Lo spiritosissimo dottor Posche
di Franz Krauspenhaar
Quando si presentava il dottor Posche diceva:” Il mio nome è Posche, come Porsche ma senza la erre”, e accennava una risata che l’ interlocutore non capiva, e ogni volta Posche riceveva un sorriso di circostanza, e allora ritornava a inventare delle battute senza senso, e ne nasceva il malinteso: se gli altri gli avessero espresso il loro disappunto Posche avrebbe avuto dei dubbi sul suo senso dell’umorismo. E invece sempre quei sorrisi equivocati.
Quel giorno era successo qualcosa di irreparabile, ma il suo vitale buon appetito era rimasto intatto. A proposito del suo appetito vitale Posche si riteneva un uomo sensuale, anche se non come certi uomini sono per certe donne, e in quel senso non lo era stato nemmeno in gioventù: Posche era invece un uomo slavato, di media statura e intelligenza, di gusti medi, di media disperazione. Ma con le donne ci provava sempre, senza scoraggiarsi anche di fronte ai dinieghi più evidenti, perché era un vizioso dell’approccio estemporaneo.
Era un uomo di sessant’anni che si rivolgeva a tutti con un sorriso tendente alla smorfia insignificante, e la sua media disperazione se la portava appresso con spirito quasi morigerato, in contraddizione col suo sensuale, estemporaneo appetito vitale.
Quella sera era uscito dal suo studio con in petto il fardello della sua tragica mattina e aveva raggiunto la taverna Zum Wohl. Prima non aveva detto niente a nessuno a parte l’amico Bodo Mueller e s’era imposto di lavorare. Durante quella giornata s’era reso conto via via sempre di più della propria disperazione e aveva raggiunto il massimo di consapevolezza in tal senso quand’era scesa la sera e aveva dovuto chiudere lo studio. Allora s’era sentito come sciogliersi nel nulla.
Si era appena seduto a fianco di Bodo, un poliziotto in pensione, un tipo ritenuto strano; ma a differenza degli altri – che la sua stranezza la scansavano – Posche quella sua stranezza addirittura l’amava. Scapolo incallito, Bodo amava i romanzi gialli che poi svillaneggiava come “esempi della più marcata ignoranza criminale” (così diceva ai quattro venti volendo invece dire “marcana ignoranza criminologica”) le donne a pagamento e soprattutto la birra in quantità. Era un alcolizzato libero di ubriacarsi ancor di più ora che da non molto aveva terminato la sua trentennale carriera di investigatore dello stato; era uno che ogni tanto parlava da solo per la strada e che spesso s’era messo a declamare da ubriaco nella piazza della stazione i necrologi del giornale locale.
“Una anche per me”, disse Posche alla bella ostessa Gustel Kremp. Quando la Kremp sparì nel retrobottega sussurrò, guardando Bodo d’intesa: “ Proprio una gran bella puttana, la nostra Gustel…” Bodo trovò l’uscita a bassa voce dell’amico molto divertente. La Kremp però aveva intuito: “Cosa c’è da ridere, signori?” apostrofò i due di ritorno dal retrobottega.
“Oh niente”, rispose Bodo cercando di trattenere le risa, “cose da Posche”.
“Che vuoi dire con cose da Posche?” chiese il dottore all’amico fingendo serietà.
“Non occorre una spiegazione”, commentò la Kremp.
“Ah, le donne non ci capiscono!” osservò Posche.
“Lei crede?” chiese la Kremp mettendosi a lavare i bicchieri. “Io invece penso che voi siate uomini così prevedibili che vi capirebbe anche una bambina di due anni”.
“Vedi?” disse Posche all’amico. “Ci amano troppo! Ecco perché fingono di disprezzarci.” E poi, rivolto alla Kremp con spavalderia: “ Chi disprezza compra, eh Gustel?” La Kremp rispose ritirandosi nel retrobottega senza un fiato.
“Ti ha sentito”, disse Bodo.
Posche arrossì. “Ma no! Non le sono simpatico, ecco. E lei non è simpatica a me… Non so, è troppo stupida per essere vera…” E a questa che credeva essere una battuta di spirito proruppe in una risata.
Quando si fu calmato riprese: “ E se mi ha sentito, tanto meglio.”
“Ti ha sentito”, ripeté Bodo. “Gli indizi ci sono tutti, Gustel è sveglia come una gatta in calore”. E rise. Ma Posche non trovava l’amico spiritoso, anche perché lo spiritoso di quello sparuto gruppo di due anime in pena che erano loro due era soltanto lui; e Bodo al massimo poteva porgergli le battute.
“Lei è un’eccezione”, disse Posche dopo un altro sorso. “Si dà arie da donna di città”.
“Cioè?” chiese Bodo.
“La Kremp se la pettina tutto il giorno come fanno le signore di città. Quelle sono le donne davvero difficili. Ma lei”, e sussurrò, ora, temendo di poter essere udito dalla Kremp, ”nonostante si atteggi così è agli antipodi delle cittadine perché è una bibbia della femminilità di campagna. Gioca a fare la cittadina emulando i comportamenti di quelle della televisione. Ma puo’solo immaginarle. E così s’immagina la tale e talaltra attrice vista nel telefilm tale e talaltro della rete tale e talaltra.”
“Ah…”
“E siccome lei non è stupida e capisce che quei modelli sono irraggiungibili, ecco che un pochino si disprezza; lo sa da dove viene e che qui esalerà l’ultimo respiro, e che sarà sepolta qui e anche la sua preziosa figlia e tutte le generazioni di Kremp da qui a perlomeno duemila anni.”
“Anno più anno meno…” osservò Bodo ridacchiando.
“Gustel è una brava ragazza, sono io il primo a dirlo, ma fa la difficile per colpa della televisione. E quelli della televisione a chi si rivolgono? Beh, a quelli come lei, alle anime semplici che vogliono emanciparsi ma non sanno come, ed ecco perché quelli della televisione sono dei criminali. Perché ammazzano la spontaneità della nostra gente, il nostro spirito contadino di una volta. Ammazzano la nostra tradizione.”
“Già…”
“Tutte così, femmine di campagna che guardano la televisione e si atteggiano a donne che nella realtà non esistono…”
“Non esistono…”
“Guarda le donne di città: niente a che fare con quelle della televisione. Quelle eccitanti si contano sulle dita di una mano come qui. Soltanto che laggiù è anche peggio perché fanno le difficili… Vai con una puttana a Sankt Pauli e quella nonostante la grana fa la difficile. Vai all’aeroporto e parli con la hostess e quella fa la difficile con gentilezza aviolinea… Vai al bar e la Kremp di turno fa la difficile peggio della nostra Gustel, perché non ti ha mai visto prima e non è obbligata a rivolgerti la parola… E perché? Perché queste donne sono nate e cresciute in una metropoli, dove puoi crepare davanti a una folla e nessuno puo’ distrarsi nemmeno per vederti morire come un cane… Teniamoci stretta la nostra Gustel, accidenti!”.
“Parla ancora di me?” chiese la Kremp riaffacciandosi al bancone.
“Si, e molto bene”, disse Posche mentendo a metà.
“Ma guarda…”
“Dicevo che lei è una donna molto bella…”
“Già sentita, dottore…”
“… e che dobbiamo tenercela stretta…”
“Ti piacerebbe, eh?” intervenne Bodo, coronando l’uscita con una risata a bocca spalancata. Posche lo fulminò con lo sguardo. “Di donne non capirai mai nulla”, disse con un posticcio tono di sdegno. “Nemmeno delle nostre donne di campagna”. Fissò la Kremp quasi con sfida, e questa gli restituì allo stesso modo lo sguardo.
“Come sua moglie?” chiese la Kremp con ironia. Posche si cacciò le mani nelle tasche della giacca alla ricerca di una sigaretta che Bodo subito gli offrì.
“Un’altra birra, mio spiritoso dottore?” riprese la donna lasciando trasparire la sua rabbia. “Tanto per brindare a quelle che fanno le sdegnose con lei…”
“Alla sua”, disse Posche continuando a sostenere lo sguardo della donna.
“Lei è un porco”, disse la Kremp con un’ aria bellicosa nello sguardo di solito gentile. “L’ho sentita, sa? Tutto il suo discorso sulle donne… Lei mi fa schifo”. E prima di ritirarsi nuovamente nel retrobottega aggiunse – con la voce che le era divenuta stridula: “Ecco perché le donne con lei fanno le difficili: io non la toccherei nemmeno con un bastone”.
“No!” ringhiò Posche mentre la Kremp era già sparita, quasi spaventata dalle sue stesse parole, nel suo retrobottega. “Perché con quel bastone le piacerebbe picchiarmi.”
“L’hai fatta grossa”, disse Bodo. Il dottore rispose con un gesto sdegnato della mano e fece una smorfia di disperato disgusto.
“Solo donne…”, disse Posche. “Di città o di campagna, solo donne”, continuò dopo una pausa, senza più ritegno. “E poi ci si mette anche la televisione… Una come lei, che non solo fa la difficile, ma che si permette di… insultare… un onesto… si, un uomo che… si, magari uno che…”
“Calmati.”
“Come una puttana di città, come ne incontri a milioni”, rincarò la dose Posche alzando ancora di più la voce e attirando l’attenzione di tutto il locale. “Come una puttana di Sankt Pauli!”
“Datti una calmata”, ripeté Bodo con asciutta decisione. E abbassando la voce: “Andiamo a fare due passi.”
Posche buttò sul bancone un paio di monete, i due uscirono.
L’aria della notte era fresca, Posche stringeva i pugni per la rabbia, il suo vecchio cuore se lo sentiva spiaccicato sotto le suole delle scarpe.
“Non prendertela”, disse Bodo accendendosi una sigaretta. “Domani farete la pace”.
“Non c’è più religione”, disse Posche con un grumo di amarezza che gli graffiava lo sguardo e la voce. Sospirò a fondo. “Segno dei tempi.” Bodo preferì non aggiungere altro. Raggiunsero la piazza della stazione, deserta, male illuminata.
“Un lembo acquitrinoso di Amburgo è giunto fino a qui”, disse Posche guardando per terra e mantenendo intatto il suo universale disgusto.
Bodo gli mise una mano sulla spalla. “Hai ragione.”
Posche si voltò e guardò l’amico come se fosse l’ultima volta, in una specie di simbolico commiato. Era come se stesse accingendosi a partire per un viaggio senza destinazione. A Bodo parve per un attimo che l’amico dottore stesse per piangere.
“Lei non lo sa”, aggiunse. “Come tutti. Altrimenti non si sarebbe permessa.”
“Lo so”, disse Posche riprendendosi un po’ d’orgoglio con uno sforzo quasi sovrumano.
Bodo buttò la sigaretta. “Quando lo saprà sarà la prima a scusarsi”, disse con un sorriso mesto schizzato in piena faccia. Restò brevemente in silenzio, poi riprese: “Allora, come stai?” Era la prima domanda sensata che Bodo faceva all’amico da quella tragica mattina.
“Pensavo peggio”, rispose Posche, asciutto. Ma con gli occhi lucidi.
“Ti manca molto?” domandò Bodo con un filo di voce. Era quasi più emozionato dell’amico.
“Si”, rispose Posche. “Ma vedremo tra un po’”. Guardò l’amico con occhi impauriti; temeva di dover soffrire ancora di più nel futuro di quanto soffrisse già ora .” Dicono che la vera botta di dolore arrivi più tardi”, aggiunse, senza pietà per se stesso.
“Così è”, disse Bodo, che doveva saperla lunga.
Stettero zitti per qualche minuto. Poi Bodo domandò: “Dove la farai seppellire, la tua Hilke?”
“Ad Amburgo”, rispose Posche come se si stesse liberando da un peso. “Nella sua città natale”, aggiunse, con un tono di sarcasmo dettato da una specie di orgoglio disperato che gli faceva da paradossale ciambella di salvataggio. “Nella sua grande metropoli”.
Dopodiché chiese all’amico di rientrare al Zum Wohl, per scusarsi con la Kremp.
(Pubblicato su Stilos 28.02.2006)
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Eccheccavolo: piaciuto! Buona serata. Trespolo.
EccheccavoloConPorri&Cotiche: pure a me…mi raccomando non andarci peso questa sera con la Giamaicana!
Ma si è permessa, e lui si è permesso altre cose, tutti si permettono sempre tutto, senza saper mai niente, no?
Ciao, bravo Franz.
caro franz
le donne che fanno le difficili è questo il punto.
io credo che oggi le donne siano responsabili dell’annichilimento di molti uomini. in passato uno non ci pensava, ma adesso sembrano a portata di mano e invece non è così.
Lo sapevo. Dietro tanto odio c’è sempre amore…
Arminio: è questo il punto, non quello.
Bellissimo pezzo Franz, per quel che vale il giudizio della prima donna che commenta questo post. ;-)