Don Camillo 2000
di Luca Bidoli
Scrivo d’impulso, di getto, senza curarmi troppo né di forma né di costruzioni, solo badando, se è possibile, ai contenuti, in modo che quel poco o nulla di pudore, che mantengo nei confronti del mio paese, mi trattenga dall’essere ancora più sdegnato, per certi aspetti ancora più intorpidito. Ho letto. Ho letto le dichiarazioni del cardinale Ruini riportate sui quotidiani, sulle prime pagine di ogni giornale. E già questo, per se stesso, sarebbe sufficiente ad inquietarmi, forse farebbe bene anche ad inquietare chiunque, in un paese che si voglia definire civile, laicista, realmente democratico.
Lo spazio enorme che questa chiesa, questa gerarchia cattolica riesce e può ottenere. Questa mesta arroganza, che sa esprimersi attraverso il detto e il non detto, la circonvenzione del ragionamento, l’ovattata sicurezza di una sostanziale acquiescenza. Specie quando si trasforma, mostra uno dei suoi volti, quello apparente del dialogo, dell’avvicinamento all’altro, al diverso, in una prospettiva che solo superficialmente è di tolleranza e di apertura, ma che nella sua essenza più reale e profonda si struttura come indifferenza, ostilità, rancore, manipolazione. E distanza.
Ero un ragazzo, frequentavo l’oratorio, ricordo ancora il parroco del mio paese friulano scrivere più e più volte, su di un foglietto di carta, dopo l’intervento di un mio amico non proprio brillante in una riunione di giovani dove si parlava dei nostri problemi, vergata nella sua bella calligrafia :”ubi maiores, minores cessant”. Ricordo il mio stupore, la mia ingenuità, il mio iniziale sforzarmi a non capire. L’ho raccolto quel pezzo bianco e nero, pulito e chiaro come un messaggio giunto nella bottiglia di un naufragio. E sebbene fossi e sono parco di latino, la comprensione millimetrica di quella frase si impresse nel mio cervello – quella parte malleabile, esigua probabilmente – e da allora mai mi ha abbandonato. Il foglio, quello, l’ho conservato, sino a pochi anni fa: poi ho pensato che potevo fare anche a meno di quella reliquia avvizzita: il suo lavoro, su di me, l’aveva già fatto. Stavo dalla parte sbagliata del foglio, sulla riga bianca. Ed ero felice di essere trascritto in quel vuoto. Eppure, neppure tanto inconscio, nei confronti del cardinale vi è oggi un senso di ammirazione. Coerentemente con il suo pensiero ha detto e ribadito senza peli sulla lingua quello che lui e la gerarchia che rappresenta si aspettano e pretendono da questo paese. Gli rimprovero, se posso con umile devozione abusare di questo termine che appartiene di diritto a ben altro e alto magistero, solo un apparente limite, perché personalmente avrei ammirato ancor di più la totale coerenza, la determinata forza di un raziocinio che sa arrivare agli estremi, giungere all’apice. Quello sviluppo ultimo ed ulteriore delle proprie argomentazioni e tesi verso la dimostrazione finale. Sua eminenza avrebbe dovuto, nella sostanza, arrivare a mettere mano alla matita che ad aprile ci farà esprimere il nostro voto nell’apparente segreto dell’ urna, e condurci fino a tracciare quel solco grigio che ancora ci divide dalla piena partecipazione alla grazia della comunità dei santi e dei beati. Dei giusti, dei non iniqui. Se è questa la sola strada che la chiesa cattolica, nelle sue più alte gerarchie, sa proporre, allora io sono lieto di perdermi e di perdermi completamente, umanamente, senza poteri se non quelli che mi derivano dalle mie più intime e profonde convinzioni. Io non so, non so quali saranno i vincitori delle prossime elezioni: e forse, tutto sommato, la cosa potrebbe interessarmi relativamente poco. Nella mia disillusione coltivo ancora l’illusione secondo la quale non ci potranno essere differenziazioni sostanziali, così nette da invocare l’uno o l’altro schieramento, se non per una supplice e residua speranza. Ma so, sono sicuro sin da ora di due cose, molto piccole, forse fondamentali. Lo sottolineo: forse.
So, già adesso, sin da ora, che dalla parte dei vincitori, chiunque essi siano, ci sarà tra di loro un cardinale Ruini. E so con altrettanta, stoica sicurezza, che dalla parte degli sconfitti ci saranno sempre e comunque persone normali di questo paese e di questa repubblica che credono, con fermezza e coerenza, ai valori propri di una società che cerca, si propone di essere libera ed indipendente da qualsiasi forza, potere, controllo, vincolo, autorità. Da qualsiasi chiesa o partito. Con pochi, esili punti di riferimento. Qui e adesso. Che si situano nella risposta di uno smesso scrivano, Bartleby.
(Nella foto: l’attore marsigliese Fernandel nella parte di “Don Camillo”. Fonte: www.dreamsaddict.com)
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Oggi a pranzo da solo, come al solito, in un selfservice dell’EUR, vicino alla Confindustria.
Al tavolo vicino a me una coppia di amici.
Lei la faccia coperta da un dito di roba marrone, il capello stile Dynasty revisited, tailleur grigio antracite, tacchi alti.
Lui, pure abbronzato, in completo nero da bravo soldatino del capitale.
Non so chi fossero, ma hanno parlato tutto il tempo di soldi, case, mutui, azioni, buoni del tesoro, redditi, hanno parlato di cifre, eccetera, finché non si sono soffermati sulle future tasse che “i comunisti” gli avrebbero imposto di pagare.
Poi, prima che me ne andassi, lui, che aveva detto spesso “la mia impresa” ha aggiunto: questi qui vedrai che vincono, non ostante Ruini. Preparati al peggio.
l’italia è una paese corrotto perché è la sede del papato. lo aveva capito già lutero. e poi ruini con dio c’entra niente.
spiace che questa riflessione non abbia suscitato commenti.
Fino a prova del contrario, Ruini non è la Chiesa Cattolica italiana. Presiede la Conferenza episcopale – adesso peraltro in regime più o meno di prorogatio, altrimenti sarebbe in pensione – non tutti i vescovi sono allineati con lui nel pensiero e nell’azione et coetera parvula. Normale che non si abbia troppa voglia di parlarne, no?
La meta di Ruini è celebrare le nozze
tra i suoi pupilli, Casini e Rutelli,
in un’italica Grosse Koalition.
La DC. Piu’che rinata, non-morta
A parte tutto.
A me colpisce la faccia di Ruini.
Lo sguardo di Ruini, completamente privo di quel quid di accogliente & mansueto che mi aspetto di vedere negli occhi di un prete.
Lo sguardo di Ruini, dove attenzione e disponibilità per l’umano sono totalmente assenti.
Su quella faccia c’è una specie di sorriso beffardo, sprezzante.
Negli occhi c’è intelligenza, astuzia, sfida, soddisfazione, dominanza, disprezzo.
Le stesse sensazioni, più o meno, me le trasmette l’immagine di Ratzinger.
Nel dopoguerra italiano i papi si sono alternati.
Ad un papa politico è sempre seguito un papa pastorale e viceversa:
– Pacelli, politico
– Roncalli, pastorale
– Montini, politico
– Woytila, pastorale
– Ratzinger, politico.
Tenete duro, oh credenti.
Il prossimo sarà meglio.