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Poesie/Lello Voce

SHORTCUT n° 1
(la rosa e la voce)


e sono come scorciatoie del corpo e dell’anima come le cosce i polpacci
tesi allo sforzo del piacere come nervi e corde che si fanno frasi come stasi
immobili sull’acrobazia della vita come parole sospese nel vortice della materia
come un abisso in cui precipiti e vedi infine le tue gambe le braccia la traccia
del pensiero perché piuttosto c’è bisogno di voce di fiato che dice c’è bisogno
della fattura e della sua matrice del conto esatto dei decimi e dei millesimi
della frattura che scheggia l’osso che lo getta oltre l’ostacolo della mossa
che salta il fosso c’è bisogno piuttosto d’una lentezza lenta che allenta e
distende d’un lungo respiro a braccia intrecciate c’è bisogno piuttosto
dei tuoi fianchi e dei capelli dei tuoi occhi c’è bisogno piuttosto d’un
costante silenzio rotto dal tuo ansimare intermittente c’è bisogno del
dente bianco da belva piuttosto c’è bisogno della zampata vivace che
squarta e sconfigge piuttosto che la morra dei dadi dei destini dei confini
che come abiti o camicie di forza c’è bisogno piuttosto di questo bicchiere
che ci fa vedere il mondo maledetto e porco lo sporco delle unghie e degli
occhi gli schiocchi dei grilletti i tonfi dei morti di miseria la lista seria dei
dispersi c’è bisogno piuttosto di versi che sappiano ancheggiare di poesie
pingui di sillabe che scavino la fossa di soli mandolini e flusso di coscienza
c’è bisogno di una scienza dei nostri sentimenti poverelli degli amori da
pipistrelli vissuti a testa in giù dei fratelli e dei coltelli c’è bisogno piuttosto)


(ma una voce è soltanto una voce un’atroce particola di corpo
che lanci addosso agli altri che ti si appiccica alle orecchie una voce
è soltanto una croce di sangue graffiata sul timpano fulminato
stando di lato, in disparte, a perdifiato.)

questa nostra miseria minima e mediocre questo privilegio privo d’ogni agio
questo plagio che si frantuma negli occhi questo pulviscolo di futuri e muri
intercambiabili come amori sfuggenti come dolori penetranti come odori
persistenti di sentimenti fritti di bagnomaria di speranze farcite d’oltranze e
scommesse senza rischio come un fischio che penetra tra le cosce che sfonda
la vulva d’aria la bolla che ci separa che violenta il silenzio e lo fa vibrare che
ti carezza i capelli o ti porge una rosa una cosa credimi incredibile labile
incomprensibile come il segno fragile affranto ai piedi del muro a muso duro
c’è bisogno piuttosto di bruciarsi i polpastrelli alla luce una cosa un po’ truce
c’è bisogno piuttosto di carezzarsi ai polpacci farlo piano piano dolcemente
d’accudirsi le ginocchia e rimboccarsi la schiena c’è bisogno piuttosto di bocche
che sappiano che dire di lingue che sappiano come soffrire di lettere di fuoco che
sale sappiano mettere sulla coda del male di frasi tese come muscoli gonfie
come stomaci felici c’è bisogno piuttosto di labbra affilate come denti per
poterlo di nuovo pronunciare di dimenticanze e gengive colme come stive
di un’altra occasione del coraggio di sfuggire all’attrazione cieca del tuo
odore squillante come vocale accentato dalle ciglia ritmo svelto che spariglia
c’è bisogno piuttosto di questo silenzio che fa risuonare la voce di quest’onda
di questa vibrazione fonda della dignità c’è bisogno piuttosto d’un po’ di vanità
d’aprire gli occhi di smettere di dormire d’iniziare a sognare o piuttosto di morire)

(ma una voce è soltanto una voce un’atroce particola di corpo
che lanci addosso agli altri che ti si appiccica alle orecchie una voce
è soltanto una croce di sangue graffiata sul timpano fulminato
stando di lato, in disparte, a perdifiato.)

71 COMMENTS

  1. che biiiiiipp ‘sto lello voce che non usa la punteggiatura per sentirsi tanto fico e sperimentale!

  2. @Voce:–)

    qui piove ma non mi commuove la pioggia mi trema invece la voce mi scorna la frogia celeste del tempo che ancora si offende che tende che vuole sparire mi opprime lo strato di foglie per terra la grandine sul mio limone l’ottone brunito che tende al marrone mi scorna la porta che chiude e non chiude lo squillo del coso qui accanto che non voglio sentire mi irride la foto ingiallita dal tempo dal fumo di quando ero bruna la luna mi guarda ridendo mi dice che fai come perdi il tuo tempo

    Questo è un omaggio, sia ben chiaro, c’è chi fa le imitazioni al telefono e i dementi come me, in ogni caso è evidente che la cosa più importante nel tuo pezzo è la voce (ma il cognome è vero? se è così davvero omen nomen), dovresti postare l’audio, se tecnicamente è possibile.

  3. E per essere ancora più chiara: imitare i tagli di Fontana è facile, ma conta sempre chi li ha fatti per primo.

  4. buona sta cosa di voce e buona pure temperanza. mo’ sentite questa:

    io parlo del tarlo che speme la seme del bene m’indrizzo l’adress della ursula andress, io vivo de vivo e vigilio io manco da manca nazional popolare del baudo, da eco e con l’ino piccino, picciò con il piero piccioni sordiano – di sambe e di rumbe tra le catacombe, tra fronde d’armandi e maestri d’aggiungi di posto alla tavola il desco – trovàjoli maestro e di ritz ortolani; lontani dal piero umiliani.
    eccetera.

  5. caro Freud, non ci siamo, la tua, mi spiace, è un’accozzaglia di rime e anche banalotte, non c’è un filo, neppure labile di senso, per fare i copisti un po’ di talento bisogna averlo:–)

    Preferirei vederti all’opera nel Witz

  6. Non vorrei, per mia superficialità e ottimismo, aver dato inizio a un’altra sfilza di stupidaggini (se così sarà, Voce, farò in modo di farti avere non virtualmente una bottiglia di champagne per scusarmi), io l’ho inteso davvero come omaggio all’oralità, che è spesso collettiva e corale, ho preso il capo di un gomitolo, per così dire, e mi sarebbe piaciuto andare avanti. Quello che dicevo su Fontana è vero, è facile fare “alla maniera di”, non per nulla i musei americani sono pieni di falsi, ma conta sempre chi lo ha fatto e pensato.

  7. ma come nun c’è senso, maestra illustrissima?
    se passa da l’indirizzo a ursula andress, da eco a baudolino a baudo, da manco (manca il celo) a enrico manca, dal piccino picciò a piero piccioni e a quasi tutti i migliori compositori da film italiani. 8boni e italiani, inzomma, come i cetrioli saclà de cicciolina…)
    comunque nel witz devo ripassare, io sono de roma:-)

  8. Domanda senza risposta, immagino.
    Tutti i post fin qui presenti, tranne uno per fortuna, sono meno offensivi e volgari dello sfogo umano di chi, davanti a un racconto pornografico con protagonista un bambino, vomita e perde per un attimo, nella foga, il controllo delle sue parole? Vi va bene così?

    Non è più facile scrivere “non mi piace”, oppure “non ci trovo niente”, piuttosto che insultare, in modi fintoironici, il lavoro (e la vita) di un poeta da trent’anni impegnato in un discorso di valori civili e di scrittura di alto livello?

    Cercate di rifletterci, signori, tanto chi siano gli uccellini e gli albanicarrisi ed altre geniali macchine-non-desideranti lo sanno tutti. State rischiando di rimanere veramente da soli.

    Un caro saluto, Lello.

  9. Ma no Vox, no Lello, non far così.
    Al di là del fatto che la ‘solitudine’ può esser un fatto di ‘pienezza’ e non di esclusione (a meno che non la si intenda nella solita psichica nozione di ‘non inclusione’ relativamente ai fatti aggregativi, all’apologia della comunità), la tua frase ‘State rischiando di rimanere veramente da soli’, dal patetico tono di ammonizione globale, la trovo simile (con la differenza che mi venne detto che ‘stavo’ e ‘solo’) ad una che una delle mie 12 amanti contemporanee di due anni fa mi rivolse quando vide che la consideravo poco (poco rispetto a quanto avrebbe voluto).
    Per il resto trovo la tua poesia ‘buona’, dall’emivita media, con una discreta capacità di agglutinare forme linguistiche e metriche rap e radical chic. Forse manca ‘la visione del mondo’, ma fa niente.
    Con stima.

    MZ

  10. Cari amici

    non si chi sia che si firma Lello Voce, ma non sono io.
    Ora va bene tutto, ma trovo che cosa è inventarsi un’identità fittizia, altra rubare quella altrui.

    Temp! grazie dell’imitazione. la considero davvero un gesto di ‘affetto’

    Lello Voce

    PS: il mio Ip è a disposizione di tutti per controlli.

  11. PS: ero io ma il PC mi ha mangiato il nick che era MaledettoPerplesso.

    Uffa!

    Lello

  12. @Lello Voce

    Spero davvero che tu sia Mal.

    Sono mortificata, ripeto, per la mia supercifialità e il mio ottimismo, spero sempre che venga fuori il meglio, e tra il meglio metto anche, sbagliando, la leggerezza e il gioco, non so come rimediare, perché stimolare la stupidità umana come un apprendista stregone non era nelle mie intenzioni.

    Scusami ancora.

  13. Temp,

    sono io e tu non hai nulla da scusarti. Ripeto a me l’imitazione è piaciuta, ne sono, come dire? onorato. Degli insulti anonimi non me ne frega un bel nulla, fanno aprte del gioco. Mi infastidisce solo il bel tomo che si firma con il mio nome. Ma vedrò di ‘tracciarlo’, tanto per sapere chi è.

    Per il resto grazie a tutti per l’attenzione.

    lello

    PS: @ Temp: sì sono testi nati per stare con la musica, recitati ad alta voce. Siamo solo ai primi take, ma verso fine mese dovrei avere qualcosa di ascoltabile da mettere su absolutepoetry.org

  14. Non mi sono firmato col nome di Lello, era solo “un caro saluto a Lello”, e mi dispiace che nell’equivoco sia caduto anche il destinatario che, in ogni caso, sa difendersi da solo.
    Prendevo spunto da alcuni “commenti” che non vengono mai stigmatizzati, cosa che puntualmente avviene in altre occasioni.
    Mi scuso con Lello e con chiunque abbia voglia di commentare realmente, in termini di discussione critica e non tesa alla banalizzazione di tutto ciò che appare.

    Un caro saluto. Pasquale (E’ una cosa)
    Un caro saluto, Pasquale (Credo che si tratti di uno che sta salutanto Pasquale).

    p.s.

    Lello, non darti pensiero, ti mando la mia mail.

  15. @voce.
    anch’io mi dispiacquo parecchio, c’è stato un malinteso, quando ho scritto che la tua cosa l’ho apprezzata dicevo davero. scusami comunque.

  16. siete meravigliosi cari, non saprei proprio come sopravvivere se non fosse per i commenti che leggo alle volte su NI.

    vi ringrazio di esistere. anzi, magari stasera lo scrivo su un muro vicino a casa con la vernice spray, in un posto di fronte al quale passo ogni mattina(dovessi dimenticarmi di voi…)

  17. Io qui non metterò vocalizzi miei, non farò questioni di identità, non voglio sapere chi è Lello e chi è Mal e chi non lo è e chi è il vero nome di chi.
    Dico solo: mi piace, e mi convince, e c’è bisogno oggi (anche) di chi scrive così.
    Poi, ma molto ma molto umilmente, lancerei un tema (che certo può rimanere come rimarrà):
    Con quale leggerezza (noncuranza?) i poeti dicono “poesia”.

  18. Credo che la poesia, qui, andrebbe chiusa, sempre, ai commenti.
    Ciò per tutta una serie di motivi, alcuni dei quali sono evidenti.
    La poesia è comunque una cosa delicata, buona o cattiva che sia.

  19. Una sola domanda a Lello Voce: perché? Perché non metti la punteggiatura? E’ un modo per sentirsi più moderni? Facci capire a noi ignorantoni della rete. E una domanda a tashtego: vuoi chiudere ai commenti. Perché? Ti senti minacciato?

  20. @Gino l’uccellino: non vedo ragione di rispondere a chi come te ha aperto la serie di commenti con gli insulti. Prova a risponderti da te, non hai fatto anche tu le scuole medie?

    lv.

  21. Ma se i commenti – si ritiene – sono chiusi alla poesia, Tashtego, e se chiudono la poesia…la rimandano implicitamente per un altrove che qualcuno riprenderà o no, guadagna però uno scarto da che si commenta.

    Anzi, per la qualità della poesia di fare da cassa di risonanza del linguaggio, d’esser voce che lo dice, è perfettamente associabile ai suoi relativi commenti, perchè esibisce il più alto sospetto per l’integrazione che il commento comporta, praticamente nasce radiografato.
    Il testo poetico, come strumento, è un violino con le corde annodate, che riduce ogni dibattito al suo strimpellamento, quando non è un bell’udire, è almeno una buona vendetta.

  22. grazie dell’attenzione, m.lippolis, ma un intrico di complicate metafore mi impedisce di cogliere il senso di quello che dici.
    (perché non me ne sto zitto?).

  23. Come sei caustico, Lello! Comunque prova a dare (e darti) una risposta. Può essere (ti) utile!

  24. Caro Uccellino, ma non lo sai che Lello Voce è uno dei fondatori del Gruppo 93? E chiedi perché non usa la punteggiatura…

  25. Questo gino l’uccellino mi ricorda ruttoman, stessa razza.
    E stessi problemi di auto rappresentazione

  26. ma va tashtego, mica ti aggredivo, ti rispondevo perchè l’ho pensato anch’io (qua si respira un’aria da guerra col liquidator)

  27. “e sono come scorciatoie del corpo e dell’anima come le cosce i polpacci
    tesi allo sforzo del piacere come nervi e corde che si fanno frasi come stasi
    immobili sull’acrobazia della vita come parole sospese nel vortice della materia come un abisso in cui precipiti…”

    a me sembra De Gregori

  28. Io son d’accordo invece con Tash. Sul chiudere i commenti alla poesia, dico.
    Proprio, come lui dice, “per tutta una serie di motivi, alcuni dei quali sono evidenti”.

    (E perché, De Gregori eventualmente chi è, è rimmel e non è nobel, ancora siam fermi lì?)

  29. @m.lippolis
    non discevo che mi aggredivi, dicevo che non capivo.
    ma non mi illudevo che avrei capito in seguito.

    @temperanza
    devo dire che ruttoman aveva una sua qualche efficacia icastica: lui diceva prevalentemente “rutt!!”
    mi pare che sopravvenne anche un fartman (prottman?) che disceva: “fart!!” (oppure “prott!!”?)
    niente a che vedere con gino l’uccellino.

  30. Ma un poeta che posta in rete le vuol sentire, credo, le reazioni. Certo, le vorrebbe sensate.

  31. @Tash

    Hai ragione, mi era anche simpatico, almeno non soffriva di acidità di stomaco.

  32. Dico una cosa a sostegno della proposta di tacere.
    Non è che la poesia non sia, come qualsiasi altra cosa, commentabile.
    È che la poesia, sembrerà strano, ma si può commentare solo positivamente, oppure suggerendo qualche modifica e/o miglioria non sostanziale.
    Mi sono reso che il commento negativo (io qui ne ho fatti alcuni) è inutile perché, per quanto ci si sforzi, non è realmente argomentabile: una poesia, se non ti piace, l’hai automaticamente stroncata.
    Nessuno sa esattamente cosa sia la poesia e a me sembra che tutti, anche quelli bravi, si barcamenano tra intuizioni (magari fiammeggianti), definizioni, aforismi, trattati, eccetera, senza mai coglierne la sostanza, che forse proprio non c’è.
    Però sappiamo che ogni poesia viaggia sul filo del rasoio, si regge miracolosamente in bilico tra il kitsch (“M’illumino d’immenso”), la stronzata melensa, la malinconia auto-referenziale (Guido io vorrei che tu e Lapo ed io…), il gioco di parole, il vittimismo emozionato, eccetera.
    La poesia basta un niente per farla crollare.
    Basta un commento ironico e una cosa che un istante prima magari si teneva, l’istante dopo ti appare cosa vana e inutile.
    Per quanto mi riguarda la poesia che mi piace è quella capace di rialzarsi dopo essere caduta, che resta lì e tiene botta, magari vacillando: quella di cui si ricostruisce il canto ad ogni lettura, che seguita a *dire* ad ogni richiamo della memoria.
    Ecco, ho dato il mio trascurabile contributo alla confusione.
    E’ che mi annoio, oggi.

  33. Sì, m’illumino d’immenso sembra la cartina di un bacio perugina.
    Ma l’uomo ha fatto anche qualcos’altro, e anche Montale ha scritto brutte poesie, è l’opera nella sua interezza che fa di questi poeti dei poeti
    .
    Forse è presentare qui, in piazza, un solo testo, un breve testo, senza che i passanti sappiano di cosa si tratta, che rende le cose difficili.

    Ma a parte questo ti dò ragione, io non interverrò più.

  34. Lello, ho letto i commenti ma non ho trovato alcun insulto. Anche “patetico” non è tale. Se tu posti un testo, e magari è pure “sperimentale”, devi mettere in conto che arrivi una risposta di lettura, anche aspra, anche sarcastica. Non puoi chiuderti in difesa in questo modo. Io, per me, sono grato a chi mi invia una reazione di lettura, anche se apparentemente prende per i fondelli. E’ la sua reazione, nuda e cruda, alla lettura. Sei qui per comunicare, no? E anche per imparare, come tutti. Quindi ti devi confrontare.
    Per il resto trovo il testo interessante. Io ho un sito dove ogni tanto campiono dei periodi lunghi, dei periodi anomali rispetto alla tendenza di una scrittura conformista e rassicurante fatta di periodi brevi, poco impegnativi. Sono tentato di metterlo dentro, se sei d’accordo. Il fatto è che non riesco a prendere una posizione ben definita. Cioè non riesco a stabilire con certezza se questo scritto lo capisco, lo recepisco in pieno, se sono in grado di esprimere una valutazione. E’ interessante ma sono perplesso.

  35. Quello che dico è che il testo poetico è pre-commentato, fa già i conti con tutte le ideologie possibili del commento, vive in un commentario…per tanto, la censura o l’autocensura dei commenti ulteriori,
    lo spazio bianco che, del tutto arbitrariamente, si crea attorno al testo isolandolo, non rimuove la sua cornice ma la costituisce, e lo fa tacendo, cioè fa bisbigliare il commentario (ma non ne abbiamo abbastanza di tanto “spettegolare”? E’ necessario dare un’altra mandata alla porta di casa?).
    Mi pare invece auspicabile pronunciarsi ed esporsi, d’altra parte, non credo sia grande il potere di chi riempie la casellina che sto riempiendo adesso, restando quasi sempre punito pubblicamente dal proprio commento, non credo ci si debba difendere dall’autopunizione pubblica dei commentatori dei blog.

  36. @Baldrus: i primi 2 commenti erano infiorettati di 2 begli insulti che Forlani ha ‘editato’ con i biip che li sostituiscono, ecco perchè non li leggi.

    per il resto sto educatamente leggendo tutto e facendo tesoro, proprio perché confrontarmi con gli altri la ritengo cosa utilissima.

    Per la poesia come per qualsiasi altra cosa. Per quanto mi riguarda, meglio gli insulti di tipi strani, che chiudere i commenti. Se si accetta di postare, si accetta la Rete, nella sua globalità. Se mi insultano e lo ritengo utile, rispondo, se no faccio finta di niente. Nessuno è mai morto perché qualcuno gli ha dato dello stronzo, invece impedire una discussione ucciderebbe la ragione stessa della poesia: comunicare. Meglio subire lo ‘stronzo’ con cui mi etichettava Uccellino nel primo post, che perdere i commenti degli altri. Se poi fossimo capaci di discutere senza dire cose inutili e senza insultare sarebbe meglio, ma à la guerre comme à la guerre.

    Tutto è meglio del silenzio…

    Lello Voce

  37. Caro Lello
    io sono morto e finito all’inferno perchè mi hanno dato dello Stronzo. Ma se mi avessero dato del biip sarei ancora lì in un tecnolimbo da incubo senza sapere nulla di certo sul mio destino. Bip infatti vuol dire solo bip, censura solo censura

  38. Nei versi di Lello Voce io ci leggo, prima di tutto, una tensione a uscire fuori dalla pagina, come se la parola volesse costruirsi come spettacolo e come valore. Non è poco, di questi tempi. Credo che sia quanto mai importante, oggi, in questa nostra così sfacciata decadenza, rimettere in moto una poesia che rompa col patto sociale che la vuole chiusa su se stessa, poco incline a “lavorare nel fango”. Lello compie uno sforzo in questa direzione, ed è apprezzabile soprattutto per questo. Poi c’è l’esito dei suoi versi … È una poesia affermativa. Prima di tutto afferma la sua particolarità: i segmenti versali seguono il respiro – il SUO respiro di poeta che dice ad alta voce; non segue quindi una metrica prestabilita, ma ne inventa una sua; credo sia stato Giuliani a parlare di un verso che si struttura non più per l’occhio, ma per l’orecchio (e se non ricordo male parlava proprio di versi scritti secondo la misura del respiro). Poi afferma la necessità di “parlare” per rompere il mutismo generalizzato; e infine c’è l’affermazione della propria limitatezza (“ma una voce è soltanto una voce”), che è anche l’incapacità della poesia di cambiare il reale che non vale; in fondo, sembra dire Lello, per cambiare il mondo non serve la poesia, ma io sono un poeta, dunque scrivo per produrre un senso contrario … Nelle condizioni attuali, davvero, mi pare un atteggiamento più che meritevole. Mi restano dei dubbi sulla validità – sull’assenza? – delle metafore, forse troppo deboli per aprire una reale comunicazione con il lettore. Tento di spiegarmi. La netta affermatività della poesia mi dà, in quanto lettore, poco spazio creativo: o sono d’accordo con quello che scrive il poeta, o non riesco ad ascoltare il suo “messaggio”, e proprio perché le metafore sono “chiuse”, non aprono uno spazio ulteriore di lettura … Mi chiedo (e chiedo prima di tutto a Lello): la chiarezza eccessiva del dettato non chiude la tensione allegorica? Non è già tutto esplicitato nel testo? Non è tutto troppo “simbolico”? Mi pare che traspaia, in questi versi, parecchio “inconscio” – quello del poeta, ovviamente, ma anche quello sociale; insomma, nella chiarezza di significato ci vedo il pericolo di un allentamento di quella molteplicità di senso che dovrebbe caratterizzare l’allegoria …

    PS: spero che prevalgano i commenti spiazzanti, più che gli applausi o gli sputi … e spero che la censura sia censurata, sempre e comunque …

    Volodja

  39. Tu, Volodja, come tutti gli altri poeti, avete sempre parlato di una poesia per l’orecchio, che è un’autoevidenza, perché la poesia è per l’orecchio o non è. Non ci voleva certo Giuliani per scoprirlo. Dell’occhio si occupano altre arti.

  40. Al contrario di quello che dice Volodja “Metafore troppo deboli per aprire una reale comunicazione con il lettore”, io ci leggo un ulteriore sforzo di avvicinamento. Se è inevitabile per il lettore andare a caccia di percorsi nell’esperienza pluridecennale di un poeta, beh io quello di Voce lo vedo nel senso di una progressiva apertura all’altro, anche a discapito di qualche vezzo. Da Romance, per citarne una, la distanza è abissale. Il testo si muove in direzione di una ricezione più immediata e meno meditata facendo leva soprattutto sull’impatto emotivo. Lo definirei “urto sensoriale”. Si tratta perciò di una scrittura solo apparentemente più facile, perchè la sospensione duratura dello stato di tensione ha bisogno di un polso forte. Ma la fatica è tutta e solo dell’autore. Il lettore non deve fare altro che lasciarsi travolgere. Quando anche la musica sarà azionata, al fruitore non resterà più alcuna difesa…non potrà fare altro che chiudere gli occhi.

  41. Tu leggi i libri con le orecchie, Staccalanana? se no, allora vedrai che parlare di nuovo di una poesia per l’orecchio non è poi quella scontatezza che presumi.

    La ‘chiarezza’, come ha notato Maria nasce dal mio passaggio a una poesia ‘solo’ per l’orecchio, su disco prima che su carta. Da questo punto di vista, avere qui solo il testo può essere ‘fuorviante’. Ma quell’oratura, che sarà su disco ha poi un testo, una traccia scritta che è quella che Francesco ha postato qui.

    da questo punto di vista, l’oratura di questo testo è assai meno ‘impositiva’ del suo doppio scritto: all’ascolto la metafore si ‘aprono’. Detto questo non so se sono d’accordo con questa ‘affermatività’ della poesia, che è in sè, plurivoca, opaca, ambigua, aperta, la poesia non esiste finchè qualcuno non la legge o non la ascolta…

    Lello

  42. @Baldrus: dimenticavo, se può esserti utile prendi pure il mio testo, ovviamente. No copy!

    lv

  43. Ogni colore si espande e si adagia
    negli altri colori

    Per essere più solo se lo guardi

    (Ungaretti)

    (Del kitsch dà LA definizione Milan Kundera ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”.
    Ungaretti è kitsch?!?!?)

    (Scusate eh.)

  44. Contesto

    Slabbrato aprile di nuvole alla finestra
    mi affaccio confuso
    ignorante di me stesso
    fraintendo diecimila volte il mondo
    rincorro la fine della Storia
    negli autobus che svoltano giù in basso

    La memoria del mio adesso mi perseguita,
    il rumore del tempo che passa
    incessante mi assorda,
    come il brusio di questa strada,
    Il semaforo all’angolo – verde giallo rosso
    in sequenza continua ripetuta rinnovata
    sub specie aeternitatis –
    mi rende folle di occasioni perdute
    mi fa saltare il fosso di speranze,
    fughe e interdizioni.
    Mi ritrovo lanciato nel contesto
    e con la voce roca della mia pochezza
    canto il secolo del gran mescolamento
    del tutto con il niente

    O mio tempo
    divorato dall’oblio della ragione
    tempo di vigliacchi
    di scimmie edulcorate vestite a festa
    tempo di illusioni cento volte cadute
    e furbescamente riparate,
    piene di crepe entro le quali
    si annidano viscide creature

    O mio tempo
    affanno della giovinezza

    O mio tempo
    sconsolato e caro
    infinito mattino di sole
    dolcezza e guerra

    O mio tempo
    in cui si muore tra macchinari
    nascosto alla vergogna dei viventi
    perchè vergogna è diventato morire,
    tempo confezionato in serie,
    danzi sulle tue macerie,
    insincero fino alla totale sincerità
    individualista fino alla
    totale massificazione di milioni
    di veloci, scaltri, infidi, rozzi
    maligni e amari portatori sani
    dell’informazione

    Tempo di chimere e saccheggi della memoria
    eterno presente
    di calciomercato smodato
    tempo amato e odiato
    unico mio tempo
    unica mia essenza
    sono intriso di te
    sono saturo di violenza
    e timore e tremore
    desiderio e speranza

    O mio tempo infame
    delicato e spoglio

    O mio tempo ultimo
    sei nato fuori orario
    viverti è come assistere all’alba
    di un sole che sorge al contrario

    Massimo Villivà

  45. @ale

    Hermann Broch, Il Kitsch, Einaudi, 1990 pag 156 segg;

    “…L’essenza del Kitsch consiste nello scambio della categoria etica con la categoria estetica; esso impone all’artista non un “buon” lavoro ma un bel lavoro; ciò che gli importa è il bell’effetto. Malgrado si atteggi spesso in senso naturalistico, e cioè malgrado il suo abbondante impiego di vocaboli della realtà, il romanzo Kitsch illustra il mondo non “come è” ma “come lo desidera o lo teme” e analoga tendenza rivela il Kitsch delle arti figurative; nella musica poi il Kitsch vive esclusivamente di effetti (si pensi alla cosiddetta musica di intrattenimento borghese, e non si dimentichi che l’industria musicale di oggi è, sotto molti aspetti, la sua ipertrofizzazione). Come non concludere che nessun’arte può fare a meno di una goccia d’effetto, di una goccia di Kitsch? “

  46. Sì, conosco, condividerei quasi, e questo quasi più del condizionale “vorrebbe” fare della mia adesione qualcosa di poco kitsch.
    Kundera stesso (non perché importi Kundera nel tuo discorso non fatto, ma perché importava nel mio, sempre non fatto) come si sa è un seguace di Broch in molti sensi, anche se questi son fatti più suoi.

    [- scambio della categoria etica con la categoria estetica: questa per intenderci era la parte di accordo (mio) per quel che vale (nulla)
    – nessun’arte può fare a meno di una goccia di Kitsch:
    questa era la parte del no (sempre mio)
    (ed ho eliminato dal mio copincolla “goccia d’effetto” perché non credo nel modo più assoluto che una goccia d’effetto sia una goccia di kitsch)

    Abbiam messo forse tutti i puntini, ora.

  47. …e questo quasi, più del condizionale, “vorrebbe”…
    (scusa, mancavano queste due virgole importanti)

  48. Uno dei racconti più kitsch che abbia mai letto è Bella bocca occhi miei verdi di Salinger. Da leccarsi i baffi, altro che goccia!

  49. Beh, io sono indeciso, metterei forse Cantico dei cantici, o magari Fenomenologia dello Spirito, o Manifesto del partito comunista. Non so. E’ che ho quest’idea che il kitsch appartenga poco alla “vera” letteratura, cioè diciamo a quella che io chiamo autoriferita.
    (Nel senso che i titoli che cito, ma molti altri per quanto fondamentali per altri versi, non hanno la “letterarietà” quale loro primo intento.)

  50. Avevo messo un commento per @Ale, ma non lo vedo, ti ho copiato l’inizio di Bella bocca e occhi miei verdi in bacheca per non intasare qui, nel caso non lo conoscessi, vedrai, puro giulebbe kitschico

  51. Non discevo che quell’Ungaretti è kitsch.
    Voglio dire: forse lo è, forse no.
    E aggiungo che adoro quei versi di Dante.
    Erano solo esempi.
    Dicevo invece che la poesia è quasi sempre rischiosamente in bilico, quantomeno tra riuscita e non riuscita, ed è per questo che è fragile e la sua immagine presso di noi può essere facilmente compromessa.
    Il discorso sulla poesia – che nessuno sa cosa sia – è fatalmente confuso, punta sull’evocazione, abusa di metafore, si ermetizza: qui si vede molto bene dai vostri commenti.
    Che poi qualcuno dica che una cosa che va a capo senza punteggiatura è “sperimentale”, beh…
    Tra parentesi: la parola “sperimentale” non si usa quasi più.
    Andava molto negli anni sessanta et settanta: “teatro sperimentale”, soprattutto.

  52. Grazie Temperanza (Ti posso/devo chiamare Temperanza?)
    Ho letto. Beh, non tanto forse kitsch quanto fintamente (volutamente) carabinieresco. E’ un esperimento, soprattutto, no? Poi del resto non mi addentro di più: non conoscevo, e non so come va dopo.
    Cioè, insomma ti dirò che non è quella precisamente la mia idea letteraria del kitsch (che è un’idea negativa, fondamentalmente: lo preciso perché poi così scontato non è e non dev’essere).
    Tash, son d’accordissimo ancora su tutto. Non lo ero appunto solo se dicevi che quell’Ungà era kitsch.

  53. Tanto silenzio ad Anzio
    non indica inazione
    del lido anziano che anzi
    ansimando propone

    blande avanzate d’onde
    sulla spiaggia deserta
    dove il frangente effonde
    speranze – poi le incarta.

    Toti Scialoja, da Scarse Serpi, Guanda, 1983

    (per me è bellissima)

  54. caro @Ale,
    sì, puoi/devi chiamarmi temperanza o temp o t, se ti par lungo.

    Non trovi kitsch Bella bocca? Curioso. Io seguo fedelmente le orme di maestro Broch, il kitsch è sempre piacevole, carezzevole, seduttivo. Il kitsch ti guarda sbattendo le sue lunghe ciglia e solo molto dopo ti accorgi che è una trappola al miele.
    Quel racconrto a suo modo è geniale, una Liala metropolitana che sa di whisky sour e Plaza alle sei del pomeriggio. Se nessuno mi sbrana (Einaudi compresa) te ne aggiungerò nel corso del pomeriggio un altro pezzetto.
    La poesia a mio avviso difficilmente è kitsch, perché il kitsch è molto legato alla fruizione, neppure certe strofette o versetti che ammiccano alla ballate popolari tipo il nostro mazzolin di fiori o il bacio perugina o il falso-sperimentale-fico fanno in tempo a diventarlo davvero.
    Forse è quello che dice tash, è il bilico, il grande rischio della poesia, e del poeta con lei, a tenerla più riparata. Anche quando è fasulla, è fasulla sul serio, il kitsch funziona quando riesce a sedurre, una poesia fasulla si vede subito e seduce poco.
    Il Cantico dei cantici non è fasullo. Non per me, anche se un occhio portato ad apprezzare il kitsch se lo gode magari con più candore di un occhio/orecchio più smaliziato.

  55. Temperanzanomemaitroppolungo,
    ora ti risponderei un sacco di stupidaggini professorali e allora mi astengo. Ti dico invece, sono abbastanza d’accordo, sulla trappola al miele (bellissima, giustissima immagine), su mazzolini e baciperugina. Non so se il Cantico dei cantici non è fasullo, sinceramente.
    Poi, ti dico invece,
    fai un saltino da me che ti dico una cosa. Cioè,
    se fai un saltino da me mi puoi, volendo, lasciare una meta dove io possa dirti una cosa. Volendo.
    (Nulla di sconveniente eh.)

  56. Purché tu non sia troppo professorale, ale, perché detesto la categoria, l’ho analizzata, e nei giorni di pioggia la imito anche benissimo;–)

  57. Ok, affarefatto. Scherzavo sul professorale, non ho mai insegnato e neanche mai fatto concorsi, a parte per questioni di anarchismo e dunque per la mia spinta naturale alla nonpartecipazione, ma in questo caso soprattutto perché il mio modello è semmai Robin Williams ne L’attimo fuggente, e capisci che non è molto esportabile come già si vede anche dal film.

  58. Si fonda la ronda che sfronda
    su fatti artefatti una gironda
    ignoti o evidenti
    ma sempre scadenti
    plastici semantici apofatici
    criptici e tragici
    a un tempo sillabici
    comunque sibaritici
    pedissequi catartici.
    La rima baciata
    violata stuprata
    da voglie invidiose
    sfatte couperose
    su nasi di sadici
    traligna nei critici
    sapidi clamori
    disfatte e languori
    edipi distrutti
    da mille pudori
    Poesia e kitsch
    richiama max fritsch
    ritorna kundera
    con la baiadera
    arriva scialoja
    cantato da mannoia
    m’annoia la vita
    si rompe la matita
    una forza propulsiva
    una tempesta invasiva
    di fulgidi commenti
    da macchine desideranti
    promulgate a profusione
    a mo’ di onesta prolusione
    Vaghe stelle dell’Orsa
    e cavallina arsa
    su una sedia a dondolo
    mi affanno a trovare il bandolo
    della matassa ma je suis hereuse
    che alla rai trasmettono deleuze

    Luciano Tajoli

  59. Ma questo brano di lello voce è veramente brutto. Tutte quelle assonanze e rime pilotate, senza senso… Quei giochetti insopportabili con la lingua che rimandano all’esperienza della neoavanguardia, in ritardo di mezzo secolo… Dio, che tristezza!

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017