Corpi di donna in versi
di Laura Pugno
Sono usciti da poco per le napoletane Edizioni d’If di Nietta Caridei due libri di poesia: Fiato. Parole per musica di Elisa Biagini e Fata morta di Giovanna Marmo. Ad accomunarli, oltre alla grafica rossoargento della collana «i miosotìs» (che conta tra l’altro testi di Lo Russo, Ottonieri e Mesa, nonché, tra gli autori più giovani, di Massimo Sannelli e Andrea Inglese), è il tema sotteso dell’addizione del corpo; e forse non è un caso, se anche il terzo volume da poco uscito per gli stessi tipi, di Enzo Mansueto, ha un titolo che a questo tema riporta: Gli ultracorpi. Tra gli esponenti della poesia ultima – vale a dire della generazione tra il ’68 e il ’78, per riprendere la definizione coniata da Marco Giovenale per l’edizione 2005 del festival RomaPoesia – sia Biagini che Marmo hanno un profilo definito e già compatto tra raccolte edite, partecipazioni a premi, performance.
Fiorentina, del 1970, Biagini esordisce nel 1993 con la raccolta Questi nodi (Gazebo); nel ’99 pubblica Uova per l’editrice Zona, e nel 2004, nella collana bianca di Einaudi, il libro a cui più si lega la sua fisionomia critica, L’ospite. Sempre per Einaudi deve uscire la nuova raccolta, Nel bosco. Napoletana, del 1966, Marmo pubblica nel 1998 per Studiozeta il suo primo volume di Poesie, a cui segue nel 2002 il cd audio Sex in Legoland, DeriveApprodi.
Il corpo che si aggiunge alla parola – non solo dall’interno ma dall’esterno del testo – è normalmente, nella prassi poetica, esplicito nel lavoro di Marmo, che è performer, e implicito in quello di Biagini, per cui Andrea Cortellessa nel saggio introduttivo ai testi raccolti nell’antologia Parola plurale (Sossella 2005), ha parlato di «corpo… come costellazioni di microtraumi… cui segue la cucitura-scrittura di una seconda pelle cicatriziale percorsa da infinite, doloranti commessure: da attonita Catwoman di provincia».
In questi due volumetti però l’equilibrio consueto si ribalta. Fiato di Elisa Biagini, infatti, non come raccolta di poesie si presenta – a parte i bonus tracks in coda, come in un cd – ma quale forzatura voluta verso la narrazione in versi, esercizio concettuale e sentimentale da paroliere, poi tradotto effettivamente, in qualche esempio, in musica. L’intenzione è dichiarata nella brevissima prefazione dell’autrice, che qualifica il libro di «esperimento»: «Un anno fa circa, come sfida con me stessa e date delle circostanze speciali, decisi di prendere un paio di mie vecchie poesie, di argomento in qualche modo amoroso, e di costruire intorno ad esse delle storie che potessero in caso, essere messe in musica … l’idea era di creare delle ballate su temi tradizionali come l’amore appunto, o la solitudine ». E così, se «Adesso non c’è luogo dove andare, / non c’è ragione dove rimanere: // il tuo fiato / si fa il ghiaccio / su cui cado»: la tentazione poetica del canto diventa esplicitamente canzone o canzonetta, la ricerca o il ritrovamento della musicalità si fanno, nel farsi sentimentali, ironici.
Praticamente il contrario accade in Fata morta di Giovanna Marmo: libro delicatamente horror, dalle atmosfere alla Angela Carter, percorso da una vitalità misteriosa, tra vegetale e animale. Ma anche libro che, nell’interpretazione straniata che frequentemente ne dà Marmo nelle sue performance (in particolare per quanto riguarda i testi intitolati Regno dei muti e Nord, sia contigui che uniti da fili di continuità), vira verso tonalità acide che cancellano il piacere sottile della distillazione del sé nella palude del mostruoso fiabesco, nel gioco di ricezione della voce che lega la dimensione corporale a quella minerale, come appunto nel Regno: «Mi spoglio e mi lego. Con un braccio/che non è il mio, alla macchina. / Con un braccio che non è il mio, / zampe di tigre gialla guidano la macchina / che piano ti penetra». Forse proprio per questa negazione della seduzione della fiaba, dell’ambigua voce «di sonno, di medicina e saliva», «che si è spalmata addosso/come una crema, negli angoli» – il no che il corpo in lettura aggiunge al sì del testo già scritto – la ripetizione umana dei gesti può anche portare, contro ogni previsione, a conclusioni che escono dalla dimensione d’orrore del mondo, e questo indipendentemente dalla volontà di salvezza o di annullamento del singolo: «Gli oggetti sembrano mai toccati. / Ci sono gatti che non ami, / gli dài da mangiare, / perché così è sempre stato. // Fai questa cosa in silenzio». Lo stesso silenzio di gesti quotidiani con cui si interrompe, sospesa la musica, Fiato di Biagini: «Spiana le grinze / al cervello, // un letto rifatto // ogni mattina».
[Questo articolo è già apparso su “il manifesto” del 28.02.2006.]
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Il libro di Elisa Biagini è bellissimo, come d’altronde tutti gli altri suoi. Anche quello di Marmo non è niente male, comunque.
Non ne posso più di queste poetesse e del loro corpo.
a me il corpo delle poetesse piace. cioè, di una.
certo, certo. questa poetessa qua c’ha un corpo che è tutta una poesia che non ha bisogno di parole!
Sul corpo della donna in versi io darei una occhiatina a questo:
http://www.fcorselli.splinder.com/home?from=3
Ciao ciao
Chiedo di conoscere la ragione della censura a due commenti (di tale Ernesto Cilindri) e al mio che a lui rispondevo con una battuta (mi cito testualmente: “Signor Cilindri, spero vivamente per lei che il corpo che a lei piace sia il corpo di una poetessa che parla da solo e non di una poetessa che parla di corpo”). Credo che perderete non solo un fresco commentatore, io, ma un lettore (sempre io). Prometto (a me) che le Vostre pagine, se non mi spiegherete (e chiedete anche scusa e anche in fretta), non le aprirò più. Auguri anticipati per la Vostra Arte e la Vostra Letteratura (mi scappa da ridere, scusatemi, e questo – mi spiace per Voi – non lo potete proprio censurare; ripeto dunque: mi scappa da ridere). Cordialmente ecc. ecc.
“Prometto (a me) che le Vostre pagine, se non mi spiegherete (e chiedete anche scusa e anche in fretta), non le aprirò più.”
Fa’ come credi.
scusino, ma la censura non andrebbe usata solo contro i disturbatori e i volgari? nazione indiana perde colpi, secondo il mio modesto parere, se state (non tutti, alcuni) con la pelle così sollevata. va bene vigilare, ma colpire col “fuoco amico”? è una critica benevola e costruttiva, non prendetela come un attacco.
p.s: io continuerò a leggere ni, invece,
Certo che faccio come credo. Tra l’altro il mio ultimo commento contiene una citazione al mio stesso commento censurato: come si vede siamo tornati al punto di partenza! Mi chiedo: come risolverà il “problema” adesso il Signor Raos? I lettori leggono il mio commento censurato? Continueranno a leggerlo? Quando deciderà, il “gentile” e “aperto” Signor Raos, di cancellarlo ulteriormente? Certo che faccio come credo, nei limiti di una irragionevole censura (del Signor Raos) che definirei aderente al fascismo: violenta e dispotica. Anche io lascio (al Signor Raos) di fare come crede: la figuraccia che sta facendo di fronte ai miei occhi, s’intende. Detto ciò, passo e chiudo. Cordialmente ecc. ecc.
scusi forlani, ma come fa a equiparare nazione indiana a un ristorante? va bene avere fantasia, ma forse lei esagera. (con la fantasia).
addio alle arti aveva fatto un’osservazione basata sul suo gusto, tutto qua. io ero intervenuto, sempre in maniera civile (qualcuno insultava qualcun altro?) e per tutta risposta è stato cancellato il commento. vede, a mio parere, se io fossi membro di ni censurerei pure il suo, lesivo, sempre secondo il mio parere personale e perciò discutibile, dell’intelligenza dei lettori.
a Francesco: mah, speriamo.
Grazie, ciao,
Faccio presente ai lettori (che sono persone e quindi contano, a mio vedere, o dovrebbero contare) e non precisamente al Signor Forlani, il quale – con tutta evidenza – vorrebbe pure insegnare al Signor Raos (già bravissimo censore per conto suo) di come si debba censurare meglio il prossimo (“io al tuo posto sarei intervenuto qui. Magari con un commento che mostrasse l’imbecillità dell’affermazione”, gli spiega preciso, generoso) che io avrei gradito molto di avere il diritto di affermare come e quando avessi voluto di non poterne più di poetesse che trattano di corpo. Avrei potuto dire che non ne posso più di poetesse che trattano di fiorellini, se beninteso in questa stanza si fosse trattato di poetesse che trattavano di fiorellini. Ancora, potrei dire di non poterne più di persone che si comportano (di fatto) da fascisti ignari e poi pretendono pure di offendersi se qualcuno dà loro di fascisti ignari. Eh no, poverini, non si fa, non si può: non si può chiedere a dei censori di perché lo siano, di perché lo facciano. Con quale criterio, quale ragione. Ci mancherebbe, caro Addio alle Arti: zitto e porta a casa, no? Ma certo, certo, state tranquilli: vi lascerò nella vostra brodaglia, con la vostra comoda aria sostenuta (puerile, avvelenata e superba), non prima però d’avere difeso il mio diritto alla parola (e alla replica: anche infinita, se lo volessi, nei limiti sempre, naturalmente, del vostro già dichiaratissimo Potere).
Ancora il Forlani (che qui di seguito vorrebbe interpretare le mie parole): “Io sono un lettore, dunque, come vi permettete!!”.
Questo – secondo il lucidissimo e rettissimo Forlani – sarebbe stato il “messaggio” contenuto nella mia replica? Sono un lettore e dunque come vi permettete?
Capisco. Spiacente: solo la richiesta conseguente a un “fatto”. Un fatto grave, tra l’altro. Sono una persona che ha chiesto la ragione per cui le mie parole – le mie, non quelle del Signor Forlani (che pure vedo è molto bravo a conservare per sé la libertà di definire le mie parole “imbecilli”, “cazzate” ecc.) – sono state prese di peso e sbattute fuori.
ll Forlani stesso afferma che lo avrebbe fatto pure prima, vale a dire al mio primo (e unico e del tutto legittimo) commento! Quello che (purtroppo e non per mia colpa) trattava di corpo e che come ricordavo prima avrebbe potuto trattare anche di fiorellini, di cactus, di pioggia, di quel che vi (e anche mi) pare. Ecco anche spiegata la ragione per cui io pur avendo ancora tecnicamente libertà di parola, adesso mi rivolgo semplicemente ai lettori e non a lui. Cordialmente ecc. ecc.
Carissimo AAA ho appena “deleted” il mio commento.
Come avrai letto non dicevo ad Andrea di buttarti fuori al primo commento, quello per intenderci “Non ne posso più di queste poetesse e del loro corpo.” ma di replicare. Il mio commento cui fai allusione l’ho sbattuto fuori da solo. E non perchè non lo ritenessi giusto, anzi. L’ho tolto perchè contrariamente a molti non penso che ogni mia parola sia dell’oro. e che va bene cosi’.
Questo penso sia più che giusto in una dinamica di blog, cioè non lasciare che nessuno pugnali un testo (e qui ancora non è grave) o un autore( e io lo reputo gravissimo)senza diritto di replica.
La frase ” non ne posso più delle poetesse e del loro corpo” è una cazzata. Mi dispiace AAA ma è così. Per quanto riguarda il tono da ultimatum che aaa (h) ai avuto, sarà il terzo in una settimana e continuo a non capire. NI è un blog aperto (con i commenti) e estremamente rizomatico ( molti redattori che agiscono in completa autonomia esprimendo una “cosa” comune e condivisibile (non sempre, non ovunque). Insomma ecc. ecc.
eff..eff..
ps
molto bello il post di Biondillo appena messo su.
Un saluto calorosissimo a Laura
dal lettore effeffe
Gentilissimo Signor Forlani, lei mi confonde.
Tra quello che lei cancella di suo (cazzate? Posso convenirne) e quello che è stato cancellato (e non cancellato) di mio (che lei definisce cazzate) qua non si capisce più molto (voglio dire: i lettori, sa com’è, bisognerebbe pensarci).
Cose cancellate e confuse, ma d’accordo, veniamo pure a ora.
Lei scrive, Signor Forlani: “La frase ” non ne posso più delle poetesse e del loro corpo” è una cazzata.”
Io le rispondo: non solo la mia frase non era e non è una cazzata, ma aggiungo – perciò sono io a dispiacermi per lei – che in questa stanza, di cazzate ne ha pensate, dette, e fatte soprattutto lei, Signor Forlani.
Cordialmente ecc. ecc.
Addio alle Arti, avevo capito che non avresti commentato più, vorrà dire che avevo letto male. Non è grave.
Ma a parte questo: tu hai esordito con una sparata sciocca (“non ne posso più delle poetesse etc.”), ma che non è stata censurata perché potrebbe forse (molto forse) avere una sua ragion d’essere – se motivata. Ti invito a farlo. E se no, pazienza.
Ti ricordo, se può aiutarti, che l’argomento di questo post è la poesia di Elisa Biagini e Giovanna Marmo. Meglio, due libri di Elisa Biagini e Giovanna Marmo, che si suppone tu abbia letto, vista l’acuminata eleganza con cui li critichi.
Per il resto (i doppisensi da caserma, per esempio, o le battutine stupide e inutili), puoi andare dove ti pare ma altrove, il mondo è grande.
Sul corpo della donna in versi io ritorno a suggerire la lettura a questo link:
http://www.fcorselli.splinder.com/home?from=3
Ciao ciao
Corselli, il tuo testo è interessante, ma la Metafisica dei costumi di Kant, con tutto che è un’opera rivolta al pòppolo (più o meno), si legge con minori angustie. Non si riesce proprio a scrivere saggistica e risultare semplici? E’ una domanda, all’ombra di queste croci.
Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Mi sembrava.
Non dovevo più commentare qua dentro? E chi lo decide: lei, Signor
Raos?
Ho affermato (per protestare della sua irragionevole e arrogante
censura) che non avrei più letto Nazione Indiana tutta intera quanta è,
se non avessi ottenuto risposta a una legittima domanda, non che non
avrei replicato a chi restava a dire intorno alle mie (poche) parole,
cancellando – intanto – dove più piaceva o non piaceva.
Se lei non spiega (cancellando), io le domando. Se lei replica, io
replico: ciò mi pare normale.
Dovevo motivare che io non ne posso più di poetesse e del loro corpo?
Che faccio la prossima volta che leggo un articolo che recensisce a sua
volta altri due libri, le spedisco un saggio? Ma mi faccia il piacere,
Signor Raos.
Quanto a che io sarei da “caserma”, lasci perdere: lei per primo, con le sue parole e i suoi fatti, dimostra di starci dentro, alla caserma, e non
se ne accorge?
Cordialmente ecc. ecc.
Dice un vecchio plovelbio delle mie palti: “Si può dile addio a tante cose nella ploplia vita, ma dile addio all’intelligenza questo no: salebbe come smettele di fale l’amole”.
E magari dire pure addio a qualche stereotipo. I Cinesi saggi. I Cinesi che parlano tutto così elle elle.
Non credo che Elisa Biagini sia una grande poetessa, anche nella sua generazione ci sono scrittori migliori. Prendete l’antologia mondadoriana NUOVISSIMA POESIA ITALIANA, non sono meglio ALBERTO PELLEGATTA e SILVIA CARATTI?!
Potreste concedere un po’ di spazio anche a loro.