1945-2005
di Beppe Fenoglio
“… Solo all’ultimo passo si accorse del fardello che ostruiva la strada.
Johnny sedette a fianco di esso, sull’erba rigida, innaffiata di sangue. La sua faccia era glabra e serena, i suoi capelli bene ravviati ad onta dello scossone della raffica e del tonfo a terra. Il sangue spicciato dai molti buchi nel petto aveva appena spruzzato l’orlo della sua sciarpa di seta azzurra, portata al collo alla cowboy, e che era l’unico capo di una certa quale e shocking lussurità, in quella generale povertà di partigiano apprestantesi all’inverno. Johnny ritrasse gli occhi dalla sua intatta faccia, poi glieli riposò su all’improvviso, quasi a sorprenderlo, nella pazza idea che il ragazzo socchiudesse gli occhi e poi ripiombasse le palpebre alla sua nuova attenzione. Giaceva in sconfinata solitudine, accentuata dalla univocità del rivo vicino. L’avevano spogliato delle scarpe, Johnny esaminò le sue doppie calze di grossa lana bucherellata…
Si sentì osservato e puntò lo sten verso una cortina di canne. Vi occhieggiava una faccia, che cercò di eclissarsi, ma ci fu un jerk nel braccio di Johnny che convinse l’uomo a restare, impietrito. Johnny indicò il partigiano ucciso ed alzò il mento.
– Stamattina, – disse l’uomo, – la colonna uscita dalla città.
– Scendi a parlarmi, – ordinò Johnny.
L’uomo implorò di no, aveva il terrore del cadavere e del ritorno subdolo dei fascisti. Si avanzò soltanto quanto bastava ad aggirare il canneto. – Gliel’ho visto fare. Mi ci hanno obbligato, io e la mia famiglia e tutti i vicini. Era riuscito a sfuggire ad una pattuglia ma incappò in un’altra.
– Perché l’avete lasciato qui?
– Dopo la fucilazione l’ufficiale ci disse di non toccarlo assolutamente, disse che sarebbe tornato verso sera a vedere se l’avevamo obbedito. Il nostro prevosto ha avuto l’ordine preciso di seppellirlo soltanto domani sera. Ma noi cercheremo di seppellirlo stanotte, il prevosto io e i miei vicini.
– Dove lo seppellirete?
– Lassù a Treiso, sebbene sia un brutto affare salire con un morto sulle spalle in una notte come in bocca al lupo. Ma lo faremo volentieri. Siete mal ridotti, voi partigiani. Ora vattene, per carità vattene, perché i fascisti potrebbero tornare a controllare. E noi siamo stanchi di vedervi ammazzare, stanchi di esser chiamati ad assistere, le nostre donne gravide sfrasano tutte. Vattene lontano, per carità. Vuoi che ti butti una pagnotta?
Il crepuscolo nella valletta ispessiva, mentre il cielo sulle colline restava straordinariamente, argenteamente chiaro, quasi una luminosa effusione delle stesse creste. Le desiderò subitamente e marciò su verso di esse. A mezzacosta, quella superiore luminosità già declinava, lasciano il posto ad una cinerea effusione nella quale veleggiava immobile il disco bianco del sole. Si sforzò e raggiunse la cresta. Da una sella ebbe una parziale visione della città, accosciata in un’ansa del fiume, sotto la pressura di vapori e destino. Avrebbe ricevuto quella sera stessa la notizia dell’uccisione di Pierre ed Ettore, Johnny s’immaginò il serpente di quel funebre bisbiglio attraverso stanze gelide, disperati nascondigli, per la notte desolata. E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno.”
(Il partigiano Johnny)
Comments are closed.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
a deciderlo tocca a noi
non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non con la terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non con la neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non con la primavera di queste valli
che ti vide fuggire
ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro d’ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato fra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo
su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi con lo stesso imepgno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
resistenza.
[Quando insegnavo alle medie, la facevo imparare a memoria al posto di ‘T’amo pio bove’):-/
Grazie. Scoraggiato dalle affermazioni odiose del sindaco Albertini, rinnovato nella sensibilità da un anno di lavoro alla biografia di Flavio e Gedeone Corrà, due fratelli partigiani vittime a Flossenburg dopo essere stati catturati dai nazifascisti -non c’entra l’autopromozione, è che mi va di ricordarli oggi-, avevo pensato a Silone.Volevo inserire questo post e basta:«Dopo tante pene e tanti lutti, tante lacrime e tante piaghe, tanto odio, tante ingiustizie e tanta disperazione, che fare?».
Che fare se oggi non c’è neanche un briciolo di rispetto?
Grazie per questo pezzo di Fenoglio.