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Compagni di scuola/Compagni (per niente)

Su Carmilla Valerio Evangelisti pubblica un articolo, Fatevi la vostra guerra (di vignette), estremamente lucido sulla questione e tra le tante cose dette e che sottoscrivo, sull’opportunità o meno di sostenere l’invito a pubblicare i disegni incriminati nei vari blog, lo scrittore muove delle critiche a un determinato modello di intellettuale – in questo caso Adriano Sofri – un modello che è sicuramente rappresentativo di una certa intellighenzia in Italia. Una vera classe di potere, economico, politico, culturale, composta in maggior parte da ex rivoluzionari o ex sessantottini, e che seppure lacerata in se stessa da contraddizioni e cattiva coscienza, governa, in modo trasversale, il nostro Paese, e non solo. Come fratelli più piccoli, assistiamo increduli alla sorprendente alleanza tra ideali rivoluzionari e ultra liberalismo. Jean Claude Michéa dedica alla questione alcune pagine su cui varrebbe la pena, forse, riflettere.

da L’Insegnamento dell’Ignoranza, Jean Claude Michéa

Primo Movimento (estratto)
Nel contesto francese sono evidentemente i fatti del Maggio 68 – se li si considerano nella loro parte recuperabile, cioè sotto l’aspetto dominante- a rappresentare il momento privilegiato ed emblematico di questo aggiornamento delle società moderne. Furono la Grande Rivoluzione Culturale liberale-libertaria (parole che nella bocca del suo autore, Serge July, suonano lodevoli) che ebbe per effetto di delegittimare in blocco e d’un solo colpo, le molteplici figure della socialità precapitalistica . Quelle che erano, a dire il vero, di natura e d’origine estremamente differenti , d’importanza diseguale, formavano per queste ragioni, un insieme storico e culturale impossibile da semplificare. Decretando dappertutto il loro eguale arcaismo , ci si dotò delle armi necessarie per esigere sul campo la loro eguale scomparsa.

E’ così che, per una di quelle furbate di cui la Ragione commerciale è visibilmente prodiga, l’abolizione di tutti gli ostacoli culturali al potere senza replica dell’Economia si trovò paradossalmente presentata come il primo dovere della rivoluzione anticapitalista. Bisogna dire che il meraviglioso falò così acceso- e dove ognuno era invitato a disfarsi del proprio ingombrante passato- garantiva a certi partecipanti diversi benefici psicologici che sembravano molto reali. Accettando piamente di sottomettersi al comandamento più sacro delle Tavole della Legge moderna – è vietato vietare- la gioventù delle nuove classi medie, cioè quella che nell’essenziale, occupò allora la ribalta( e che certo non l’ha lasciata diventando vecchia) scopriva, in effetti, una libertà finalmente a propria misura: quella che consiste nel rompere radicalmente – almeno nella coscienza che si ha delle cose- con tutte le obbligazioni che implicavano la filiazione, l’appartenenza e in maniera generale, un’eredità linguistica, morale o culturale. Così come , certamente, il sentimento inebriante, e che si vorrebbe eternamente rivivere, che, in un primo momento, accompagna sempre un tale tipo di rottura.

E’ in queste condizioni radicalmente nuove , e sulla base della metafisica del desiderio e della felicità che gli corrispondeva, che il Consumo, che non era stato, fino ad allora, che un momento particolare dell’attività umana, poté allora divenire finalmente quello che è ora dappertutto: uno stile di vita a tutti gli effetti- la corsa ossessiva e patetica al godimento sempre differito dell’Oggetto mancante – rivendicato come tale nella pratica, e celebrato, nel fantastico, come una contro-cultura emancipatrice: Tutto e subito! Prendete i vostri desideri per delle realtà! Godete senza intralci e vivete senza tempi morti! E mille altre scemenze edipiche che sarebbero diventate presto il materiale di base delle agenzie di marketing.

Se non si conoscessero così bene i sorprendenti poteri dell’alienazione, ci si chiederebbe ancora – dopo tanta acqua ghiacciata passata sotto tali ponti- come alcuni siano riusciti fino alla fine a non vedere ciò che non poteva mancare di edificarsi su questa magnifica tabula rasa. Questa costituiva evidentemente il fondamento ideale su cui i grandi predatori dell’industria, dei media e della finanza, con la complicità delle loro istituzioni internazionali (Banca Mondiale, FMI, OCDE, G7 poi OMC ecc.) e quella, più o meno entusiasta, di tutte le classi politiche occidentali, potrebbero cominciare ad edificare, in tutta tranquillità intellettuale, una cyber società di sintesi, il cui unico comandamento sarebbe il vecchio motto dell’attendente Gournay (1712-1759): Laisser faire, laisser passer. (…)

Anticapitalismo e conservatorismo (secondo movimento)

«Quel che ci spinge a ritornare indietro è tanto umano e necessario quanto quello che ci spinge ad andare avanti». Pier Paolo Pasolini

L’ipotesi capitalista, nel senso in cui l’abbiamo definita, non è che una delle molteplici varianti della metafisica del Progresso che è comune a tutti gli ideologi modernisti. Alla stregua delle altri varianti, pretende anch’essa che la Storia abbia un senso e che il percorso prescritto agli uomini li porti inesorabilmente- per usare il vocabolario di Saint-Simon e di Comte – dallo stato teologico-militare allo stato scientifico- industriale. Quel che costituisce la differenza specifica dell’ipotesi capitalista è unicamente l’idea che il principio determinante della Storia sia, in ultima istanza, la dinamica dell’economia e, di conseguenza, il progresso tecnologico, in quanto condizione materiale fondamentale di tale dinamica. Partendo da qui, non è tanto difficile prevedere cosa, nell’immaginario capitalista, – in altre parole, nell’immaginario economico- andrà necessariamente ad incarnare la forma privilegiata del male politico.

Tutto ciò che, infatti, intralcia la spinta in avanti di una società attraverso il movimento modernizzatore dell’economia, deve inevitabilmente essere percepito come un arcaismo inaccettabile, al quale ci si può aggrappare (è la celebre teoria del «freddo ripiegarsi su se stessi») solo se si ha la sfortuna di essere uno spirito «conservatore», o peggio ancora, «reazionario» ( nel linguaggio saint-simonista, «retrogrado»). Ed è quindi assolutamente logico che queste due ultime parole designino, nella terminologia imposta dallo Spettacolo, le due figure per eccellenza della scorrettezza politica; quelle da cui ciascuno, nel timore e nel tremore, lavora incessantemente a scagionarsi. Uno spirito critico – cioè uno spirito che quantomeno non ha paura delle parole – concluderà dunque, inversamente, che una lotta anticapitalista che è incapace di inglobare chiaramente una dimensione conservatrice, non ha rigorosamente nessuna chance di svilupparsi in modo coerente, e conseguentemente, di assestare colpi efficaci al nemico dichiarato. 2Una delle prime preoccupazioni filosofiche di coloro che dicono di opporsi al dispotismo dell’Economia deve dunque essere sempre di mettere in discussione, per principio, tutti i discorsi che celebrano il «progresso» e il «movimento» senza altre precisazioni.

Resta comunque evidente che «l’anzianità del knout»- termine usato da Marx- non è un argomento sufficiente per fondare la sua rispettabilità. E’ dunque necessario presentare brevemente qualche commento destinato a precisare a quali condizioni un indispensabile marcia indietro deve essere distinta da una inaccettabile regressione.

La tendenza dell’uomo alla curiosità e all’innovazione è uno degli attributi meno discutibili della natura umana (tanto per impiegare deliberatamente un termine che scombussola le nostre abitudini moderne).L’idea di «società immobili» è quindi o un mito o una fantasma. Quello che bisogna rigettare, non è il principio stesso del cambiamento- come, al limite, nella filosofia di Julius Evola – ma il fatto che il suo ritmo sia ormai definito e imposto dalle sole leggi del Capitale e della sua accumulazione.5 E se le classi popolari, come lo deplorano continuamente le prefiche del modernismo, manifestano, in generale, molta poca fretta di «adattare le loro mentalità alle evoluzioni necessarie», ovviamente non è perché sarebbero ontologicamente inadatte al cambiamento; è semplicemente perché esse hanno una tendenza, sicuramente incresciosa, a camminare più lentamente sotto la frusta e con nettamente meno entusiasmo e convinzione rispetto alle nuove classi medie e alla brillante intelligentia.

L’ingegnosità e la capacità di innovazione delle classi popolari sono, tra l’altro, uno dei loro tratti storici più costanti. Sono proprio queste virtù che gli permettono di neutralizzare continuamente una parte delle strategie capitalistiche e di inventare in qualsiasi momento dei dispositivi che mantengano o riproducano la civiltà e il legame, ovunque questi ultimi siano minacciati dalla logica di ferro del Capitale. È sufficiente per esempio leggere le notevoli analisi che Serge Latouche consacra, nell’Altra Africa, all’«economia informale» di Dakar, alle «strategie domestiche a Grand-Yoff» o al sistema di solidarietà dei fabbri Sonninké, per prendere coscienza della vitalità dell’intelligenza popolare e misurare fino a che punto è generalmente la volontà di conservare un modo di vita umano che porta gli individui, così come le comunità, a inventare continuamente, sulla base delle acquisizioni e delle tradizioni, nuove forme di relazioni e nuove regole del gioco, a volte rivoluzionarie. Da questo punto di vista , lo sviluppo, nei paesi anglosassoni, e adesso in Francia, dei LETS (Local Exchange Trade System) costituisce forse una forma esemplare di quelle risposte critiche alla modernizzazione capitalista apportate sul campo dagli individui stessi. Se questi sistemi di scambio locali contribuiscono, in effetti, a mettere in difficoltà l’emarginazione ultraliberale, è nella misura in cui essi riescono a ricostituire (interpretazione «reazionaria») o a mantenere (interpretazione «conservatrice») questo «primato del legame sul bene» che definisce, secondo Caillé e Godbout, l’essenza stessa del dono tradizionale.

Se è vero che la critica dell’ideale del Secolo dei Lumi è una condizione necessaria – come pensava già Adorno – per qualsiasi critica del Capitale, non bisogna tuttavia privare completamente di significato le nozioni di Progresso o di Civiltà universale. «I migliori tratti delle civiltà – scriveva Marcel Mauss – diventeranno proprietà comune di gruppi sociali sempre più numerosi» e «questa nozione di fondo comune, di acquisizione generale delle società e delle civiltà […] corrisponde, a nostro avviso, alla nozione di Civiltà». Tale movimento non implica comunque – come aggiunge subito dopo Mauss – la necessaria scomparsa dei «sapori locali». In realtà, molti altri complicati dibattiti sulle dialettiche dell’universale e del particolare, o della modernità e della tradizione, avrebbero potuto forse essere considerevolmente abbreviati o persino evitati, se si fosse tenuto conto, nella giusta misura, della frase dalla precisione infinitesimale dello scrittore portoghese Miguel Torga: «l’universale è il locale, senza i muri».

Questa proposizione significa che una comunità umana progredisce e si civilizza non quando distrugge o abbandona ciò che la caratterizza (per esempio la lingua o l’accento) bensì ogni volta che riesce ad aprirsi ad altri gruppi, cioè a sostituire, nei suoi rapporti con questi, il disprezzo e la violenza iniziale con diverse modalità di scambio simbolico. È sicuramente inevitabile che questa iscrizione nelle dialettiche complesse della reciprocità porti poco a poco ogni comunità a lasciare da parte tutto ciò che – nei modi, fino ad allora consueti, di vivere e di sentire – si oppone, per principio, al riconoscimento reciproco dei soggetti. In altri termini, a tutto quello che, nella propria cultura – tenendo conto del gioco e dello scherzo- non può essere universalizzato senza contraddizioni.

Ma questi progressi legittimi dell’universalità – nella misura in cui essi conservano come base proprio quelle particolarità storiche e culturali durature, che sono la condizione stessa dello scambio simbolico – non hanno granché in comune con quella uniformizzazione accelerata del pianeta operata dal mercato capitalista, uniformizzazione la cui visione turistica del mondo e il cui pseudo-cosmopolitismo dello show-biz e della classe d’affari rappresentano una traduzione allo stesso tempo grottesca e patetica.

Notiamo infine, che in queste materie, nelle quali si va a toccare il fondamento stesso dell’ordine umano, conviene maneggiare l’ascia del Diritto e della Ragione con la massima precauzione. Kant stesso, malgrado fosse poco sensibile alle seduzioni del particolare, scriveva che «il legno con cui l’uomo è fatto è cosi nodoso che non vi si possono tagliare travi dritte» (Idee di una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, 6° proposizione). Nella misura in cui gli spiriti moderni hanno già una grande tendenza a inchinarsi davanti alla tirannia dell’angolo retto, si può pensare che un solido senso del costume e dei giochi sottili che esso permette di fondare a tutti i livelli 8rappresenti una delle forze psicologiche maggiori di cui ogni individuo dispone per allentare la presa del Capitale sulla propria vita, e perseverare così nel proprio essere in modo il più possibile libero e gioioso. Non c’è, del resto, che una sottile differenza tra questo senso del costume e quello che è di solito chiamato convivialità.

Estratto dall’Insegnamento dell’ignoranza, Ed. Metauro, Traduzione di Francesco Forlani e Alessandra Mosca

36 COMMENTS

  1. che grossa inutile prolissa cacata, poveracci evangelisti e i suoi fan che pubblicanoda mondadori e si danno ancora aria da rivoluzionari
    ma andate a cagare davvero, da un’altra parte però

  2. So che dovrei starmene zitto per come trascuro questo sito ma “estremamente lucido” per il pezzullo di Vangelisti mi pare francamente troppo. E’ un pezzo riprovevole per come appiattisce tutte le forme di credenza religiosa in un unico superstiziume che neppure il buon Voltaire duecento anni fa. E forse nel frattempo un po’ di dubbi sulla militanza laica ci saranno venuti, o no? E’ un pezzo triviale per come riduce la volontà di non cedere alla semplificazione (ecco chi è Adriano Sofri) a un farfuglio opportunista. Boh. Forse si può dissentire dall’idea di pubblicare le vignette sui siti e sui giornali, ma che c’entra il livore contro i complottardi che governerebbero il mondo dopo aver governato Lotta Continua? Ripeto: che cosa c’entra? Mi pare nulla. Quindi dove sarebbe la lucidità?

  3. @ Piero: Scusa è un tipico fuori tema. Ho sul comodino il libro di Arjun Appadurai “Sicuri da morire” che porta una tua postfazione. Purtroppo ho lo leggo e poi lo rimollo presa da altre cose che DEVO leggere, ma mi sembra molto interessante. Anche per questo mi fa davvero piacere vederti ricomparire.

  4. Piero Vereni, adesso sappiamo come stanarti: nomineremo Evangelisti.

    Scherzi a parte, ho visto queste benedette vignette sul sito di françe soire, e davvero a me non fanno nessun effetto. (Avrebbero potuto metterci gesù bambino e la madonna, sarebbe stato lo stesso, ovviamente.) Ricorre l’identificazione tra il terrorista e il musulmano che puo’ diventare persecutoria. E su questo bisognerebbe riflettere. Ma nulla di particolarmente volgare e osceno. Da questo punto di vista il finimondo che si è scatenato mi crea disagio. Insomma, faccio davvero fatica ad accettare un discorso del tipo: le immagini sacre non si toccano. Come principio da far valere trasversalmente, democrazie e teocrazie. Pero’ la questione politica che ci sta dietro rende le cose ben più complesse. E non so se la soluzione per difendere la libertà di espressione, sia quella di andare ad uno scontro frontale, moltiplicando le vignette satiriche su maometto. Davvero la nostra libertà di espressione nei confronti del mondo islamico passa per un maometto con il turbante a forma di bomba?

  5. Mi pare che quella di Evangelisti non voglia essere tanto un’analisi (sarebbe povera, in effetti), quando un resoconto di sè. E in questo mi piace.
    Andrea, io sono d’accordo quando dici che dietro c’è una questione politica ben più complessa della semplificazione che si vuole far passare. Non mi dilungo, ne ho già scritto sul mio blog. Se ti va, passa dalla mia stanza – l’invito vale anche per Helena, in attesa di un comune kebab…

  6. Ho letto marco e concordo.
    Invito anche i lettori di NI a leggere la tua riflessione sulla “strumentalizzazione politica della liberta di stampa”. Se vogliamo riassumere…

  7. Caro Andrea, quando ho intravisto le immagini degli islamisti inferociti nelle strade, la mia mente è andata immediatamente a Je vous salue Marie, di Godard (http://www.cineclubdecaen.com/realisat/godard/jevoussaluemarie.htm) e a (http://www.cineclubdecaen.com/realisat/scorsese/dernieretentation.htm)
    in cui vi ricorderete, un cinéma fu incendiato a Saint Michel ( Parigi )

    Ci sono due “cose” in questo post che a me interessa capire.

    Il primo : il fatto. Campagna d’odio d’una comunità religiosa verso l’autore blasfemo di alcune vignette. A questa campagna si può reagire in due soli modi: o si afferma che non si possa dire male di Dio, di alcun Dio, pena la morte, o altre sanzioni, o che al contrario, non ci sia nulla che mi sia impedito d’affrontare, nei toni e con le parole che voglio. Libertà di parola, assoluta, o no. Evangelisti, in un breve articolo ci dice perchè invitato a partecipare all’iniziativa di Staino e Sofri, abbia rifiutato. (punto)
    Si può condividere o meno l’intervento di Evangelisti, che per fortuna ha il nome che ha, perchè se solo fosse stato evamgelista tramite Jan , nostro web meister, avremmo rintracciato paolo (primo commento) e lo avremmo condannato al rogo per blasfemio o lesa maestà. Per fortuna non è cosi’.

    Secondo piano. Adriano Sofri. Premesso che non sono mai stato nè mai sarò un complottard, o dietrologo, e quant’altro, lo spunto offerto da Evangelisti e arricchito dal testo di Jean Claude Michea, che invito a leggere anche se non è pubblicato da Mondadori, non era affatto il solito discorso anti lobby Lotta Continua ma una riflessione differente, e molto più lacerata, credetemi di quanto non appaia dalle parole scritte da me in ouverture. Io mi (vi) chiedo perchè con una classe dirigente (cioè direttori di giornali, di impresa, di canali televisivi, di agenzie pubblicitarie, teatri, università, case editrici) che per una semplice questione anagrafica ( o più complessa ragione storica) è l’ultimo insieme di persone che si può chiamare “generazione”, che è nata intorno a una visione del mondo rivoluzionaria, libera, e quant’altro non ha fatto un cazzo per evitare lo stato in cui noi siamo ora. Da persone incredibilmente colte e politicamente preparate come Goffredo Fofi, Giuliano Ferrara, Giampiero Mughini, Gianni Vattimo, non potevamo aspettarci qualcosa di meglio? Io continuo a credere di sì e questo forse mi dà molto sconforto.
    effeffe

  8. FF, io so perchè quella generazione (e non solo quella) ha deluso tutti.
    Perchè “il sistema” non lo puoi combattere dal di dentro.
    Tu ci entri con le migliori intenzioni e all’istante vieni corrotto dalle lusinghe del potere, del’agiatezza materiale e dalla popolarità.

  9. @ Marco Rovelli
    Grazie per la segnalazione del tuo articolo e per quella del post sul sito della Lipperini.
    http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2006/02/france_soir_anc.html#comments

    in cui tra gli altri trovo, copiaincollate da Spettatrice, le parole di Vauro (manifesto) illuminanti.

    Allora ai cari opinion maker, politici, giornalisti e addirittura vignettisti che vorrebbero che tutti i giornali pubblicassero i disegni su Maometto per dimostrare quanto siamo liberi ma anche, è sottinteso per mostrare i muscoli della nostra “libertà”, io dico no.
    La satira non è fatta per esibizioni di forza, la satira è fatta per prendere per il sedere, per sgonfiare i muscoli non per mostrarli.
    Insomma non mi arruolo.
    La satira non è cosa da virili e coraggiosi soldati ma da allegri e scanzonati disertori e io voglio continuare ad esserlo.
    Vauro

  10. Eppure sono convinto che se mandassimo un segnale forte dal di fuori, quelli lì dentro si svegliano :-)
    effeffe

  11. La discussione verrebbe bene ipotizzando realisticamente che le vignette siano comparse sulla Padania e che il loro autore sia Borghezio.
    Ho letto Evangelisti, di cui non avevo letto niente, e concordo. L’analisi delle religioni è semplice-istica, ma mi sembra che accenni al legame con pulsioni profonde.
    Casualmente ho letto in questi giorni un libretto, Le religioni plagiano, di V. Giorgini, un architetto che ha insegnato 40 anni in USA, è tornato in Italia e ha visto… Il suo discorso, semplice, è: la terra è un grande orto, nasciamo, ci abitiamo, lo lavoriamo e ne godiamo: cosa fa sì che la mente si perda in fantasticherie assurde come le religioni? Insomma, la religione è una malattia mentale (diceva così anche Hume secoli fa), che cova cova, fin che esplode in conflitti e guerre.
    Che fare? Tolleranza e libertà di espressione sono pilastri irrinunciabili, ma non bastano. Al mio doposcuola, se a un discolo dico “ti tollero”, lui non è contento di sentirsi tollerato: vorrebbe essere capito. Questo mi è venuto in mente leggendo le ultime righe del post qui sopra, di Michéa (?), dove si parla di “convivialità” (?), un concetto che non penso riguardi solo la tavola, e che a sua volta mi ha fatto venire in mente per contrasto un commento di DB al post di Mozzi, che incollo qui sotto:

  12. Dove tutti sono armati e combattono contro ciascuno, è necessario che ciascuno presto o tardi impari ad armarsi e combattere, e infine a offendere. Tutto ciò richiede una buona dose d’indifferenza verso di sé: basta mostrarsi sensibili alle punture, perché altri si diano a pungere. Ora, il fondamento della moralità di un individuo e di un popolo è la stima che nutre verso di sé: uno senza amor proprio, al contrario di quanto si sente dire, è impossibile che sia giusto e onesto. Perciò, benché questa guerra senza regole sia di parole, è facile intuire quanto debba dividere e alienare gli animi di ciascuno da ciascuno, e quanto di conseguenza sia pestifera ai costumi.

    da Ubicue.splinder.com

  13. leggendo queste righe non credevo ai miei occhi: si parte da sofri per arrivare a dire che il sessantotto ha sfondato le porte per conto del capitale e dell’economicismo – il sessantotto, quando sono stati disprezzati e aboliti i santi padri, rinnegate “filiazioni” in nome del tutto e subito (!) – e che l’opposizione al capitalismo passa per i mercatini e per il pranzare assieme.
    ne avevo sentito parlare ma non l’avevo mai letto, questo Jean Claude Michéa.
    finalmente uno destro sul serio: ne voglio ancora!
    (impagabile quella prosa intellettuale francese, piena di vezzi: “nel timore e nel tremore”)

  14. Caro Tash, secondo me la lettura dell’Ignoranza ti farebbe un gran bene, (lo dico senza sarcasmo) e ti segnalo un altro libro uscito da poco preso Eleuthera , che non mi sembra essere particolarmente a destra, anzi, forse proprio di un’autentica sinistra

    / Il vicolo cieco dell’economia

    di Jean-Claude Michea

    Questo è il titolo del libro che Elèuthera manda in libreria in novembre. Con un sottotitolo ancor più esplicativo: Sull’impossibilità di sorpassare a sinistra il capitalismo. Infatti, è inutile “mettere la freccia a sinistra”, se non si può sorpassare. E il sorpasso del capitalismo, anche da sinistra, è impossibile se ne viene condiviso l’immaginario economico. All’utopia liberal- liberistica e alla società di diseguaglianze che essa genera inevitabilmente non può realmente opporsi una sinistra che si fonda sulla stessa logica e sullo stesso mito: le inflessibili leggi dell’economia e il miracoloso ruolo della tecnica. Si impone dunque una rottura radicale con l’immaginario intellettuale della sinistra, un immaginario che, a partire dal diciannovesimo secolo, ha soprattutto funzionato come “religione del progresso” e si è nutrito di “razionalità” economica. Ecco la prefazione dell’autore che insegna filosofia in un liceo di Montpellier ed è direttore di una collana delle edizioni Climats. E inoltre autore di Orwell, anarchiste tory (1995), Les intellectuels, le peuple et le ballon ronde (1998), L’einseignement de l’ignorance (1999) e Orwell educateur (2002)

    http://www.libertaria.it/sommari/sommario4_04.htm

    ma si veda anche l’articolo di Goffredo Fofi su “internazionale”

    http://213.156.44.181/apa/eleuthera/files/MicheaInternazionale2004121.jpg

  15. Tash ma perchè chiami Michea un destro?
    A me è piaciuto sia evangelisti che michea, per motivi diversi naturalmente.
    E mi è piaciuta anche la sincera e automatica indignazione d Vereni.
    In questi giorni si è solo sentito parlare male, o malino, della religione musulmana. E nessuno (a parte lia di haramlik e io stessa) si è particolarmente indignato. Sembrava quasi che si parlasse di satira su una favoletta di serie b.
    Anzi molti hanno giocato a fare i giornalisti-eroi postando qualche vignetta o difendendo gli interessi economici della danimarca (burro e lego) messi a repentaglio da una banda di terroristi fanatici.
    Poi, come tutti ci aspettavamo, tutto è degenerato e si è sentito un coro di: L’avevo detto io.
    Evangelisti primo e unico ha trattato con lo stesso disprezzo irridente (che era stato dedicato ai soli musulmani) tutte le religioni, e allora, finalmente, è arrivata la prima risposta indignata a dimostrare che il sangue scorre nelle vene di tutti e non solo dei religosi dell’islam.
    A me sinceramente che si parli con disprezzo delle religioni da sempre fastidio, perchè le ritengo fra le cose più alte che l’uomo abbia prodotto culturalmente, anche se io personalmente sono laica.
    Ma ho capito benissimo l’ateo Evangelisti e la sua provocazione, e ho apprezzato che abbia allontanato come mosche fastidiose gli appelli petulanti a pubblicare le illustrazioni offensive in nome di una libertà rispolverata ad hoc.
    Prima di fare quegli appelli eroici e banali sarebbe stato doveroso almeno informarsi su chi sia veramente il responsabile culturale di Jyllands Posten e su quali siano le sue amicizie, e perchè ci tenga tanto a voler esportare la satira religiosa nella religione musulmana.
    E poi chiedersi se lo scopo di tutto sia stata davvero la lbertà di espressione che nel fantasmatico e così detto occidente ormai sembra passare per l’offesa ad una religione ben precisa.
    geo

  16. se lo dici senza sarcasmo, forlani, allora mi preoccupo.
    se non siete capaci di riconoscere la Vera Reazione quando l’incontrate, io che posso farci?

  17. La differenza sembra sottile, ma è micidiale. Le vignette danesi sono legali, e legalmente feriscono l’amor proprio di musulmani che reagiscono illegalmente:
    1- ribadire che ognuno può pubblicare vignette del genere è una cosa;
    2- invitare i media a divulgarle è un’altra, significa cioé attizzare il fuoco.
    Anche attizzare il fuoco è un’azione legale: contemporaneamente è immorale. E chi l’ha compiuta (non mi meraviglierei di Ferrara), almeno si è svelato.

    Ho guardato i link di Forlani su Michea: anch’io non so riconoscere la Vera Reazione (a meno che non sia quella di Ferrara).

  18. Ho letto con curiosità il pezzo “estremamente lucido” di Evangelisti e me ne torno qui davvero deluso.
    Evangelisti perora una giusta causa, il non voler/dover diffondere le vignette “sacrileghe” in nome della libertà di espressione per evitare la loro strumentalizzazione politica all’insegna della guerra di civiltà. Ma lo fa cospargendo il discorso di tanti argomenti (“opinioni personali”, precisa) di tale volgarità, che a me ora cominciano a stare simpatici i crociati come Adriano Sofri e i terroristi mori che credono in una “figura di storicità dubbia” come Maometto.

  19. Non sono riuscita a capire il salto logico che lega il pezzo di Evangelisti agli estratti da L’insegnamento dell’ignoranza. Il pezzo di Evangelisti non lo trovo affatto lucido, gli do ragione sul discorso di non gettare fuoco sul fuoco, ma poi mi sembra un invettiva che mette insieme e appiattisce tutto come fa notare giustamente Vereni. Michea occorre leggerlo tutto per cogliere il filo del suo discorso e cioè che le società contemporanee sono impegnate a conseguire una radicale riduzione dell’intelligenza critica dell’uomo. Non mi sembra affatto, leggendolo, di trovare un pensiero “destro”, però magari sono tonta pure io o forse ho perso il mio pensiero critico. In ogni caso non mi sento rappresentata dal pensiero di Soffri e non credo che si possa accomunare Soffri a tutti i liberi pensatori in circolazione.

  20. forse vi interessa leggere questo articolo sul guardian dove il giornale che oggi ha fatto succedere il finimondo per pubblicare quattro vignette che irridono il profeta, aveva rifiutato vignette offensive su gesu.

    Danish paper rejected Jesus cartoons

    Gwladys Fouché
    Monday February 6, 2006

    Jyllands-Posten, the Danish newspaper that first published the cartoons of the prophet Muhammad that have caused a storm of protest throughout the Islamic world, refused to run drawings lampooning Jesus Christ, it has emerged today.[…] continuare a leggere su The Guardian

  21. troppa carne al fuoco qui.
    si discute delle vignette, delle religioni, di evangelisti, dei sessantottari traditori, di michea, o di che altro?

    il pezzo di michéa estratto dal contesto suona come una cosa squisitamente reazionaria: uscire dal capitalismo non nella direzione indicata dagli stupidi sessantottari e dalla sinsitra marxista in genere, cioè nel senso dell’emancipazione dell’uomo, ma a ritroso, verso un mitico stato pre industriale, pre tecnologico e forse pre rivoluzione francese visto che se la piglia pure con Saint Simon: in più c’è l’amenità di venire a proporre su un pianeta con sei miliardi di anime e sull’orlo del collasso la logica anti tecnologica e “anticapitalistica” del mercatino.
    sulla convivalità niente da eccepire, purché il contadino che fornisce il cibo, il cuoco e i camerieri stiano al loro posto.

    se poi si vuole parlare della generazione del sessantotto di cui purtroppo faccio parte, facciamolo.
    ma che c’entrano michéa e evangelisti?
    e che c’entra sofri?
    una generazione è costituita da molti individui, non solo da quei quattro o cinque che si “vedono”.

  22. In questo senso ho trovato l’articolo di Berardinelli sul foglio (7 febbraio) molto lucido.
    effeffe
    ps
    Tash, parliamone. O forse è vero quello che diceva il grande Cat Stevens (Yusuf Islam )
    For you will still be here tomorrow, but your dreams may not.

    da father and son

    “perchè domani è qui che starai, ma i tuoi sogni potrebbero non seguirti”
    trad. free jazz del furlen

  23. Forse la carne al fuoco qui è troppa, ma è comunque una sola. L’articolo di Evangelisti è crudo, gli prende la mano:

    “Guardo con interesse entomologico, ma anche con una leggera compassione, chi ha ‘fede’. Per me credono in un’ancestrale proiezione… Raderei al suolo chiese, sinagoghe e moschee … per non parlare delle panzane dell’Antico Testamento.”

    Io avrei scritto:

    Guardo con interesse entomologico, e anche con vera compassione, chi ha fede. Per me credono in un’ancestrale proiezione… Non raderei al suolo chiese, sinagoghe e moschee … né definirei panzane quelle dell’Antico Testamento, come un entomologo non distruggerebbe gli alveari né definirebbe panzane i ze-zee delle api.

    Messa così, e non ci vuole molto, Evangelisti è in buona compagnia: Spinoza, Freud…
    Il tema della convivialità di Michea, io lo intuisco vicino al commento di DB, che perciò ho incollato.
    Come potrei leggere l’articolo di Berardinelli?

  24. Il sessantotto fu un evento che coinvolse una porzione, abbastanza piccola – cioè fu un movimento minoritario, almeno all’inizio – di giovani scolarizzati di estrazione borghese e piccolo borghese.
    Dunque fu un movimento promosso e agito da giovani intellettuali, da privilegiati.
    Non mi dilungo sulle interpretazioni, le più varie e a volte stravaganti, che sono state date di quegli eventi, sui problemi di periodizzazione storica, sulle distinzioni tra gruppo e gruppo, sulle declinazioni politiche che il movimento assunse nei diversi paesi dove si manifestò, sui giudizi storico politici circa la successiva influenza o meno sulle società occidentali di quegli eventi, eccetera.
    Su alcuni di questi punti ho qualche idea, ma qui non ne voglio fare cenno.
    In ogni generazione che ha studiato, cioè che per censo ne ha avuto la possibilità, esiste una percentuale di individui che ha accesso al potere, mentre il resto diventa, genericamente, classe dirigente.
    Così è stato anche per la generazione del sessantotto, anzi per quella porzione, piccola, di persone che nel sessantotto aveva attorno ai vent’anni e che partecipò attivamente alle note (quanto?) vicende.
    Ora ciò che voglio semplicemente dire è che chi oggi accede al potere, cioè chi in virtù del potere diventa visibile ed esercita una qualche influenza, è fatto per il potere.
    Essere fatti per il potere significa, tra le altre cose, avere un’istintiva capacità di adeguamento all’aria che tira, talmente istintiva da diventare modalità di auto-convincimento anche in persone molto intelligenti e in buona fede.
    Inutile rimproverare a queste persone di non aver tenuto fede, personalmente, alle loro istanze di gioventù, meglio invece entrare nel merito delle loro argomentazioni, se ci sono, per verificarne il fondamento.
    Inutile pure rompere il cazzo a quattro reduci sparuti che cercano pur sempre di fare la loro vita come tutti e osservano con stupore il mondo in cui oggi viviamo, così diverso da quello che llora si cercò di costruire.
    Se proprio si vuole, meglio provare a vedere se, complessivamente, il fenomeno sessantotto – inteso in modo intensivo oppure estensivo? – ha lasciato tracce consistenti e più o meno positive nella società italiana.
    Secondo me le ha lasciate e sono proprio quelle che in questi anni si è cercato, forse riuscendoci, di cancellare.
    Il prossimo voto ci dirà se si è riusciti a cancellarle.
    In base a tutto questo e a molto altro, l’affermazione di Michéa che il sessantotto sarebbe un momento di ristrutturazione capitalistica, forse è vera, ma bisogna vedere in che senso.
    Ma poi è l’uso che lui ne fa che non posso condividere.

    In merito alla questione di cui tratta Evangelisti non mi preme avere un’opinione.
    Occorre opporsi all’opinionismo, all’opinone su tutto e subito.
    Prendere tempo, parlare, leggere e pensare.

  25. Però vedi che ho fatto bene a romperti il cazzo?
    effeffe
    ps
    quattro reduci sparuti… ecc non la condivido come affermazione. E’ gente che ha molte cose da trasmettere se solo s’impedisse di perdersi in trasmissioni (televisive) o di potere.

  26. @yara
    odiare le religioni – anch’io le odio – è una reazione istintiva, talvolta inutilmente sdegnosa e aristocratica, ma comprensibile, verso tutto ciò che asservisce la mente umana impedendole di praticare la tolleranza, impedendole di accogliere come dovuto il linguaggio della scienza come unico linguaggio il cui statuto è la verificabilità, e facendo da ostacolo a molte altre cose utili all’umanità, tra cui la libertà sessuale, la contraccezione, le biotecnologie, la clonazione, eccetera eccetera.
    dire che l’aveva già detto spinoza o freud (perché tra i tanti, proprio loro? e non invece per dire, DARWIN?) è farla facile, se mi permetti: la tolleranza verso chi crede deve innanzi tutto essere reciproca e in secondo luogo occorre aver ben presente che le religioni ci danneggiano tutti, tragicamente, credenti e non credenti.
    quindi chi vuole radere al suolo gli edifici di culto reagisce ad una sensazione che anch’io provo fortissima: il sentirmi ostaggio della maggioranza credente e il subirne direttamente e indirettamente l’oppressione.
    (cheppalle l’influenza)

  27. Cari Indiani, solitamente sono una vostra attenta e silenziosa lettrice, ma stavolta non posso proprio esimermi dal dire la mia. Penso non sia affatto giusto strumentalizzare la battaglia delle vignette, per farne un processo a Sofri, o alla sinistra 68ina e non, complottismo, dietrologia e quant’altro. Non è la libertà del caterpillar che si vuole difendere a ogni costo, per esaltare il gioco del monopoli o del capitale in questo accumular macerie, e issarvi la bandiera di una presunta “civiltà” a croce danese in nome della liberté contro la barbarie, ovvero deridere il povero buon selvaggio. Perchè dire che la satire è un gioco sporco del forte sul debole? Scusate, ma chi sarebbe il debole? Non è l’Islam un impero immenso al cui confronto il Vaticano fa veramente “ridere”? Sono semmai gli imperialisti islamici a fare il gioco sporco e quello del terrore, servendosi dei bisogni veri, umani della massa (dei fedeli), che non soddisferanno e non tuteleranno mai, perchè hanno bisogno di quella fame e quella sete per crescere e prosperare? E allora perchè prendersela tanto per delle stupide vignette? Perchè stavolta abbiamo fatto centro. Perchè c’è una sola cosa che fa paura al terrore, ed è il riso…
    ” Il riso distoglie, per alcuni istanti, il villano dalla paura. Ma la legge s’impone attraverso la paura, il cui nome vero è timor di Dio. E da questo libro potrebbe venire la scintilla luciferina che appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio. E il riso si disegnerebbe come l’arte nuova, ignota persino a Prometeo, per annullare la paura.(…) Ma se qualcuno un giorno, agitando le parole del Filosofo, portasse l’arte del riso a condizione di arma sottile, se alla retorica della convinzione si sostituisse la retorica dell’irrisione, se alla topica e paziente e salvifica costruzione delle immagini della redenzione si sostituisse la topica dell’impaziente decostruzione e dello stravolgimento di tutte le immagini più sante e venerabili – oh quel giorno anche tu e tutta la tua sapienza, guglielmo, ne sareste stravolti! ”

    “Perchè? Mi batterei, la mia arguzia contro l’arguzia altrui. sarebbe un mondo migliore di quello in cui il fuoco e il ferro rovente di Bernardo Gui umiliano il fuoco e il ferro di Dolcino.”(…)

    ” Non ci fa paura il rigore del donatista, la follia suicida del circoncellione, la lussuria del bogomilo, l’orgogliosa purezza dell’albigese, il bisogno di sangue del flagellante, la vertigine del male del fratello del libero spirito : li conosciamo tutti e conosciamo la radice dei loro peccati che è la radice stessa della nostra santità. Non ci fanno paura e soprattutto sappiamo come distruggerli, meglio, come lasciare che si distruggano da soli (…). Ma se un giorno – e non più come eccezione plebea, ma come ascesi del dotto, consegnata alla testimonianza indistruttibile della scrittura – si facesse accettabil, e apparisse nobile, e liberale, e non più meccanica, l’arte dell’irrisione, se un giorno qualcuno potesse dire ( ed essere ascoltato) : io rido dell’Incarnazione… Allora non avremmo armi per arrestare quella bestemmia(…)

    ” Il diavolo è l’arroganza dello spirito, la fede senza sorriso, la verità che non viene mai presa dal dubbio. Il diavolo è cupo (…) Tu sei il diavolo e come il diavolo vivi nelle tenebre (…) Mi piacerebbe cospargerti di miele e poi avvoltolarti nelle piume, portarti al guinzaglio nelle fiere, per dire a tutti : Costui vi annunciava la verità e vi diceva che la verità ha il sapore della morte, e voi non credevate alla sua parola, bensì alla sua tetraggine. E ora io vi dico, che nell’infinita vertigine dei possibili, Dio vi consente anche d’immaginarvi un mondo in cui il presunto interprete della verità non sia che un merlo goffo”
    (…)

    ” Sei peggio del diavolo, minorita (…) sei un giullare, sei come il tuo Francesco”
    ( a Forlani, con affetto, perchè si ricordi sempre di essere…nient’altro che se stesso).

    Non un sopruso dell’ Occidente laico all’Oriente, ma una mano che si tende, una speranza accesa che diventi contagiosa come il riso.
    nota : citazioni tratte da “il nome della rosa” di Umberto Eco.

  28. Cara Maria, torno a ripetere, che non c’è nessuna “strumentalizzazione”, ma solo un’interpretazione di un fatto preciso e delle reazioni che ne sono conseguite. A me interessano entrambe, le questioni.
    Il mio non è un attacco agli intellettuali (Sofri, Ferrara, Fofi, Mughini…) ma un appello. Un articolo come quello di Alfonzo Berardinelli mi incoraggia a continuare. Continuando quanto più possibile a essere me stesso, se cosi’ si può dire.

    effeffe
    :-)

  29. Maria, forse questo articolo ti può aiutare a capire che la letteratura non è tutto e che ci sono ‘caricature’ che alcune popolazioni (quelle che restano) si ricordano ancora e …non ridono (vedi ebrei sopravvissuti). Guardare alla realtà e analizzarla, qualche volta, non farebbe male, anzichè limitarsi a quelle due o tre chiavi di volta che vanno per la maggiore.
    dal manifesto di ieri

    Al diavolo
    GABRIELE POLO
    «Una risata li seppellirà» era uno slogan ingenuo quanto radicale, una presa di distanza dai potenti di casa propria per ribadire l’autonomia estrema di chi rifiutava di annullare differenze sociali e di classe in un indistinto «bene comune». Era uno sberleffo rivolto al proprio mondo, non all’altro; satireggiava su se stessi e scomponeva presunte unità nazionali (o comunitarie), non le rinsaldava. Oggi non si riesce più a ridere, ma sarebbe bello risbattere quello slogan in faccia agli integralismi che – in Occidente come in Oriente – si offrono come collante di identità «nazionali» da affermare o superiorità morali da ribadire, avere il coraggio di ricondurre la fede a un fatto privato (per chi ci tiene) e ridire che le religioni sono un imbroglio, utile solo a chi ne tira le fila, a confermare guide o a crearne di nuove. Ovunque. Ma è difficile, dal pulpito di chi è parte del mondo ricco, dire ai musulmani in rivolta per delle stupide vignette: «Vi state sbagliando, vi stanno imbrogliando». Difficile perché la predica verrebbe dalle nostre tiepide e sicure case, da un mondo che la propria democrazia (peraltro in crisi) la fa pagare agli altri; e quella predica precipiterebbe su case fredde e insicure, su sistemi politici creati ad arte per separarli da noi a conferma dei nostri privilegi. Con quali argomenti possiamo convincere gli altri mondi quando abbiamo rimosso le differenze che esistono nel nostro? Quando ci siamo mostrati come comunità compattate dalla paura dell’altro (sui privilegi di cui ci chiedevano conto) e lo abbiamo bombardato per un po’ di petrolio o chiuso in ghetti metropolitani per tenere sotto controllo lo sfruttamento che ne facciamo? Dando così ai nostri «poveri» un nemico da cui difendersi. E quando in nome del mercato abbiamo deciso che fosse la scala dei consumi a stabilire il valore degli individui del pianeta?

    Quel meccanismo di identificazione religiosa che oggi bolliamo come barbarie lo conosciamo bene, sta scritto nella nostra storia, lo abbiamo praticato a lungo, seminando sangue e terrore per secoli in Europa e altrove. Dovremmo possedere tutti gli anticorpi per debellarlo, ma ci stupiamo che altri lo usino perché le ricette illuministiche – frutto di tragiche lezioni – le abbiamo scartate assieme all’idea di un mondo diverso, esportando fuori da noi il conflitto che ci agitava. Così la libertà (di stampa, di parola, d’azione) è diventata un privilegio per pochi; e gli altri l’hanno vissuta come una violenza, un corredo «ideologico» delle guerre e delle mercificazioni. Non più un valore, ma solo uno strumento ostile. Per ridarle un senso universale dovremmo rivedere tutto: dalle politiche internazionali alla xenofobia di quartiere. Solo così potremmo dire a chi difende Maometto bruciando ambasciate – morendo o uccidendo – che la contesa non è sulla sorte dell’anima ma su quella del corpo. E offrire a noi e a loro una sponda per mandare al diavolo un imam, un rabbino o un vescovo quando pretendono di dettare la legge degli uomini.

  30. Riso è quando si ride con l’altro, irrisione quando si ride dell’altro. L’irridente pensa di aver ragione, esattamente come pensa di aver ragione l’irriso. Siccome è il participio presente (irridente) a compiere l’azione, mentre il participio passato (irriso) la subisce, la domanda obbligata è: perché la compie? Io vedo solo una risposta: per pungere, provocare l’altro. Se infatti volesse convincerlo della propria ragione, sceglierebbe altre vie.
    L’irrisione viene bene con chi è suscettibile: se si sa che è suscettibile, l’irrisione diventa strategica. Peccato che questa strategia della tensione, avviata da destri danesi, sia ora alimentata da sinistri italioti (ma anche Evangelisti non scherza, con la controirrisione).

    grazie a Georgia per l’indicazione su Berardinelli: ma ha torto marcio! (secondo me)

  31. Scherza coi santi ma lascia stare i fanti.

    Questa è la logica (studiata a tavolino?) che sta dietro a tutta questa finta crociata nel nome della libertà di pensiero. Tutto studiato ad arte per sviare le migliori menti (soprattutto progressiste) dal vero nodo della questione. E cioè che una nazione sovrana del mondo arabo è stata illegalmente occupata in nome e per conto degli Stati Uniti d’America. Ci sono stati per questo bombardamenti – che peraltro andavano avanti dalla prima guerra del golfo del 1991 – e che hanno provocato centinaia di migliaia di morti. Le motivazioni di questa guerra si sono dimostrate false e pretestuose. E ora un tribunale processa Saddam Hussein. Ma chi processerà George W. Bush e Tony Blair per i crimini di guerra perpetrati in tutti questi anni? L’occidente è anche questo per i musulmani che hanno incendiato le ambasciate per le vignette. In nome di quale libertà pensiamo di avere ragione?

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017