Nazisti brava gente
di Andrea Cortellessa
È lecito chiedersi come mai a Filippo La Porta «dispiaccia parlar male di un romanzo di Pietrangelo Buttafuoco». Risponde il medesimo critico (recensendo Le uova del drago sul giornale diretto dal maggior sponsor del giornalista catanese all’esordio narrativo, Giuliano Ferrara, che ne ha vegliato la resistibile ascesa dalle colonne dello stesso Foglio alle patinate pagine di Panorama): «ci si sente colpevolmente faziosi, affetti da inveterati tabù ideologici».
Dev’essere per questo che a lodare Buttafuoco, paragonandolo di volta in volta a Céline o a Fenoglio, abbiano fatto a gara l’Unità, il Corriere della Sera e la Repubblica. Spiega il perché di tanta unanimità, non senza malizia, lo stesso La Porta: «recensendolo positivamente si dà prova di essere intellettualmente indipendenti, uomini di mondo». E allora, torno a chiedermi, perché deve spiacere parlarne male? Se si tratta di «una scrittura crepitante e fatalmente effimera, che ce la mette proprio tutta a surrogare la Letteratura» non elevandosi in realtà da un «mix di Martin Mystère (fumetto d’azione, virato sul genere bellico-funereo), stile da giornalismo brillante assai in voga […] e gusto eccitante di trovarsi dalla parte dei Cattivi», per quale motivo ci si sente obbligati a lodare, al contempo, «gli ottimi articoli di Buttafuoco», la sua «macchina narrativa» (comunque) «densa e agile», e insomma ribadire (come sempre La Porta non si perita di fare nella sua “stroncatura”, come si compiace di definirla Il Foglio per antonomasia organo, come ognun sa, «intellettualmente indipendente») che si trova (comunque) tremendamente «simpatico» colui che s’è (comunque) reso «artefice di una contro-epica»? Opinare che a scappellamenti simili si sia tenuti perché allo stesso Ferrara si deve parte non piccola delle proprie fortune di kulturkritik bipartisan, onnipresente snocciolatore di luoghi comuni sui fogli di riferimento dell’intero arco costituzionale – da Avvenimenti al Foglio passando per il Corriere della Sera di Pigi Battista (altro entusiasta plurirecensore di Buttafuoco, naturalmente) – certo per La Porta equivarrebbe a peccare, appunto, di faziosità.
Le vere radici dello stile e delle topiche ammassate in queste trecento pagine lutulente e prevedibilissime (nessuno è più prevedibile di chi deve spararla grossa a ogni capoverso) le ha invece identificate – e spiace, sì, dover rimarcare sia stato l’unico – Enzo Di Mauro sul manifesto: che ne ha radiografato gli ascendenti nella couche del neofascismo catanese (nomi che è bello ignorare, ma che han fatto venire i brividi a tanti lettori di quelle parti: da Gaetano La Terza a Biagio Pecorino): «un incubo di sentimentalismo populista, di nostalgia, di risentimento, di frustrazione travestita da patriottismo». Altro che Céline, altro che Fenoglio: Biagio Pecorino. Di Mauro se n’è guadagnata sul campo la medaglia – impartita da Ferrara in persona rispondendo a un’improbabile lettera pubblicata sempre sul Foglio – di «comunista di merda». Viene da rispondere che il signore sì che se ne intende. Comunque la dizione è interessante: non essendo mai riuscito a diventare comunista come si deve, m’iscrivo volentieri anch’io – con le righe seguenti – al PdCdM.
Il monnezzone di Buttafuoco si basa su un friccicorino ben noto ai lettori di Capitan America, nonché a quelli di Martin Mystère. Non crediate che le potenze dell’Asse, malefiche sì ma tremendamente affascinanti, siano state debellate: il fuoco cova sotto la cenere, gli irriducibili sono sparsi ovunque, il germe della ribellione si spargerà, i dormienti si risveglieranno, le uova del drago s’infrangeranno. Dopo che l’«era» si sarà fatta «oscura» e «gli eroi» nazifascisti saranno «precipitati in una sorte ingrata, ingiusta e impossibile» (la nostra inqualificabile Repubblica dalla Costituzione criptocomunista, cioè), solo allora!, sarà di nuovo tempo di corruschi Crepuscoli di sangue, di splendide stragi, di duelli memorabili: controveleno ideale per questo mondo «ingrato», «ingiusto», infestato da imbelli omminicchi atterriti dalla pugna, dalle armi, dalla loro oscura bellezza (ogni volta che deve menzionare la «Luger», pistola d’ordinanza della Wehrmacht, Buttafuoco ha un’erezione stilistica). Costituirà, il Drago del Terzo Reich reloaded, il nodo al pettine di un Occidente malato di panciafichismo. Sarà, solo allora!, di nuovo tempo di strapotenti eroi di straripante virilità e sterminatrici donne-angelo: come l’Eughenia improbabilissima protagonista del monnezzone, che gelida e conturbante uccide a colpi di spillone e saponette avvelenate.
La badiale banalità (mai ironica, mai virgolettata come tale) dei luoghi comuni stipati nel libro non è solo di natura eroico-sessuale (con tutto un repertorio da consegnare di corsa alle cartelle cliniche di Wilhelm Reich o Klaus Tewelheit), ma riguarda specificamente la scrittura, di princisbecco dalla prima parola all’ultima (La «fulva amazzone» Eughenia, «Brunilde in incognito», «aveva i capelli sottili come fili fatti con il fuso ramato delle favole», «aveva dita di meravigliosa magrezza rapace»; i sommergibilisti tedeschi, al suo cospetto, si esaltano «come vichinghi su un drakkar»). «Lo stile fa la guerra», commenta l’impunito narratore. Già. Solo che lo stile – nonché epico o «contro-epico» – è una ridicola cartoonizzazione della Storia, un’invereconda kitschizzazione della tragedia e del sangue: quello dei vincitori e quello dei vinti (impunitissimo Buttafuoco ciancia sin dal sottotitolo di «teatro dei pupi», e zelante battezza Angelica, Medoro, Orlando, Carlo Magno e Gano di Maganza i suoi personaggi). Un’operazione che, voglio sperare, saranno per primi i fascisti intellettualmente onesti a trovare degna del cassonetto. Perché poi una collana di prestigio come la «Sis» Mondadori (un tempo contraddistintasi – magari per riguardo a Renata Colorni – per una «faziosa» pregiudiziale antifascista e antirazzista) debba sdoganare a un monnezzone così incommestibile, è interrogativo al quale possono rispondere solo l’autore, il direttore di collana Antonio Franchini (colui il quale gli «ha chiesto di mettersi alla prova») a sua volta accanito cultore di virtù gladiatorie e affettuoso sdoganatore di sfortunati scrittori nazisti ingiustamente sepolti dalla storia. Ma sarà meglio rivolgersi, soprattutto, a Giuliano Ferrara.
Quanto alle tesi storiografiche sottese alla «storia vera», le fonti citate spaziano, per attendibilità, dai Quaderni del Veltro alle Edizioni Settimo Sigillo. Si sa che uno degli espedienti preferiti dai revisionisti e dai negazionisti più efferati sia citare un dettaglio autentico (nella fattispecie, certe ingiustificate uccisioni da parte delle truppe angloamericane al momento dello sbarco in Sicilia, nell’estate del ’43; o la collaborazione di irriducibili fascisti locali ad azioni di controspionaggio e sabotaggio da parte di agenti nazisti rimasti sull’isola, anche dopo che il fronte s’era spostato sul continente) per convalidare un quadro, per il resto, del tutto inverosimile (non c’erano camere a gas in un determinato Lager? Allora non ce n’erano da nessuna parte). Buttafuoco non fa eccezione. Basta occultare tutto il resto, e la «contro-epica» potrà basarsi sul presupposto che le truppe “alleate” (così definite sempre tra virgolette, con ironia che si vorrebbe sferzante) siano composte da perfidi albionici sadici e ignoranti (o, con lessico da Difesa della razza, da «selvaggi senza battesimo», «reclute radunate tra le truppe coloniali»), mentre nazisti e repubblichini siano tutti d’animo puro e angelico, vittime predestinate di forze preponderanti e dunque eroi e martiri degni delle Termopili, di Roncisvalle: da commemorare a ciglio asciutto e schiena diritta. Del resto, stando alla versione dei fatti di questa «storia vera», la Seconda Guerra Mondiale è l’èsito della «politica di riequilibrio del mondo voluta da Berlino». È una «guerra del Sangue contro l’Oro».
Un esempio dell’intollerabile cattiva fede di questo libro è costituito dall’ekphrasis della fotografia messa in copertina. È uno scatto celebre, quello di Lee Miller del ’45: che ritrae la figlia del Borgomastro di Lipsia, una crocerossina della stessa angelicata bellezza dell’implacabile Eughenia («la pelle delle mani è bianchissima. Il volto, bianchissimo. La corona dei denti […], bianchissima. Anche le labbra sono bianchissime»), stesa su un divano con la testa reclinata all’indietro (si tratta ovviamente, per il narratore perennemente infoiato, di «rapina estatica»). Il libro, che descrive la foto per una buona pagina, tace un dettaglio. E cioè perché la figlia del Borgomastro si fosse tolta la vita. Sta di fatto che la buona Annelise era appena tornata da una visita – a ciò obbligata, insieme ai famigliari, da un inflessibile ufficiale dell’esercito “invasore” (come lo definisce Buttafuoco) – a uno di quei luoghi ameni nei quali il Reich s’industriava alla quanto mai gravosa «politica di riequilibrio del mondo». Insomma a un campo di sterminio: nei cui pressi l’angelica famigliola aveva continuato imperturbata a vivere, per anni, la propria arcadica esistenza senza pensieri. Ma addurre quest’insignificante particolare avrebbe rischiato, magari, di guastare la bocca ai degustatori del mito del buon nazista. Oppure sarebbe risultato, c’è da credere, «colpevolmente fazioso, affetto da inveterati tabù ideologici».
(pubblicato su Il Caffè Illustrato, n°28, gennaio-febbraio 2006)
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Olà,
finalmente qualcuno che scrive cose sensate su Buttafuoco…
Celine, roba da non credere. Ma scivere un brutto libro non è una colpa, scriverne uno brutto, negazionista e filofascista invece sì.
lv
il nazismo non fu magico, nè misterico. fu spaventosamente pragmatico e razionale, di quel tipo di razionalità estrema che poteva essere concepita all’inizio del secolo. Giocare su temi “esoterici” o quant’altro, significa, a mio avviso, non avere compreso nulla. Il libro di B. è spaventoso: nello stile, noioso, e nella costruzione. Non fu un crepuscolo degli dei, nulla di sulfureo o diabolico. Hitler fallì per un’inezia. Non aveva capito nulla, o quasi, dei suoi avversari, Churchill in primis. Il resto è cattiva o pessima retorica, uova di drago comprese.
Caro Andrea Cortellessa, sono ancora qui a chiedermi, incredulo e stupìto, come tu abbia fatto a sorbirti la lettura di quelle trecento pagine di merda.
Buttafuoco… un nome un programma. Da ritorcergli contro. Da questo svergognato spalatore di sterco filonazista bisogna imparare solo una cosa: a buttare nel fuoco il suo libro. Che peraltro, essendo prassi amata e praticata dai suoi maggiori, potrebbe perfino risultargli cosa gradita. Ringrazio ancora una volta Andrea per il suo lavoro di critico e per questa preziosa, furiosa, impietosa demolizione.
Credo che oggi parlare di fascismo non sia più un anacronismo. E’ tornato ad essere realtà. A scuola, ho un sedicenne che sa tutto del nazismo. Ha letto i testi negazionisti. Nel diario tiene non solo una foto di Hitler, ma anche una foto di un neonato. Chi è, gli ho chiesto. E’ Goering a un anno, ha detto. Mi serve per concentrarmi. E’ la verità, lui non è un brutale naziskin, sarebbe meglio. Ecco, questo ragazzino – ha cominciato a essere un assiduo lettore del Giornale. Così come si rispecchia nei miti del nazismo, altrettanto si rispecchia nella crassa, livorosa mitologia belpietresca.
I libri non si bruciano.
Basta non comprarli, non leggerli.
Non so nulla di questo libro di Buttafuoco e so poco dello stesso Buttafuoco, se si eccettua l’impressione non buona che mi ha fatto una sua apparizione televisiva.
Ma le impressini televisive lasciano il tempo che trovano.
Se i contenuti sono quelli di cui scrive Cortellessa, confermati dai commenti qui sopra, mi viene da fare solo una considerazione: un certo numero di anni fa (quanti?) un libro così non sarebbe potuto uscire, perché nessuno, tranne forse editori fascistazzi di nicchia, avrebbe voluto pubblicarlo.
Quindi è cambiato il clima, ed è questa la cosa rilevante, in fondo.
Di questo cambiamento si posso dare letture di segno opposto.
In negativo si può dire che la sensibilità del politicamente corretto ha subito una sorta di ottundimento sui temi storici legati al nazi-fascismo e questo è pericoloso.
Di positivo si potrebbe dire che ogni clima di ostracismo culturale è sotto sotto oppressivo, che porta a condannare, com’è successo, gli storici revisionisti e che può produrre l’effetto contrario a quello che vuole ottenere, perché ingenera insofferenza nelle nuove generazioni.
mumble.. dove l’ho già letto questo pezzo?
Comunque Andrea Cortellessa è uno che ci sa fare ( bene ) con i titoli.
effeffe
Perchè voi riuscite anche a capire cos’è che scrive Buttafuoco?
Io ci provo sempre, anche su Panorama, e non riesco mai a comprenderne una parola.
Diciamo la verità: quando non ci capiscono un cazzo i critici dicono che una cosa è bella. Non vorrete mica che facciano come una persona comune?
I libri brutti e pompati hanno un merito: “producono” belle recensioni.
io l’ho leggiucchiato (non ho concluso la lettura..) e devo dire che mi pare letteratura triviale, senza importanza se non per chi si convince a priori che affrontare un argomento del genere secondo stilemi ‘originali’ sia già di per sé coraggioso e meritevole. Da questo punto di vista, apprezzo – perché non ci avevo pensato! – l’analisi di Cortellessa riguardo al complesso dei critici. Ha probabilmente smascherato il caso editoriale (non è mica facile, ci sono una quantità di fattori..): ne hanno parlato bene per interpretare la parte degli intellettuali ‘liberal’.
Che figuraccia… ;(
Sorge sommessa una domanda.
È brutto perché è filo nazista, oppure perché inconsistente e scritto male, o tutt’e due?
Si darà senz’altro l’esempio di un buon romanzo nazista o para nazista.
Qualcuno sa indicare quale?
Tashtego dice “i libri non si bruciano, basta non comprarli, non leggerli”. Vero, infatti la mia era una formula a effetto suggerita, con un calembour fin troppo banale, dal nome stesso dell’autore. Ok. Però poi mi vien da pensare che forse, ancora una volta, a questa gente stiamo riservando delle cortesie che non si meritano, e che soprattutto loro non ci riserverebbero, se potessero. Ha ragione tashtego anche a dire che qualche anno fa un libro del genere non sarebbe stato pubblicato, e questo è un altro paio di maniche.
Il post di marco rovelli sul sedicenne che si concentra guardando goering mi fa paura perché è drammaticamente facile, oggi, trovare gente di nuovo infoiata e senza vergogna. Andate su internetbookshop, e troverete (a tutt’oggi) 52 recensioni a “Le uova del drago”. Molti gli danno il massimo dei voti non tanto e non solo per la “qualità letteraria”, ma perché “finalmente dice la verità, dopo mezzo secolo di bugie comuniste”. Questi qua finalmente hanno trovato il coraggio di rialzare la testa, di poter di nuovo sguazzare dentro i miti del sangue e dell’eroismo, lo vediamo ogni giorno, e chi scrive libri del genere strizza l’occhio a loro.
Non crediamoci al sicuro, solo perché le guerre e le dittature oggi le vediamo solo in televisione. Dunque non mi pare accettabile la questione “esisterà di certo un buon libro filonazista”.
Roberto Saviano tempo fa scrisse una magnifica recensione, qui su NI, al libro di Dante Virgili “La distruzione”. Stimo così tanto Saviano da accettare di sospendere il giudizio su quel testo, anzi vorrei leggerlo. Ma Saviano non è un ingenuo, e le cose le diceva chiare, nel suo saggio. In generale invece ritengo pericolosissima l’apertura possibilista secondo la quale se uno fa un bel libro, anche se esalta Hitler e lo sterminio, questo rimane un bel libro. No, non è vero, non è affatto vero. Belle parole, un plot ben tornito, immagini vivide, personaggi e dialoghi ben fatti non redimono un tema del genere. Non basterebbe Dostoevskij, non sarebbe bastato Cervantes.
Pensare che la letteratura sia un’altra cosa, rispetto al mondo reale, non è meno rischioso che propugnare un engagement ottuso e obsoleto, da zdanovisti. C’è un limite, etico molto prima che artistico, nello scrivere per un pubblico, e chiunque lo oltrepassa lo fa consapevolmente. Non dico che non si possa fare (guardate Sade), ma si deve anche esser pronti a subirne le conseguenze.
Un critico come Cortellessa è una persona ancora sveglia, in mezzo ai dormienti, che risponde a quella aggressione di ogni decenza trattandola per quello che è, una aggressione, appunto. Essere democratici non significa dare il benvenuto in casa propria a chi vuole incendiarla.
Bel commento, Luigi, sono perfettamente d’accordo con te (e con la riflessione di Rovelli).
Due piccole notazioni.
Il giudizio morale sul nazi-fascismo rischia di influenzare il giudizio letterario sul romanzo.
Giudicare fatti successi più di sessant’anni fa con il metro di giudizio dei giorni nostri è sempre pericoloso: si corre il rischio di non sapere di cosa si sta parlando.
Non sono un dormiente, so abbastanza bene di cosa parlo.
Le società democratiche hanno un compito più difficile di quelle che non lo sono, per assolvere il quale non esistono scorciatoie: garantire ad ogni voce la possibilità di esprimersi, eccetera.
In proposito rammento qui in NI un post molto denso “La verità sulla democrazia”, di Luisa Muraro e Massimo Adinolfi.
Il succo di quel discorso, brutalmente sintetizzato, è che in democrazia la “verità”, non potendo essere imposta da nessuno a nessuno, occorre lasciare che emerga dalla pluralità delle voci e dei discorsi, eccetera.
Dunque il problema è, semmai, la pluralità delle voci, che è proprio la cosa oggi più subdolamente minacciata: ma pochi se ne curano davvero.
Se un nazista scrive un libro nazista (non so se è questo il caso) quello che conta è che ciascuno possa dirne ciò che vuole, a chi vuole, liberamente e dove vuole.
Aggiungo che il nazi-fascismo non è ci è stato imposto dal pianeta Marte, è nato qui, è stato inventato in Italia, dai nostri padri, fa parte della nostra storia, è un prodotto dell’umano e come tale non può restare fuori della scrittura, dell’arte, per decreto, eccetera, non può restare una cosa non continuamente riconsiderata, quindi non espressa e circondata dal silenzio.
Perché è appunto il silenzio, l’omissione, il giudizio politically correct imposto a tutti i costi, l’ambiente adatto alla proliferazione del consenso filo fascista, che è oppositivo e si manifesta come tale.
Oltretutto il fascismo è cosa nostra.
Mio padre, per esempio, ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale a fianco dei tedeschi come milioni di altri militari italiani.
Quando da piccolo mi diceva “i tedeschi sono stati nostri alleati fino all’otto settembre” non volevo crederci.
La cosa non tornava con l’immagine di mio padre e con quella dei nazisti che mi proponeva il cinema, anche quello italiano: possibile?
Certo: la versione che doveva passare è che noi, con quelli là, non avevamo nulla a che fare.
Capisci?
Il libro di Dante Virgili a me è piaciuto tantissimo, mi ha dato una sferzata di energia, il personaggio è veramente (im)potente. Uno dei pochi libri che ho letto l’anno scorso e forse l’unico che mi è piaciuto.
Ma forse la pluralità delle voci non consiste anche nel dar voce ai filonazisti?
D’altronde un libro revisionista che nega la verità storica e che è scritto anche male, come sembra sia questo che non mi periterò di leggere per esserne sicuro, si commenta da solo.
Vorrei invece dire ad Andrea Cortellessa che spesso, del giustificazionismo ideologico, godono anche libri “filocomunisti” di basso o nullo valore letterario.
Ma la democrazia è, in un certo senso, la dittatura della libertà. Anche della libertà, paradossale, di pensare, scrivere e giudicare in maniera ideologica, cioè non, oggettivamente, libera.
E’ DAVVERO MOLTO SEVERO CORTELLESSA CON IL CRITICO LA PORTA… VOI COME LA VEDETE?
Rubincollo la recensione di Andrea Carraro uscita su MAX
Le uova del drago di Pietrangelo Buttafuoco (Mondadori) non va comprato assolutamente. Non tanto perché falsifica la Storia, piuttosto perché è scritto con la lingua retorica e pomposa dei vecchi documentari dell’Istituto Luce, corretta con qualche svolazzo poetico da seconda liceo. Sentite: “disegnava il profilo dello spavento sull’orizzonte dei mari. Aveva dita di meravigliosa magrezza rapace”. L’autore, fascistissimo, giornalista del Secolo d’Italiae del Foglio, cerca con affanno di tradurre in una epica narrazione bellica, ambientata in Sicilia, le squallide idee che gli ronzano in testa: si tratta di revisionismo da quattro soldi, condito da enfasi patriottarda e filonazista. E sui personaggi spalma una patina teutonica che li rende simili ai pupi. Insomma: tempo perso, soldi buttati!
http://www.premiobancarella.info/
hitler era un paranoico razionalista neoillujminista
filoinglese e filodarwiniano
non era solo cattivo era in particolare folle: una follia molto lucida: applicare darwin e mendele agli uomini come fossero capre o fagioli…per meglio selezionarli…
dargli un aura di magia è favorire il ritorno di certe follie
guardate il film “La Caduta” : ecco il vero hitler senza falsi miti….
Sono d’accordo con Tash.
Io comunque Jünger lo leggo (tanto per fare un nome,
e molti altri ce ne sarebbero) e non accetto censure sui libri che ritengo di dover leggere, di nessun genere, e troverei come minimo inquietante imporne a mia volta.
La critica invece è sacrosanta e benvenuta.
Ma Cortellessa questa volta, forse perché non c’era abbastanza materia su cui discutere (mi pare di capire che il libro è inconsistente da ogni punto di vista), è stato meno bravo del solito, più andante, può fare molto di più in quanto a critica culturale, non solo strettamente letteraria.
Qui, una volta letta la recensione, vien da dire, va bene, dev’esser brutto e non lo compro, ma la voglia di pensare non viene, almeno a me.
Io se fossi Filippo La Porta interverrei e spiegherei meglio il mio pensiero. Almeno replicherei alle accuse velenose di Cortellessa…
Temperanza: ma come, non ti basta leggere «fulva amazzone» per farti passare la voglia di comprare il libro?
Insomma: storia di ordinaria immondezzificazione del panorama culturale attraverso diuturne cazzate paradannunzianeggianti, da vergini delle rocce rimaste tali fino all’età pensionabile.