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LE PAROLE E LE COSE

di Antonio Sparzani

Le parole si sprecano.JPG

Le cose sono fatte di materia che è fatta di molecole, che sono fatte di atomi, che sono fatti di protoni, neutroni ed elettroni, che sono fatti di quarki, quarketti e quarkottini, in su e in giù, con sapori e odori, tutti però estremamente standard. Cioè stanno nel modello che i fisici chiamano standard per consolarsi e convincersi che ormai è proprio così e che la natura ubbidisce agli standards.
Le parole, invece, sono fatte di aria che vibra nell’aria, che è fatta di tante molecole, che sono fatte, ecc., e di martelletti che nelle orecchie degli umani vibrano di conseguenza e di neuroni e sinapsi che conducono particelle elettriche a seconda di quelle che vedono arrivare, o sono fatte di pezzettolini di inchiostro, forse non più quello dei calamai di vetro che i bidelli della mia infanzia passavano ogni tanto a riempire con una caraffa di metallo dal lungo beccuccio (citazione dal moreschico sbrego) ma da un moderno e asettico inchiostro che più le dita non macchia orribilmente, oppure sono nerastre eccitazioni di liquidi cristalli disposti opportunamente su un piano quasi verticale, che emette particelle di luce verso le retine di umani, e quindi qurll’invece dell’inizio frase forse non andava detto perché le nobili parole e le umili cose sono poi fatte della medesima materia, e quindi sono tutte cose.
Come si fa dunque a mantenere perlamadonna distinte le parole e le cose; forse che l’analisi scientifica che distingue, distilla, disseca e dunque dissecca non coglie, non coglie nulla di ciò che interessa a chi pone le domande. O forse chi pone le domande non pone quelle giuste cui la povera scienza, molto lontana dall’essere onnisciente, è in grado di rispondere.

Perché il sigma intervocalico, in un certo periodo dell’evoluzione del greco, e in certe posizioni, cadde, dando luogo a tutte le ben classificate contrazioni che gli studenti del classico si devono presto sorbire? Perché ai greci del buon tempo antico veniva male di pronunciare la esse tra due vocali, così che l’eliminarono senza tanti complimenti? E invece, senza sorpresa, l’italiano è teso ad una fase di tante esse sospese che, senza fisime e senza enfisemi, non danno luogo ad alcuna sintesi di vocali.
La scienza del linguaggio non lo sa, così come, ancora più giù, la scienza della natura non sa cosa sia la carica elettrica, o il colore o il sapore del quarkottino. Però sa – almeno un po’ – come funziona.
Sarà che la domanda sull’essere è strana e ci siamo abituati male a farla, è meglio la domanda sul come funziona? Nelle lingue delle nazioni indiane il verbo essere combinava meno guai.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.