Che cosa chiedo ai critici dei critici
di Giacomo Sartori
L’intervento di Giulio Mozzi “Che cosa chiedo alla critica letteraria”, mi è parso molto interessante, e condivido la maggior parte delle sue affermazioni. Ma nello stesso tempo devo confessare che qualcosa non mi torna. Perché naturalmente quando Giulio Mozzi si rivolge alla “critica letteraria” non è più il Giulio Mozzi lettore/scrittore/editore che pretende essere, ma è il Giulio Mozzi animatore di un importante blog. E naturalmente quando Giulio Mozzi animatore di cultura letteraria si rivolge alla “critica letteraria”, si rivolge in realtà – essendo quest’ultima solo un concetto astratto, e non essendo lui un don Chisciotte – a dei critici in carne ed ossa, all’insieme dei critici in carne ed ossa. E allora mi sembra che la problematica da lui sollevata non possa non essere inquadrata in un discorso più ampio, vale a dire nel tipo di rapporto che il suo blog, ma anche altri blog che si occupano di letteratura (per esempio Nazione Indiana), hanno e vogliono avere rispetto alla “critica letteraria” (giornalistica e accademica), intesa come concreto gruppo di operatori che sfornano via via dei concreti prodotti. La realtà è che, per il fatto stesso di esistere, Vibrisse e gli altri blog pongono delle richieste alla “critica letteraria” che vanno bel al di là – mi sembra – delle richieste esplicitamente formulate da Mozzi. Alle pertinentissime richieste di Mozzi-animatore, mi viene quindi spontaneo di affiancare alcune richieste – benevole e sinceramente rispettose nei confronti del lavoro da lui svolto – rivolte a lui e più in generale ai “critici dei critici”:
1) quello che domando ai critici dei critici è di segnalare e/o far circolare testi critici interessanti/innovativi, pubblicati su quotidiani, su riviste di varia natura, o all’interno di opere saggistiche, o anche inediti; ma anche di mettere in relazione testi critici di varia natura, di confrontarli, di ragionarci sopra, criticarli;
2) quello che domando ai critici dei critici è di dare il massimo risalto ai testi critici riguardanti testi narrativi o poetici, pubblicati da piccoli o grandi editori, che per varie ragioni non godono della considerazione che si meritano; di ragionarci sopra, di criticarli;
3) quello che domando ai critici dei critici è di pretendere dai critici che siano critici. Di esigere che essi approfondiscano i legami dei testi attuali con la nostra tradizione letteraria, come ben dice Mozzi (che però mi sembra sottovalutare la produzione dei non pochi italianisti – universitari – che si occupano di autori attuali). Ma anche con le varie letterature straniere, visti gli strettissimi legami tra le varie letterature nazionali (e la tendenza degli specialisti delle differenti letterature, ben stigmatizzata da Kundera nel Sipario, a considerare ogni paese/lingua un compartimento stagno), e le influenze anglosassoni che vengono spesso citate (ma raramente approfondite) su tanta narrativa nostrana. Ma benvengano anche le fustigazioni degli autoincensamenti dei critici, delle loro assurde condanne senza remissione dei tempi presenti, benvengano le fustigazioni delle analisi senescenti di Arbasino, benvengano le puntigliose riflessioni di Mozzi stesso sulla classifica di Segre. Benvengano le segnalazioni delle critiche idiote, delle classificazioni e delle pagelline dei quotidiani, benvengano le ricerche delle pulci e le prese per le palle. Tutto ciò è molto sano, e non può fare che bene. Senza voler sovrastimare l’influenza dei blog, credo che molti critici non abbiano nessuna voglia di essere messi in ridicolo;
4) quello che domando ai critici dei critici è di dare il massimo risalto alle relazioni incestuose nel mondo editoriale e della critica giornalistica. Di denunciare favori incrociati, oggettivi conflitti di interessi e oggettive collusioni, scalate ai premi, pubblicazioni legate a scambi di vario genere o relazioni sessuali, strategie di vario tipo e gravità. Non per un amore sterile dello scandalo, ma per cercare di ridare un minimo di trasparenza alla “macchina” della narrativa italiana. Per fare questo ci vuole – visto che la maggior parte dei critici dei critici sono essi stessi anche critici e/o autori, che in quanto tali hanno desiderio di essere pubblicati e magari anche di essere pagati – una dose sufficiente di coraggio e sangue freddo. Ma forse si può avere una sufficiente dose di coraggio e sangue freddo, come succede negli altri paesi, anche senza essere quei fulgidi santi che gli apocalittici Carla Benedetti e Antonio Moresco – ma li capisco bene, e per certi versi condivido il loro anelito – auspicherebbero;
5) quello che chiedo ai critici dei critici è un estremo rigore deontologico. Faccio un esempio. La settimana scorsa su Vibrisse, sotto il titolo “Le consuete, stupide top 10 dell’anno” (Giovanni Choukhadarian), è apparsa “una prima selezione dei libri memorabili dell’anno passato e trascorso”. Bene, tra i dieci (in realtà 11) nomi presenti nella categoria “italiani” appare Nico Orengo. E tra i tre nomi della lista “fuori categoria” c’è Antonio Franchini. La presenza di questi due scrittori, che non sono solo scrittori, ma hanno anche una carica dirigenziale rispettivamente nella più grossa casa editrice italiana e del più influente supplemento letterario italiano, personalmente mi mette molto a disagio. E questo indipendentemente dall’oggettivo valore dei rispettivi testi, e senza voler mettere in dubbio la buona fede dello stilatore della lista. Secondo me Giovanni Choukhadarian avrebbe dovuto indicare (per es. con un asterisco e una nota) le cariche dei due scrittori/dirigenti. Ma naturalmente dicendo questo io farei bene a specificare che nel corso del 2005 ho pubblicato un romanzo (Sironi), per cui le mie rimostranze potrebbero essere in realtà dettate dalla frustrazione di non essere stato inserito nella lista stessa. Secondo me questi, vista l’altissima incidenza dei legami consanguinei nel piccolo mondo letterario italiano, che ha purtroppo effetti nefasti (recensioni, premi…), non sono dettagli secondari;
6) quello che domando ai critici dei critici è di far circolare quelle informazioni riguardanti il mondo editoriale che possono essere utili per capire certi vizi e certi limiti della produzione letteraria italiana. Concordo profondamente con Mozzi, i modi di produzioni della letteratura influenzano profondamente la letteratura stessa. Ma, aggiungo io, tutti noi abbiamo delle conoscenze più o meno lacunose in questo settore. Proprio parlando qualche mese fa con lui (Mozzi), e questo valga come esempio, mi resi conto con stupore che non era al corrente – lui che è così informato sull’editoria italiana – dell’esistenza di una legge rigidissima (a differenza di quella italiana) riguardante il prezzo unico del libro in Francia, e dei suoi fondamentali riflessi (senza prezzo unico la maggior parte delle librerie indipendenti e delle piccole case editrici non esisterebbero più, e quindi il panorama letterario francese sarebbe profondamente diverso, molto meno diversificato e più povero); come dire, facciamo in modo che le informazioni non siano privilegio di un piccolo gruppo di persone;
7) quello che domando ai critici dei critici è di pretendere dai critici che seguitino a essere critici nei confronti degli scrittori che hanno successo. Critici non vuol necessariamente dire negativi, ma critici, vale a dire pertinenti e profondi. Per varie ragioni che sarebbe troppo lungo elencare e dettagliare, ma anche e soprattutto perché gli scrittori, anche i migliori, hanno bisogno dei critici. Uno dei fenomeni tipicamente italiani è quello di scrittori con molto talento che hanno avuto un esordio (= i primi testi) estremamente promettente, e che poi sono andati incontro a un incredibile abbassamento di livello. Busi e De Luca, tanto per citare i primi nomi (ma che forse sono i due esempi più illustri) che mi vengono in mente. Probabilmente le cause sono molteplici, ma senz’altro c’è anche una responsabilità della critica, o per meglio dire c’è una inettitudine della critica a svolgere il proprio compito nei loro confronti;
8) quello che domando ai critici dei critici è di trovare il modo di tenere d’occhio nella maniera più approfondita possibile quello che succede negli altri paesi (mini-inchieste, interviste, traduzioni di testi …). Ci sono delle dinamiche mondiali che riguardano il mondo del libro, con una tendenza alla trasformazione dei testi letterari in generici prodotti commerciali (si veda lo spessissimo citato Schriffin), ma ci sono anche delle specificità prettamente italiane, che interagiscono in vario modo con questa tendenza generale (che del resto non è identica nei vari paesi). Per capirci qualcosa è molto importante riuscire a tenere distinte le dinamiche generali, quello che succede negli altri paesi, e quello che succede effettivamente da noi. Non si può non tener conto che un più recente conformismo transnazionale si innesta sul nostro ben specifico conformismo nazionale (un numero di lettori molto basso, la concentrazione dei lettori su un numero incredibilmente esiguo di testi di qualità media o medio-bassa, l’incidenza nella valutazione dei prodotti letterari delle appartenenze politiche/parrocchiali, o comunque il peso dei fattori extraletterari…), che ha le sue solide radici storiche (e si ritorna alla “storia materiale della letteratura” proposta da Mozzi). Molte analisi mi sembrano ignorare completamente l’influenza del conformismo nazionale, e i modi in cui esso si trasforma e si reinventa con le attuali tendenze globalizzanti;
9) quello che domando ai critici dei critici è di non riprodurre gli stessi difetti che stigmatizzano nei critici. Di essere intelligenti, colti, disinteressati, aperti e senza a priori. Niente di meno interessante, tanto per fare un esempio, delle discussioni su come dovrebbe essere la narrativa italiana, su quale è il filone più “promettente” (i romanzi eroicomici? i gialli?). Come il ruolo dei critici dovrebbe essere quello di analizzare l’effettiva produzione letteraria, e non di anteporre le proprie aspirazioni e frustrazioni (non sono un appassionato di calcio, ma immagino che agli appassionati di calcio darebbe molto fastidio un cronista che nel bel mezzo della sua cronaca della partita si lamenti ogni volta dell’inettitudine dei giocatori, rimpiangendo le belle partite di quando era giovane), così il ruolo dei critici dei critici dovrebbe essere quello di criticare i critici, non di dar risalto alle proprie aleatorie preferenze. Naturalmente c’è spazio anche per le aspirazioni personali, per carità, ma badando bene che queste prendano il sopravvento su un intelligente discorso critico, o critico della critica che dir si voglia;
10) quello che domando ai critici dei critici è di non ghettizzarsi nel loro ruolo di critici dei critici, e di guardarsi bene da ogni forma di settarismo (nel senso che ogni blog tende a diventare una setta di adepti, ma non solo), cercando di stabilire dei contatti con la parte migliore/più disponibile della critica, cercando di suggerire – ma per certi versi anche “imporre” – delle piste che per varie ragioni i critici non hanno percorso o sono restii a percorrere. Cercando di suscitare un dibattito di alto livello, accogliendo tesi differenti, anche opposte. Dando spazio a voci che hanno qualcosa da dire, “invitando” scrittori e critici a esprimersi su particolari temi. Inventandosi delle forme di dibattito – e non solo di rimando – transblog. Non dimenticando che i commenti ai pezzi postati, anche se a volte contengono spunti davvero interessanti, non sono mai quasi mai vero e proficuo e paritario dibattito, e scadono il più delle volte in chiacchiericcio.
[Questo pezzo è già apparso su “Vibrisse“, in cui è anche possibile commentarlo. a.r.]