico.
A proposito, un appello ai milanesi:
chi va a vedere per me (e poi mi riferisce su Nazione Indiana) “MILVA CANTA MERINI” al teatro Streheler 12-17 aprile?
Adoro Milva.
è un chiaro segno dei tempi che una riflessione sul fallimento papale sia diventata una riflessione sul fallimento di angelini…non che questo secondo problema non abbia la sua rilevanza…tuttavia dobbiamo ammettere che se il papa è un fallito il problema è politico e sociale, se angelini è un fallito, il problema è quasi entomologico …ma insomma volevo dire che secondo me le ragioni del fallimento di a. sono queste: che angelini, che pure talvolta scrive cose spassose e, più raramente, anche cose giuste, si inserisce in un dialogo in cui non dialoga, come dimostra la stessa sistematicità petulante e isterica dei suoi interventi. prima competenza da acquisire per dialogare, è sapere tacere: angelini, ti consiglio di postare un paio di mail vuote, può essere che montanari ti risponde
Borriello, vi prego di non insistere con questo tu asimmetrico.
P.S.
1) Il papa non è fallito, a giudicare dall’attenzione appena ricevuta:-/
2) Angelini, nel suo piccolo, nemmeno. In questo periodo riceve interessanti proposte di lavoro (dopo il fastidioso decennio di EMARGINAZIONE: la Fatucci, permalosa com’è, aveva persino cancellato i miei titoli dal catalogo EinaudiRagazzi/Emme/EL, quelli di cui ho riprodotto le copertine in http://www.librimoltospeciali.com, a imperitura memoria).
3) Montanari è pazzo di me, solo che non trova il coraggio di dirmelo.
ma io aborro il successo…parlavo di insuccesso nel dialogo, in senso tecnico..
No no, il papa ha dialogato eccome, persino con gli indiani delle riserve.
Quanto a me, è vero, non sempre gli indiani della Spalanchiusa mi danno retta ed è un po’ come gettare margherite ai sorci:-)
Le mie risposte pertinenti vengono ignorate per consegna interna, quelle impertinenti perché ritenute lesive del prestigio del gruppo. Se fossi Lenin mi chiederei “Che fare?”, ma non lo sono. Se fossi foco, non incendierei lo munno, essendo ambientalista. Se, invece, fossi una vox clamans in deserto, preferirei senz’altro il deserto di Sonora, con tutti quei suoi giganteschi, magnifici saguari.
“Consentire ai preti cattolici di sposarsi non risolverebbe niente, avremmo comunque dei preti che molestano i ragazzini: la pedofilia è generata dalla stessa istituzione cattolica del sacerdozio, come sua oscena appendice segreta.”
Non so se e’gia’ stato detto (mi pare che almeno e’ stato accennato) ma insomma: non capisco i fondamenti di questo argomento. A me sembra solo una vera baggianta!
Vox clamantis, ignorante. La “voce di chi grida nel deserto”, sciocco.
Non lamentarti se poi tutti ti segano.
Vedo che Angelini a un certo punto ha scritto di Montanari: “Il solo fatto che Montanari abbia reagito pretendendo il lei (che in rete NON si usa mai, e nemmeno qui in Nazione Indiana), la dice lunga su quanto, da un lato, si prenda sul serio, dall’altro su cosa nasconda dentro di sé: un fascistello violento[…]”
Ora, io voglio che Angelini chieda serenamente scusa.
Non sto scherzando, no: voglio che Angelini faccia per una volta un gesto serio e serenamente chieda scusa.
Per Giovanni Battista: credo che Angelini intendesse dire, esattamente: ‘voce CHE chiama nel desero’, tout court. L’ignorante sei tu.
Per Voltolini: credo che TUTTA NAZIONE INDIANA (quella che Angelini chiama, simpaticamente, la SPALANCHIUSA) dovrebbe, per una volta, fare un gesto serio e serenamente chiedergli scusa, anche se lui, ormai, se l’è data a gambe. Ne ha avuto abbastanza di tutti questi sbarbatelli spocchiosi, compresi di sé e privi di sense of humour.
Se citi le Scritture (altrimenti perché useresti quell’espressione?) citale giuste, bestia. Vox clamantis nel deserto. Perfino il povero Nascimbeni ha fatto un pezzo per spiegare che va scritto così. Se non leggi i Libri (metto la maiuscola per puro ottimismo, tu sei il tipo che non legge niente), leggi almeno il Corriere della sera, sorcio.
Naturalmente anche al posto di margherite avrei dovuto mettere ‘perle’, da Fedro:
In sterquilino pullus gallinaceus
Dum quaerit escam, ***margaritam*** repperit.”
Né mi sarei dovuto permettere di storpiare il detto ‘gettare le perle ai porci’ in ‘margherite ai sorci’.
Hai una testa talmente piccina, Giovanni Battista, che si farebbe fatica a tagliartela. Bisognerebbe prima trovarla.
E non dirmi che l’episodio biblico, in realtà, è citato male.
sul “tu asimmetrico” io credo che angelini – capita anche questo – abbia ragione, in rete, e di più in queste fosse dei leoni dei commenti, il lei non suona molto a posto. l’ideale credo sia parlare in terza persona (montanari dice ecc.)e nel dialogo diretto preferire in linea di massima o comunque ritenere lecito il tu.
oppure consultare lina sotis: io penso che regola generale dell’esistenza sia fare sempre il contrario di quello che prescrive lina sotis
Montanari si è sicuramente pentito della sua sboronata, solo che ***non trova (ancora) le parole*** per dirlo ad Angelini. Nell’attesa, si fa dare i bacini sulla bua da Voltolini.