Debord 4

Questa è la quarta – e ultima – razione di Guy Debord, La società dello spettacolo che metto in rete. Con questa si conclude la parte I: La separazione compiuta. La seconda parte è La merce come spettacolo, ma chi è stato invogliato dalle prime razioni può spendere meno di 8 euro per comperare il libretto (Baldini Castoldi Dalai, 2004). Mai come in questi giorni, nei quali si consuma, in una delle nostre valli più belle, uno spettacolo che mai avremmo voluto vedere, m’è sembrato attuale Debord.
Ecco qua:

27. Per la riuscita stessa della produzione separata in quanto produzione del separato, l’esperienza fondamentale, nelle società primitive legate a un lavoro principale, si sposta oggi, al polo di sviluppo del sistema, verso il non-lavoro, l’inattività. Ma questa inattività non è per nulla liberata dall’attività produttiva: al contrario, dipende da essa, è sottomissione inquieta e ammirativa alle necessità e ai risultati della produzione; è essa stessa un prodotto della sua razionalità. Non può esserci libertà al di fuori dell’attività, e nel quadro dello spettacolo ogni attività è negata, esattamente come l’attività reale è stata captata integralmente per l’edificazione globale di questo risultato. Così l’attuale «liberazione dal lavoro», l’aumento .degli svaghi, non è in alcun modo liberazione nel lavoro, né liberazione di un mondo modellato da questo lavoro. Nulla dell’ attività estorta nel lavoro si può ritrovare nella sottomissione al suo risultato.

28. Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare dell’isolamento. L’isolamento fonda la tecnica, e il processo tecnico isola di rimando. Dall’ automobile alla televisione, tutti i beni selezionati dal sistema spettacolare sono anche le sue armi per il consolidamento costante delle condizioni d’isolamento delle «folle solitarie». Lo spettacolo ritrova sempre più concretamente i propri presupposti.

29. L’origine dello spettacolo è la perdita dell’unità del mondo, e l’espansione gigantesca dello spettacolo moderno esprime la totalità di questa perdita: l’astrazione di ogni lavoro particolare e l’astrazione generale della produzione d’insieme si traducono perfettamente nello spettacolo, il cui modo d’essere concreto è precisamente l’astrazione. Nello spettacolo, una parte del mondo si rappresenta davanti al mondo, e gli è superiore. Lo spettacolo non è che il linguaggio comune di questa separazione. Ciò che avvicina gli spettatori non è che un rapporto irreversibile al centro stesso che mantiene il loro isolamento. Lo spettacolo riunisce il separato, ma lo riunisce in quanto separato.

30. L’alienazione dello spettatore a beneficio dell’oggetto contemplato (che è il risultato della sua stessa attività incosciente) si esprime così: più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio. L’esteriorità dello spettacolo in rapporto all’uomo agente si manifesta in ciò, che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro che glieli rappresenta. È la ragione per cui lo spettatore non si sente a casa propria da nessuna parte, perché lo spettacolo è dappertutto. .

31. Il lavoratore non produce se stesso, ma produce una potenza indipendente. Il successo di questa produzione, la sua abbondanza, ritorna al produttore come abbondanza dell’ espropriazione. Tutto il tempo e lo spazio del suo mondo gli divengono estranei con l’accumulazione dei suoi prodotti alienati. Lo spettacolo è la mappa di questo nuovo mondo, mappa che copre l’esatta estensione del suo territorio. Le forze stesse che ci sono sfuggite si mostrano a noi in tutta la loro potenza.

32. Lo spettacolo nella società corrisponde a una fabbricazione concreta dell’alienazione. L’espansione economica è principalmente l’espansione di questa produzione industriale precisa. Ciò che cresce con l’economia procedente autonomamente per se stessa non può essere se non l’alienazione che era appunto insita nel suo nucleo originario.

33. L’uomo separato dal suo prodotto produce sempre più potentemente egli stesso tutti i dettagli del suo mondo, e si trova così sempre più separato dal suo mondo. Quanto più la sua vita è ora il suo prodotto, tanto più è separato dalla sua vita.

34. Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine.

2 COMMENTS

  1. non credo in ‘testi sacri’, ma di fatto Debord è troppo pertinente a tutto il ‘900 e a questa stessa stagione storica per non esser considerato centrale, inaggirabile.
    e lo è per ipotesi di prassi, di opposizione reale, di sguardo ‘polarizzato’ da una volontà e azione effettiva di cambiamento. (che può iniziare da sé). (circondati come siamo)

  2. Segnalo, per chi voglia approfondire Debord e collegarlo a tante altre suggestioni, questo testo che tratta delle PROFANAZIONI di Agamben: http://www.zibaldoni.it/seconda_serie/2005_10_10.htm
    Mi pare decisivo il discorso sulla profanazione che fa Agamben, anche collegato a tutto il resto che dice Devivo, ma soprattutto a quello che qui spiega con il cucchiaino lo stesso Deb.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.