Editoriale dei buoni sentimenti
di Angelo Petrelli
(L’Alter Ego è una piccola e combattiva rivista autoprodotta a Lecce, un tentativo coraggioso di coniugare, dal Sud e nel Sud, in una sola sede critica e narrativa. Del nuovo numero anticipiamo l’editoriale del curatore della rivista. Per maggiori informazioni e per sapere dove acquistarla, è possibile scrivere a questo indirizzo: lalteregoredazione@libero.it )
In questo settimo numero (n.06) L’Alter Ego riparte da un’intuizione folgorante quanto perfettamente vuota, una vanità che si esaurisce nell’atto stesso in cui si afferma come presenza: L’Alter Ego esiste al di là di ogni esagerazione, come d’altronde può dirsi realtà un’attuale letteratura salentina (quanto meno in fase di genesi, una proto-letteratura di valore) senza cadere in alcun provincialismo o forma di ignobile campanilismo. Cinquantasei pagine per proporre al lettore episodi letterari: brevi monografie, uno spazio dedicato alla poesia inedita, e un altro per fugaci (quanto labili) esperimenti in prosa.
L’Alter Ego, usufruendo di nuovi spazi e ritrovate ragioni (peraltro prettamente umorali), in qualità di piccola fanzine che opera sul fronte meridionale veleggerà nella speranza di essere all’occorrenza significativa, e spazio (virtuale o cartaceo) per giovani autori, taluni sconosciuti, altri meno. Voci che probabilmente sono pronte per la giusta emersione all’interno di una realtà storicamente dimessa. Scrivo da quella Lecce definita da alcuni in fermento, in costante crescita, o da altri ancora come centro del mondo letterario, quasi locus amoenus, eden aproblematico, topos dove l’azione è un spettacolo cruento che fa venire l’acquolina in bocca. Dove (cerco di sintetizzare) lo spettacolo cruento è allegoria (o anagogia che dir si voglia), e la realtà assurdo realismo, il sogno autenticità del genio, il genio risultato della trascendenza, una rivelazione che non è teologia (soluzione che sarebbe stata quasi sopportabile), ma identità dell’artista. Considero tutto ciò nient’altro che una comprensibile ubriacatura (mi riferisco ai contenuti di Un intervento violento di M. Zizzi, nazioneindiana dello scorso 28 aprile). Sono definizioni che lasciano il sapore di un’autopromozione esagerata, gli strilli lanciati da un buon venditore (peraltro, Zizzi è uno dei migliori poeti pugliesi contemporanei, probabilmente il migliore in assoluto) al cospetto di un pubblico tutt’altro che influenzabile ed avvezzo a simili interferenze. Probabilmente è una mancanza di responsabilità quella sfoggiata da Michelangelo Zizzi nel suddetto post, l’uso sconsiderato di un potente megafono, e non entro nella diatriba Zizzi/Raimo.
Mi preme parlare di un’attualità letteraria nel Salento che è qualcos’altro, un’impresa ben meno esaltante. Decifrare le coordinate del Salento e del Meridione letterario dovrebbe voler dire disegnare gli spazi dell’abbandono, la deriva di un concetto fondamentale che sembra spesso, anche agli addetti ai lavori, sfuggire del tutto: la letteratura è diversità (d’accordo con Zizzi), ma anche e soprattutto strumento da liberare e tutelare, socialmente intendo (cosa che farà storcere la bocca al poeta). La letteratura è mezzo d’espressione che da queste parti (ma diffusamente in Italia) è in mano alla mafia dell’editoria. Azienda che ci propone la sua questione e la sua lingua qualsiasi, la sua omologazione consumabile o anche la sua follia (che al caso può essere salentina). Questo sono diventati la pizzica e lo spopolare della Notte della Taranta, il fenomeno, i luoghi comuni del folclore locale, un aberrazione funzionale al mercato. E ritornando specificatamente a Lecce: il sogno, quello vero, per quanto lontano ed impossibile da realizzarsi, è che la smettano di agitare inutilmente le braccia, “di pagare centinaia o migliaia di euro” per pubblicare inutili libretti che non riescono a superare il cortile di casa questi scrittori salentini. Un invito affinché questi grafomani la facciano finita una buona volta di affollare Lecce, di riempire i meschini paginoni della pseudocultura locale gestiti dagli amici degli amici del dottore di turno. Che espongano pure e stabilmente la loro faccia accanto alla foto del santino Lecciso nella terza pagina, o meglio ancora al posto di quella del primo culo d’estate.Ecco, questo è il loro essere scrittori, la loro destinazione.
Questa è la letteratura salentina che emerge. Quindi di cosa stiamo parlando quando diciamo Lecce? Di martiri o santi? O meglio qual è il sogno di Zizzi? Vedere una Lecce pullulante di estrosi, lussuriosi, bivaccanti scrittori?
Vinca cento volte, mille! Vinca Zizzi, per quanto anacronisticamente platoneggiante (definizione che capisco sia un mezzo azzardo), per quanto politicamente disimpegnato e bizzarro, forse solo disimpegnato. Averne scrittori come Zizzi, dotati di vere ed originalissime opinioni (anche se poco sostenibili), di una lingua voluminosa ed interessante, propria, in questo senso violenta, autentica, finalmente letteraria.
Vi chiederete come si possa prima argomentare contro una posizione estrema e poi augurarsi che simili ubriacature siano la norma. Per quanto non sia d’accordo con Zizzi, né lo sarò mai (intendo teoricamente), Michelangelo rimane comunque uno scrittore, uno di quelli veri, uno dei pochi scrittori pugliesi, uno di quelli da tutelare.
È questo per noi scrivere sul fronte meridionale: dalla Puglia alla Calabria, dalla Sicilia alla Campania, ovunque; dove la mancanza di leggerezza è il minore dei mali. Conoscendone i limiti evidenti e le mistificazioni, così vogliamo difenderci dal ridicolo arroccamento della nostra facile arroganza, sentimento di chi fa parte a sé consapevolmente senza esistere. È questo che dobbiamo evitare con tutta l’intelligenza che possiamo permetterci.
Per concludere, ci tengo a ringraziare gli sparuti lettori (quelli disinteressati) che negli ultimi due anni hanno seguito la rivista e le attività della stessa apprezzandone gli intenti; simpatizzanti che senza soffermarsi sulla faccia, o la presumibile ambizione di chi ha deciso di esprimersi sovente in modo impopolare, sono ad ora l’unica presenza che ci sprona a proseguire in questa esperienza fatta anche di lunghe pause, e sovente di salutare silenzio.
Buona lettura.
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Bisognerebbe anche dissuadere, a volte, i giovani dal “fare”, non incensarli sempre, incoraggiarli, e così via. La noia non ci deve essere aumentata.
grazie luisa,
sei magnifica: un motivo in più per andare avanti in questa “noia”!
vista la versione pdf da Absolute.
bellissima grafica contenuti da leggere con calma
in bocca al lupo
effeffe
@ luisa e angelo:
Cioè, carissimi?
Tagliamoci le mani? Livio Romano, su un numero de L’ImPAZiente proponeva che si lavorasse tutti per la promozione della cultura. Ma in quale universo? in quello salentino non ci si confronta nemmeno tra autori di una piccola rivista autoprodotta come questa. Non ho intenzione di generalizzare, però. Solo che se una piccola rivista come questa non fa confronto vorrà mica dire che il sistema è sbagliato? Ognuno sgomita e tanti saluti ai progetti? No, perché qualsiasi cosa che non sia una “produzione letteraria propria”, ma forse anche quella, dovrebbe avere un progetto, no?
Ce la meniamo con lo squilibrio e il precariato in tutto, per questo non ci confrontiamo. O “siamo” bravi perché un solo autore, ap in questo caso, ha parlato, ha fatto, ha cercato e ha trovato senza dialogo?
grazie francesco,
spero che i testi siano all’altezza della grafica (peraltro curata da me e dall’autoammutinato, polemico dell’ultimo istante, Andrea Aufieri)…
sono sempre pronto al confronto, proprio per questo pubblichiamo, ci muoviamo sulla rete, anche con queste iniziative facilmente criticabili.
per il resto andrea dovresti interpellare tutti coloro “salentini” che se ne sbattono altamente. Io leggo tutto quello che producono, simpatici o antipatici che siano, cosa che loro non fanno a parti invertite.
e comunque il problema principale è dato dalle case editrici locali che non hanno alcun metro critico(oltre a quello del facile guadagno) per le loro pubblicazioni; editori che non investono una lira, che lucrano sugli autori provveduti di cui lecce è piena.
refuso: autori Sprovveduti di cui lecce è piena…
@ap:
non credo si possa dire che gli autori siano sprovveduti, anzi credo facciano più che bene a pubblicare, se possiedono le risorse necessarie. Ben venga, ripeto, il confronto che dovrebbe scaturirne, laddove lo si ritenga opportuno.
Dalle “schifezze” e da intenti discutibili è sempre scaturita una riflessione positiva, almeno fin quando si vuole fare critica e non marchetta o il suo contrario.
dalla gigantografia che è alle mie spalle (fino al 30 giugno data di fine del contratto e allora mi seguirà) il poeta, seduto , tiene accanto a sè un cartello con una lunga poesia , scritta a penna, da cui è tratto il verso:
When one’s friend hate one another
how can there be peace in the world?
Quando i nostri amici si odiano fra di loro
come è possibile la pace mondiale?
Ezra Pound (traduzione sua)
Lecce è bella, e anche gialla.
Ma io non ho capito niente.
La tua rivista mi piace, Angelo. Leggerò tutto con calma, per ora mi sono soffermato sulla bella selezione poetica – Fantuzzi, Giorgino e il sempre più bravo Adriano Padua. Se un consiglio servisse a qualcosa, ti direi: vai per la tua strada, guarda e passa.
Buon lavoro.
guardo e passo se è per questo, ma vorrei (falsamente)chiarire ad aufieri che le cose non stanno come scrive lui.
quesito che conosce benissimo: con chi mi dovrei /ci dovremmo confrontare? con gli assenti strafottenti di sempre forse? con i curatori delle ridicole pagine culturali? con gli accademici impegnati a “collocare” qualche parente in facoltà? con gli editori?
dov’è, chi è lo specchio critico della realtà locale? a chi ci dobbiamo rivolgere per esistere?!
“Se a montamatre ci fosse s. oronzo sarebbe una piccola lecce”.
a chi rivolgersi, con chi collaborare?:
– con gli accademici (e con gli accademici precari…), che non siano lì solo per collocare qualche parente in facoltà (o per essere collocati da qualche parente ecc.);
– con i collaboratori delle pagine culturali locali che magari proprio dall’università provengono, non così e sempre modesti come dici;
– con l’editoria, quella che c’è e quella da farsi…
e viceversa. possibilmente.
insomma, mi sembra che lo scotto che tutti noi abbiamo preso o quotidianamente prendiamo, più o meno, con l’universo degli ‘altri’ (o con una complessa e sfaccettata realtà culturale locale), non giustifichi questo o altro cahier de doleance.
si tratta invece, e un po’ per tutti, a partire per esempio dal vostro salento, proprio di uscire da stereotipi o ‘luoghi chiusi’, ‘frontiere’, ‘riserve’ o ‘avanguardie’, per contarci e ‘confonderci’, diciamo così. per mettere in scacco lo smacco…
saluti, fabio.
fabio, la tua è una giusta e chiarissima conclusione, una forma di buon senso; ma ha che fare con un’idea generale di azione, un obiettivo più spicciolo e allo stesso tempo più fumoso, e non con una pratica sociale, non con la realtà (anche antropologica e politica) delle persone da me criticate – mi inviti a rivolgermi, se non ai detentori delle cultura, quanto meno ai subalterni, ai sottoposti.
credo, semplicemente, che i detentori della cultura non esistano, che una cultura locale non esiste se noi non la rediamo “visibile”fuori dal campanilismo e dal provincialismo che la bracca, con studio, coerenza, e possibilmente talento. quello che fanno “loro” è autopromozione, qualunquismo da popolino, portano avanti interessi legati alla pagnotta, ai legami, spesso personali, con le case editrici che sponsorizzano senza troppa vergogna. non per niente poi questi libri locali non riescono a “fuggire” da lecce, ad essere letti fuori dal salento, e nemmeno nel salento.
tornando a noi, siamo solo all’inizio: L’Alter Ego è un piccolo contenitore, al momento, criticabilissimo, lo so bene.
anche se credo, che qualcosa di buono e di “locale” ci sia già nella rivista – ( ti parlo dei leccesi) un saggio su pasolini di e.imbriani (docente di antropologia culturale) ad esempio. quindi un accademico.
lubelli che ha curato lo spazio noir è un collaboratore del maggior quotidiano leccese, e fa parte della nostra redazione. ma anche aufieri stesso fa parte della nostra redazione e collabora con un mensile locale. io collaboro con un settimanale e un quotidiano leccese. quindi non è che non cerchiamo, non lavoriamo, non proviamo (quanto sono molto banale in chiusura! ).
sappiamo di cosa stiamo parlando – intendo per conoscenza diretta.
CONOSCIAMO REALMENTE COME STANNO LE COSE, non in astratto,
e non è per un buon senso mancato che sparo a zero, almeno spesso… poi si sbaglia tutti.
sull’editoria, hai ragione, quella è da farsi.
ho fatto una recensione ad un volume (‘accademico’, diciamo così), sull’attività letteraria in puglia dagli anni ’70 ad oggi. la puglia, cioè, per compartimenti e marche subregionali: la daunia, il barese, e il salento (diciamo da brindisi passando per lecce fino a taranto). la cosa che mi ha colpito: esperti (sic) del ‘barese’ o della daunia che parlavano di singole personalità, isolate, anche meritevoli, ma come voci ‘individuali’; sul salento: riviste, gruppi di ricerca, dagli anni ’70 fino ad oggi, appunto.
questo non per rispolverare sfatte mitologie ‘meridiane’ sulle qualità antropologiche dell’ospitalità salentina. perchè, a questo punto, a stereotipo segue lo stereotipo – nobilitato dalla poundiana di cui sopra – che vuole il salentino, insieme, pieno e vuoto (il barocco…), libero e recluso; moderno e reazionario; ospitale e nemico. e poi, perchè no, strutturalmente bizantino nella politica, nella dimensione dello scambio e delle relazioni. è vero, parlo dall’esterno (più o meno): ma è possibile che esiste un gruppo, una rivista, e si proceda già alla battaglia ‘di corrente’ con l’altra rivista, con quell’autore, quel giornale, quell’accademia, quell’altra editoria?
attenzione, mi dico. se stiamo parlando davvero di un tuo sforzo autentico, generoso e ‘comunitario’ alla ‘diffusione’ di idee e di cultura (al quale può corrispondere eguale tensione etica, umana, politica e culturale presso un altro autore, o un altro gruppo o rivista o ‘accademia’ o editoria della tua città), bene. vale quello che dicevo, con buon senso levantino: evitare le battaglie di corrente, ecc. laddove è possibile. anche perchè solo partendo da questo, con buon senso, è praticabile uno sforzo, per davvero comunitario, a ‘scalare’, sabotare, ‘rifunzionalizzare’ o ‘fare’ l’editoria, ad esempio. intaccare, col tempo, con una fitta e mirata rete di relazioni e di interazioni dinamiche, quello che tu chiami bene, e conosci senz’altro meglio di me, tessuto antropologico e politico, pratica sociale degli ‘attori’ di cui parli.
però c’è un altro rischio: che tutto, le tue lucide diagnosi o i tuoi strali, le tue sconfortanti conclusioni e i propositi, gli scontri e i ‘vuoti’, le risse e le assenze, le allusioni e le critiche vengano lette come ‘rumore sordo’ di una battaglia per l’egemonia di un (contro)potere contro un altro potere.
ma alla fine, saluti e buon lavoro, f.
E che palle. Siamo in Italia-Europa – Terra- Universo e sento pigolare il pulcino Angelino rinchiusi nell’aia leccese.
E’un giorno di festa… e si piange. Cresci che è ora.
Tu sei buono e ti tirano le pietre.
Sei cattivo e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
sempre pietre in faccia prenderai.
Tu sei ricco e ti tirano le pietre
Non sei ricco e ti tirano le pietre
Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Se lavori, ti tirano le pietre.
Non fai niente e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, capire tu non puoi
se è bene o male quello che tu fai.
Tu sei bello e ti tirano le pietre.
Tu sei brutto e ti tirano le pietre.
E il giorno che vorrai difenderti vedrai
che tante pietre in faccia prenderai!
Sarà così
finché vivrai
Sarà così
Tu sei buono e ti tirano le pietre.
Sei cattivo e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai,
sempre pietre in faccia prenderai.
Tu sei ricco e ti tirano le pietre
Non sei ricco e ti tirano le pietre
Al mondo non c’è mai qualcosa che gli va
e pietre prenderai senza pietà!
Sarà così finché vivrai
Sarà così
Se lavori, ti tirano le pietre.
Non fai niente e ti tirano le pietre.
Qualunque cosa fai capire tu non puoi
se è bene o male quello che tu fai.
Tu sei bello e ti tirano le pietre.
Tu sei brutto e ti tirano le pietre.
E il giorno che vorrai difenderti vedrai
che tante pietre in faccia prenderai!
Sarà così finché vivrai
Sarà così.
bene, anche quello è un rischio: probabilmente la tua ipotesi è molto più verosimile di quanto può sembrare. su questo hai di certo ragione( il buon senso non ti manca, mi ripeto), la possibilità c’è, anche se l’unica cosa che mi sembra un po’ fuori registro è in questo caso specifico la parola “potere”(o -contro- che sia). il salento è una polveriera di negazioni, fasi storiche mancanti, acquisizioni di una coscienza di contesto mai raggiunta (ad esempio in sicilia, per restare al meridione, questa coscienza ce l’hanno, come una storia e una tradizione letteraria).
qui siamo realmente sottosviluppati. ci sono ancora i borboni, basti vedere l’amministrazione fascista che da quasi due decenni “gestisce gli spazi” di lecce città.
anch’io ti saluto
e ti auguro buon lavoro f.
caro f, poetically correct?
effeffe
A me la rivista è piaciuta molto e i contenuti sono davvero interessanti; ho accettato con gioia la partecipazione ad Alter Ego.
Della Puglia conosco solo Porto Cesareo della quale mi sono innamorato e poi un paesello tutto bianco in stile greco di cui purtroppo non ricordo il nome. Acci! Aiutami a ricordare caro Angelo.
I miei complimenti per il tuo porgetto.
Fabrizio
A me piace invece questo periodo:
“Dove (cerco di sintetizzare) lo spettacolo cruento è allegoria (o anagogia che dir si voglia), e la realtà assurdo realismo, il sogno autenticità del genio, il genio risultato della trascendenza, una rivelazione che non è teologia (soluzione che sarebbe stata quasi sopportabile), ma identità dell’artista”.
Il senso non lo trovo, ma è puro liceo classico.
ap, sai bene che non sono un “autoammutinato(?) dell’ultimo istante”, visto che chiedo il confronto, almeno con i curatori, da più o meno un anno.
La visibilità improvvisa ottenuta dalla nostra farica è un momento che non mi permetto di screditare, mi limito, però, a chiederti di riflettere sul modo in cui è stata ottenuta, perché, ripeto, hai fatto da te (in questo senso consigliarti di guardare e passare è superfluo).
Proprio collaborando con un settimanale, e tastando la situazione in concreto, la mia posizione è la stessa così ben esplicata da Fabio. Quello che c’è è tanto e stimolante, e il dialogo e il confronto sono possibili con molta più fatica e più tempo: quelli giusti, però, che servono quando si coinvolgono gli altri. Se giudichi le altre realtà così come le hai giudicate mi viene naturale pensare che invece tu tempo e fatica le risparmi facendo da solo.
Ringrazio Forlan per la bella immagine regalata, ma qui non si tratta di “odio”: per quanto mi riguarda non sono coinvolto come vorrei in questa “impresa”, e non per mancanza di proposte.
Parlo poi di “impresa” perché mi viene difficile riconoscere un progetto, diversamente da quello che dice Corselli, che qui ringrazio anch’io per il sostegno, non avendolo potuto fare prima.
Detto questo, non penso che debbano venire meno momenti di dialogo anche con ap, o che io abbia intenzione di disconoscere l’esistenza de L’alter ego: semplicemente, ripeto, non me ne sento più parte.
(trad: siamo leccesi, cuore felice!)
te lecce simu simu
lala lala lalà!
a ddhun’ca sciamu sciamu
lala lala lalà!
lu culu vu scasciamu
lala lala lalà!
(sono di lecce e
mi viene volgia di votare lega!)
Ma lo scotto si “prende”? A me pareva che si pagasse soltanto.
E continuo a non capire.
fabio qual è il tuo libro? E quali sono i poeti della daunia?? Grazie.
rispondo a Tash.
il testo non può avere senso perché riprende le illazioni di Zizzi.
andrea,
non ti viene negato il dialogo, ma già il fatto che nessuno dei leccesi “quelli veri” intervenga per affermare che sbaglio o meglio per invitarmi ad andare a fare in c… è dimostrazione di quanto poco interessi nel nostro ambiente il dialogo e l’opinione altrui.
condivido il pensiero di commodore:
“E che palle. Siamo in Italia-Europa – Terra- Universo e sento pigolare il pulcino Angelino rinchiusi nell’aia leccese.”
Sul “pulcino Angelino” non mi pronuncio perchè non conosco personalmente l’interessato.
Sono salentino, ma della letteratura “salentina” non me ne frega un’emerita minchia. Perchè dovrei staccare dai miei scaffali gli autori salentini (decenti o indecenti che siano) e metterli in una cupola altrettanto staccata dal resto del mondo, e poiu magare fare lo scaffale degli autori valdostani e lo scaffale degli autori abruzzesi (ok, non rispondetemi “non ho detto questo, non voglio dire questo”: in sostanza è questo che fate/fanno).
Vi chiedo scusa se me ne vado a vedere vincenzo cerami a gallipoli e non invece i vostri autori artisti per autocertificazione che pretendono di insegnarti come parcheggiare, cosa dire, cosa fare, cosa leggere.
Mi annoia molto, la realtà pseudoculturale leccese, perchè parla di se stessa a se stessa, vittima di un’antipatica autoreferenzialità.
Non riesco a vedere un autore dal “nato a…”, “residente a…”.
Non me ne frega niente del salento letterario, è roba che spetta alle agenzie turistiche.
stefano manca
@ auf.
io non ho capito chi dovrebbe invitare chi (te?), a mandarti a fare in culo? perché? chi ti aspetti? quale dialogo, quale opinione? cosa cerchi: un amministratore pubblico? un assessore alla cultura? un editore? un redattore? la massa confusa e indistinta di quali lettori? i 20 che leggono l’alter ego? che poi siamo noi?
non capisco. non credo che ci siano così tanti soggetti terzi cui ci si possa rivolgere, proporre, sottoporre. se uno è interessato, è qui che partecipa. se no, non c’è proprio.
per il resto, confermo la mia opinione, che chi mi conosce già sa. non mi sembra che altrove si parli ad esempio del movimento poetico letterario o artistico, che so, della brianza, del cilento, del gennargentu, del parco nazionale degli abruzzi o delle isole lipari. lecce non esiste, basta parlarne! ci sono la letteratura, la cultura, la poesia italiana, i tentativi di farne delle nuove (cultura e poesia e tutto il resto), c’è roba buona e meno buona, ci sono i classici individualismi, le eccellenze, i problemi endemici, il clientelismo, l’amico che pubblica l’amico, noi che starnazziamo indispettiti e indignati, ecc.
non sto rispondendo con il nichilismo al nichilismo. semplicemente, niente di nuovo sotto il sole: qualcuno si diverte, e a qualcuno rode il culo.
ho venticinque anni suonati, sono laureato da due (non me ne vogliate per questo atto di vanità), non ho affatto un lavoro – i lavoretti per mantenersi non sono un lavoro – , continuo a studiare vedendo sfilarmi davanti persone con il culo più parato del mio, anche più bravi, più in gamba, certo molto più raccomandati di me, non tutti spero, e io ancora a studiare sperando che la mano divina intervenga in questo o quel concorso pubblico. il modello è lo stesso dappertutto, libri o manuali giuridici che siano, giornalisti o scrittori o ufficiali o impiegati che si voglia diventare. niente di nuovo, ripeto. al massimo, il mezzogiorno (non solo lecce, in cui vivo) fa solo un po’ più schifo del resto d’italia.
per adesso sono qui a lottare, a sgomitare per scrivere un pezzo piuttosto che un altro sul quotidiano, per fare si che un verso sconosciuto sia letto almeno una volta e infine per vedere ripagati i miei altri sacrifici in qualche modo. ma senza ipocrisia. se un giorno dovessi conoscere un editore (cosa molto improbabile vista la mia incapacità di creare e mantenere legami di tipo mondano/affaristico), non gli direi, di fronte a un’offerta: Fanculo, amico, non voglio il tuo sporco favore. Piuttosto, pubblica un meritevole sconosciuto.
Direi, probabilmente: Grazie, e basta.
non prendiamoci per il culo, è questo quello di cui stiamo parlando, no?
vedo che stefano manca (non lo conosco) ha anticipato di pochi secondi il mio post. Sostanzialmente corretto, condivido quasi tutto, ma un po’ troppo brutale e rancoroso. anche tu, caro vincenzo, così prendi posizione. hai ragione, ma prendi posizione (di segno contrario, ma sempre posizione). o sbaglio?
vielle, dove sarei stato rancoroso?
stefano
no stefano,
al pezzo di commodore non ho risposto allora e non rispondo adesso:
il fatto che ti dia noia leggere l’opinione altrui non fa altro che dimostrare che alla gente non importa niente di dove vive, di dove lavora, di dove mangia merda se la mangia, che sia in italia-europa o in pangea-laurasia..
lecce è tutta l’italia, se non si parte dal piccolo centro come è possibile ragionare e agire in modo globale, effettivo, cambiare qualcosa ?
se posso ci provo, se l’impegno non è più di moda va bene, non ne vedo il problema. e nemmeno se chi non mi conosce mi disprezza a prescindere o al contrario mi / ci snobba totalmente, o mi dà del pulcino / piangente / perché deve crescere (se ho ben capito).
sono portatore di un’opinione, un opinione diversa che a lecce non sentirete da nessuno degli “addetti ai lavori”, addetti che generalmente si vantano della autosuggestione del loro “fermento culturale”.
ma apprezzo il tuo intervento, per lo meno prendi posizione senza offendere.
e anche a te caro vielle che dire ?!
in bocca al lupo
sinceramente.
magari fatti sentire, sai dove trovarmi.
@ stefano (scusa, prima per errore ho scritto vincenzo)
beh il tono è forse un po’ livoroso, ecco, in generale: il tono traspare dal testo. non me ne frega una minchia, ecc, questo menefreghismo un po’ accentuato. ripeto, in parte sono d’accordo con te, sulla storia dello scaffale, dell’autoreferenzialità, del fatto che preferisci evitare di separare lett. salentina da lett. in genere. questo mi pare sensato.
se invece non me ne frega una minchia significa che ti fa schifo e basta solo perché una certa letteratura proviene da un certo posto, non sono affatto d’accordo.
@angelo.
se non facessi la vittima, se non stessi sempre a difenderti, a fare apologie di te stesso e del tuo lavoro (che apprezzo molto ma forse a te non risulta), a pensare di stare conducendo ostinatamente una crociata unica ed epica che tale non è per vari motivi, forse se non facessi tutto ciò sarebbe meglio.
è come la storia della contravvenzione, con te che ti ostini a dichiarare guerra ai mulini a vento travestiti da ausiliari del traffico fascisti e implacabili. può discutersi che sia giusto o no poter lasciare l’auto in quel tale parcheggio, ma se la lasci ti multano. ergo, se non vuoi scucire 35 euro ti conviene spostarla (non che debba farlo necessariamente, eh?). una questione di convenienza per te stesso. il che non lede il tuo principio – ripeto, discutibile o meno, su cui si può opinare tranquillamente senza tirare fuori i denti – di pretendere più parcheggi gratis per tutti.
il paragone regge o sono un povero fascista (?) reazionario (?) nemico dei nemici del sistema (?) ecc.?
chi mette in discussione l’impegno?
nessuno è al centro del mondo, incluso te.
lecce è l’Italia. Provinciale.
sei tu che giochi a fare il qualunquista per moderazione (vielle, o meglio, vl), non io l’esagitato apologo di me stesso. il centro del mondo, volendo, va cercato e non negato.
no commodore, lecce è l’africa… e l’africa non è provinciale, è solo lontana.
l’africa è la sicilia. lecce è l’albania
basta che non confondi il confronto con l’astio (ingiustificato)…
gli altri sono solo simpaticoni
A me pare, Angelo, che tu vada abbastanza bene: sei già conosciuto come giovane poeta e ora proponi qui su NI questo riuscito digesto di letture e spunti. Potresti ora rafforzare il tuo gruppo e lavorare assieme ad altri che fanno poesia a partire dal territorio (gli “ammutinati” triestini, alcuni emiliano-romagnoli, non c’è bisogno che ti dica i nomi). Il tutto, tenendo sul comodino le “Lettere a nessuno” di Moresco, almeno la prima metà. Buon proseguimento.
ps: aspetto da Fabio il titolo del libro sulla poesia pugliese e i nomi dei vati della daunia (Oronzo Canà a parte).
Come vi qualificate rispetto a Caparezza?
@giusco
scusa per il ritardo, ero fuori. il libro s’intitola, inopinatamente, ‘la saggezza della letteratura’ (g. laterza editore, bari, ’06). uscirà, credo a breve, una mia recensione su ‘l’immagianzione’. ma non ti aspettare troppo: il volume raccoglie gli atti di un forum che si tenne a brindisi – i ‘salentini’, questi angeli o demoni volanti, forse ne sanno qualcosa. ripeto, è un tentativo di mappatura dell’esistente, ma a parte qualche eccezione l’esistente (e cioè il ‘contemporaneo’ in lett. e poesia, in puglia e altrove) per molti si ferma a Raffaele Nigro (in puglia). che, per carità, bisogna conoscere. magari pure leggere. il dato interessante è che anche inconsapevolmente chi si curava di ricostruire l’attività lett. nel salento del ‘dopo-Bodini’ non ha fatto come chi parlava della terra barese o foggiana (elenco, crestomanzia, ragguagli utili ma ‘spuntati’ di personalità isolate), ma si soffermava sui gruppi, i gruppi di ricerca, le riviste… fino ai (lit)blog…. (ma solo per accenni….).
tant’è. oggi assistevo ad una conferenza, organizzata da noi all’università (sic), su tondelli. ecco: l’autobiografia che non dovrebbe sfociare in autobiografismo; la provincia (la riscoperta, il ripercorrere l’itinerario della letteratura di provincia) che non sfoci in provincialismo. questo vale per tutta l’italia, africa e nordest: costiera adriatica, da d’arzo in giù, eccetera…
e poi: qui si stava parlando non (solo) di lecce e della sua sfaccettata (diciamo così, va’…), realtà culturale. ma della realtà culturale in generale: dei suoi processi e dinamiche e prospettive (comunitarie)… insomma, vale come sintomo, mi pare.
e poi: giusto per non restare in tema (o, meglio, per suggerire che si sta parlando non solo di ‘lett’ o ‘identità’ o ‘rivista’ leccese: almeno così mi auguro): ho trovato questo appunto, mi pare che chi voglia può ritrovarsi:
“È giusto, come aveva rivendicato Sergio Luzzatto in un appassionato pamphlet su La crisi dell’antifascismo (scritto anche per “impedire che la memoria anneghi nell’indistinzione”, edito da Einaudi nel 2004) che ogni generazione si ponga in maniera autonoma e con originalità di accenti di fronte alla comprensione del passato; meno giusto che nel farlo ignori tutto quanto era stato fatto in precedenza e che si immagini come un pioniere in terra vergine che deve districarsi tra fanatismi e superstizioni di primitivi”. (G.Santomassimo, da una recensione su ‘il manifesto’ all’ultima querelle sulla Resistenza).
che è un modo, ancora una volta, per avere in testa che, se si vuole ‘stare al gioco’ della diffusione di cultura, il gioco riesce se si gioca insieme, in comunità, secondo un progetto quanto più possibile ‘comunitario’ (anche nel rapporto con la ‘tradizione’…). perchè poi ben vengano, come è ovvio, i poeti (o i narratori, i critici, gli editori, gli universitari ecc.) che se ne stanno seduti al bar. a fare i conti sul proprio tornaconto, o a rimuginare da soli. con la loro ‘idea di letteratura’ che, per me, si possono tenere ben stretta. il discorso riguarda, magari nello stesso bar, come (e se si riesce) a stare seduti insieme, diciamo così, avendone un’altra, di idea di letteratura.
saluti, fabio
Grazie Fabio, non volevo tirarti per la collottola, solo evitare che il mio commentino-richiesta si perdesse nelle diatribe. Buon lavoro.
ciao GiuSco,
più che sul comodino “lettere a nessuno” lo tengo in cassaforte…
comunque, grazie per il consiglio
buon lavoro
se è sembrato che qui si facessero conti sul proprio tornaconto, se è questo a cui fabio si riferisce, o non sono stato compreso o mi sono espresso male, confusamente. o più probabilmente è stato espresso un giudizio affrettato sulle mie parole.
quello che non tollero sono, appunto, il provincialismo, il campanilismo, l’autoreferenzialità, il guardare il proprio ombelico. partire dalla propria identità territoriale e culturale per appropriarsene di una universale, o per rendere un messaggio universale, è fatto ben diverso dal rimanere morbosamente legati a quella identità. non disconosco nè abiuro lecce e quello che lecce rappresenta (potrebbe essere qualunque posto del mondo) per me. solo, i fatterelli di lecce sono lontani anni luce dal concetto di letteratura a cui cerco di approssimarmi.
(un esempio fuori luogo. perchè carlotto che si occupa solo di nordest – e solo tramite il mezzo del romanzo nero – non è provinciale?)
poi, non ho detto che tal de’ tali, o angelo, lo faccia o lo abbia fatto, intendo fermarsi sul proprio ombelico, anzi. se no non collaborerei con lui, non gli esprimerei pubblicamente la mia stima, no? mi pare ovvio.
quello che non mi piace è un’impressione generale di ipocrisia velata da pseudocritica, che io percepisco, e come tale, essendo percezione, è puramente soggettiva e facilmente attaccabile. però se vedo atteggiamenti concretamente ipocriti, bassi, biechi, tutto mi pare fuorchè una collettiva voglia o idea di letteratura. sarà semplicistico, ma è una constatazione.
e non mi si venga a dire che siamo tutti poveri cristi in vena di battaglie culturali per l’emancipazione e l’elevazione della letteratura, per ideologie e unità e quant’altro. non ci credo semplicemente perché le battaglie culturali, a lecce, le ho fatte anch’io, da anni, e ben prima dell’esperienza dell’alter ego. avevamo un foglio autoprodotto e lo facevamo circolare, a spese nostre, porta per porta, dappertutto, università e strada, leggendolo persino, più spesso, davanti a 8 persone sbadiglianti. un’esperienza tutto sommato grandiosa, forte, importante, esemplare.
se adesso, a distanza, guardo con occhi di disincanto, con un po’ di cinismo (neanche troppo veramente), perchè le cose non sono certo cambiate in meglio, ma se alla letteratura, fatta qui e ora, ancora ci credo, comunque, non mi si venga a parlare di un tornaconto che non ho mai avuto nè mai avrò in un campo a cui ho dedicato molte delle mie energie, in cui ci ho creduto in tempi niente affatto sospetti, non mi si venga a dire – pur con garbata ironia – che me ne sto a rimuginare da solo.
per quanto mi riguarda, all’unità di sforzi e all’unità culturale ancora ci credo. solo, un po’ meno di prima, o in maniera diversa. il perché l’ho vissuto in prima persona ma è sul campo, sotto gli occhi di tutti.
e non solo a lecce.
i giudici da cui vado a lezione ci insegnano quanto sia difficile, nonostante, l’esperienza, emettere una sentenza, per una ragione essenziale: ogni cosa detta va conosciuta e soprattutto motivata. le sentenze sono cose gravi.
@vielle
pardon, vl.
neanche lontanamente pensavo a te.
e veramente cercavo di sottrarre il tutto al dualismo ‘voi’ / ‘loro’. so che è operazione e prima ancora discorso complesso, ma lungi da me, e proprio per questo, elaborare sentenze. tantomeno ad personam…
infatti mi riferivo a chi, semplicemente, per disincanto (ognuno ha il suo percorso), o per forti (ugualmente discutibili) ‘poetiche’ o convinzioni, o per legittimi (discutibili) tornaconti personali, o per legittime (ma discutibili) scelte di vita pensa ad altro. non ad un progetto per davvero ‘comunitario’ di critica e di lavoro culturale (che, appunto, è anch’esso discutibile…).
ti faccio un esempio concreto, proprio alla base. è vero, ognuno di noi deve conciliare al meglio delle proprie forze, del proprio equlibrio (perchè comunque la si veda è un dispendio di energie quello di cui si sta parlando) l’idealità ‘plurale’, ‘comunitaria’ (militante!) di un lavoro di diffusione culturale, da una parte; e il proprio ego, il proprio narcisismo, diciamo il proprio tornaconto, dall’altro.
ho la fortuna di conoscere e di lavorare insieme ad una persona, giovane come noi, che scrive ricerca legge discute fa lezioni eccetera sempre e soltanto pensando certamente a campare, ma più in profondità pensando costantemente ad un lavoro di gruppo, al dialogo, ai progetti comunitari. è una di quelle persone un po’ ghost writer, non nel senso degli infami meccanismi della politica e/o editoria-spettacolo. insomma, è uno che se scrive un libro, o un’inchiesta (!) per NI, o altrove, poco gliene frega di apparire col suo nome. quasi non gli interessa di ‘fare’ un libro, nel senso di ‘firmarlo’. gli preme ‘usare’ le sue idee per condividerle.
il fatto che mi accorgo io stesso di farne un’agiografia, e non una leggera ma netta esemplificazione (concreta) di quanto volevo dire, è ‘sintomo’ sinistro di qualcosa che, a partire da lecce, occorre afferrare, conoscere, demistificare, sabotare e, infine, cercare di cambiare.
comunque davvero, niente di personale. anzi…
@temp
visto che siamo in vena di equivoci o di excusationes (per un permaloso come il sottoscritto), e visto il (nostro) cazzeggio che continua:
è vero, lo scotto si paga, non si prende. ma si scrive anche qual è, senza apostrofo (anche quando si parla di veltronio di riformismo). non so fare l’emoticon.
saluti, fabio.
E’ proprio così complicato il concetto che ho espresso?
Vl scrive, forse confondendo i commenti, di cercare di farsi mandare a quel paese ecc.Non è questo. Una soluzione la si è già trovata con ap e con Paolo Antonucci. Bastava il dialogo? Forse quello su NI. Il fatto è che per mia esigenza io ho bisogno di confrontarmi e di condividere e sentire anche mio un percorso, un progetto.
Non di correre affannosamente dietro una bandiera che porta al nulla.
Condivido poi tutto quanto si è detto su lecce, che non esiste al contrario della poesia, della letteratura.
Ma il primo metro di un artista, anche autocertificatosi tale, è il confronto con la propria situazione culturale.
Il territorio in cui si opera non può passare in secondo piano, certo si può evitare di fare burroso marketing.
Fare poesia, letteratura, giornalismo in provincia non può voler dire fare poesia, letteratura, giornalismo provinciali. Per conseguire tale scopo io ritengo primari lo studio e il confronto, chi conosce altre strade ne parli. Parliamone.
ma chi è ‘sto Aufieri? e che vuole?
io non ci ho capito niente!
e questo Lucchi Roberto ?
non capisco se è un ignorante che si finge intelligente
o un intelligente che si finge ignorante
io,più propenso per la prima
Viene postato l’editoriale di una rivista curata da Angelo Petrelli. Bene. Cerchi la rivista, la sfogli, la leggi, esprimi un giudizio sui lavori proposti. E invece no. Da un commento all’altro (commenti?) ciò che emerge, l’unico dato comprensibile, è la rappresentazione di una piccola lite condominiale, con tutte le ripicche tipiche di chi si è trovato il posto macchina occupato o un sacchetto della spazzatura davanti al garage. Che pena questa combriccola di ex liceali allo scazzo che, tra una canna e l’altra, giochicchiano ancora a chi ce l’ha più lungo. Ma non potreste trovare un luogo più appartato, magari un pub di paese, per tirare giù le mutandine e, metro alla mano, misurare i pistolini? Suvvia, fate i bravi, rispondete almeno a una domanda: ma di che cazzo (tanto per restare in argomento) state parlando?
@B.R.A.,
l’unica critica sensata che potrei accettare dal tuo commento è la sigla con la quale ti sei firmato, per il resto è palese che non hai intenzione di comprendere quanto si è detto, fermo restando che ritengo cruciale che lo si sia detto in questa piazza virtuale piuttosto che in un pub di paese.
Forse hai perso tu un’occasione per commentare il nostro lavoro.
nessun equivoco o excusatio (di certo non petita), caro fabio. al massimo precisazioni mie e tue. del resto, spesso è difficile rendere con parole esatte un pensiero che magari non ha nemmeno contorni ben definiti. dunque, approssimativamente, ho detto suppergiù quello che penso e che preciserò ulteriormente con le frasi seguenti.
caro andrea, concentriamoci su un punto, quello essenziale. cercare confronto e dialogo mi sembra una alta aspirazione. metterci tutto l’impegno del mondo, altissima. avere tempo e possibilità per farlo appieno, è un altro paio di maniche. personalmente, l’ho fatto per anni, con alterni risultati, momenti positivi, ma in generale senza un’impressione ottimistica. ora, per disincanto e scelta di vita, ho accantonato l’impegno del fare letteratura militante per concentrarmi sul mio futuro. questo lo ritengo inopinabile, semplicemente perché ho assegnato a ogni mia aspirazione un ruolo e un posto ben distinti per grado e priorità. sono scelte personali.
la letteratura, comunque, rimane nodale.
certo, collaboro a una rivista, felice di far parte del collettivo, ma purtroppo non ho tempo per dedicarmici in modo pieno. non ho tempo e, per me, non è più tempo. non che io sia vecchio a 25 anni o che a tale età non si possa farlo. anzi è vero il contrario per quantità di energie creative a disposizione. ma le energie personali sono assorbite da altro.
e dunque, qual è la tua/vostra risposta a un esempio paradigmatico come potrebbe essere questo? dico paradigmatico perché spero di astrarre, di evitare che si parli di me. non sono (più) un intellettuale perché non mi applico al fare letteratura tutto il giorno e la notte, o perché non lo sono mai stato, o perché non si capisce chi debba dire se uno è intellettuale?
io ti posso dire che certamente la letteratura non è fatta solo di intellettuali puri, ma questa è la mia idea di letteratura, ANCHE perché leggo leonard e decataldo e capraro e asimov e tanti altri (MA NON SOLO) che nella vita hanno seguito percorsi paralleli e complementari rispetto al solo essere un letterato.
sul fare giornalismo, poi, altro spunto e altro esempio. scrivo un pezzo sugli ultimi romanzi di genere fantasy/noir editi da piccole case editrici. bocciato per motivi editoriali. una recensione (l’anno scorso) a noi saremo tutto di valerio evangelisti. bocciata per motivi editoriali. ecc. passano le presentazioni di eventi/appuntamenti e qualcos’altro.
allora? ho scritto scoop o capolavori linguistici incompresi? non credo. il quotidiano su cui scrivo ha una liena “provinciale”? si. potrebbe essere altrimenti? non lo so, probabilmente no. sono un collaboratore “provinciale”? non so, forse si per collocazione e mansioni, forse no per idee e tentativi di impegno diversi.
ma credo di essere uscito fuori traccia.
@ardecore.
quanto a roberto lucchi, sappi che la definizione migliore è: un intelligente che non si finge niente, perché conosco la sua preparazione, la mole della sua cultura e la sua umiltà, anche se può apparire difficile e ostico nella scrittura.
@ bra.
di certo tu un commento alla rivista non l’hai fatto.
la lite di cui parli è un tentativo di approssimarsi alla letteratura e al fare letteratura, con tutti i rischi che tale argomento e la piazza virtuale su cui si svolge comportano.
le persona che scrivono per l’alter ego sono qualificatissime. sanno di che stanno parlando. scrivono e pensano.
e poi forse una canna potresti fartela anche tu, ti farebbe bene.
Gentile Vito,
la risposta, da par mio, è che dici bene quando affermi che si tenta di approssimarsi alla letteratura e al fare letteratura, almeno questo è calzante nel mio caso. Ho chiesto dialogo e confronto per l’arricchimento e l’esperienza mia in primis, che lo ritengo fondamentale. Per gli altri (ap e Antonucci), fermo restando il fattore tempo, la cosa va anche bene.
Se poi c’è un progetto da farsi è meglio, sento più vicina e stimolante la causa della rivista.
Per quanto il tuo esempio possa essere un monito, sento di voler andare a sbatterci comunque il naso, essendo le aspirazioni di cui parliamo alte abbastanza da valere l’impegno.
Per quanto riguarda il giornale con il quale collabori, è vero che la pagina culturale praticamente non esiste, essendo la sagra del polipo più considerata di un’opera noir, ma come la pensano i tuoi colleghi collaboratori in merito a tale faccenda? Quali sono le possibilità che si cambi strada?
Qualcuno conserva un po’ di ragionevolezza e di saggio senso della realtà. Bravo, B.R.A., l’unico che è riuscito a centrare il nodo della squallida questione. Buste di plastica al vento gonfie di nulla.
@fabio
meno male che ho continuato a leggere anche qui, la mia sullo scotto era una vera domanda, si potrebbe anche prendere, non era un rabbuffo, solo non ho guardato il battaglia, il mio apostrofo invece è proprio sbagliato.
Io non sono permalosa, solo irritabile, l’emoticon potrebbe essere questo ;–) (un po’ complice) oppure questo :–) più schiettamente sorridente.
me li sono fatti spiegare anch’io, dopo alcuni flames non voluti, ma poi ho visto che non servono a niente, se uno è in vena di scazzi, posso però chiedere per la terza volta qual’è il contendere? Salvo alcune cose sulkla provincialità continuo a non capir molto, per questo continuo a leggere.
Mi sento solidale con BRA, chiunque sia, siccome qui c’è un post e la rivista non c’è (a meno che io non sia tanto scema da non averla vista) per chi abbia letto il post e i commenti sembra un dialogo tra sordi o la fuoriuscita di uno scambio privato di mail arrivato qui per un’andata in tilt generale della rete.
Mi sembra di spiare una conversazione da dietro una porta chiusa, e siccome è attività sconveniente provo anche un po’ di vergogna.
resto? vado? capisco?
la rivista si può scaricare un absolutepoetry, o semplicemente la può ricevere chiunque la voglia inviando una mail alla redazione(l’indirizzo è nella presentazione dell’editoriale in corsivo).
quindi temperanza, se vuoi…
per il resto, i miei CONDOMINI fanno ciò che vogliono come avete visto, non lo apprezzo; spero che la facciano finita, e che anche gli altri signorotti coperti da pseudonimi la smettano di offendere le persone, parlino pure dei testi nel caso li abbiano veramente letti, e che magari esprimano la loro con meno livore e invidia (almeno alcuni, la cosa è evidente, altro che canne !).
angelo ce l’hai doppia la personalità? Scusa, ma prima lanci il sasso con la sbobba: sono a Lecce(per chi non l’ha capito), nessuno parla di quelli che dovrebbero parlare (chi dovrebbe parlare di Lecce che non parla?) l’editori sono così, l’accademia e cosà… lalalala. E poi diventi serio ed equilibrato e raccomandi ai tuoi di ritornare in fila. Scusa, ma …. io avevo esordito, senza sapere cosa succede a Lecce, dicendo: “E’un giorno di festa… e si piange.” E adesso mi dai ragione. Mah, sarà che la terra prima è tonda, poi quadra, poi tonda e poi svanisce nel nulla
Pace e bene.
@Nazione
from: Condominio Asimov
Dice mi’ madre che ieri su Telenorba ha visto che in Cina si balla la pizzica.
Fanno corsi e seminari di tarantismo. Eccessiva glocalizzazione?
Non sono riuscita a scaricare niente, tranne la copertina, sono scema.
Non c’è un indirizzo sicuto?
Ho però visto due foto tue, Petrelli, dimmi se ero almeno a metà strada..
oppure il ritratto di beckett e quel che segue, compresa la foto tua e di Zizzi è già la rivista?
magica temperanza… sei riuscita a cogliere il succo di tutto.
@temp
di là il buon roberto incalza con chomsky e cerca di diradare ‘fumoserie’ critiche (non sempre così fumose) o rendiconti e bilanci sul governo, sui concetti (le parole) come riformismo, la guerra e l’iraq. e tu chiosi in un modo che altro che emoticon ci vorrebbe: “guardare le parole in faccia è il miglior modo per iniziare a guardare in faccia le idee”.
guarda che proprio questo si è fatto qui (forse, e per fortuna, si cerca di fare questa indagine ‘inferenziale’ sulla lingua, per giungere alle idee, un po’ dovunque, nei commenti: ‘ i commenti sono tutto’, in un blog o ‘arena virtuale’ che dir si voglia)….
si tentava di chiarire, a se stessi e agli altri, parole (e idee) come ‘lavoro culturale’, ‘impegno collettivo’ e ‘istituzioni, ‘editoria’, ‘riviste e gruppi’, ‘provincia’ e ‘identità’, ‘accademia’ e ‘critica (militante!)’, ‘tradizioni’ e ‘innovazioni’ , ‘autenticità o mere battaglie di (micro)”potere”‘. se poi ci si fa prendere la mano, un po’ provincialmente (ma vale lecce come novara, con tutte le differenze del caso…), è perchè, forse, di dialogo si vive. e di ‘incomprensioni’ si langue. anche nei condomìni.
ora basta, però, per me. ti saluto con l’emoticon più complice, ma schietto, che conosci (hai scritto un’altra volta qual’è…). ciao, f.
PS. ma resta un fatto, serioso: gli ‘autori’ mancano, su NI (nove…). le voci tirate in ballo tacciono (in questo caso: poeti o narratori, chi le riviste le fa o le vorrebbe fare, editori o critici, del sud del centro e del nord). e se d’alema (quello vero) rispondesse sull’iraq, scendendo tra di noi nell’agone? mi accontenterei pure di latorre… che bella ‘discontinuità’ sarebbe, nella ‘storia’ del centrosinistra e del partito democratico. ma mi sa che ci dobbiamo accontentare delle ‘ considerazioni finali’ di draghi (carlo de benedetti, la repubblica: “…la modernità, l’incisività, una grande discontinuità con il passato”). le parole, le parole…..
temp la rivista si scarica da http://www.absolutepoetry.org
@fabio
ripeto: per venire a parlare su NI, Nove, D’Alema o La Torre devono capire che gli serve davvero essere qui. Che troveranno idee e proposte con cui confrontarsi, non solo polemicamente. Certo è che se poi scende in piazza il buon Parisi noi non è che lo prendiamo a sassate, vero?
Il mio primo intervento era fuori luogo per tutti qui su NI, ma non vedevo molte altre soluzioni all’impasse in cui versavo più io che la rivista. Gli altri miei commenti sono una conseguenza, per il resto ho letto pochi interventi lucidi e molte stupidaggini gratuite e, credo, immeritate.
Sia ben inteso, anche per ap, che qui non abbiamo messo su una lite tra condomini, ma è successo qualcosa di molto naturale quando non ci si confronta. Siccome sono stato anche abbastanza noioso a menarla con la storia del confronto, la finisco qui.
Invito la gentile “temperanza” che non riesce a scaricare la rivista a richiederla, specificando il suo mail address, al seguente indirizzo:
lalteregoredazione@libero.it
Spero che temperanza, così come tutti i lettori di NI facciano un salto su Absolute Poetry e commentino la rivista, che io ritengo coraggiosa nel proporre un lavoro così corposo. Altre considerazioni le ho comunque fatte in precedenza. Contentissimo di parlare anche dei contenuti…
@roberto
BUSINESS PLAN(NING)
al lavoro, roberto, al lavoro! hai ragione. ‘da subito’. venga anche parisi.
e poi, a proposito di lavoro, ma cazzeggiando un po’, rinvio gli ‘amici leccesi’ (?!) all’articolo su d’arrigo e alla rivista lì promossa: molto curata, ‘critica e letteraria’ (forse un po’ troppo), e soprattutto: nessuno scazzo, nessun problema (all’apparenza). lavoro e poi promozione. al lavoro!
loro sono di bologna. per questo, quelli del sud (del mondo) mi saranno sempre più simpatici: casini, risse, in piazza, a gridare per le scale, nei portoni, guerre di quartiere come i ragazzi della via pal, polemiche e sfottò, tutto in piazza, il fianco prestato alla più vasta gamma possibile di equivoci e allusioni, snobismi e attacchi incrociati…
comunque, al lavoro, al lavoro!
certo che siamo al lavoro, orgogliosi del nostro lavoro! è proprio per questo che ci becchiamo gli insulti, le insinuazioni: è vero anche se siamo un po’ incontinenti. ma restando nell’orbita del buon senso ci vorrebbe un tantinello di volontà e amichevolezza anche da parte dei lettori di NI che non si lasciano mai scappare l’occasione per criticare o (voler) ridicolizzare chi si affaccia nel loro florido (di contatti) orticello.
eppure noi ci fidiamo sulla parola, diamo per certo lo spessore di queste grandi menti avverse al lavoro altrui: che, ahimé, non ci conoscono…
@ commodore
hai ragione caro amico di vecchi sollazzi: stamattina ho invertito la pillola blu con quella rossa, il mio squilibrio psichico è evidente, – come il mio esaurimento “storico”- diceva un caro amico .
@ temperanza
spero che ora, almeno, tu sia riuscita a scaricare il pdf della rivista!!!
(Per il condominio, 73100 – lecce)
caro angelo,
sarà perchè oggi non ho preso nessuna pillola, sto abbastanza bene, ho trovato di ritorno a casa un insperato pacco di sigarette, e mi sento stanco e quieto, disincantato e cazzone, un po’ lebowski (magari…):
dicevo ‘al lavoro’!: non (solo) all’alter ego, ma ‘ognuno ognuno’, per tutti. riviste, gruppi, io e te, gli altri, università e fondi, poeti maledetti e (contro gli) editori commercianti… vedremo se saremo capaci di ‘incontrarci’….
(a) buon lavoro!
sapete dove trovarmi,
se c’è un po’ di buona volontà e comunione d’intenti…
buon lavoro
@petrello
chi ti capisce è bravo. Citi una canzone o cosa. Ricordati la pillola.
@fabio
mo’ vai a vede’ de chi è il pacchetto de cicche
no commodore, non citavo una canzone !
ma visto che sei ignorante e che insisti ( o meglio, assodato che sei deficitario, – o meglio deficiente – sulle avanguardie poetiche e non solo): ti consiglio di leggere qualcosa sulla “storica” diatriba sanguineti-zanzotto che risale alla metà degli anni sessanta.(oppure più facilmente puoi trovare qualcosa alla voce – laborintus/ esaurimento storico ).
in bocca al lupo comunque,
sono convinto che prima o poi qualcuno si prenderà cura di te nel modo più confacente alla tua condizione,
altro che pillole…
@petrelli
@commodore
Consiglierei il Minias o il Depakin.
Ovviamente in mancanza delle Roipnol.
basta!
però, angelo petrelli, e poi sparisco davvero (anche perchè è cessato l’effetto-grande lebowski):
un po’ di sana umiltà (a lecce come a grottaglie come a bari come in africa come a roma e milano). te l’ho scritto e dedicato qualche post fa:
“non ti (vi) immagin[are] come un pioniere in terra vergine che deve districarsi tra fanatismi e superstizioni di primitivi”…
(NON rigurda solo lecce!…).
la buona volontà ce la dobbiamo avere un po’ tutti. reversibilmente. anche la pazienza e l’umiltà di leggerci, migliorare, prendere qualcosa gli uni dagli altri (sempre che si stia parlando di qualcosa, come per esempio una rivista, che si vuole fare assieme per arrivare a qualcuno, selezionando, incrociando, ma con in capa un ‘progetto’: che per definizione si fa assieme). altrimenti statevi bene, stiamoci bene. ma, ti prego, sgombra i dubbi, coi fatti, sgombriamo i dubbi sul rischio che, insomma, te la tiri un po’ (ve la tirate, ce la tiriamo un po’ troppo, un po’ tutti).
fabio, non mi sembra di “tiralmela..”
rispondevo, semplicemente, a tono a quel simpaticone di commodere (peraltro dopo una prolungata sollecitazione da parte di quest’ultimo). non vedo dove ci sia arroganza o mancanza di pazienza nelle mie parole.
visto che si vuole giocare ad offendere senza alcun motivo, mettiamo le cose in chiaro, vediamo quanto valgono questi “santoni”, giochiamo pure con le loro armi di intolleranza camuffata da superiorità intellettuale (sempre senza esagerare ovviamente…)
Sono un laureando (di questi tempi quanto di più lontano dall’idea di intellettuale) e non vorrei banalizzare questo vostro dibattito. Il problema, indipendentemente dal luogo (fisico) in cui ci si trova, mi sembra quello di non voler scendere dalle proprie torri d’avorio. Serve quella che Fabio chiama umiltà (parola astratta adatta solo per noi e non per gli altri, molte volte), ma anche condivisione. Il dibattito in alcuni punti mi sembra eccessivamente intriso di deviazioni ideologiche, perdendo di mira quello che è l’obiettivo principale: la letteratura. E qui intendo: fare letteratura con la L maiuscola. Il fatto che, fino a questo momento, nel leccese (nella provincia in generale) il dibattito fra scrittori emergenti, intellettuali, accademici sia rimasto intrappolato in viscide sabbie mobili, non deve essere la scusa per non tentare di migliorare la situazione. Altrimenti se ognuno si fa portavoce di una propria verità assoluta, l’emergere dal provincialismo sarà praticamente impossibile. Quello che forse più serve è una maggiore capacità di ascolto degli altri, di quello che ci circonda, che molte volte ci passa sotto il naso senza nemmeno accorgercene. Bisogna creativamente sudare per la letteratura. Tutti (me per primo, se un giorno avrò accumulato le necessarie competenze per confrontarmi con voi). Basta con gli elementari io son meglio di te, tu meglio di me, tu te la tiri (lungi da me fare ogni tipo di riferimento, qui davvero casuale. Parlo in generale). Occorrono proposte, soluzioni e lavorarci su con passione, impegno e un pizzico di ironica autocritica. Che fa sempre bene. Buon lavoro.
dove sono queste torri d’avorio ? chi dice di essere nessuno qui ?
perché chiunque ha un minimo di capacità e di sfacciatezza per proporsi in un contesto più ampio e meno locale come può essere NI viene definito sempre e comunque provinciale? qualcuno dei commentatori ha criticato i testi della rivista forse? mi sembra di no ( più che altro è stato offeso qualche scrittore )- forse è solo perché si qualifica come leccese questa fan-zine che risulta noiosa e perdente in partenza ? se uno si difende dagli attacchi o dalle offese è provinciale ? se scrive come stanno le cose, ovvero racconta i “fatti “, per conoscenza diretta, per quelli sarà comunque provinciale a ragion veduta ? ma chi sono questi signori che commentano, possiamo saperlo? a cosa è dovuta questa perenne diffidenza ? sono provinciale quanto scrivo dell’arretratezza e degli ammanicamenti del salento ?
questo non ha a che fare con IL CONFRONTO TANTO OSSANNATO
provinciale è chi si vanta senza motivo della propria terra, del proprio lavoro, della propria combriccola. mi sembra di aver fatto il contrario…
ho criticato anche i miei collaboratori per la caciara inutile, personale, fuori contesto. se riuscirò a capire dove ho sbagliato criticherò anche me stesso.
ti rispondo così xel proprio perché tu, come fabio, come roberto, come altri “coscienti” – siete veramente interessati “al confronto”, o almeno credo.
dov’è la mia torre d’avorio ? perché mi manca / ci manca l’umiltà ?
chi ci deve raccomandare per farci acquistare “dignità” agli occhi di chi ci offende (e che non ci ha nemmeno letto) ?
@petrelli
right, man.
La parola magica è “Condivisione”.
Come si diceva a Lecce un paio di giorni fa.
ciao roberto!
sono quello del seminario su tondelli
non è che vuoi le foto che ti ho fatto?
casomai t lascio la mia mail
danielegreco2004@libero.it
Ciao Daniele,
ti scrivo! Visto che caciara? Ma te l’hai letta la rivista in oggetto?
Io sto leggendo la rivista. Però Zizzi non mi piace. E poi, scusate: ma che sarebbe ‘sta mafia dell’editoria? Perché noi meridionali dobbiamo sempre atterrare sul vittimismo? Attenzione ai luoghi comuni.
mi sa tanto che voi non sapete leggere. non c’è alcun vittimismo nel mio pezzo. se non si era ancora capito, per dirla “umilmente”, io sono uno di quelli fortunati, uno di quelli che “riesce a dire” e “che può dire”.
nell’editoriale c’è una presa di posizione contro un certo modo di fare critica ed opinione letteraria dal sud da parte del suddetto m.zizzi ( che, ripeto, è un ottimo poeta).
noi le vittime le produciamo per coerenza ed onestà, e tenacia, e noiosa ostinazione( è questa forse la torre d’avorio?).
leggete la rivista.
No, Angelo, io mi riferivo a quando tu hai scritto: “La letteratura è mezzo d’espressione che da queste parti (ma diffusamente in Italia) è in mano alla mafia dell’editoria”. Ecco, non sono d’accordo, mi sembra un luogo comune. L’editoria italiana è aperta ed eterogenea nelle sue proposte. La restaurazione è in atto nella società ma l’editoria mi sembra ancora un’isola felice, perché se qualche sua spiaggia indubbiamente è in mano alla mafia, la stragrande maggioranza del litorale è libero.
è libera per noi che scegliamo cosa leggere, ma non per il grande pubblico, quello che fa cassa, che scegli con leggerezza facendo mercato e scoraggiando l’investimento sulla vera letteratura. probabilmente sono stato leggero con quel “mafia”, perché lascia il dubbio: mi riferivo sia alla mafia dell’editoria a pagamento, sia mafia dell’editoria commerciale con tutti gli strumenti annessi ad essa, le metodiche sponsorizzazioni dei paginoni sulle grosse testate, o la copertina dei magazine patinati da 300.000 mila copie alla settimana, la falsa “critica” che ci propinano per pubblicizzare sempre la solita paraletteratura.
nel caso del meridione il problema principale è quello dell’editoria a pagamento (entrambe le due mafie, nel contempo, sono invece un problema nazionale, diffuso ovunque).
refuso: che scegliE con leggerezza
ciao roberto
no non l’ho letta la rivista.
buon lavoro!
ps.per le foto, se vuoi, sai dove trovarmi
ciao
Uffa! Sempre un polverone enorme si alza… La rivista io la sto ancora leggendo e comunque è molto interessante, a parte il mio saggio che già conosco. :)
Ciao ciao a tutti!
Fabrizio
ma cosa vuol dire:
“mafia dell’editoria commerciale con tutti gli strumenti annessi ad essa, le metodiche sponsorizzazioni dei paginoni sulle grosse testate, o la copertina dei magazine patinati da 300.000 mila copie alla settimana, la falsa “critica” che ci propinano per pubblicizzare sempre la solita paraletteratura”
questo sì che è terribilmente provinciale.
L’editoria commerciale è la cosa meno “mafiosa” che ci sia, tutto è chiaro, commerciale, appunto, qualsiasi scrittore che l’editore ritenga nuovo, buono e vendibile (a suo giudizio, cioè a giudizio del pubblico che quell’editore sa o pensa di avere) viene pubblicato.
Mafia sarebbe se l’editore rifiutasse un autore che ritiene buono, nuovo e vendibile a suo giudizio perché qualcuno, qualche lobby occulta, oscuramente glielo vietasse.
Parole così superficiali intorbidano solo le acque e impediscono di fare analisi serie.
Mi sto scoraggiando.
@petrelli
ho visto che commenti sotto il post su D’Arrigo, ti faccio notare una contraddizione nel discorso sull’editoria commerciale mafiosa: D’Arrigo è stato pubblicato la prima e anche questa volta proprio dall’editoria commerciale.
E non perché io la voglia difendere in quanto commerciale o grande, ma proprio perché queste definizioni sono così poco corrispondenti alla complessa realtà dell’editoria e della gente che ci lavora.
Ho visto solo adesso il commento di La Rocca, sono d’accordo con lui.
@Angelo. A me sembra il contrario. Gli editori investono tanto sulla letteratura. Il discorso sui lettori è un altro e più complesso, la ricezione dei testi proposti dagli editori è proprio un altro discorso. Ma non si può dire che gli editori non puntino su testi di qualità: vedi cosa sta facendo Mondadori per Saviano. Poi, l’editoria deve dare spazio anche a voci meno complesse e più commerciali. Se non fosse così si trasformerebbe in una setta religiosa. La letteratura è una cosa molto seria, ma non una religione.
è normale che si scoraggino gli addetti ai lavori, quelli che ci sono veramente dentro!!! e poi qual è il problema temperanza; puoi sempre cambiare canale se non reputi il programma adatto a te, se lo reputi superficiale – se un libro si deve vendere e si vende significa ( nel 90 % dei casi) che è una porcheria, un’offesa per il lettore. questo sistema è mafioso perché spaccia per CRITICA le reclame del libro che la gente deve comprare, sceglie costantemente la via più facile per mettersi quattro soldi intasca e non fa cultura.
hai centrato perfettamente il problema, la questione è “vendere” è questo toglie spazio a chi fa letteratura, chi fa ricerca, chi studia; e questo non è un “crimine”?
non capisco come sia possibile che una così brillante addetta ai lavori come te perda tempo a rispondere a un mio insulso commento; e poi su cosa ti batti, sulla parola “mafia” che è usata come sinonimo “di degrado” di “meschinità di intenti” – è possibile che non sia comprensibile il senso l’espressione? chissà quanti ne avrai incontrati come me durante la tua carriera, perché rispondi alle mie “illazioni”, perché perdi tempo con me?
non è una battaglia contro il liberismo cara, e contro la mancanza di dignità.
e comunque mi avete proprio rotto. sono queste conclusioni “per bene” che mi fanno venire il voltastomaco, quelle dei maestrini anonimi.
stando al “calduccio” è difficile scoraggiarsi…
@nicolò
saviano rientra in quel 10%, come altri autori mondadori, come altri einaudi, come altri rizzoli, bompiani ecc, come tanti altri (anche)delle case editrici locali in tutt’italia.
non è quello il problema.
cmq il primo dei due post era per temperanza.
@temperanza
@la rocca
@fabio
Riprendo un discorso fatto altrove. La spina dorsale dell’economia italiana sarà pure la piccola imprenditoria: la dimensione microscopica delle casi editrici su scala provinciale, familiare e amicale. Ma questo è un rischio, prima di essere un’opportunità.
Il rischio di essere messi all’angolo dalle grandi concentrazioni editoriali angloamericane, oppure francesi, e di restare a leccarci le ferite, fieri della nostra millenaria tradizione culturale (in declino, secondo un vecchio guru come Romano Luperini). Insomma, tagliati fuori dall’economia reale.
@petrelli
“leggete la rivista”
Come abbiamo già detto a Nove, il bello è che si può parlare di Roberta senza averla mai letta. In questo caso lo spunto era la vostra rvista, ma poi l’ipertesto si è sviluppato per conto suo. Com’è giusto che sia.
Voglio dire, forse non ti conviene insistere troppo.
@petrelli
mi spiace che tu l’abbia preso come un attacco personale, non voleva esserlo.
Cerco di articolare meglio.
Intanto io non sono un’addetta ai lavori, o se lo sono lo sono esattamente come lo sei tu, non lavoro in una grande casa editrice (e neanche piccola) e non pubblico libri con Mondadori, e non ho nessuna “carriera”, ma osservo e ascolto, e al “calduccio” (penso che tu pensi a un posto o a una posizione di privilegio) non sono davvero.
E, per me forse la cosa più importante, do un gran valore alle parole.
Quindi per me “mafia” vuol dir mafia, anche se in senso lato, e lo posso usare magari come “mafia accademica” dove, lì sì, uno non passa se non ha una cordata e un professore potente. Pensa a quanti bravi giovani critici resteranno per sempre fuori dall’università per questa ragione. Lo stesso non si può dire degli scrittori. Certo, devono avere un certo tipo di qualità, ma non quelle, almeno, della fedeltà e dell’ubbidienza. Solo di un certo tipo di talento.
Questo lo trovo già un gran vantaggio.
Ma tu intendevi “degrado” e “meschinità di intenti”.
Sono due cose diverse.
Il degrado della nostra cultura non parte dall’editoria, nasce ben prima, nasce nel paese e nella scuola, l’editoria lo porta magari in evidenza.
La “meschinità d’intenti” invece non la vedo. Chi finisce per lavorare in editoria muove sempre da un certo amore, interesse, piacere della cultura e della letteratura. Se volesse solo muovere denaro magari cercherebbe di lavorare in una finanziaria, o in una azienda che fa denaro, o all’Enel, che ne so.
Dici molte cose, e molte con rabbia, posso anche capirla, ma quello che intendo dire è che per trovare buone soluzioni bisogna fare prima buone e precise analisi.
Quanto alla “critica” dei giornali io non la leggo da anni, non perché sia pubblicità, anche qui in parte lo è e in parte è una faccenda più complessa, ma perché mi pare evidente che le recensioni sono un sottoprodotto della critica.
Se però non le considerto critica, faccio molta fatica a scaldarmi per D’Orrico, che credo di aver letto una volta sola in tutta la sua carriera di recensore e nella mia carriera di lettrice.
Non so, il fatto che io usi un nick e che non mi accanisca contro Mondadori evidentemente fa credere a qualcuno che io sia Gian Arturo Ferrari sotto mentite spoglie.
Non è così. Non sono un direttore editoriale, non sono uno scrittore famoso, non sono neppure un banale redattore. Sono però un’intellettuale ( minore, anzi, minorissima) e lo sono da un bel po’ di anni, questo sì, libera e allo sbando, senza posto o posti, una precaria totale, e vengo qui a vedere cosa pensa una generazione diversa dalla mia e a mostrare quello che penso io.
Ragiona con me, non mi pare tanto difficile.
su questo hai ragione roberto; anche perché ho buttato diverse ore della mia esistenza a rispondere inutilmente a tutti con scarsissimi risultati.
volevo solo che gli autori presenti nella rivista fossero letti, e non criticati a prescindere come è stato ( da alcuni) o totalmente ignorati.
in tutta sincerità, se potessi tornare indietro di una cinquantina di post, di un paio di giorni, lascerei perdere. – lo studio, la lettura, lo scrivere , l’amore – sono una speranza della quale non vale la pena perdersi per nemmeno un attimo l’illusione.
IN CONCLUSIONE:
in bocca al lupo a tutti.
e alla prossima, se mai.
OVVIAMENTE:
in bocca al lupo anche te temperanza
(per completezza io so chi sei, e anche chi non sei)!!!
leggi la rivista e scrivimi una mail se hai tempo.
tutto sommato siamo dei bravi ragazzi.
E allora, SE lo sai, vedi che accreditarmi di “carriere” o di posti al “calduccio” non ha senso.
Comunque la leggerò, sì, la rivista.
E in bocca al lupo anche a te
@roberto
“Riprendo un discorso fatto altrove. La spina dorsale dell’economia italiana sarà pure la piccola imprenditoria: la dimensione microscopica delle casi editrici su scala provinciale, familiare e amicale. Ma questo è un rischio, prima di essere un’opportunità.
Il rischio di essere messi all’angolo dalle grandi concentrazioni editoriali angloamericane, oppure francesi, e di restare a leccarci le ferite, fieri della nostra millenaria tradizione culturale (in declino, secondo un vecchio guru come Romano Luperini). Insomma, tagliati fuori dall’economia reale.”
Ecco, sottoscrivo, con una precisazione, però.
Questo come discorso aziendale magari va bene, ma non può coprire tutto.
Non può e non riesce a coprire un altro campo, le grandi case editrici non vanno demonizzate, ma difficilmente hanno la struttura e gli spazi per far nascere il talento, io le vedo piuttosto come grandi reti che a volte sono capaci di prendere i pesci, ma che tra le rocce, dove vanno a depositarsi le uova, non arrivano e se arrivano si strappano.
Quindi le iniziative sparse sul territorio sono ancora quel brodo di cultura dove nascono molti talenti o aggregazioni di talenti anche minori, che sono non solo il lievito, ma anche la riserva critica del sistema.
Senza riserva critica non si cresce, non si va avanti.
Vorrei solo che la riserva critica, se c’è e quando c’è, pensasse bene.
ho fatto il commento numero 100
ho vinto qualche cosa???
@petrelli
io clicco su L’alterego 06 pdf e non sai scarica niente, così stupida non posso essere, quindi o è Netscape o è il mio mac.
il mio indirizzo è temperanza@katamail.com
se riesci a mandarmela per mail ti sono grata
@temp
“Quindi le iniziative sparse sul territorio sono ancora quel brodo di cultura dove nascono molti talenti o aggregazioni di talenti anche minori, che sono non solo il lievito, ma anche la riserva critica del sistema”.
ma il nodo del problema è tutto lì: il passaggio e i movimenti della filiera, dalla “riserva critica” di talenti sparsi sul territorio (che ‘dialogano’ almeno inizialmente con le piccole realtà editoriali locali, in concreto) ‘verso’ il sistema (la grande vetrina dell’editoria su scala nazionale, con tutti i suoi meccanismi flessibili, complessi, non univoci, come giustamente dici tu). e così, verso la (eventuale) ‘critica’ al sistema.
i piccoli editori, schiacciati dalla grande distribuzione, sono ovviamente aziende (sebbene piccole) anch’esse. per ‘rendere’ economicamente finiscono il più delle volte (il più delle volte, tendenzialmente) per rincorrere e riprodurre gli stessi meccanismi del grande (o medio) editore nazionale. in piccolo, in vitro: deformando quegli stessi meccanismi, forse rendendoli più ‘violenti’, insostenibili. perchè, come dire, ‘tradiscono’ la genuinità (supposta, ma reale) della piccola riserva di talenti nel locale, che si troveranno di fronte, e con enorme disincanto, appunto le stesse risposte e le stesse dinamiche, in piccolo, del grande o medio editore: tanti euri per la stampa (per una rivista o per un libro, in concreto), promozione e valutazione solo tendenzialmente ‘economicistica’ del ‘prodotto-libro’, ‘mafie’ o ‘meschinità’, come è più corretto dire, eccetera.
non voglio riferirmi ad un’altra vecchia questione: la necessità per i piccoli editori (come per le piccole librerie), della estrema specializzazione della qualità dei loro prodotti, al fine di ‘reggere’ sul mercato (è una necessità data fatalisticamente per inaggirabile)…
perchè poi, in realtà, piccoli editori che ‘scommettono’ e seguono nuovi talenti ce ne sono, come in passato, come ce ne saranno. e lo fanno, cercano di farlo in alternativa agli schemi del medio-grande editore (e di altri piccoli editori). questi bei tipi, davvero, possono anche sorprendere in positivo, spezzando un po’ la dura lega del disincanto. sono per esempio giovani o vecchi editori, imprenditori, che coniugano ‘lavoro editoriale’ (commercio, logiche aziendali) con la cultura. come dici tu, conservano la passione autentica per il libro, e sono diversisficati tra centro e periferie, metropoli e provincia, senza la corsa alla settorializzazione estrema dei loro cataloghi, ecc.
il giovane talento (vedi, chessò, il migliore nella narrativa-narrativa degli ultimi anni, per la poesia è tutto un altro discorso…: nicola lagioia, per esempio), passa e si muove dal piccolo editore che lo ha ‘scovato’ e promosso alla ribalta nazionale, al ‘centro del sistema’, diciamo così. lui, e altri fuori, ad attendere il turno o a lavorare e perfezionarsi con pazienza.
questo, mi pare evidente, e concretamente, è il percorso obbligato del talento che dalla periferia approda al centro, al ‘cuore’ del sistema (editoriale).
poi c’è tutta la riserva critica ancora sparsa sul territorio, vitale e resistente, che già dal rapporto diretto con la piccola editoria (perchè questo è, in concreto), sperimenta la sua condizione di perifericità, di marginalità. ma mette in atto, quando ci riesce, in comunità (condividendo un progetto), gli anticorpi e gli strumenti per fare bene. ma questo, mi pare, e dovresti essere d’accordo, non basta. non basta, è sotto gli occhi di tutti, è una tragica ovvietà, per ‘cambiarlo’, il sistema. per avere la forza di criticarlo, o almeno di ‘corroderlo’ criticamente. tanto che poi, come s’è visto, il ‘fronte’ delle riserve critiche, nel locale, è facile a incrinarsi, ad essere incompreso, eccetera (come prova il dibattito di cui sopra)…
e non basta dire, come il guru di turno (luperini), e spero tu non sia d’accordo con questa spietata diagnosi ‘mozzafiato’ : “finchè non ci sarà in italia fervore di vita civile e culturale, non ci saranno prospettive critiche nuove”. per la vita civile, possiamo ragionare, mi pare. ma sul fervore della vita culturale, no (nemmeno esaltandolo troppo, in ogni caso….).
ecco, il punto. ciò che stenta ancora a darsi una fisionomia precisa, organica, efficace, è l’ORGANIZZAZIONE, l’autonomia e gli scambi, i ‘movimenti liberi’ di questo fervore, di quella che tu chiami ‘riserva critica del sistema’ (io però, a proposito di parole, cambierei ‘riserva’ con potenziale: con ‘riserva’ sembra che il sistema, o il potere, se ne nutre, di questo potenziale critico, neutralizzandolo o in qualche modo strumentalizzandolo per riprodursi)…
perchè, infine, il guru di turno, nel suo ultimo, apocalittico, snobistico(ancorchè ‘generoso’) pamphlet, così ancora può tuonare: “… scompariva anche la figura dello scrittore critico e intellettuale (Pasolini, Fortini, ecc….). restavano solo il narcisismo, l’autopromozione, la guerra per bande di piccoli clan formatisi per ragioni generazionali o per la difesa di interessi immediati.”
tutte le vacche grigie. nè riserva, nè lievito, nè potenziale.
ne hai viste tante, mi pare di aver capito. ecco, di nuovo ti sollecito sulla questione della ‘rassegnazione’: rassegnarsi alla riserva (indiana), alla marginalità, puntando solo, quando riesce, quando è di qualità, al dialogo per pochi, allo scambio confinato ai limiti del sistema?. puntando magari solo sul tempo, l’utopia, sul potenziale critico ‘dato in sorte ad ogni generazione’, pronto ad accendersi, nel futuro a venire?
invece la partita dovrebbe essere aperta. tu che ne dici? per me, ma dal concreto vedo che mi sto pericolosamente spostando sull’astratto…., tutto si gioca sui concetti, ripeto, di comunità e di condivisione. di confederazione (delle ‘riserve’). previa chiarezza su quali obiettivi e quali strumenti (plurali, ma chiari) per la ‘battaglia’ culturale, per il lavoro critico che si ha in mente…
un qualche ‘federalismo’, perchè no…..
@temp
“Quindi le iniziative sparse sul territorio sono ancora quel brodo di cultura dove nascono molti talenti o aggregazioni di talenti anche minori, che sono non solo il lievito, ma anche la riserva critica del sistema”.
ma il nodo del problema è tutto lì: il passaggio e i movimenti della filiera, dalla “riserva critica” di talenti sparsi sul territorio (che ‘dialogano’ almeno inizialmente con le piccole realtà editoriali locali, in concreto) ‘verso’ il sistema (la grande vetrina dell’editoria su scala nazionale, con tutti i suoi meccanismi flessibili, complessi, non univoci, come giustamente dici tu). e così, verso la (eventuale) ‘critica’ al sistema.
i piccoli editori, schiacciati dalla grande distribuzione, sono ovviamente aziende (sebbene piccole) anch’esse. per ‘rendere’ economicamente finiscono il più delle volte (il più delle volte, tendenzialmente) per rincorrere e riprodurre gli stessi meccanismi del grande (o medio) editore nazionale. in piccolo, in vitro: deformando quegli stessi meccanismi, forse rendendoli più ‘violenti’, insostenibili. perchè, come dire, ‘tradiscono’ la genuinità (supposta, ma reale) della piccola riserva di talenti nel locale, che si troveranno di fronte, e con enorme disincanto, appunto le stesse risposte e le stesse dinamiche, in piccolo, del grande o medio editore: tanti euri per la stampa (per una rivista o per un libro, in concreto), promozione e valutazione solo tendenzialmente ‘economicistica’ del ‘prodotto-libro’, ‘mafie’ o ‘meschinità’, come è più corretto dire, eccetera.
non voglio riferirmi ad un’altra vecchia questione: la necessità per i piccoli editori (come per le piccole librerie), della estrema specializzazione della qualità dei loro prodotti, al fine di ‘reggere’ sul mercato (è una necessità data fatalisticamente per inaggirabile)…
perchè poi, in realtà, piccoli editori che ‘scommettono’ e seguono nuovi talenti ce ne sono, come in passato, come ce ne saranno. e lo fanno, cercano di farlo in alternativa agli schemi del medio-grande editore (e di altri piccoli editori). questi bei tipi, davvero, possono anche sorprendere in positivo, spezzando un po’ la dura lega del disincanto. sono per esempio giovani o vecchi editori, imprenditori, che coniugano ‘lavoro editoriale’ (commercio, logiche aziendali) con la cultura. come dici tu, conservano la passione autentica per il libro, e sono diversisficati tra centro e periferie, metropoli e provincia, senza la corsa alla settorializzazione estrema dei loro cataloghi, ecc.
il giovane talento (vedi, chessò, il migliore nella narrativa-narrativa degli ultimi anni, per la poesia è tutto un altro discorso…: nicola lagioia, per esempio), passa e si muove dal piccolo editore che lo ha ‘scovato’ e promosso alla ribalta nazionale, al ‘centro del sistema’, diciamo così. lui, e altri fuori, ad attendere il turno o a lavorare e perfezionarsi con pazienza.
questo, mi pare evidente, e concretamente, è il percorso obbligato del talento che dalla periferia approda al centro, al ‘cuore’ del sistema (editoriale).
poi c’è tutta la riserva critica ancora sparsa sul territorio, vitale e resistente, che già dal rapporto diretto con la piccola editoria (perchè questo è, in concreto), sperimenta la sua condizione di perifericità, di marginalità. ma mette in atto, quando ci riesce, in comunità (condividendo un progetto), gli anticorpi e gli strumenti per fare bene. ma questo, mi pare, e dovresti essere d’accordo, non basta. non basta, è sotto gli occhi di tutti, è una tragica ovvietà, per ‘cambiarlo’, il sistema. per avere la forza di criticarlo, o almeno di ‘corroderlo’ criticamente. tanto che poi, come s’è visto, il ‘fronte’ delle riserve critiche, nel locale, è facile a incrinarsi, ad essere incompreso, eccetera (come prova il dibattito di cui sopra)…
e non basta dire, come il guru di turno (luperini), e spero tu non sia d’accordo con questa spietata diagnosi ‘mozzafiato’ : “finchè non ci sarà in italia fervore di vita civile e culturale, non ci saranno prospettive critiche nuove”. per la vita civile, possiamo ragionare, mi pare. ma sul fervore della vita culturale, no (nemmeno esaltandolo troppo, in ogni caso….).
ecco, il punto. ciò che stenta ancora a darsi una fisionomia precisa, organica, efficace, è l’ORGANIZZAZIONE, l’autonomia e gli scambi, i ‘movimenti liberi’ di questo fervore, di quella che tu chiami ‘riserva critica del sistema’ (io però, a proposito di parole, cambierei ‘riserva’ con potenziale: con ‘riserva’ sembra che il sistema, o il potere, se ne nutre, di questo potenziale critico, neutralizzandolo o in qualche modo strumentalizzandolo per riprodursi)…
perchè, infine, il guru di turno, nel suo ultimo, apocalittico, snobistico(ancorchè ‘generoso’) pamphlet, così ancora può tuonare: “… scompariva anche la figura dello scrittore critico e intellettuale (Pasolini, Fortini, ecc….). restavano solo il narcisismo, l’autopromozione, la guerra per bande di piccoli clan formatisi per ragioni generazionali o per la difesa di interessi immediati.”
tutte le vacche grigie. nè riserva, nè lievito, nè potenziale.
ne hai viste tante, mi pare di aver capito. ecco, di nuovo ti sollecito sulla questione della ‘rassegnazione’: rassegnarsi alla riserva (indiana), alla marginalità, puntando solo, quando riesce, quando è di qualità, al dialogo per pochi, allo scambio confinato ai limiti del sistema?. puntando magari solo sul tempo, l’utopia, sul potenziale critico ‘dato in sorte ad ogni generazione’, pronto ad accendersi, nel futuro a venire?
invece la partita dovrebbe essere aperta. tu che ne dici? per me, ma dal concreto vedo che mi sto pericolosamente spostando sull’astratto…., tutto si gioca sui concetti, ripeto, di comunità e di condivisione. di confederazione (delle ‘riserve’). previa chiarezza su quali obiettivi e quali strumenti (plurali, ma chiari) per la ‘battaglia’ culturale, per il lavoro critico che si ha in mente…
un qualche ‘federalismo’, perchè no…..
pardon, il computer oggi è lo stesso per me (fabio) e per roberto. dunque, il post è da intendersi ‘firmato’ fabio…
caro fabio, ci ritornerò su, su tutto questo, però una cosa molto rapida vorrei dirla subito. Il problema è anche il lavoro. Il lavoro paga in qualche modo sempre, la qualità del lavoro, la serietà del lavoro, in qualsiasi punto della filiera ci si trovi.
Io vedo anche ansie nei commenti, non solo qui, disagi, paure di restare sempre ai margini, sentimenti di incertezza, ambizioni, frustrazioni.
Ma l’unica cosa che ha sempre offerto una soluzione, dato una risposta, è la serietà del lavoro di ognuno.
Certo, se uno vuol essere Coppola e invece è un regista di film pubblicitari un po’ frustrazione la proverà, ma se non sta a perder tempo a chiedersi chi è o chi vorrebbe essere e semplicemente lavora al meglio delle proprie forze, un risultato alla fine a casa lo porta, per sé e per gli altri.
Prima del concreto e dell’astratto c’è questo, e c’è in qualche modo anche prima del talento, nel senso che uno può anche averlo, il talento, ma se non ci lavora su resta semplicemente per l’appunto, uno con un po’ di talento, e un po’ di talento ce l’hanno tutti, o almeno io ne ho conosciuti tanti. Erano giovani di belle speranze e adesso sono vecchi di speranze inacidite, categoria tristissima.
Ma questo non toglie che i problemi che dici ci siano, adesso devo scappare, ma ti risponderò.
Purtroppo torno nella discussione dopo aver “combattuto” un bel po’ con il mio computer bizzoso. Mi dispiace essere stato frainteso. Sarà che non so bene usare le parole, ma quando parlavo di torri d’avorio non mi riferivo a te, Angelo. La tua rivista l’ho letta parzialmente (i commenti li farò sul tuo sito) e non mi permetto di giudicarla o peggio di pregiudicarla senza conoscerla appieno. Il mio era un tentativo, forse banale, di invogliare alla discussione tra le varie realtà locali per non lasciare svanire un fermento che c’è. Il concetto di torre d’avorio era rivolto a istituzioni, enti vari, ma anche privati cittadini (intendiamoci me per primo) che non fanno abbastanza per contribuire a sviluppare questo movimento. Niente di più. Tra l’altro avevo specificato che non c’erano riferimenti personali, ma solo la visione, personalissima, della realtà. Dal momento che vedo confluire in questo “consesso virtuale” (scusate il parolone) varie personalità che mi sembra di capire siano impegnate fortemente in materia, il mio era un semplice suggerimento a non lasciar cadere nel vuoto quelle poche possibilità di far emergere una cultura forte. Attraverso il dialogo, la condivisione. Dal momento che il mio pc torna a tormentarmi, vi saluto e vi auguro buon lavoro.
@fabio
Anche qui non ci sei andato giù leggero con le parentesi. Posso farti una critica?
(Ammettiamo che tu mi abbia risposto di sì) cerca di scrivere più semplice, il tuo modo di pensare sembra una matrioska.
Anyway
Cerco di riassumere il succo del tuo intervento, tu chiedi come si fa a non restare alla periferia della filiera visto che questa famosa filiera ti sembra non soltanto lineare, come dovrebbe, ma a tela di ragno, e cioè soffocante, o almeno a rischio di invcalicabilità.
Per il singolo la risposta te l’ho già data sopra. Con il lavoro. Non puoi pensare che le case editrici maggiori, quelle capaci (solo per certi autori, però, e in certe collane) di “mostrare” gli autori, non abbiano sensori sul territorio capaci di individuare i talenti, ma senza lavoro, anzi, senza duro lavoro e applicazione, non sei in grado di mandare segnali ai sensori.
Vorrei chiarire che quando parlo di riserva critica non parlo di critica “debole” , ma di critica più agguerrita e puntuta e dotata di strumenti intellettuali e culturali, di quella che viene a galla nelle grandi case editrici.
Quindi non di immaturi sfoghi della mente e dell’anima, ma di lavori che pur non muovendosi in larghezza si muovano in profondità, che lavorino come il lievito. Senza star tanto a preoccuparsi di come e quando verranno neutralizzati. E’ stato neutralizzato secondo te Marx? E’ stato studiato, perché ne valeva la pena.
Io non so cosa voglia dire rassegnazione, io sono una che lavora, non sono mai stata lì a chiedermi, ma mi vedranno? mi ascolteranno? o dovrò colloquiare con pochi? Ho sempre cercato di colloquiare con i “buoni” se poi siano pochi non è affar mio, ma se non colloquiavo passavo il tempo a lavorare.
Questa attenzione a quello che succede oltre il bordo del tavolo su cui stai lavorando ti ( ti generico) toglie energie per fare il tuo lavoro.
Capisco che queste preoccupazioni ci fossero negli anni ’50, dove per farsi ascoltare bisognava prendere un treno, forse, ma adesso…
Ma comunque, per non rinunciare a quel tanto di coté vecchia zia che ormai sto prendendo, una mia amica che fa l’agente, dunque che rappresenta la parte più commerciale della famosa filiera, si lagnava del fatto che le arrivano testi sempre peggio fatti, perché nessuno dice più al giovane scrittore, o studioso o quel che l’è, rifallo che così fa schifo.
Per cui quel super io critico che per uno scrittore d’antan era magari Calvino, adesso il giovane scrittore, deve crearselo dentro e invece di chiedersi se resterà sempre marginale, lavorare e basta.
E vedrai che tutto il discorso che fai sopra rientrerà in se stesso come in un film girato al contrario. Prima di fare la battaglia culturale, bisogna avere le attrezzature e le armi culturali e non le scarpe di cartone come noi nella Grande guerra.
Dixit ;–)
@temp
“Prima di fare la battaglia culturale, bisogna avere le attrezzature e le armi culturali e non le scarpe di cartone come noi nella Grande guerra”.
Infatti questo orientamento di metodo io lo davo un po’ per scontato e per propedeutico, nella ridondanza del mio scrivere…
per inciso (!!): se ‘la forma è il contenuto’, è vero, il mio ‘stile’ confuso e spilariforme, per usare un eufemismo, è frutto consanguineo della confusione o della costruzione in fieri del mio pensiero (e me lo si rimprovera anche nel mio ‘lavoro’ di scrittura…). ma è anche frutto del contesto nel quale scrivo (NI, un blog), e dell’interlocutore cui mi rivolgo (meglio: delle sollecitazioni forti e ‘ribollenti’ che partono, ora, dai tuoi discorsi, che mi fanno buttare sul tavolo i pensieri: spinto e ‘rivitalizzato’, menomale!, dalla ‘vitalità’ del mio interlocutore…). insomma, è colpa tua (emoticon)….
allora, con uno sforzo di sintesi e di chiarezza.
io non lamentavo (tanto meno per me, per la mia condizione attuale), la vischiosità del passaggio e dei movimenti tra la ‘periferia’ o la provincia (il piccolo editore) e il centro del ‘sistema’ (il grande editore).
su questo, va benissimo il discorso sul lavoro (e sulla ‘pazienza’, corollario dispendioso ma necessario, indispensabile).
parlavo, più in generale, forse troppo in generale, delle prospettive di una battaglia culturale che tenti di fare un ‘lavoro critico’ comune, comunitario, ‘collettivo’, quanto più possibile ‘egemonico’ (se mi passi la parola desueta…) .
un lavoro che almeno ‘corroda’, demistifichi, metta in discussione efficamente il ‘sistema’ (anche quello editoriale, ma non solo…).
s’intende, anche in poesia in teatro al cinema nel romanzo (una ‘stagione’ culturale, oltre che una ‘battaglia’…). ma parlavamo più precisamente del lavoro critico che fa, o che dovrebbe fare, una rivista, un quotidiano, un editore (e il gruppo che sta dietro queste realtà)…
altrove ho richiamato un discorso di renato nisticò in merito alle pagine culturali de ‘il manifesto’ (come paradigma, ben inteso…). diceva che sembravano, facendone un bilancio nel loro insieme, in tutti questi anni, una sorta di ‘accademia vicaria’. con gli stessi limiti: eclettismo, specialismo parassitario, frammentazione di idee, battaglie di ‘clan’, promozioni editoriali alquanto indifferenziate, succubi a volte delle stesse logiche del ‘sistema’…. senza un’idea chiara di battaglia culturale alle spalle.
il mio pensiero (la mia confusione) partiva proprio da questa dolorosa constatazione: l’assenza anche solo di un riconoscibile e abbozzato discorso COMUNE, comunitario, che faccia leva, insieme, sulle sparse filiere della provincia (quelle migliori) e su quella che tu chiami la “critica più agguerrita e puntuta e dotata di strumenti intellettuali e culturali, di quella che viene a galla nelle grandi case editrici”. sul dialogo tra le molteplici realtà culturali e critiche che abbiamo in italia….
non mi preoccupavo del tempo, o del lavoro di cui c’è bisogno per ‘arrivare’. a me non importerebbe tanto, in generale, dei risultati raggiunti, dei riconoscimenti isolati, delle personalità e delle voci ‘critiche’ autorevoli, efficaci, individuali o unite in singoli gruppi (che ci sono, e ci mancherebbe altro…). mi preoccupa di quanto a monte ci sia volontà di dialogo, di scambio, anche generazionale, anche umano, tra queste realtà e il resto del ‘sistema’.
era un discorso sull’egemonia (o sull’utopia?)..
ti saluto, spero di essere stato più chiaro, ma non apocalittico…., f.
@fabio
Grazie, sì, sei stato più chiaro, la pazienza alla quale ti ho costretto ha dato frutti:–)
tu dici:
“parlavo, più in generale, forse troppo in generale, delle prospettive di una battaglia culturale che tenti di fare un ‘lavoro critico’ comune, comunitario, ‘collettivo’, quanto più possibile ‘egemonico’ (se mi passi la parola desueta…)”
La grande stagione del lavoro “egemonico”, come tu lo chiami, e se ho inteso bene, è passata. Anche io, da un certo punto di vista ne ho nostalgia, se non altro per quella ricchezza di rapporti umani che portava con sé, ma non la rimpiango per i forti vincoli ai quali costringeva, per gli steccati altissimi, per il fatto che -nella pratica- ognuno voleva essere egemonico sugli altri anche simili. L’egemonia è una gabbia per chiunque non sia in consonanza con quell’egemonia, e questo è grave, ai miei occhi.
“un lavoro che almeno ‘corroda’, demistifichi, metta in discussione efficamente il ’sistema’ (anche quello editoriale, ma non solo…)”
Io non credo più che un tale lavoro possa essere collettivo, o se lo è non può esserlo in modo volontaristico, credo di più nel libero aggregarsi delle menti e delle persone intorno a un’analisi, quella sì, corrosiva, ecc. Se poi questa aggregazione spontanea crea frutti bene, ma io temo molto il comune sentire da un giorno di tanti anni fa in cui mi trovavo in un aula universitaria e a un certo punto è entrato Pasolini, dopo la sua uscita sul Corriere della Sera, che cercava coraggiosamente il confronto. Trecento studenti di cui fino a quel momento io credevo di condividere le istanze di corrosione, demistificazione e messa in discussione del sistema (e con cui in parte effettivamente le condividevo) saltarono su come un sol uomo in una specie di ondata piena di odio per aggredirlo, tanto che fu preso di peso e portato via.
Da allora il comune sentire ideologico mi lascia assai fredda. E’ solo un esempio e un episodio per molti altri.
Dice la Bibbia, grande libro che in questo paese è troppo poco letto (se non altro come miniera letteraria):
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante
e io aggiungerei: un tempo propizio alle riviste e un tempo sfavorevole. Questo nostro è sfavorevole, forse perché si è annacquato ( e ce n’è come ho detto ragione) il concetto di egemonia e dunque di battaglia politico-culturale. Io, come si è visto, sono realista, forse bisogna trovare altre forme. Vedi quello che riporti sul Manifesto, e su cui sono d’accordo, anche se spesso ci trovo stimoli.
Tu dici anche: “mi preoccupa di quanto a monte ci sia volontà di dialogo, di scambio, anche generazionale, anche umano, tra queste realtà e il resto del ’sistema’”
Anch’io sono preoccupata, e mi preoccupa per esempio essere l’unica della mia generazione (a parte un paio) a venire qui a scambiare posizioni e pareri con voi. Ne ho anche parlato. La mia generazione non domina bene lo strumento e soprattutto è convinta che in rete ci sia quasi solo spazzatura, almeno così dice.
Ma io credo che ci sia anche altro, una malavoglia, un’accidia, una stanchezza che mi spaventa.
@temperanza
e difatti proprio nella ‘rete’ io credo si possano riporre delle speranze.
come tutte le cose del mondo, essa è (ancora) imperfetta, presta il fianco all’inquinamento del narcisismo più nevrotico ed egotico, (auto)distruttivo, o a tutte le cose che dici tu: spazzatura, malavoglia, accidia, stanchezza, frustrazione, e oltre. ne è lo specchio.
è anche lo specchio, l’effetto macilento della rottura degli steccati di QUELLA egemonia, di QUELLA pratica con la quale si faceva (o si disfaceva…) cultura. che nessuno, mi pare, dovrebbe rimpiangere, se non per trovare, ripeto, la lezione di quanto la luce era immensa ma anche capace di zone d’ombra micidiali e assassine….
per ‘rete’ intendo non solo l’utopia (da più parti si dice già al tramonto) del ‘blog’: penso piuttosto alla rete fitta ma sfibrata e sfilacciata di intelligenze diseguali, e ‘forti’, della mia generazione, di generazioni trasversali (le riviste, quelle migliori; ma anche le università, che dovrebbero risentire, prima o poi, di un ricambio generazionale…; ma anche gli ‘eslegi’, i ‘vagabondi’; o chi è gia ‘arrivato’…). questo può anche comportare confluenze anche solo temporanee, ma preziose, rapporti e scambi con altri (‘grandi’) di altre generazioni (come te).
e potrebbe (dovrebbe) comportare – ma in un’ipotesi di ‘umanità’ riconquistata, di rivolta al potere che ci schiaccia e al narcisismo (al proprio tornaconto) che incalza -, lo scambio appunto non solo tra generazioni (il dialogo con la ‘tradizione’, col nostro passato), che secondo me è fondamentale; ma anche il dialogo con gli altri (istituzioni, persone, reti…), nel presente.
come per il ‘canone’ letterario, la visione che se ne dovrebbe avere, io credo, è comunque ‘agonica’.
la battaglia di poetica, la battaglia di idee non va spesa per istituire un paradigma, di volta in volta, che schiacci e metta a tacere tutte le altre espressioni (come una storia senza storia, un percorso bloccato, intimamente censorio). d’accordo.
ma va intrapresa a ridosso di (pochi, definiti) valori condivisi, per cui valga la pena di ‘combattere’. questo dei valori condivisi, della discussione sui valori (letterari, politici, culturali, persino antropologici) da ‘rivendicare’ è, secondo me, il banco di prova che dovremmo affrontare, prima o poi. senza troppi eclettismi e incertezze di ‘posizionamento’ (o questioni di potere)…
grazie ancora, f.
Solo per chiarezza:
La malavoglia, l’accidia e la stanchezza NON la vedo nella rete, ma nella mia generazione:– e nel suo ritrarsi.
Ciao e grazie anche a te.
Fabio ha perfettamente ragione, in questo siparietto, cazzo, ci sono ben centoundici commenti al post!!!! Incredibile davvero. Vedo bene che molti sono di Angelo stesso, ma insomma non è che ogni giorno su NI ci siano discussioni così vivaci! Quanto diavolo scrivete salentini???? Quando scrivete? E’ un mondo vario, ragazzi! Sentite Fabio, sentitelo, ha ragione. C’è il Forndo Verri e c’è Musicaos, c’è Vertigine e c’è Alter Ego, c’è Manni e c’è Besa, oh quante belle comparse de poeti e scrittori che ci sono sulla ‘scena’ leccese… Ha ragione Petrelli, d’altronde: dei libri autoprodotti e recensiti sui giornali locali non se ne può più davvero. Vabbè, così, scusate, torno di là. Volevo solo inserirmi per dire che è stupefacente tutto sto dialogare. Davvero. Non credo, dicevo, che in altre parti d’Italia succeda niente del genere. Vabbè, adesso dovrei tirare in ballo Winspeare e quello che una volta mi disse paragonando questo tacco all’Irlanda. Ma è un discorso troppo complesso, a quest’ora della notte.
no scusate, mi son riletto, non è che mi fraintendete, mo’? Edoardo diceva solo “un giorno questa terra diventerà come l’Irlanda, con la sua musica, la sua arte, la sua letteratura fieramente identitarie ma inserite completamente nello scambio, anche commercile, dell’Occidente”, ecco, questo diceva Winspeare. Non so se sta andando così. Spesso le cose sono andate come lui le aveva previste se non progettate. Io stesso, d’altronde, per rispondere a Stefano Manca, a lungo ho osteggiato questa etichetta di ‘autore made in….”, ma insomma io compro un libro di Alan Warner e leggo le storie orgogliosamente ambientate (anche in senso antropologico) in Scozia, insomma viaggio con la fantasia, visito altri posti, ja, tutta la solfa del leggere che sappiamo tutti. Allora il problema è: perché il marketing è stato così potente da imporre alla mia attenzione un autore mediocre come Warner tanto da farmi spendere quasi 50 euro per i suoi libri e invece certe ottime cose che pure si fanno quaggiù non travalicano neppure Bari? Ecco, era questo il sogno di Winspeare: diventare esotici per il mercato globale conservando un forte tratto identitario e contemporaneamente restando aperti a ogni genere di contaminazione col resto dell’ecumene. Lo so. Discorsi vecchi. Ma rispondetemi. Perchè loro c’hanno il marketing che fa vendere dei libri a un abitante di un paese sperduto del sud d’italia e noi no? E’ questo il problema vero, alla fine.
volevo ritirarmi da questo post, dove ho scritto (e sbagliato anche) già tanto;
ma il problema caro livio è che la qualità dell’esotico, nel caso da te ipotizzato ( o da winspear), non rimanderebbe affatto all”Esotico”, ma all’accattivante (nel senso di un qualcosa di assolutamente fruibile), ovvero, per dirla tutta, al commerciale.
se è per questo livio abbiamo l’insopportabile “notte della taranta”.
che poi scusami livio – winspear chiii?!
siamo proprio forti noi salentini.
Be’, io sono fra quelli che adorano la notte della taranta, quindi potremmo discutere all’infinito senza arrivare a niente. Insomma trovo che sia un’intelligentissima operazione partita in sordina e della quale si è man mano scoperta la potenzialità pubblicitaria. Immaginiamo cosa sarebbe il Salento senza quello che tu chiami ‘Winspear’ o senza, appunto, la notte della taranta e tutto il resto.
Gentile Livio,
ti ho citato all’inizio perciò mi fa piacere che sia entrato anche tu in questa interminabile discussione.
Senza le persone che hanno amato profondamente questa terra non saremmo arrivati da nessuna parte, nemmeno ai tanto vituperati fenomeni commerciali come la taranta, che comunque è divenuta occasione di apertura e di scambio sociale e artistico, questo almeno ciò che io ci vedo di buono. L’arte è spesso anche arte dei luoghi. Se uno in un luogo ci si ritrova per nascita o in qualche modo vi è attratto, è spinto quasi naturalmente a coinvolgerlo nel suo lavoro. Il marketing più o meno scaltro che se ne fa può essere sottolineato e discusso, ma colpevolizzare chi lo attua quanto chi lo rifiuta azzera il confronto, e tutti per le proprie strade.
Se ho dato l’impressione di colpevolizzare chi rifiuta questo genere di manifestazioni dello spirito, me ne scuso. Son d’accordo con Andrea, ovviamente. Comunque non si può certo dire che la manifestazione di Melpignano sia ‘un fatto commerciale’, suvvia ragazzi! E Sanremo cos’è allora? L’Inferno? Io trovo che questo fiorire di eventi, se si continuerà a lavorare con l’attenzione dimostrata finora, non può che essere salutato con ottimismo. E poi e poi mi permettete una nota polemica? A volte i detrattori di queste faccende sono gli esclusi (non è ovviamente il caso di Angelo). Tipo: tutti quelli che detestano i Koreja, I Sud Sound Shystem & so on, chi più chi meno ha dei conti in sospeso (conti in debito, si intende) con l’organizzazione degli eventi stessi. Ho visto coi miei occhi tribuni dell’Abbasso La Taranta Abbasso Tutto Lo Show Biz, gente che urlava nei dibattiti, batteva i pugni, be’ io li ho visti coi miei occhi strabuzzare di piacere quando veniva loro offerto un passaggio a Tele Rama o una partecipazione nell’ultima rassegna di paese… suvvia, dai, a volte siamo così emancipati noi salentini, lo dico sul serio, questa grande metropoli diffusa piena di talenti in tutto lo scibile, ma spesso poi si cade nel provincialismo più frusto. Vi sembra una roba ‘provinciale’ il batterista dei Police che suona per i vicoli della Grecìa? O quell’altro simpatico imbroglione de CSI che tiene atelier e conciona nelle piazze? Insomma a me pare un posto ricchissimo di stimolazioni. E provate un po’ a vivere a Terni, non so, a Viterbo, a Crotone, a Vicenza: poi mi dite che stimoli ci sono laggiù… Tutti i miei amici baresi non fanno che ripetermi: non fosse per voi, Bari e la Puglia son finite culturalmente da un pezzo.
Mah, Meneghello è di Thiene, Zanzotto è di Pieve di Soligo, e parlo dei vecchi solo per non offendere nessuno, di Vicenza non so niente, ma questa mappatura geografica degli stimoli è deprimente.
ok, ognuno ha i propri stimoli e se non ce li ha prima o poi spunta qualcuno a provocarli.
Ogni tanto preferisco esprimermi, ahimé, come “consumatore”, meglio”fruitore”, di tali eventi e mi permetto così di dire che i Sud non li gradisco e che accetto la “Notte” solo nell’accezione enfatizzata da Livio, perché poi mi fa riflettere su qualcosa che ha detto anche un assessore provinciale, e cioè che “è possibile che qui si finisce sempre con la taranta?”
@temperanza
@fabio
“lavorare e basta”
“l’‘umanità’ riconquistata”
“Non voglio un pubblico. Sento di scrivere cose che fanno parte di una conversazione. Le conversazioni non hanno pubblico”.
(Searls, 2001)
Faccio un po’ di fatica a seguirvi dall’internet point. Comunque, mi sembra che andrebbe analizzato meglio un punto della discussione sul rapporto tra autori ed editori.
L’agente amica di Temp ha ragione: purtroppo in Italia il confronto gli autori e gli editor è carente. Gli dici “guarda che secondo me questo passaggio andrebbe rivisto, riscritto, tagliato” e quello ti guarda come se fossi un censore, non un compare sul quale contare.
Ma non è solo colpa degli autori, accidenti. L’amica agente dovrebbe chiedersi come mai in Italia gli editor sono ridotti a impiegati delle case editrici, come mai sul sito di Feltrinelli invece di scrivere ‘spedite i vostri racconti’ c’è scritto che è inutile mandare robaccia tanto non la leggeremo (almeno sono sinceri).
L’editor italiano medio è un essere fantozziano. Succube del progetto editoriale di chi lo stipendia, è incapace di mettersi per strada e andare a toccare con mano i cambiamenti. E’ molto più comodo restare seduti dietro una scrivania ad aspettare, a selezionare manoscritti neanche fossimo all’ufficio anagrafe, e paraculare con i colleghi il velleitario di turno, piuttosto che uscire, fare il detective, il cacciatore di penne, il promotore culturale. E’ anche frustrante, no?
Altrove, gli editor sono liberi professionisti. Guardano dall’alto in basso gli editori, perché hanno il polso della situazione letteraria, perché vanno in giro, in cerca di autori che magari hanno esordito per un pubblico di nicchia, ed è arrivato il momento di trasformarli in best-seller di qualità. L’Italia preferisce il sistema-Moggi, credete che sia solo calcio?
E’ un concorso di colpa: editor cani da guardia del padronato editoriale, autori che se gli dici credici! Credici fino in fondo su quello che hai scritto! Se pensi di aver detto davvero qualcosa di interessante, allora investi sulle tue idee, bastano duemila euro, cazzo, è meno dell’anticipo della tua Fiat Punto. Invece quelli ti guardano scandalizzati gridando aiuto, aiuto! L’editoria a pagamento!
Dovremmo rischiare di più, metterci dentro dei soldi, non solo le nostre idee***. E’ un discorso che vale anche per la Nazione. Ma adesso Artemisia dirà che dopo il numero chiuso voglio mettere anche le mani nelle tasche altrui.
@Temp
Che internet sia spazzatura lo pensano in molti, non solo i tuoi coetanei, anche i miei. Per questo Jameson dice che la rivoluzione informatica è una mutazione (antropologica, sociale) “inavvertita”.
*** per adesso garantisco un assegno postdatato
Non ho il tempo di argomentare, devo scappare. Però vorrei affermare due cose: 1. non è vero che gli autori non accettino i consigli dell’editor o dell’agente. 2. non è vero che l’editor non dia la sua impronta alle collane dell’editore. Non è vero. Punto. No so chi dice il contrario su cosa basi le sue convinzioni, concretamente. Vorrei essere più concreto anch’io, ma devo andare a Como, col traffico del rientro da Milano…
…ah, ciao Livio!
roberto ma sii serio. io non ce le ho duemila euro. ti sembra questo il modo di discriminare? l’editoria deve funzionare da filtro, il filtro non può essere se ho oppure non ho le duemila euro. il filtro deve essere un altro. guarda come l’editoria a pagamento ha ridotto la poesia. migliaia di libri improponibili ogni anno senza nemmeno un lettore a testa. e questo perchè? perchè c’è gente pronta a sborsare due-tremila euro come se fosse una cosa normale per pubblicare un libro, proponibile o meno questo non fa differenza e non conta. Quei cinquanta cento titoli accettabili l’anno si perdono così in un mare magnum di presentazioni, marchette, antologie e contro-recensioni. non mi puoi cascare sull’editoria a pagamento. io ci credo in quello che ho scrivo ho 27 anni e non ho una lira, che cazzo faccio?
Mah, bisognerebbe anche vedere il livello degli editor. Chi sceglie gli editor che correggono gli scrittori? Come si formano i correttori? Quali finalità hanno?
In ogni caso questa striscia inizia con un commento che mi sentirei di riprendere, pur nella sua brutalità:
1. Luisa Ametrano Says:
May 30th, 2006 at 12:35
Bisognerebbe anche dissuadere, a volte, i giovani dal “fare”, non incensarli sempre, incoraggiarli, e così via. La noia non ci deve essere aumentata.
e io ripeto: tagliamoci le mani, imbavagliamoci, allora!
Ognuno è libero di esprimersi, se ci si annoia evidentemente non si è capaci di trovare alternative.
Ognuno è libero di esprimersi, hai ragione @aufieri, è la realtà.
Ed è una realtà democratica, tra l’altro.
Purché poi chi si è espresso non soffra se qualcuno gli dice che non è abbastanza bravo, che non ci ha riflettuto abbastanza, che non è abbastanza efficace, che non ha abbastanza talento, che non è riuscito a creare un mondo, o uno stile, che anzi, si è espresso, sì, ma è noiosissimo leggerlo.
Io sono contraria alla sofferenza in tarda età, i vecchi sono una categoria fragile, sono già sulla via dello spegnimento, non vale la pena malmenarli, si doveva far prima, quando avrebbero avuto delle chances di far altro. Preferisco far soffrire i giovani, che hanno la forza di riprendesi o di fare meglio quello che stanno facendo. Ti sembro tanto cattiva?
Il medico pietoso fa la piaga purulenta.
E non me la prenderei con quelli che si annoiano. E’ possibile che chi si annoia non sia capace di trovare alternative, perché no, ma è anche possibile che chi si annoia sia troppo ben abituato. Sia letterariamente viziato. E per questo genere di vizi ho una certa indulgenza.
Questo naturalmente solo in via generale, per darmi la linea;–)
@un fottuto scrittore
@la rocca
ammazza, raga’.
Se le vostre penne fossero pistole,
sarei già morto
e sepolto
saluti
(ne riparleremo, degli editor)
Così, al volo, confermo e rilancio quanto dice l’ottimo Nicolò La Rocca: gli editor che ho conosciuto io sono persone meravigliose, raffinate, colte, sensibili, indispensabili a migliorare le cose che ho fatto, dai quali ho imparato moltissimo e cui devo un mucchio di consigli fondamentali. Nient’affatto asserviti a un’idea di romanzo-format, anzi spalmati sulla ‘tua’ poetica, sulla ‘tua’ storia. Ecco, così, tanto per citare la mia esperienza personale. Poi son pronto a sentirne altre, di storie agli antipodi di questa.
@Romano
Magnifico.
livio, dipende anche dalle pretese che si hanno nei confronti del proprio lavoro(di scrittore). un conto è limare le imperfezioni della narrazione, dei dialoghi e quant’altro, un conto è togliere al testo spessore e “volontà letteraria” per meri fini commerciali.
@Angelo. Scusa, Angelo, ma… fammi un esempio. Conosci qualcuno che abbia dovuto “togliere al testo spessore e volontà letteraria per fini commerciali”? No, guarda, quando si affermano certe cose bisogna portare degli esempi, documentare ciò che si dice. E se si trattasse di poche decine di casi, questi, secondo me, non sarebbero comunque sufficienti a un discorso generale come quello che tu stai cercando di fare e che io non condivido.
@Angelo. Una nota polemica: quindi vuoi dire che io e Livio siamo scrittori… di poche pretese? :-)
guarda nicolò, io non ti conosco, quindi non so se tu sia uno scrittore o un impiegato delle poste o un architetto o un operatore ecologico, ecc ecc. per quanto riguarda livio invece, ho letto la sua storica pubblicazione einaudi.(gli ultimi che ha pubblicato per sironi no.) e non mi ha particolarmente affascinato.
ti faccio io una domanda però: se gli editor possono *migliorare* i libri altrui, e non semplicemente renderli commestibili per un pubblico più vasto possibile, perché non fanno direttamente gli scrittori, se sono così bravi perché si accontentano di guadagnare quattro soldi per mettere a posto i libri degli altri ?
ora tu mi dirai: ci sono diversi scrittori che fanno *anche* gli editor.. e in realtà non mi hai risposto.
e comunque nicolò, per concludere, applaudendo all’ovvio – si può essere di poche pretese anche senza essere scrittori. questo è il vero problema.
ora io non voglio fare il chiosatore di roberto o di chi per lui. nè personalizzare, chè non si va molto lontano. si parlava, se non sbaglio, della struttura del lavoro editoriale italiano, almeno degli ultimi anni (gira e rigira…). con un riferimento buttato lì a come invece, in massima parte, magari accanto alle dinamiche devastanti che regolano il mercato culturale integrato (globale), funzionano i meccanismi editoriali negli USA (negli USA)… lì, insomma, anche se non si può andare a vedere o toccare con mano questi meccanismi, basta navigare un po’ su internet: gli editor hanno un loro sito (come gli ‘agenti’ degli autori…, sto parlando degli autori ‘migliori’, non solo quelli ‘di cassetta’…). e quindi si può dedurre che lì siano queste figure, non altre, ad avere maggiore ‘potere’ di parola e di orientamento, a ‘dettare’ (democraticamente) le scelte (più o meno innovative) degli editori; e così scovare promuovere dialogare scontrarsi lavorare insieme agli autori. magari collaborare con loro, dalla base, per una ‘battaglia culturale’ condivisa, che vale in tutti i possibili sensi (dell’immaginario, della cura della scrittura, della capacità conoscitiva o visionaria o ‘vitale’ della letteratura…).
insomma, credo eccome a livio romano (chi lo conosce, anche solo superficilamente come me, sa che è scrittore ‘autentico’, persona sincera), ma il suo (il tuo) era tutto un discorso, se posso, che salva un’esperienza personale (e di certo editor competenti assai, ‘collaborativi’ e ‘maieutici’ ce ne sono, trasversalmente, in questa o altre generazioni….). ma alla fine sembra che lo status quo vada bene così come è (canone, riviste, editor, editoria, politiche culturali e anche solo politiche-politiche: tutto si tiene).
visto che (provvidenzialmente) la parola torna a risuonare…: è il ‘sistema’ che andrebbe messo in discussione, sempre svelato, nel caso criticato…
poi, per carità, magari proprio cinque minuti fa in quel di tagliacozzo un bravo scrittore è uscito dall’ufficio di un bravo editor, raffinato e ‘umano’ e tutto il resto, forse più ‘autonomo’ e indipendente dei suoi colleghi, forse ‘impiegato’ in una casa editrice più indipendente delle altre, ed entrambi avranno avuto la sensazione di aver fatto insieme un bel lavoro. ma se ci fosse un giorno, chessò, un ‘ricambio’, un grottesco o carnevalesco ribaltamento dei ruoli, per cui è l’editor’-impiegato a farsi un po’ più ‘manager’ e ‘dettare’ per davvero, non solo a tagliacozzo, l’agenda del mercato editoriale? e non solo a smistare suggerire consigliare… ‘farlo’, il testo, in coabitazione, ma nella sua accezione più ‘radicale’…. e si badi che sempre di commercio, di ‘logiche commerciali’ sto parlando.
un problema tra i problemi: chi sono, oggi in Italia, tendenzialmente, gli editor, queste strane creature (che tipo di ‘figure professionali’ sono)? chi ‘controlla’ il ‘controllore’, per così dire; c’è la possibilità (e la volontà) di un ‘rinnovamento’ sostanziale (mica solo generazionale) dei meccanismi della catena editor-editori-scrittori?
saluti, f.
Le verità Angelo sai qual è? Che ci sono romanzi inemendabili, scritture senza spessore in partenza, senza talento, senza potenza. Allora lì le cose son 2: se c’è una storia della madonna e un editore fiuta l’affare (e fa benissimo, ché senza gli affari non potrebbe poi produrre né i libri miei ne quelli ni Nicolò ;) mette a fianco all’ autore” non un editor ma un ghost, un negro vero e proprio. Sarebbe fin troppo scontato tirare fuori un caso clamoroso della recente narrativa italiana (autore che comunque aveva, ed ha, straordinarie capacità affabulatorie), ma di libri così è piena la storia e sempre lo sarà. Ma se un romanzo è una roba bella, o bella così e così, o bellissima, o importante: be’ allora l’editor può aiutare l’autore (stavolta: l’Autore) a trovare il modo migliore di distendere la storia. Ché di questo stiamo alla fine parlando: del modo migiore di tenere fermo il lettore sulla storia, materia in cui gli italiani sono notoriamente deboli. Angelo, suppongo tu conosca anche la leggenda che tirò fuori Baricco sui racconti di Carver, sul suo editor e tutto il resto. Ora, uno sguardo esterno è indispensabile, guarda. Tu all’inizio dici: ma come si permette, ma chi è, ma che vuole. Poi lo ringrazi per averti fatto tagliare un mucchio di ciarpame o riscrivere scene bruttine o inverosimili o dialoghi cretini o descrizioni troppo lunghe o autobiografismi indulgenti. Ma questo sguardo esterno, credimi, ti viene affibbiato SOLO DOPO che quel romanzo ha ricevuto il placet del comitato editoriale (che nelle case editrici vere è composto di diversi livelli, di lettori esteri, di redazioni, di direttori che dicono l’ultima parola). Dopo che, insomma, l’editore ha detto: mi piace, facciamolo. Nell’88 incontrai Tondelli. Lavorava alle sue antologie celeberrime. Disse: “Qua tutti gli autori italiani ‘vengono dalla poesia’ e non sopportano che si intervenga sulla lingua. Bene. Lasciamo la lingua, ma sulle macrostrutture narrative hanno tutto da imparare per rendere leggibile, fruibile il proprio lavoro”. Sulla veridicità di questa affermazione dovete credermi sulla parola perchè: 1) E’ l’unica volta che ho incontrato il Grandissimo, quindi potrei ripetere a memoria anche i movimenti che fece, 2) Una volta credutomi, ditemi voi se gente come Brizzi e la Ballestra, scoperti da lui, non siano dei grandi scrittori. Quanto poi alla commerciabilità di un libro lasciamo perdere. Giulio Mozzi tempo fa in Vibrisse ha ospitato un lungo dibattito sugli elementi che possono influenzare il Successo Di Pubblico Clamoroso, coinvolgendo anche economisti e critici, ma senza arrivare ad alcunché. Sono motivi imponderabili, misteriosi, che dipendono probabilmente dal caso, da una serie fortunatissima di fatalità mediatiche mista a attitudine fortuita del testo di intercettare la cresta di un’onda dell’immaginario collettivo in un dato momento. Provate a chiedere agli addetti ai lavori quante copie ‘sposta’ una pubblicità su un giornale. Numeri irrisori, di nessun valore. Potresti fare anche un grosso investimento sulle tv e sulle radio e non ottenere lo steso successo dato dal Caso. Poi, come dice sempre condivisibilmente Mozzi, un Successo può essere 1) una cagata, 2) una cosetta, 3) una cosa buona, 4) una cosa bella, 5) una cosa bellissima, 6) un capolavoro. Un’ultima cosa. Gli editor NON sono scrittori. Una delle tre o quattro editor più brave in Italia mi ha detto: occorre una grande umiltà per fare questo lavoro, devi saper infilare il coltello nelle carni di scritture sublimi e nello stesso tempo averne il rispetto massimo. Passo e chiudo.
@un fottuto scrittore
@la rocca
@livio romano
@fabio
LA RIVINCIA DELLE SCORIE
mi fa piacere che la discussione su autori ed editor non s’è spenta.
Sento parlare del Grandissimo, che a mia volta non ho avuto la fortuna di conoscere. Be’, le antologie curate dal Grandissimo, come saprete, nascono dai pezzi usciti su Linus. Gli “Scarti”.
Ecco, ripartirei da qui, dagli Scarti, quegli autori pidocchiosi che vuoi mettere con noi che ci sentiamo tanto ‘scrittori’? vuoi mettere con noi che siamo così bravi ma così bravi che mai accetterremmo le forche caudine dell’autofinanziamento? (Moravia lo fece però).
Vuoi mettere con noi che ci lamentiamo di non avere una lira in tasca e quindi aspettiamo il giorno della Resurrezione, quando il Grande Editor di Mondadori calerà dall’iperuranio editoriale per venirci a salvare?
Visto che richiedete a gran voce “casi d’uso”, vorrei ricordare a quel Fottuto Scrittore che lamenta di avere le tasche vuote almeno un’esperienza personale, che mi è capitata durante la mia modesta esperienza professionale.
Lo chiamerò Mister X: un under 25 che dopo aver scritto un racconto, a furia di porte sbattute in faccia, e di editor-impiegati che nemmeno si degnavano di dirgli che cagata ‘sto manoscritto che ci hai mandato, allora sai che ha fatto?
Si è trovato un bello sponsor, niente di che, mica Assitalia, anzi, il pizzicarolo, il supermercato sotto casa. E in una manciata di mesi ha trasformato il suo sogno in realtà: un libro pubblicato, distribuito, venduto, e magari con dei risultati migliori che se fosse entrato nell’empireo Feltrinelli, Bollati o Adelphi (non credo che abbia esaurito la tiratura ma si è rifatto abbondamente delle spese).
Certo, poi c’è da scremare. Ci sono contratti-capestro e offerte più che generose, ma qui, come al solito (come su tanti altri argomenti discussi su NI) il mondo è tutto bianco o tutto nero: se mi pubblica Einaudi è una figata pazzesca e magari entrerò nel manuale di Ferroni o Luperini, se invece scelgo di pagarmi quello che scrivo sono un porco fetuso (viva viva zapatero, quant’è bello zapatero, morte agli americani, quanto so’ stronzi gli americani. Il solito schema binario che non concede grigi o chiaroscuri).
Ecco la funzione dell’editor, che non è solo quello che mi corregge e revisiona la macchina testuuale, ma anche quello che mi trova l’offerta più vantaggiosa, i diritti e la promozione, e magari mi organizza anche una (semiseria) presentazione.
Mi direte che Mister X è un illuso? Che il suo è un altro di quei libri destinati al macero? Ma perché, credete davvero che i romanzi di successo vendono quello che ci dicono? Anche il settimanale “Di Più” strilla in copertina di tirare un milione di copie alla volta, come le telefonate alla Biscardi. Ebbe’? Credete che i markettari mondadoriani sono meglio quando ci propinano i loro dati di vendita? Ma pe’ piacere…
A proposito, Caro Livio, non so da dove tiri fuori ‘sta notizia che una recensione su un quotidiano non muove nemmeno ‘na copia in termini di venduto. Sinceramente, ho assistito a fenomeni contrari. Recensioni e promozione che facevano vendere eccome.
Se credete così ciecamente nel Caso, come cazzo è che i nomi che ci propinano sono sempre gli stessi? (vedere: almanacchi di repubblica, recensioni dei foglianti, segnalazioni dei manifesti).
Se il mercato funzionasse davvero sulla base del Destino e del Cielo, ogni tanto, dico ogni tanto, potrebbe uscire anche qualche nome nuovo. Ma il sistema Moggi non prevede la variabile Caso, visto che tutto è taroccato (ma qui, come al solito, esagero, estremizzo, prendetemi con le molle).
Be’, io sto dalla parte degli Scarti, dei poeti di Serie B e di serie C, dei narratori alla Michele Plastino. In questi anni, ne ho letti tanti di presunti velleitari, di quelli che a 70 anni decidono di farsi un regalo pubblicando le loro memorie, delle brave signore che scrivono alla domenica sentendosi un po’ Sveva Casati Modigliani, di tutti i ragazzini under 25 che sfornano diari, libri di viaggio, e fantasy a volontà.
Mi stanno più simpatici loro dei nostri grandi Autori col culo parato e la villa a Capalbio, che si ritirano nella avita magione per deliziare il pubblico con i loro romanzi editati e rieditati, testati e anticipati, segnalati e recensiti, stroncati?, ci mancherebbe! E’ già pronto un regista a farsi avanti per una bella trasposizione. Non faccio nomi ma vorrei tanto (magari sapete quali).
Facile fare il grande scrittore, quando sei bravo, buono e quello giusto. Ma a me da quando andavo a scuola mi sono sempre stati sul cazzo quelli bravi, buoni e giusti.
Io sto dall’altra parte. Dalla parte di chi viene scartato: mi dispiace ma il suo manoscritto non rientra nella nostra collana editoriale, richiami domani perchè il nostro responsabile al momento non c’è, per quest’anno il nostro catalogo è al completo, e tutte le altre stronzate che ci rifilano perchè non gli va neppure di scrivere un rifiuto garbato (per questo dicevo che almeno quelli di Feltrinelli sono più onesti di altri quando scrivono sul sito non ci spedite le vostre cagate).
“Scarti alla riscossa”, diceva il Grandissimo. I suoi epigoni (sento parlare di Ballestra, etc…), purtroppo, l’hanno tradito : dall’autobiografia sono caduti nell’autobiografismo, dalla provincia al provincialismo, dal verismo alle fiction ammanitesche.
Ma Fabio, ricordi che dicevamo a Lecce? la via di fuga sta nei sotterranei della provincia e nelle periferie della metropoli, negli scarti e nei non-adatti, in tutti quelli che non vedranno mai un posto in classifica ma scrivono e scrivono e scrivono cagate su cagate perchè il sound, quello vero, ve lo ricordate il sound della scrittura emotiva?, scorre dentro le vene di tutti, ricchi e poveri, celeberrimi ed esordienti, paganti e pagati.
Scarti: in Italia non abbiamo nemmeno la percezione sulle dimensioni dell’inedito. Tondelli editor batteva le strade della provincia in cerca di voci nuove. Oggi il massimo della novità è Fiorello che legge Camilleri: uno sbadiglio, tra una risata e l’altra, ci seppellirà.
Sulla storia dell’editing, anche quello americano:
http://www.fieralibro.it/fiera/download/1988_fabbrica%20del%20libro.pdf
Romano Livio: hai trovato gente sensibile e indispensabile perchè non vali niente nei tuoi romanzi ( ? si chiamano così ? ).