Storia di una strada
di Sergio Garufi
La vecchia strada della Valcellina in Friuli, che fu un tempo via di servizio alla diga, ma anche percorso che collegava i paesi della valle alla pianura sottostante, è la protagonista del bel volume fotografico di Max Rommel corredato dalle ottime prose di Marissa Morelli (Storia di una strada, pp.108, euro 25, M&B, 2004). Le immagini in bianco e nero dei paesaggi attraversati dalla strada e dei volti che la calcarono ci restituiscono lo spirito più autentico del luogo, che non è altro che una memoria profonda, che conserva e tramanda le tracce mnestiche di un passaggio, qualcosa che lascia un segno sulla materia inerte e con quel segno le infonde vita. Come alcuni tratti superstiti della via Francigena, oggi miseri ruderi abbandonati in mezzo alla campagna, un tempo strada maestra solcata da milizie, pellegrini e mercanti i cui passi hanno consunto il selciato; pure la strada della Valcellina, da anni chiusa al traffico, sopravvive ora solo come latèbra e reliquia di un passato che sembra appartenere ad un mondo remoto e sfuggente. Sono ruderi che, come le vite che li hanno attraversati, attendevano qualcuno che li leggesse, li spiegasse, li raccontasse. Lo sguardo dell’autore indugia senza compiacimenti su quel lastricato percorso da tante mute e anonime esistenze – ognuna racchiusa in frammenti temporali che non comunicano fra loro e non condividono niente, se non il fatto di essere stati depositati lì, nel medesimo spazio angusto, dal capriccio della sorte -, e ci dà la sensazione nettissima di come la nostra presenza modifichi, seppur in modo quasi impercettibile, lo spazio che abitiamo. Quei passaggi, che si perdono nel tempo e di cui non si è conservata alcuna memoria, rivendicano una loro segreta necessità, danno senso ai passaggi successivi; un po’ come càpita con l’etimo delle parole, i cui sedimenti semantici si sovrappongono con gli anni fino quasi ad occultare il significato originale, che costituisce il primo passo di un lungo cammino che giunge fino a noi, fino ad oggi. Ed è a questo punto che l’approccio sinottico fra i volti scavati dal tempo e il paesaggio geologico ci illumina sul carattere minerale, direi quasi orografico, di quella gente, cioè a dire su come il vivere fra le montagne ne abbia forgiato l’indole, rendendola schiva e taciturna. Quella che sembrava meno una strada che il rimorso o il rimpianto di una strada, diviene invece metafora di un tragitto individuale e collettivo per ricongiungersi con se stessi e con i territori dell’identità; itinerario intessuto dai desideri, la memoria, l’esperienza e le radici di una cultura e di un popolo. Nel restituire voce e volto a coloro che abitarono quella vallata, le fotografie di Max Rommel e i testi di Marissa Morelli non si limitano a una rievocazione nostalgica, ma tracciano una mappa dell’anima friulana e insieme ritraggono un témenos, uno spazio altro, distinto e discontinuo ai luoghi comuni della vita quotidiana. Se è vero che l’io – come ci ha insegnato Luigi Ghirri – è un luogo di transito, fatto di incontri e di commiati, di occasioni còlte e perdute; allora anche una strada come quella della Valcellina può assurgere a simbolo di un carattere e di un’identità territoriale che vanno salvaguardati e tramandati alle generazioni future.
(I lavori di Max Rommel e Marissa Morelli sono visibili sul sito http://www.workingonmemory.com)
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ce biel rucsac che hai, ninine
@temperanza.
vedi al post di jack spicer.
con l’inglese ce la caviamo, ma col friulano sono cavoli amari. proprio tu mi cadi su un problema di questo genere?:-)
mi ha colpito molto la foto, per vari motivi. poi il testo ha suggerito un parallelo tra strada e parola: ecco, forse la poesia (della foto e altro) sta in questa fissità vuota di un passaggio che non passa, in questa piccola sospensione.