Borges, o della lettura
di Sergio Garufi
Accantonato frettolosamente come un abito smesso, ritenuto ormai liso e sorpassato, oggi postmoderno non è più quella parola feticcio utile a designare e nobilitare qualsiasi cosa – fosse un romanzo, un risotto o un bikini -, di cui si riempiva la bocca soprattutto chi ne ignorava il significato; ma è diventato un epiteto infamante, la quintessenza di ogni nequizia artistica.
Messe in soffitta l’intertestualità, la metanarrativa, la contaminazione dei generi, perfino l’ironia, considerate in qualche modo responsabili di un’idea rinunciataria e immiserita della funzione della letteratura e del ruolo dello scrittore; del postmoderno forse sopravvive solo l’estetica della ricezione, la sua creatura meno impresentabile.
Eppure al critico pedagogo, cioè a colui che si sente investito del compito di formare e orientare il gusto del pubblico, non può non imbarazzare che il lettore intervenga, si senta finalmente parte in causa nel processo di creazione di senso generato dall’opera. Tuttavia, se è innegabile che questa sorta di democrazia ermeneutica ha per certi versi minato l’autorità dei mediatori culturali e comportato seri rischi di deriva interpretativa – al punto da spingere Eco a circoscriverne l’ambito di utilizzazione, perché i percorsi di significato di un romanzo sono molteplici ma non infiniti -, è altrettanto evidente che non si può più ridurre l’ homo legens a un mero elemento passivo di questo processo.
Leggere significa instaurare un dialogo con l’opera, perché il lettore è textum egli stesso, che misura e confronta l’ordito testuale con la trama del proprio discorso. Borges, additato da John Barth come il padre putativo del postmoderno e dell’estetica della ricezione, illustrò perfettamente il concetto dell’interazione tra il mondo del testo e l’esperienza del lettore in diversi saggi e racconti; primo fra tutti il celebre Pierre Menard, autore del Chisciotte. L’esempio dell’arancia, che l’argentino prese in prestito da una spiegazione del padre circa la natura della filosofia di Berkeley (l’ esse est percipi), è molto chiaro in questo senso. In sintesi, Borges affermava che il gusto dell’agrume non sta nel frutto e neppure nel palato di chi lo assaggia, ma nel loro incontro. Preso isolatamente, un libro è un oggetto inerte, un volume che occupa dello spazio. Vive e si anima unicamente entro l’orizzonte d’attesa del pubblico.
Più o meno questo sostiene Lavagetto nel suo breve e densissimo saggio intitolato Eutanasia della critica. Mettendo in guardia dai facili entusiasmi di coloro che hanno salutato come una svolta epocale gli straordinari dati di vendita delle promozioni librarie allegate ai quotidiani, l’autore ha spiegato che quella massa di testi entrati nelle case degli italiani è prima di tutto un fenomeno commerciale. Affinché diventi anche un fenomeno culturale, quei classici devono essere letti; in caso contrario rimarranno dei complementi d’arredo, dei “certificati di buona condotta”.
L’impressione personale è che i motivi di questa scarsa propensione alla lettura siano profondi e radicati. Pur essendo avido di blasoni culturali, il lettore occasionale in genere preferisce optare per la fruizione di espressioni artistiche meno impegnative in termini di tempo, ma socialmente reputate altrettanto nobili. Visitare una mostra o un museo lo si può fare pure in un’ora, vedere uno spettacolo a teatro o un film al cinema in due. Leggere abitualmente, invece, implica lo stravolgimento delle proprie abitudini di vita, perché è un’attività che abbisogna di molto più tempo e attenzioni, sottraendoli necessariamente a qualcos’altro. Non è un caso che la lettura, per il grande pubblico, si eserciti soprattutto quando non si può fare altro: durante i viaggi in treno o mentre si prende il sole in spiaggia. Eccettuati questi “tempi morti”, la regola è quella che Busi denunciò a suo tempo, quando ironizzò sul fatto che in questo paese “si leggono quadri, edifici, stoffe, spettacoli musicali, pugilato, segni. Tutto tranne i libri.”
Ma c’è di più; e ancora una volta è Borges a chiarirci di cosa si tratta. In diverse occasioni, l’argentino ebbe a dichiarare di sentirsi essenzialmente un lettore. Per esempio nell’incipit della poesia Un lettore, inclusa in Elogio dell’ombra, dove dice: “Menino vanto altri delle pagine che hanno scritto; il mio orgoglio sta in quelle che ho letto”. Forse, questo dipendeva dal fatto che il parto della scrittura, come testimoniano i suoi manoscritti pieni di correzioni, cioè non esenti da quello che viene chiamato “il tormento dello stile”, fu per lui appagante ma non indolore. Stando a quanto riferisce Estela Canto – la donna che lo scrittore amò senza esserne corrisposto all’epoca della stesura de L’Aleph – nel suo libro di memorie Borges in controluce, lui non conobbe altra felicità che quella della lettura, ma essa fu sentita come un surrogato della felicità che la vita gli aveva negato.
Uno dei temi che carsicamente riaffiora in più punti dell’opera dell’argentino, e su cui la critica si è soffermata maggiormente, è proprio quello dell’opposizione arte-vita, il rimpianto per non aver avuto una vita più piena, ricca di esperienze ed avventure non solo intellettuali. Discendente da una famiglia dal glorioso passato militare, egli sentì la propria vocazione letteraria come un tradimento di quelle tradizioni ardimentose e insieme come una parziale e insoddisfacente compensazione di quella vita attiva che il destino gli aveva precluso. Infatti, uno dei capitoli del capolavoro cervantino riscritti da Pierre Menard “tratta del curioso discorso che fece Don Chisciotte sulle armi e le lettere” (e qui giova ricordare che Foucault scorse nel Don Chisciotte l’opera che sanciva, alle soglie della modernità, la definitiva separazione fra letteratura e vita).
Ma è nel racconto Il Sud, per molti critici il suo scritto più autobiografico, che questa dicotomia esplode in tutte le sue contraddizioni e si configura come una vera e propria lacerazione psichica. Juan Dahlmann, il protagonista ed alter ego dell’autore, era anch’egli un anonimo bibliotecario di Buenos Aires, oltre che nipote di un valoroso soldato. Come capitò a Borges nel 1938, anche Dahlmann incorse in un grave incidente a causa di una “distrazione letteraria”, cioè venendo colpito alla fronte dallo spigolo di un battente, mentre saliva in fretta le scale di casa per poter leggere quanto prima un esemplare prezioso de Le Mille e una notte appena acquistato. Operato d’urgenza poiché in pericolo di vita per una setticemia, Dahlmann guarì e decise di partire verso il sud, dove trascorse la convalescenza in una fattoria lontano dalla capitale. Durante il viaggio in treno aprì la valigia ed estrasse la copia de Le Mille e una notte, il libro per il quale aveva rischiato di morire, ma “per la verità Dahlmann lesse poco; la montagna di pietra magnetica e il genio che ha giurato di uccidere il suo benefattore erano, nessuno lo nega, meravigliosi, ma non molto più del mattino e del fatto di esistere. La felicità lo distraeva da Shahrazad e dai suoi miracoli superflui; Dahlmann chiuse il libro e si lasciò semplicemente vivere”.
Ecco, questo è il punto: pur essendo in treno, cioè in una di quelle situazioni in cui a chiunque viene naturale leggere, Dahlmann chiude il libro e si lascia semplicemente vivere, preferendo contemplare il paesaggio e i propri pensieri piuttosto che leggere; quasi che vita e letteratura fossero due termini antinomici. La felicità gli impedisce di leggere perché “chi è felice non legge”, come sentenzia Houellebecq in un’intervista recente. La morte epica in duello, a cui andrà incontro nel finale del racconto, pur se sognata, verrà vissuta come una redenzione dai libri, un riscatto da un’esistenza meramente speculativa. La felicità sta quindi primariamente nel vivere e, solo succedaneamente, nella passione per quelle sinopie della vita che sono i libri.
Vien da pensare, insomma, che al di là della cronica scarsità di tempo libero a disposizione, e della fatica e dell’impegno che la passione per la letteratura comporta, il vero ostacolo a una maggior diffusione dell’abitudine alla lettura consista appunto in questo: nel sentirla come qualcosa di non vitale, di non aderente alla vita di tutti i giorni. E allora, fra le tante proposte paradossali o provocatorie che sono state avanzate di recente da alcuni critici per rivitalizzare l’esangue passione della lettura – tipo l’invito a trattarla come un tabù o a proibirla, perché in fondo di vizio impunito si tratta -, io continuo a preferire l’idea di Manganelli, contenuta in un suo scritto del 1952, la cui scoperta è merito della paziente opera di scavo condotta da Cortellessa negli archivi del Fondo Manoscritti di Pavia. In questo brano, il giovane tapiro scriveva: “Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa: diciamolo chiaro, se la cultura, se il pensare, non è vitale, se non impegna proprio le viscere (e non metaforicamente, perché il pensare è cosa totale, come il morire, è un fatto, un vero e tangibile oggetto), se non ha anche addosso qualcosa di sporco, di fastidioso, di disgustoso, com’è di tutto ciò che appartiene ai visceri; se non è tutto questo, non è che vizio, o malattia, o addobbo: cose di cui è bene, o anche necessario ed onesto, liberarsi totalmente”.
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Questo intervento mi è piaciuto molto. Tocca diversi temi importanti, un paragrafo dopo l’altro, e culmina in un’ottima citazione.
In particolare, ho apprezzato la demistificazione del comportamento dei “consumatori di cultura”, che mi ha fatto venire in mente le pagine del suo “Diario” in cui Witold Gombrowicz smaschera i frequentatori di mostre pittoriche (una pagina, questa, che basterebbe da sola a sputtanare tutto il turismo museale dei nostri tempi).
Altrettanto “edificante” la messa al bando finale dell’equazione tra cultura e “vizio, malattia o addobbo”: se messa in pratica, ne sortirebbe un’utile selezione “culturale” di ciò che vale e ciò che è meglio evitare.
Non so se fosse voluto da Garufi, ma la citazione sembra un enorme cartello che spinge in direzione Moresco Scarpa.
Scusa, Andrea, ma tu ci hai proprio la Triade (distinta dall’influenza aviaria):-/
“Bisogna arrivare a parlare di cultura come si parla di figa…”.
Se il problema fosse il “parlare di cultura”, potrei concordare.
Ma temo che invece la questione sia il “farla”.
In tal caso la formulazione manganelliana, già di per sé non molto intelligente, si potrebbe rovesciare: “Bisogna arrivare a parlare di figa come si parla di cultura”.
Tash, “farla” (la cultura) e divulgarla, cercando le forme per divulgarla.
Ho provato a dirlo su Lipperatura, mi hanno risposto che sono “l’ufficio stampa di Scarpa”, “il servo di Moresco”, l’aderente alle teorie del complotto editoriale formulate dalla Benedetti (questo la Lipperini) e sostanzialmente un trombone che disprezza fumetti e film di animazione… (ancora la Lipperini sulla parte relativamente all’animazione).
Un tizio che vende la carne su una tv privata della mia zona finisce la promozione dicendo: “ciapa ciapa e porta a ca’!”
Che dovevo fare?, mi son portato a casa anche queste brutture senza lamentarmi troppo… :-)
Tash, se prendi alla lettera quel “parlare” fai come con la Bibbia i testimoni di Geova o, peggio, i creazionisti… E poi, è un Manganelli praticamente imberbe questo qui, quindi naturalmente incline alla dismisura: perché non passargli una simile “morescata” (col senno di poi, à la Barbieri)? Voglio dire, se si tratta di bandire tutto ciò che è semplice vizio, patologia grafomaniaca o “décor”, perché no?
La bontà del pezzo di Garufi, comunque, mi pare che stia altrove, e soprattutto nella lucidità e nel ritmo misurato e costante con cui, prima della citazione finale, vengono affrontati i temi, gli scrittori e i testi chiamati in causa.
Aufwiedersehen, StZ
Quanto scrive Sergio è vero, in linea di massima. Andrebbe articolato, però, da un punto di vista ‘genealogico’. Da qualche anno giro per le scuole facendo supplenze,e quello è un buon laboratorio per l’osservazione. Chi legge è di solito un isolato. (Lo marco bene, questo ‘di solito’: la regola vive del’eccezione). E’ il Tonio Kroger che legge, laddove Hans non legge, ma ama, vive. Però l’isolamento è dato dalla dismisura: laddove eccesso e difetto si confondono. (Chi è intellettualmente superiore può spesso avere problemi di comunicazione con gli altri: è un problema di dismisura. Dopodiché, certo, di questa superiorità può deliberatamente decidere di avvalersi in funzione comunicativa ‘verticale’) Spesso i ragazzi che leggono – è l’indice più significativo – la ‘figa’ non la sanno parlare.
Questo quanto a un’analisi genealogica: ma non mi pare corretto farne una questione ontologica – come pare fare Borges nel suo racconto. In fondo la felicità sta nello sguardo sulle cose: e allora si tratta di saper guardare nello stesso modo, con la stessa pienezza (meglio: con la stessa presenza) tanto un libro quanto un’alba. Poi, certo il godimento fisico di un’alba (non dico quello della figa, questo è ovvio) è qualitativamente diverso. Ma lo sguardo felice non si fissa: cambia sempre di campo.
Bella questa equivalenza tra cultura e figa e scrittorI e giovini lettorI, nel senso di parlare di . In effetti, per parlare bene di figa non c’è come (non) averla. Come Ela del resto ma in parte (pro toto:), che la figa ce l’aveva, poi l’ha persa e poi l’ha ritrovata .
Vi appiccico dunque un pezzo:) di genere, tratto da f/32 di Euridice, 1990, tradotto e pubblicato in italia da shake nel 2000 (f/32, la magniFica assassina) http://www.carmillaonline.com/archives/2003/05/000247.html )
“hai una fica lirica, da idillio”, vaneggiano i maschi fritti e rifritti. “la tua fica contiene in se tutta la nostalgia del mondo”. I maschi parlano della sua fica con l’entusiasmo di un esploratore che posa il piede su un nuovo continente, e danno per scontato che se scaveranno abbastanza a lungo e a fondo incapperanno nel filone aurifero. “Dio sono proprio fatto! Il dono di Dio all’uomo! Non è rettangolare bensì rotonda, calza come un guanto e si gonfia come una spugna! E si muove anche! Che risucchio! Che presa! E’ della misura perfetta!Siamo fatti l’una per l’altro! Non ti lascio certo andare!” spiegano.
Permettimi di descrivermi la tua fica: la tua fica è infinita. La tua fica è un petalo di rosa in un bicchiere pieno d’acqua di rose. La tua fica è una valle verdeggiante all’alba. La tua fica è un bosco folto dentro cui corrono liberi lupi e taglialegna. La tua fica è un bar buio pieno di mercanti rumorosi, ubriachi e marinai. La tua fica è una cattedrale con un’ernorme campana di bronzo che rintocca nel campanile. la tua fica è una flotta di una potente nazione con sottomarini e corazzate, le ancore levate, le onde che scrosciano sul ponte, e un mozzo balza dall’albero in mare, il capitano s’accende la pipa, la polena di prora ridacchia, una partita a dadi decolla. La tua fica è un lago trasparente sul cui fondo riposa una bianca città sommersa, e una piovra colossale affiora dal municipio scivolando sui viali illuminati mentre maciulla sotto i tentacoli pieni di ventose migliaia di fiori freschi usati quello stesso pomeriggio per il funerale dell’imperatore. La tua fica è un rinomato bordello gremito di puttane scaltrite che si fanno truccare con ciprie bisunte e matite dure, e di ragazzi con l’acne e di ciccioni ansanti. la tua fica è il colibrì che mi canta senza posa nell’orecchio. ….
“Gli uomini reputano reale lo specchio. Quindi vivono fuori luogo. Poi lo specchio sembra una finestra. Gli uomini devono essere ascoltati. Quindi narrano.Io sono l’oggetto. Imperativo per mia natura. Dico “ti chiedo di obbedire”. Gli uomini desiderano l’occhio del diavolo: il baratro tra la mia carne e gli occhi. Gli uomini dicono: “vorrei sapere a cosa stai pensando”. Vivere nello specchio è una prova continua. Non subisco perdite. Quel che vedo è abbastanza interessante da indurmi ad andarmene (o venire) subito.
Quando vengo, scivolo tra le due , tra te e me, o tra te e te, o tra te e lui o lei e la sua immagine. Non è un’asserzione o un’inserzione. Sono aperta a tutti i venuti, a differenza di un uomo che dice “sto venendo” o “dimmi tu quando devo venire” o “sono già dentro” o “cosa senti?” oppure “visto cosa sa fare un cazzo ebreo?”. La mia venuta non elimina la suspense. Vengo per il piacere della curva.
“Il lettore tipo italiano è donna. Lo conferma l’Istat: le donne leggono più degli uomini. Il 64,9 contro il 54,9%. E con il mondo del libro hanno un rapporto più strutturato e continuativo: il 13% delle donne legge più di 12 libri all’anno contro l’11,1% degli uomini.
I motivi?…”
Gina: i motivi? ;-)
Sempre a proposito di lettura, “viscere”, differenze di genere.
Perché leggono (le donne): Leggono per piacere e passione (il 63% contro il 51,9% degli uomini) e per rilassarsi e distrarsi (il 38% contro il 29,8% degli uomini), anche se il pensiero del lavoro, della casa, dei figli spesso le rende meno soddisfatte di quanto leggono rispetto ai loro compagni.
Donne e soddisfazione nella lettura: dal focus group è emerso che l’insoddisfazione nella lettura è prima di tutto un problema di tempo disponibile, che incide sul mondo femminile impegnato nei lavori di cura. Sono gli uomini che risultano mediamente più soddisfatti del loro modo di leggere.
La letture delle adolescenti: incomincia a 12 anni la differenza dei comportamenti di lettura: le ragazze, fin dall’adolescenza, vi dedicano più tempo e in modo più continuativo, considerandola “un fatto positivo, che aiuta a crescere”. E così, mentre i ragazzi puntano al fumetto, le giovani lettrici cercano libri sul sentimento, se possibile da prendere in prestito in biblioteca.
E’ però vero che i giovani, proprio come gli adulti, leggono poco: meno di un giovane su cinque legge almeno un libro al mese. La lettura, rispetto a consumi culturali più pervasivi come il cinema e la musica, non è quindi un’attività centrale.
Secondo la quinta indagine dell’Istituto Iard, condotta su un panel di 3000 giovani 15-34enni, le ragazze leggono ben di più dei maschi, ad ogni età, ma in particolare nella fascia 25-29 anni: i non lettori tra i maschi sono infatti il 37%, rispetto al 25% delle ragazze. E questo a dispetto del minor tempo libero delle giovani donne, che dedicano più tempo all’aiuto domestico.
Cosa leggono? Le adolescenti, più dei loro coetanei, puntano su letteratura classica e contemporanea, mentre i maschi cercano più spesso romanzi d’avventura, gialli e libri di fantascienza. Come li leggono è invece “tutto un programma”: magari ascoltando la radio o la musica registrata o ancora con tv o computer accesi.
che ne so, baby. Forse noi femmene veniamo (alla cultura, neh:) davvero per il piacere della curva. e/o forse, molto più probabilmente e in quanto homo legens:), siamo davvero il filone aurifero:). chissà:) sbaraquak e viva l’euridice, lèggetelà!
In effetti i dati che porti, Emma, corrispondono alle mie micro esperienze. (Ma quale Emma sei? ;-)
Molto bello il testo di Euridice. Una scrittura milleriana, ma da quel che leggo assai più incrinata: quasi ne fosse lo specchio, e lo specchio Euridice lo spezza.
7 anni di s-figa:)
Buon per me che non ho rotto specchi allora ;-) (a proposito non so se ti ho mai detto che il testo che mi avevi segnalato – la Butler su Antigone – è un gran testo…)
:)no, non me lo avevi detto, ne sono felice:)
@Marco Rovelli
L’è garbéin, a l so, a l sint, t vu ch’a n’e’ sinta?
sté vént, sè, l’è un vantàz
ch’u t fa vnì ’nca e’ nervòus, ò capéi, sé,
l’è tótt’ umidità che la t s’instècca
tagli òsi… :-)
Gina, io pensavo semplicemente al tuo commento, dunque alla relazione tra lettura e figa.
Era una domanda retorica :-)
:)
Cara emma, insomma, siamo in effetti ricettacolo di n-capienza e paradossi;)
“Ogni tanti mesi Ela piglia l’aereo per una città o un paese diverso pur di distogliersi dagli uomini che le infilerebbero qualsiasi cosa hanno sotto mano nella fichina stretta nel tentativo di imbottirla: sigarette accese, candele, dentiere, orologi, carte di credito, monete (per esprimere un desiderio), crocifissi, cristalli, fedi o anelli del liceo, grani di rosario, penne, pillole, bicchieri, guanti, pile, foto della mamma e della fidanzata, leccalecca, tettarelle, bottiglie di birra o per il bebò, sashimi, caviale, alce flambato, bistecche alla tartara, ossa di pollo bisunte, aglio (per tenere alla larga spiriti maligni) , fichi d’India, ostriche (col guscio, salsa da cocktail o limone), serpenti vivi, lumache, il gelato che fa Steve, argenteria, lampadine, bulbi di tulipano, pile elettriche, martelli, tubi di scappamento, spine, cordoni, pungoli per il bestiame, medaglie al valore, coltelli, pistole, bombe molotov, cornette del telefono, ombrelli, gambe di sedia, di tavolo o di letto fino ad esaurimento della capienza.
Il paradosso di Ela: nonostante le incessanti invasioni, la sua fica resta la piu stretta al mondo. (non riesce nemmeno a trovare un diaframma della sua misura). Eppure nessun cazzo d’uomo (ovvero oggetto ad inserimento maschile) si dimostra troppo grosso per la sua fica. Resta persino spazio per domandarsi se esista cazzo abbastanza grosso”.
Naaa!! :-)
puoi dirlo:) cosa vuoi che sia un libro, o la britannca in tutti i suoi volumi:)
Che sia l’incarnazione di “Una stanza tutta per sé”? :-)
Pare che alcuni gnostici contemplassero la fica spalancata. Nella fica, l’universo intero. Del resto la fica somiglia a un occhio, ed è luogo privilegiato di visione…
Ho dovuto frugare in biblioteca:)
L’edizione in mio possesso conta 127 pagine, 137 se aggiungiamo le farfalle color di zolfo, 142 con la piccola enciclopedia.
il mess di prima era per emma
alderano (scoccia se ti chiamo così?), f/32! è l’obiettivo:)
No, non mi scoccia…;-) ho preso a firmarmi col mio nome anagrafico perché in rete dei nickname si abusa. Diciamo che in questo modo, almeno, ci metto la faccia.
Mi sembra che “F/32” possa interessarci – oltre che per la relazione tra cultura e figa (dunque per Manganelli) – anche per la relazione tra lettura e felicità (dunque per Borges, dunque per il “Chi è felice non legge” di Houellebecq).
Nel senso che una certa idea standard (perbene / edulcorata) di *felicità* – dopo una veloce lettura di “F/32” – potrebbe accusare diverse ossa rotte :-).
Ora – non mi pare il caso di avviare un tormentone del tipo: “Cos’è la felicità?”, “In che senso uno che legge è uno che nella vita non è *felice*?”, e via proseguendo. Però è davvero riduttivo pensare che uno che legge è necessariamente uno s-figato.
E le donne che finalmente hanno “conquistato” la lettura?
Tutte poverette? :-)
solo una cosa, di corsa, per andrea: sono sinceramente sorpresa. Non ho mai dato del trombone nè del complottista a nessuno, nella mia vita, e tanto meno a te. Credo che una, sia pur faticosa, lettura degli archivi possa serenamente dimostrarlo. Buona notte a tutti.
E andiamoli serenamente a leggere ‘sti archivi:
Scrive Loredana Lipperini:
“Andrea, […] Quello su cui tu ed io non siamo d’accordo (ed è lo stesso motivo, cara Georgia, per cui continuo a non essere d’accordo con Moresco:[…] è che la loro “mancata emersione” [scrittori bravissimi e non conosciuti] sia dovuta ad un perverso disegno teso a confermare (e anche a conformare) l’esistente in un generale appiattamento verso l’idiozia della plebe.”
Non sto a fare altri copia incolla di cose dette da frequentatori di lipperatura da te stimati che tra le altre cose mi hanno consigliato di farmi pagare da Tiziano Scarpa per un mio presunto lavoro di ufficio stampa, e altre amenità del genere. Per smentire la tua frase basterebbe andare a leggere i miei commenti al pezzo della Benedetti “La macchina e i funzionari” oppure tanti commenti che ho lasciato dalle tue parti e che tu hai sicuramente letto.
Prendo atto che a “casa tua” si può dire qualunque cosa di chiunque, capisco che questo dire qualunque cosa di chiunque mi ha stufato, e dunque ti saluto cordialmente.
Io faccio così anche nella vita reale, se qualcuno non mi rispetta smette di essere un mio interlocutore.
Beh, Andrea sono serenamente d’accordo con te… così ora hai anche tu un ufficio stampa da pagare!
per quelli che qui sono interessati a “fare cultura” e a sapere cosa e chi sono i lettori italiani c’è il sito di Repubblica col suo nuovo blog: “Il libro che vi ha cambiato la vita”.
quasi duemila interventi.
leggere titoli e motivazioni, per credere.
altro che figa (fica).
Tash, puoi “fare cultura” con un breve riassunto? :-)
Tieni presente che ho letto solo il primo intervento (quello che la vita gliel’ha cambiata Alberoni…)
a parte il fatto che un libro difficile che ti cambi la vita e che dunque la domanda è un po’ fessa – bastava chiedere quale libro ti è piasciuto di più, tra tutti quelli che hai letto? – le risposte sono stranissime. Il secondo è:
Cuori in Atlantide di S. King, e poi:
Baudolino, Oceano Mare, poi un po’ di titoli importanti, poi un libro di fabio volo (!), eccetera. Il più condivisibile tra quelli che ho letto è I ragazzi della via paal.
intanto le risposte sono arrivate e hanno superato il numero di duemila.
Gabriella ti pago in tagliatelle, va bene? :-)
Il fatto è che il problema dell’identità e dell’abuso dei nick è solo il primo gradino. Il passo successivo è avere rispetto per chi sta dall’altra parte a battere sui tasti, anche se è un semplice lettore-commentatore. Il terzo è creare una specie di piccola comunità.
Poi volevo dire che sempre in uno dei famigerati colonnini di Lipperatura parlavo degli incontri che il Teatro delle Albe organizza con alcuni scrittori: “Trebbi – pascoli e pantani”. La cosa si svolge in questo modo. Incontro al Teatro Rasi di Ravenna verso sera. Da lì in pulman ci portano alla pineta. Camminiamo per un sentiero illuminandolo con delle lanterne. Raggiungiamo una casa dentro la pineta dove c’è il camino acceso. Mangiamo. Arrivano due attori a recitare dei testi. Dopo, per la sera che ho scelto, il 19 novembre, ci sarà una conversazione con Moresco sul suo Don Chisciotte.
Non so, a me pare così bello che Le Albe organizzino questi eventi. Se fossi un giornalista culturale farei a cazzotti per scriverne su un grande quotidiano. Invece a cazzotti non fa nessuno, e a parlarne su un litblog ti prendi del seguace della teoria del complotto, cioè ti mettono alla berlina. E’ sbagliato lamentarsi?
Grazie Tash, anche se vedo che non sei andato molto oltre le prime pagine :-)
La cosa divertente è che l’Alberoni del primo intervento in realtà non è Alberoni. Il titolo citato come “cambiatore” di vita è di Leo Buscaglia. Ergo Alberoni non cambia la vita :-)
se mi occupassi di editoria, se fossi uno scrittore, mi studierei quella lista di libri e di motivazioni con una certa attenzione, emma.
ho dato un’occhiata ulteriore: c’è molto herman hesse, per dire.
lo scrittore da me più odiato.
forse.
Scusate l’ OT…
Andrea, le tagliatelle vanno benissimo, aggiungerei un po’ di piada originale; sai la famiglia paterna è di Ravenna, sono molto legata alle mie radici romagnole, ergo l’evento di cui parli lo trovo molto interessante sia per la location sia per i contenuti. No, non è sbagliato lamentarsi ma temo non ci sia nulla da fare: è la rete, baby! :-)
Tashtego hai ragione, ci sarebbe da fare un’analisi attenta su quella lista di libri.
Confermo che le posizioni di Andrea ai tempi che prepararono la nostra separazione furono per niente acritiche, unilaterali e quindi sofferte: mi dispiace che la solfa del lacché di Moresco & co. continui imperterrita e dimentica di tutto questo. Ovvio che lo scrivo solo per essere invitata anch’io a mangiare piadina e tagliatelle…
Anche a me è piaciuto l’intervento di Tashtego (sarà giunta l’ora del conformismo?) e soprattutto quel “forse” finale.