Tutto su sua nonna e molto altro
Giuseppe Caliceti intervista Silvia Ballestra
Con Tutto su mia nonna, da pochi giorni nelle librerie per Einaudi Stile Libero, Silvia Ballestra si riconferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, come una delle (giovani) scrittrici italiane più acute e divertenti di oggi. Autrice di culto per le nuove generazioni, fu scoperta da Pier Vittorio Tondelli. In questo nuovo divertente romanzo familiare al femminile, non rinuncia a un‚attenzione estrema a una lingua letteraria coloratissima che tiene sempre d‚occhio la lingua orale, mostrando una grande felicità espressiva. Nel libro parla di sé, di sua madre e soprattutto di sua nonna. Le abbiamo fatto alcune domande.
Un libro al femminile, ma molto spassoso. Una rarità, non credi?
Sì. Non so perché il genere saga familiare è sempre imperniato sul dolore, il sacrificio, i drammi. E comunque, in generale, mi sembra che in questo Paese ironia, autoironia e, diciamolo pure, comico, non vengano frequentati né spesso né volentieri. In questi anni, nel mondo, grande è la paura, grandi sono le paranoie, e non mi dispiaceva pensare di far divertire qualcuno, far passare un paio d’ore di spasso.
“Tutto su mia nonna”. Non è la prima volta che parli di nonne…
Infatti, il primo libro era dedicato alla nonna e nella raccolta Gli orsi c’era un racconto ove compariva per la prima volta questa stessa famiglia… Credo che le nonne siano importanti e mi interessava soprattutto vedere questa situazione particolare d’una famiglia tutta di donne e come la lingua venga trasmessa secondo una determinata matrilinearità. E’ un’idea (non nuova in linguistica, vedi le riflessioni sulla lingua materna, né in letteratura, vedi Canetti con La lingua salvata e Benjamin con Un’infanzia berlinese) che va ribadita e sulla quale vale la pena di riflettere. In più mi permetteva di continuare una mia ricerca attorno al “femminile” cominciata con La giovinezza della Signorina N.N. , la maternità di Nina, le amicizie del Compagno di mezzanotte.
Perchè quando pubblichi un libro cambi sempre editore?
Per motivi vari. Volete sapere qualche pettegolezzo? Pronti. Alla Mondadori non mi pareva il caso di restare, era il ’94 e il buon Silvio era appena sceso in campo: può il presidente del consiglio essere il tuo editore? Direi di no. Alla Feltrinelli, dove avevo appena pubblicato Gli Orsi – libro andato benissimo ma che misteriosamente non si trova più in libreria – avevo parlato del lavoro che stavo facendo con la Lussu ma nessuno ha pensato di mettermi sotto contratto. S’erano mossi in parecchi, invece, fuori di lì, e scelsi Baldini e Castoldi perché mi propose di leggere per loro libri stranieri, dunque di avere anche un ruolo in casa editrice. Rizzoli è stato un ritorno presso un editore maggiore con tutti i pro e i contro: questo da Einaudi è un blitz con un libro sperimentale. Stile Libero, come dice la parola, è davvero uno spazio di libertà e sperimentazione – forse il solo rimasto – e con loro si lavora come si deve.
Cosa ricordi di Pier Vittorio Tondelli?
Ricordo solo cose belle. L’esperienza con gli Under 25 è stata straordinaria ed è una lezione esemplare che vale ancora. Dopo la ricerca che ha condotto poi Canalini attorno all’opera di Tondelli, rileggendola in chiave girardiana, riflettendo sul ruolo del capro espiatorio e il mediatore del desiderio, appare tutta la grandezza dello scrittore Tondelli, più importante che mai.
La settimana scorsa sul Corriere della Sera hai dato l’annuncio chela manifestazione letteraria “Ricercare”, che è nata e si è svolta per dieci anni a Reggio Emilia, dal prossimo anno si farà a Macerata. Parlaci di questa cosa.
Non so se si chiamerà Ricercare, ma l’idea è quella di riprendere la formula “lettura e commento dei testi” con serate letterarie cominciata a Reggio Emilia. Dunque ci sarà un comitato tecnico-scientifico che leggerà e sceglierà dei testi da sottoporre ai critici. Solo che in questa prima edizione autunnale si terranno gli Stati Generali della Letteratura, vale a dire una sorta di convegno su due giorni per discutere dell’attuale situazione, fare bilanci, eccetera, e poi dal prossimo anno si ripartirà col laboratorio così come lo conosciamo da Reggio.
Hai detto che “Ricercare”, trasferendosi a Macerata, torna da dove è nato. Ma è nato a Reggio Emilia. In che senso lo dici?
Non ho detto che torna a Macerata Ricercare: il ritorno era riferito a me, e intendevo anche dire che per me la ricerca, un certo tipo di fare letteratura, è cominciato proprio con Under 25 di Tondelli e la Transeuropa di Ancona… Io questo link, fra il laboratorio Tondelli alla fine degli Ottanta, e Ricercare nei Novanta, lo vedo chiaro e limpido.
Cosa pensi dei festival letterari?
Sono appena tornata da un bellissimo festival che si tiene a Montreal: duecento invitati, organizzazione impeccabile, ospiti provenienti anche da letterature “minori” (vale a dire non anglofone) e non è il festival più importante… E parliamo del Canada, cioè un paese immenso e pochissimo popolato… In Italia, invece, faticacce tremende e terra strappata al mare col secchiello. Non mi piace la spettacolarizzazione della letteratura, lo scrittore come rockstar solitaria (cfr. Mantova), mi interessano di più i luoghi ove si possa dibattere e la letteratura fa un passo avanti, democraticamente, anche per chi è agli inizi. Troppo facile chiamare le punte e i golden boys, benissimo invece chi da’ spazio a chi normalmente non ne ha.
E dell’editoria italiana?
Penso tutto il male possibile, con le dovute eccezioni. Penso che andando avanti così la nostra letteratura scomparirà e verrà inghiottita del monnezzone globale (ne avevo già avuto sentore tre anni fa visitando la fiera di Francoforte: una roba da brividi coi junk-book che trionfavano come la merda del fastfood). Penso anche però che la colpa è del sistema culturale italiano in generale che, d’altronde, è stato, per ovvi motivi, il primo a risentire di questa caduta a picco nella barbarie rappresentata dai pasticci d’un simile premier: e quindi salta per prima la dignità culturale d’un Paese, poi quella morale, fino arrivare al crollo economico e politico. Prima se ne va Silvio, prima cominceremo a ricostruire sulle macerie che ha lasciato. E questo vale anche per la produzione culturale: pensa solo al livello che abbiamo raggiunto con la televisione. Comunque la crisi del libro è bestiale anche se nessuno ne parla seriamente e tutti continuano a dire che va tutto bene. Ti dò solo due dati: il Diario di Anna Frank che all’improvviso non si vende più neanche agli studenti, e il fotografo di scrittori che mi dice che in Italia non lavora più e vende le foto solo in Francia. Due cose diversissime ma che la dicono molto lunga.
Questa intervista è uscita martedì 3 Maggio su Liberazione.
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Se il fotografo di scrittori non lavora più la colpa è tutta di Wu Ming, che, con la scusa di una diversa “autorialità”, ha lanciato tra gli scrittori la moda di non farsi più fotografare, nemmeno per il Times (vedi Lipperatura):-/
A proposito, Tiziano, questo libro (che non ho letto) c’entra nulla con “Mia nonna è morta, e fra sette mesi, sei giorni e sette ore morirà anche il Novecento. Di tutti e due – che pure ho amato e che mi sono stati carissimi – delle loro tremende, tragiche carabattole, io non ne voglio più sapere”?
Ti avevo ben suggerito di ritrattare l’affermazione, ma la Ballestra ti ha dribblato di brutto.
Non si può parlare, come fa la Mazzucato, di recuperi inconsci di cose lette in passato da qualche parte. Qui c’è il copia/incolla di interi periodi!
Scandaloso, davvero scandaloso.
Cose che erano sul suo blog molto prima che pubblicasse l’e-book e che fossero sul blog les miroirs. Io le ho lette.
Poi ho seguito, perché leggo il suo blog e mi piace la nascita dell’e-book e la cancellazione dal blog delle poesie. Molto semplice. Ma facile renderlo un caso che butta merda sulle persone senza valutare, solo per il gusto di creare un caso “contro” qualcuno e, anche, per qualche invidia repressa.( So che di Mazzuccato sta per uscire un libro dove ci sono alcune voci dalla rete, un libro cartaceo. Alcune sì e altre no) Cercate di essere un tantino più ampi nella valutazione.
Che lei voglia tutelarsi mi pare sacrosanto, io farei la stessa cosa.
Scusate da quella via che uno copia, o plagia, come cercate di dire, ci fa un libro gratuito, un e book?
Che sciocchezza. Provate a vagliare meglio questo mondo pieno di piccole vendette e polemiche davvero strumentali.
Io le ho lette. Sul suo blog, molto molto prima delle date riportate. Ci vuole niente a ricostruire.
Qualcosa di informatica la so.
Le ho già offerto il mio contributo per ricostruire i post che lei, inopinatamente, pensando che non ci fosse tanto astio e tanta invidia, ha cancellato.
Starete a vedere. Lo dico con certezza percheé una delle “incriminate” la commentai anche.
La data era molto più remota.
Aggiungo che Mazzuccato quando può aiuta, sostiene e contribuisce alla pubblicazione e alla segnalazione di moltissimi blog, raccoglierà racconti di scrittrici che lavorano sul digitale. Forse Les Miroirs si è sentita esclusa, forse.
Ma chissenefrega dei motivi per cui è uscita la notizia se la notizia è vera?
Guarda, sulle date, ci si appelli anche a splinder. Non prendiamoci per il culo, per favore. Da raz c’è una parte, poi c’è molto di più -a chi vuole posso anche inviarlo- E credo che quando si parla di un “signor cochi bruni”(marco) che è il mio più caro amico e di “un vecchietto dal naso rosso che rastrellava le foglie in psichiatria”, e “di una donna (chiara) che mi diceva ti sarò sorella e amante solo un po’”-bè, mi spiace tanto, ma quella è la vita mia. E se vuoi ti do’ gli indirzzi delle persone che in quei miei stralci di vita compaiono attraverso l’inchiostro.E –per quanto mi riguarda- nellla clinica a vicenza io, la mazzuccato, non l’ho mai vista.
ora credo che sul fatto si sia anche detto troppo. Io faccio presto a chiudere les miroirs, se si crede davvero che tutto questo nasca da un’ansia mia di protagonismo -a prova che di questo me ne frega assai poco. E non solo c’è chi può dire di aver letto da me quelle parole molto prima, ma c’è chi le ha lette e sentite dalla mia voce molto, molto molto prima.
Di plagi, accuse, querele a me non frega nulla.
A me frega che Mariasole sia rispettata, non l’elos-che-scrive.
E se c’è chi questo non l’ha capito, è affar suo. L’unico periodo in cui non ho letto il blog della mazzuccato è quando, guarda caso, avevo chiuso il mio perchè stavo in condizioni pietose e son finita in posticini che sapevano di marcio.
magari! però, il marcio si trovasse solo tra le mura di una casa di cura, di una casa del culo.Il marcio trabocca un po’ ovunque.Io personalmente vorrei prenderne le distanze.Ma se si vuol giocare pulito in questo gioco sporco, allora si contatti Splinder – che i diritti “d’autore” è a “lui” che vengono affidati. Si chiedano davvero le date. E ci si attenga al vero,almeno qui dentro.
Ora copio-incollo il resto. E giudichi chiunque.
La Mazzuccato scrive su smagliature:
FUORI GIOCANO
Ho bisogno di un pugno allo sterno, la testa alla testa collegata, non rammollita, come una bambola di pezza senza dita, ho bisogno di osservare. (vorrei anche mangiare, scopare, carezzare ma non posso. Non riesco. Mi prende un miraggio mi uccide in un raggio la speranza di una vita normale non diseguale a zig zag rovinata slabbrata)
Sto sfiorando il precipizio, è diventato un vizio, mi ci sporgo e strappo il fiocco, mi ci infilo e poi ritraggo. Ma sarà per poco Signori, e non mi contengo come l’infanzia si appresta a trattenere – prima della vescica – il desiderio. Io sono bambina gambe nere, io ho ucciso il bambino allargando le gambe dopo troppo vino senza conoscere il destino.
Come posso aspettare, il Tempo, che è morto durante quell’aborto?
Cosa posso aspettare se ritengo il mio corpo indegno, di carezza, scopare, osservare e anche di mangiare? (sono scheletro di legno)
Non riesco, non posso uscire, non è un tranello, non è un Edipo, ma una richiesta d’aiuto: ho male alla vita che rimane, alle pupille strette e strane. Ho perso, sono sconfitta.
Fuori giocano. Certo d’apparenza ed è cornice da sfregiare, ma tutto il loro movimento mette in angolo il mio, ho una stasi sopra l’ugola e il basso ventre senza via. Li guardo.
Ho perso la corsa. Lo slancio, l’entusiasmo, la pienezza. Ho perso l’interezza. Datemi l’uscita che sia indolore, anestetizzata ma che sia l’uscita non bloccata da questa vita non voluta.
Ho male alle spalle del troppo peso, alle cosce striate di smagliature tirate, ho male ai tetti del mio panorama, alle case dai colori pastello, allo sguardo di quell’uomo col cappello. Ho male alla realtà, che guardo e posso modificare, senza sapere dove andare, alle pareti, alla zampa nel tombino, al bacio, al sapore, alla pietra secca, ho male all’accoglienza, alla sentenza. Ho male al mondo. Fuori giocano, non li invidio, non li considero. Io ho ucciso il bambino avrebbe avuto un anno domani al mattino.
Ho male. Alla regia del silenzio e del non detto, al desiderio portato all’aperto con indecenza allo scoperto, (che ha me non sarà data, l’indecenza, croce sopra, è saltata).
Fuori giocano. Probabilmente è uno due tre stella, magari la filastrocca non è quella, ma ci somiglia, giocano a chi lancia e a chi piglia. Li guardo di straforo, ma non so chi sono loro, chi deve andare e chi è nato solo per tornare. A quell’origine che ha tradito. Che ha perduto in un momento ardito, perché non si è fermato (ah, l’errore di presunzione ammantato) Io ho male, ho male alla penna e al pertinente, al detto per dire, al minuto taciuto, alla piazza, la folla, ho male. Questo è il mio rigolo di sangue. Non fatemi tornare, non fatemi rifare tutto il gioco, io che non posso mangiare, carezzare o
scopare, non fatelo che ho male. Fuori giocano, io dentro non respiro.
Questo è ciò che ho scritto IO il 9 ottobre:
Sabato , 9 Ottobre 2004
A Rotta di collo
Nella città della calca ricca oggi è tutto stanco: il sabato già odora e puzza di domenica. E non è un giorno ma Storia che cade.
Eccomi in faccia al vetro, vapore che confonde per un giorno di provincia e di risacca . Vorrei un pugno al cuore, la testa alla testa, il letto ad osservare e invece sto s-forando e non contengo, né terrore né illusioni.
Prima della vescica, l’infanzia si è accucciata a trattenere rabbia e desiderio all’implosione , ma non è madre né Edipo ne tranello: è un Mondo che mi duole e circoscrive. Ho male alla terra e al suo respiro: Io, non respiro.
Eccoci, signori della cima: fuori giocano d’azzardo e d’apparenza, sfregiano il quadro a patteggiare le cornici e s’è un moto ridicolo – il loro- che scalpita da fermo e non s’accorge del proiettore , moi, la petite, resta in angolo alla tana. Ma c’è forse Tana che tenga o che trattenga?
“Datemi una via d’uscita, Voi che osate il Falso! Che d’entrata piango e ho parola mesta, il male ai denti , ai tetti , alle pareti , alla zampa nel tombino, ai baci alla panchina , al sapore maledetto, all’accoglienza, alle pietre, ai volti di sentenza, ho male a un mondo e non respiro.
Fuori, sfoggiano e sparano la regia del tardi detto, del falso sogno e del ritorno. Mais j’ai mal à la tete, frères.E adesso che ho un pozzo nel mirino, non ho piedi per il mondo – quand les autres vont rigoler – ma solo un rigolo di sangue che mai ho rilegato e mai rilegherò.
Per nuovi Soli alla bestemmia e poi anche ,solo , ad un respiro.
Vi amo, frères.
Francesca scrive :
REDUCE
“Io vi porto in un mondo che è come il mondo dei sogni, rivestito soltanto degli oggetti che hanno dimostrato il loro valore simbolico…”
Anais Nin
Il grido delle femmine appostate all’angolo conosciuto, la donna grassa con l’imbuto, la passante che sa di avere l’anima malata, l’altra che ancheggia sui tacchi malamente, ma sotto lo sa solo lei, ha le mutande brutte. C’è la moglie del notaio con proprietà terapeutiche, dalla porta sempre aperta come la cerniera. Passano solo donne nell’approssimarsi della sera. Una fa un inchino alla piazza vuota, a mala pena ruota, le cosce sono polpose, ha un abito sdrucito, senza inizio, senza ordito, un costume di scena per la sua vita teatro.
Reduce. Chi affronta l’immensa vergogna, chi beve latte ricordando scivolate sulla neve e le botte sul culo e le macchie di bagnato, chi si è commosso o chi è già esasperato, e spera di non rovinare quel tutto che gli appare, che guarda davanti, e che è fatto di un niente, friabile come un dente.
Reduce.
I fruscii della foresta prigione hanno sollevato la notte, l’han resa mongolfiera di stoffa leggera,e hanno rovesciato le liturgie, si sono impossessate delle mie, hanno illustrato suicidi non premeditati per creature sconosciute, quelle che popolano i sogni imbottiti di xanax, quelle che possiedi con abilità di contorsionista, quelli dove meriti l’applauso da primo della lista, da scompiglio, e poi ti risvegli nella pista da bowling di un paese dell’ Indiana.
Hanno decretato la fine della sbavatura, la fine del concorso esterno, del debito eterno, la festa della congettura.
Ed eccola, indecente figura dalle tette al vento (l’aria carezza), dal cuore contento, sfuggente il mento e l’espressione distante, dipinta dalle benzodiazepine nell’assenza di senso e di significante. Dipinta come di mascara colato, benzodiazepina contro lo spasmo doloroso, contro l’astinenza, contro la dimenticanza del moroso. Dipinta come di belletto scostante, di quello che basta stamparci un bacio e si raggruma di precaria presa, e la faccia contesa si perde in una notte sanguinante, dove la ferita intrattiene il visitatore incalzante, che chiama e non capisce, che arriva e non ardisce. A spingersi oltre. A superare il forse. A provare a fare corse dove la partenza e l’arrivo sono lo stesso punto e c’è un anello congiunto, un po’ stravagante, per impressionare la puttana straniera col vestito della sera.
Il grido ha svegliato i deboli, se deboli esistono ancora davanti a seni spogliati da suora, il grido ha svegliato quelli che dal potere hanno ricevuto le chiavi. Tieni il mondo sarà tuo, anche la bella casa, la bella donna che vorrai, la bella storia che immaginerai. Tieni, servimi nel modo che ti è congeniale e non te ne avrai a pentire. Servimi senza farlo sembrare, servimi potendo ringhiare e abbaiare e arriva fin sotto casa, davanti, dal tabacchino, più avanti non ti è concesso, non è poco l’hai ammesso. E le chiavi tintinnano forte e anche se son soli senza saperlo ascoltano musica e aspettano la morte( che sia di un pesce, di un vicino, di un’ipotesi d’amore, che sia di un binario, di una carezza, di una brezza del sabato dopopranzo, di un tentativo zoppicante di qualcosa di non somigliante, non importa)
Reduce. Il grido ha stimolato l’animale, l’ha preparato all’agguato, ha allentato le difese, le ha prese di santa ragione, ballonzolando per il balcone rotondo e polposo, in un ballo sinuoso,
e il bambino del sottoscala,
quello che stringe fra le gambe la pala e si bagna, guardando la cuccagna,
pieno come guscio, avido come animale sgocciolante,
si è arrestato un istante.
Mi ha visto grande, immensa apparizione con le mani nei pantaloni di qualcuno, mi ha chiamato sorella ma non per uno.
Ha visto una immensa camicia da notte, tette gemelle, lente, rilasciate, smagliate. Solo dopo la faccia. Ha urlato.
Reduce.
Chi si porta di malavoglia sulla roccia per il sacrificio,(cosciente eroico e anche impudico) di un dio o di un maleficio poco importa
chi s’alza ,spoglia e ride appena alzato, per il freddo che entrato, per la barba che si può ancora pettinare. Per quell’etica un po’ sbiadita che indossa ogni mattina, che fa salire in macchina, volare, testimoniare, curare, per quell’etica civile, che sembra qualcosa di vecchio anche solo a sentirlo dire, ma è testardo, vuol continuare. Tanto a qualcuno arriverà. Ci saranno reduci a raccogliere quelle briciole, quelle parole, quei gesti di compassione, quell’attenzione.
Reduce, che può ancora gridare Bella Ciao e poi fermarsi a bere e lasciare scorrere le sere televisive, con carezze furtive della cameriera più anziana, la vecchia puttana, che si dava per una parola gentile ai potenti delle feste che furono, spazzati via da più recenti uragani, devastati nella loro uggiosa perversione, senza mai avere imparato le parole “andare a prenderla” quando si tratta della felicità e richiede un po’ più di tensione, meno ilarità.
Reduce. Per l’increspatura più coraggiosa, chi la sporta la lascia cadere nell’aria uggiosa, davanti all’ipermercato spento, che preferisce al negozio del centro.
Chi mostra quello che ha senza metterci nulla davanti e ripetuto si mostra nel lamento, di un neon che sta per morire, di chi sotto certe luci non può che soffrire
chi mastica l’io, chi lo frantuma e lo ributta solo come sputo di cane,
chi fa anche un po’ pena, chi penetra e non tocca, chi lavora di bocca ché altro non può fare-.
Reduce. Chi non sa cosa vuol dire ritornare all’origine più estrema, succhiare,
all’origine ultima e prima, giocare, succhiando e mugolando all’antica,
fra smagliature e porti di mare e città arroccate in una terra di confine, che a guardarle sembrano rovine e che un giorno saranno nostalgia, di quella che fa piegare in due e porta via..
Reduce, chi all’ultima luce ancora cuce i gomiti all’anca, chi si piega e non si stanca
per un timore di peccato e perdizione, chi ancora ha nel canto di vecchie nenie contadine,
il conforto di bambine e di stelle.
Reduce, che non c’è più grande peccato d’ingannare non più grande tristezza di sentirsi brutti quando la bellezza è nella testa e in quei reticolati, in quelli dove scorrono fogne di prigionieri, dove passano i carcerieri e quelle chiavi tintinnano minacciose.
Reduce, chi nella terra limacciosa sa sporcarsi le mani ma non per finta, non per un gioco, reduce chi non fa durare poco quello che un giorno è stato per caso e che potrà ospitare i pianti di ieri anche secchi, anche muti e chiusi agli orecchi(occhi sui seni e pene pronto ad entrare)
Reduce, chi nel letto con una donna attende
Il domani senza speranze di ore non somiglianti, il freddo fuori, le mani senza guanti fino allo spaccio.
Chi stringe il laccio dopo aver mangiato con le pupille.
Adrenalina a mille, ancora emozioni. Da fissare senza paura, da fissare nella radura,
con la forza sicura e ribelle
Che sembra arrivi da vaghe immagini di stelle.
Ma quanti fra noi incarcerati col vestito dei carcerieri,
quanti con l’uovo del mattino per farsi forza, sembri un uccellino, vieni fra gli argenti,
non digrignare i denti, vieni fra gli interni foderati dove abbiamo creduto di esserci amati
e abbiamo foderato una famiglia di menzogne, di zampogne di porcellana, di copriteiere di lana,
vieni a vedere la filippina bellina, quella che tuo padre porta in cantina
nel buio quando non c’è nessuno, a lucidare la targa ricca
quella sulla porta dove sta il dottore.
E non lasciarti sfuggire il tuo solito sorriso, il tuo andare verso, il tuo inappropriato metterti attraverso all’obliquo, al derelitto al solitario,
(se proprio ti piace che attraversi i tuoi seni coi polpastrelli portalo nel cesso, quello laterale dove non si può entrare)
Reduce, la bestia conosciuta, forse meno di un tempo, la smagliatura ricucita ma la si può intuire, aguzzare la vista, attenzione alla svista, e ricordate che con le due caviglie chiuse, quanti poi sono arrivati all’orlo della morte con un cappuccio in testa, il tronco nella foresta e che fosse bello o guardabile o amabile nulla importava, disgustava.
Reduce. La prigione. La locazione. La fine in televisione. La gloriosa resurrezione, liberazione, lapidazione, celebrazione con applausi, operazioni rapide, unica piccola conseguenza, niente di grave, uguale.
E’ tutto finito,cani, pesci rossi impazziti dalle bocce rotonde, voi che fate le ronde e voi che le ronde le bastonate, è tutto finito, scompigli che lasciano il cuore in agguato, corpo stanco o corpo dimagrito, bimbi, uomini occhi-bruni, uomini capaci di bruciature. Magliette bianche e sporche, braccia ritorte da adulti aguzzini, cappotti blu che sembrano braccia da cui farsi stringere, binari su cui correre,voglia di fare festa, far scendere in gola qualcosa di amaro, correre incontro quando è raro, o restare fermi quando è per tutti e quindi è niente.
E’ tutto pronto – seppiatelo – a covare lassù nell’androne del contadino, il poveraccio dalla faccia un po’ torta, ha smesso di essere preso in giro. A questo giro può vincere con un niente, un respiro.
Reduce. Ricordate, voi, quel buon vecchio a passeggio col rastrello e il buffo del villaggio col cappello a paggio che girava intorno e fuori e più in là, dove a noi il permesso era negato, quando dalle case dei ricchi i ragazzini si tuffavano sulle tavole apparecchiate e noi frementi d’invidia con una manciata di riso e del pane, poco pane, liberi, a sbirciare dalla grata magari facendoci male?
Nebbia alta e chiara alla voce , io alle corde (filo spinato di morte) e tu col pane in gola che ti fa tossire. “D’accordo, accucciati qui, sopra il ventre caldo e il dettaglio,ti sarò sorella (e amante solo un po’), giuro, solo per la libellula del sabato mattina, la sigaretta sbriciolata, quel grumo marcito di cioccolata.”
“Fruga dentro, tocca, sono profonde come trincee, sono segni premonitori, sono frustate di piccoli dottori, fruga, tocca”
Ci baciavamo, ci toccavamo, per la prima volta sotto la maglia la tua mano.
Reduce e spaventato, dopo l’incubo il bambino se n’è andato.
questo è ciò che scrissi IO –elos- il 29 ottobre
Meditation on St Wencesias
Il grido del gallo malsano
ha sollevato la notte e rovesciato
ogni piccola fragile congettura,
svegliato i deboli, stimolato la bestia all’agguato
e il bambino del sottoscala
pieno come guscio
si è arrestato un istante.
Reduce.
Chi porta il petto sulla roccia a sacrificio
chi s’alza ,spoglia e ghigna per l’increspatura più coraggiosa,
chi mostra e ripetuto si mormora il lamento,
chi mastica l’io compreso solo a sputo di balena
-che ingoia e soffia e soffia e frega-
chi all’ultima luce ancora cuce i gomiti all’anca
per un timore di peccato e perdizione, chi ancora ha nel canto
la gola straziata per un prodigio dovuto a forza,
Chi ancora crede nell’Ade e nell’Eden, abbia timore lui per primo,
che non c’è più grande peccato d’ingannar sè stessi, non più grande tristezza .
Ma quanti fra noi incarcerati col vestito dei carcerieri,
quanti con l’uovo del mattino a lucidare la targa ricca e portarla
al sottomesso, la bestia conosciuta e le due caviglie chiuse, quanti poi arrivati all’orlo della morte – la petite mort- o la grande ,non s’arrestano per il terrore alla ribalta? Ma se è morte in noi e nostra , è sempre all’altro , lui che resta, che cadono i sensi.
La prigione.
E’ tutto finito,cani, è tutto finito ,bimbi, uomini occhi-bruni, piccole gambe olandesi: è tutto finito. Capelli rossi,magliette bianche, è tutto pronto -sappiatelo- a covare lassù nell’androne del contadino, il poveraccio dal naso a bolla.
Ricordate, voi, quel buon vecchio a passeggio col rastrello e il buffo che girava intorno e fuori e più in là, dove a noi la permissione era solo alla neve, quando dalle case dei ricchi i ragazzini si tuffavano con le tavole apparecchiate e noi frementi d’invidia libera, a sperare dalla grata? Quella nebbia alta e chiara alla voce ed io alle corde e tu alle risa. “D’accordo, Marimar-marisol, d’accordo Marisol marimar, accucciati qui, sopra il ventre caldo e il dettaglio,ti saro’ sorella (e amante solo un po’), giuro, solo per la libellula del sabato mattina, la sigaretta sbriciolata e il terzo fratello che arriva”
“Ch’ui petite, Claire, lasciami stare, ‘che io rido”.
Arriva il terzo
“Ah, donne, ho scritto un libro: Dal meccanicismo al grande utero. Entra con me e poi dal retro ti racconto”.
La stanza della seconda sala alla psichiatria era un’insolita comunione d’intenti, la comunità, ed era buia e calma.
Una lei sui cinquanta dondolava stretta solo a tre movimenti precisi,quello dei capelli a scodella le soffiava alle spalle con dita in fermento, carne debole, e sguardo fisso alla tv. Un solo programma. Io e D. fermi sulla sedia ” Non preoccuparti, è un po’ anche casa mia, questa. Quelli che girano al mattino dicono ch’è proibito. Ma se ti chiedono tu fingi altre regole”
Una risata fragrante: mi volto ,scatto e timoreggio.
Sta lì, piccola e bassa un metro o poco più, zampe al(z)ate allo schienale, buffo il cappello, rossi i capelli, un gioco d’animare. E già s’era animata.
“Salve”
“Cosa vuoi da me?”
“Nulla,mi scusi, solo salutavo.Guardavo.” E avevo gambe incrociate due volte come al solito.
“E’ tua figlia,D?”
“Ma no!”
“La moglie?”
Si ride.
“Resterai anche tu con noi, bambina?”
“No, io devo tornare sopra.Tra poco è cena”
“Anche da noi mangiamo, però c’è poco spazio e i bicchieri finti. Anche da voi fanno rumore i bicchieri finti? A casa io avevo quelli di vetro della zia. Da voi sono di plastica o belli?”
“Di plastica, anche da noi”
“Diglielo, D. che c’è un naso sotto il mio letto”
“Lei ha un naso sotto il letto”
“Bambina,voi ce li avete i nasi sotto i letto?”
Guardo l’amico fratello e mi fermo. Lascio quel mondo semplificato, decido per l’ingresso: entro nel suo con un balzo.
“Sì, alcuni hanno i nasi,sotto. Io le mani”
“Guarda che se chiedi, prima di dormire te le tolgono, sai?”
Si è teso il cordone all’ irrisolto, la propria schiena che patteggia col diavolo ed è un buco al centro dallo sterno alla seconda fascia, i decimi degli occhi ribaltati e da lì, l’azzardo, l’amicizia buona, tra l’àncora e l’invisible.
Oh notte! Precipitami il tuo mantello alla purezza, nascondimi prima e poi portami là dove ogni cosa è perpetua e privata dal bisogno!
La veste bianca delle congiunzioni, ridammi il silenzio masticato e la statua del giardino d’aurora – dove si ode troppo, e si schianta la mediocrità. Fino a quando la mano si sdoppia. Poi si smette di aspettare.
Perchè il tempo che odorava di cammino è perduto, non c’è più superficie che sostenga, la notte è un uomo ma anche donna. Materna la seconda faccia, è il primo invece vera madre-e dura- senza bisogno, senza ultimo scopo, nè gravidanza nè controllo.
La Notte dopo l’eclissi è il bambino circolare, danza che parte dalla fine e lenta torna al primo passo, la notte amante per eccellenza, che tutto dona e se ne frega.
L’imperfetto è femmina, il dirsi costante dietro il vetro e l’occhio. Sotto pelle si racconta, in quell’istante preciso, un momento in differita, la forumlazione dell’ipotesi e la costruzione: l’imperfetto è la giustificazione del presente, l’imeprfetto è donna.
E se ci vuole molto più coraggio a concludere che a fare un nuovo verso,si ami la notte che non ha inizio nè fine ma solo verbo, l’Essere, e mai coniugato.
In ultimo aggiungo: Ciò che poi sconcerta, di questi giorni,è che come sempre,chi accusa senza prove non si da’ mai un nome. Chi invece non accusa ma riporta con le prove in mano,il proprio nome non ha timore di mostrarlo,e di quel nome si assume ogni responsabilità.
mariasole
Scrive Francesca nel suo libro, il 3 marzo:
Ti ho aspettato in anticipo di un giorno intero e di un mattino.
Non sei venuto e ho rincorso un ombra nel giardino Poi son tornata nella stanza per buona creanza mi sono guardata le strie tutte rosa che storie di amanti che storie da pazzi che storie di frizzi e di lazzi di voli e di cazzi con voglie e con soglie da non superare finché non c’era il permesso finché non vomitavo sul cesso
la carne che si scioglie
e il desiderio smembrato
di cadere al centro
e perforare visioni lacera le contusioni procurate nel giardino.
Ti ho aspettato in anticipo di un giorno intero e di un mattino.
Questo è ciò che scrissi io il 12 agosto 2004:
giovedì, 12 agosto 2004
Camere chiare in prima fila
Due tempi d’anticipo
la carne che si scioglie
e il desiderio smembrato
di cadere al centro
e perforare visioni.
Ho fame,
Ho sete.
Polvere nuova al posto delle braccia-
Se mai la distanza fosse rituale
Oggi sarei donna
e avrei un amante
al posto della testa.
Ma ho solo due occhi sbarrati,
il fuoco sulle tempie
e odore di bosco
al centro del petto.
Strappatemi una pelle, toglietemi una voce, bruciatemi le notti, Voi che avete parole gravi e musica buona. Che ho bevuto per fecondare gole ma ho inchiostro solo ad imbrattare il foglio.
Ci sono alcuni, fra voi, uomini e donne, che bacerei sulle labbra.
Forse adesso Indignato, campione nell’arrampicatura degli specchi, ci dirà che le cose vissute da Elos erano già state vissute dalla Mazzucato molto tempo prima e chiamerà a testimonianza qualche medium…
questo “Off Topic” meriterebbe spazio più visibile fuori dai commenti.
qualche indiano che batte un colpo…?
Concordo con Diego.
Tra l’altro è stato tirato in ballo, non ho ben capito a che proposito, anche Antonio Moresco.
Comunque si trova un resoconto dettagliato della triste vicenda su questo blog: http://tunga.splinder.com/
purtroppo si trova anche un resoconto ancor più dettagliato qui: http://sergioboratto.blog.excite.it
Finisca ogni cosa.La nausea è ovunque.
Nauseante è il termine giusto.
La Mazzucato sta andando via di testa. Leggetevi il sito segnalato da elos perché è un perfetto, e purtroppo tristissimo, esempio di rovesciamento della realtà: chi dovrebbe essere querelato minaccia querele, chi dovrebbe scusarsi si indigna, e chi avrebbe tutte le ragioni per indignarsi quasi si scusa.
Allucinante.
è appena scomparso, quel sito.
E guarà un po’, io avevo appena trovato i dischetti con le dovute prove. Stanno qui, accanto alla mia mano. Al caldo.
Qualcuno di Nazione Indiana vuole gentilmente spiegare perché sono stati rimossi i post in cui si parlava del presunto plagio della Mazzucato?
I commenti sono stati rimossi su esplicita richiesta di chi li aveva postati.
cioè andrea barbieri ha chiesto la cancellazione? va bè, pazienza.
Io comunque comincio pensare che per quel che ha fatto la Mazzuccato che tutto cada nel vuoto abbia poco senso.
Ho già ricevuto tre telefonate al numero di casa in cui si sentivano solo rumori. C’è mezza rete che ha il mio indirizzo ed è venuta a conoscenza di questioni piuttosto personali.Senza contare il fatto che ho tutte le prove a confermare il plagio (ma per quello m’importa ormai ben poco). Starò a vedere che succede, quanto meno però le scuse le attendo.
(ad ogni modo,capisco perfettamente se i nostri commenti verranno cancellati. Non è questa la sede: abbiamo portato un off topic all’esasperazione. Anzi, per questo un po’ mi scuso)
Elos, sono d’accordo con te. E’ una cosa che non va lasciata cadere nel vuoto. Tra l’altro hai la legge dalla tua: qualsiasi materiale pubblicato su web è protetto dal diritto d’autore. Potresti insomma andare in giudizio e chiedere un risarcimento per violazione di paternità d’opera.
PS. Hai scritto alla casa editrice di Smagliature per segnalare il “fatto”?
Andrea Barbieri, da quanto ho capito, è stato minacciato di querela per aver diffuso la notizia del “presunto” plagio sul forum di Fernandel e qui su Nazione Indiana. Credo sia questo il motivo per cui ha chiesto la rimozione dei suoi post.
Se c’è qualcosa di ancora più sconcertante del “presunto” plagio, è proprio questo uso intimidatorio che ha fatto la Mazzucato della querela (vantando parentele e amicizie influenti) allo scopo di tacitare voci e impedire alla verità di emergere.
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