Estratti dall’opera “Le spade nella roccia”
Mio figlio è un fuoriclasse.
Le palle dei bambini.
Il vecchio vestito da sera.
L’asino di troia.
Tre donne mezza spada.
Il sesso cantato forte.
Orecchio assoluto per lobi.
E’ bene che si sappia. Sono un essere disgustoso. Il fallimento, Labaro pagano dei molli – magnifico crogiuolo acido-basico di natura chimico-allegorica, chiama a raccolta le mie forze. Le forze dei dieci soldati. Eunuco per vocazione, glabro alle natiche – decigliato, desopraccigliato, depilato il pube e infilato il cappello delle grandi occasioni (con il verde virgulto del germoglio) – erettissimo vagolo il mortaio dei vivi.
Ecco quindi, oggi, la grande decisione. Abbandono il fischio. Tutti i nostri parenti seppero un giorno che un fischio li avrebbe salvati. Lo disse l’Angelo di Spalle, agitando la veste in circolo. Tutti lo amarono, quest’angelo, ma nessuno guardò la veste in circolo. I nostri acufeni ebbero priorità scientifica. Furono confusi. Sei otorinolaringoiatri – coram populo, soddisfatti di tutto – mi chiamarono acufeno.
Fui acufeno confuso tra i fischi della scienza.
La scienza dei gatti.
Un punto assoluto del quadrato.
Bambini latini nel fango.
Cento alla terza, un terzo di cento, uno per mille.
L’acqua che non bagna i piedi.
La finestra interna del cesso.
La metafisica dei Perugina.