La politica di Israele e le popolazioni in ostaggio

di Diego Ianiro

[Questo articolo è stato segnalatoscritto da Diego Ianiro a commento di Un dogma culturale (sulla critica alla politica israeliana) qui su NI]

“La politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”
Gilbert Achcar[1], intervista di Paola Mirenda per Liberazione – 15/7/2006

Il 20 luglio 2006, esattamente un anno dopo il nostro ritorno dai Territori Occupati[2], Tsahal (l’esercito israeliano comunemente noto come IDF – Israeli Defense Force) è al settimo giorno di bombardamenti sul territorio libanese.

Esattamente un anno dopo il nostro ritorno mi trovo su un autobus diretto verso il posto dove lavoro (e neanche per un istante penso ai brividi provati percorrendo Tel Aviv – Old Yafo sullo stesso tipo di mezzo un anno prima): è estate, sono circondato da ragazzi in tenuta da spiaggia, apparentemente lontanissimi da qualsiasi “idea” di guerra. Uno di loro ha un giornale, in prima pagina un’immagine delle macerie di Beirut cattura la sua attenzione: il ragazzo, credo abbia più o meno la mia età, si lascia scappare un commento, un commento che include un “…peccato per Hitler …poteva almeno finire il lavoro”. E’ un commento che, in un contesto simile, può scappare. Ma è un tipo di commento destinato a trovare sempre più spazio tra le parole e nella mente dei ragazzi, degli uomini e delle donne che percepiscono, al di là della fittissima rete di controllo dei media ufficiali, l’arroganza e il disprezzo per la vita umana che caratterizza la “sproporzionata” (questo l’aggettivo più in voga nei discorsi del nostro Ministro degli Esteri) reazione della politica dello stato d’Israele a fronte del “rapimento” di tre suoi militari.

E’ un tipo di commento che, in qualsiasi caso, non può tuttavia essere giustificato. Perché è sulle parole, anche e soprattutto su quelle del “senso comune”, del commento estemporaneo, del giudizio sarcastico frettoloso, della generalizzazione saccente, che si edificano i risentimenti e le ragioni di un conflitto.

La guerra non è fatta solo di operazioni militari e diplomazie fallite, la guerra si costituisce e si porta avanti nelle parole, nell’apparente formalità d’uso delle parole che, nei fatti, plasmano e distorcono i contenuti e la stessa realtà quando diventano pubbliche; il conflitto che infiamma il Medio Oriente, e che trova costante alimentazione nell’insostenibile situazione israelo-palestinese, ne è un caso emblematico. Per capirlo, prendiamo ad esempio quanto detto fin qui, i termini toccati: le forze armate di Israele, che sono forze di occupazione militare su territori che non fanno parte dello Stato d’Israele, sono definite forze “di Difesa”; l’aggettivo “sproporzionata” viene utilizzato al posto di “illegittima” (reazione, tradotta in invasione di uno Stato sovrano, il Libano, con attacchi diretti ai civili, in totale disprezzo del diritto internazionale[3]); “rapiti”, aggettivo di norma utilizzato per i civili vittime di rapimento, sostituisce (nei grandi media occidentali) un più consono “fatti prigionieri” dato che si tratta di militari in servizio caduti in un’imboscata..

Sembrano dettagli, non lo sono[4]. Questa forma spregiudicata di controllo e propaganda non è assente dall’“altra parte” dove, trascurando le finezze e le sfumature più o meno “laiche”, assume connotazioni marcatamente religiose, almeno nei temi.

Non sono dettagli perché nel momento in cui ci si scopre, in qualità di cittadini di uno Stato sovrano e con un governo democraticamente eletto, giocoforza “partigiani” dell’una o dell’altra, opposta, propaganda – e per scoprirlo basta vedere l’uniformità con cui i media ufficiali ci propinano le notizie – qualsiasi ipotesi di equivicinanza viene a cadere: tecnicamente noi italiani, così come in linea di principio l’Unione Europea, “sosteniamo” la politica dello stato d’Israele[5]. E la politica dello stato d’Israele è in conflitto con la popolazione (perché, non dimentichiamoci, Hamas è stato democraticamente eletto, e per ottime ragioni, e Israele non si è limitato a non riconoscerne l’autorità, ma ne ha arrestato 8 ministri alla fine di Giugno) palestinese che risiede nella West Bank e nella striscia di Gaza.

A questo punto che senso ha indignarsi, da parte dei professionisti dell’umanitario, per la sospensione dei finanziamenti dell’Unione Europea all’Autorità Nazionale Palestinese nel momento in cui è una decisione pienamente coerente con le politiche di sostegno ad Israele? Perché meravigliarsi e denunciare il “tentativo da parte della Ue di sostituire le ONG all’Autorità palestinese[6]” quando il disegno che viene tracciato era chiaro già da prima della vittoria (ufficiale) di Hamas?

Vediamo, nel dettaglio, su quali presupposti si basa questo “disegno”:

  • Israele non può assimilare tre milioni e mezzo di palestinesi: non potrebbe garantir loro gli stessi diritti civili degli israeliani perché perderebbe, nel tempo e in considerazione del tasso di crescita dei palestinesi, la peculiarità di Stato ebraico. Questa compattezza “di razza” artificialmente costituita[7] e militarmente mantenuta[8] consente ad Israele di risultare, da “corpo estraneo” inassimilabile a sua volta, costante fattore di instabilità nell’intera regione mediorientale. Una instabilità che non lascia, ai paesi confinanti, nessuna possibilità di pianificazione dello sfruttamento delle risorse dell’area a tutto vantaggio delle compagnie private sostenute dalle potenze straniere (dagli USA[9] all’Arabia Saudita) che direttamente o meno sostengono la stessa Israele;
  • Israele non può cacciare tre milioni e mezzo di palestinesi, tantomeno eliminarli;
  • Israele non può permettere l’esistenza di uno Stato Palestinese unitario e stabile: sarebbe un grosso rischio per la sua stessa sopravvivenza[10], nonché la perdita di un grosso bacino di consumatori.

A fronte di questi presupposti, la soluzione adottata dalla politica Israeliana a partire dal 1967, e in seguito sempre più raffinata, è stata quella di tenere “in ostaggio” questi tre milioni e mezzo di persone attraverso una serie di finti accordi[11] che hanno portato all’esistenza di una serie di piccole riserve chiuse (le città e le aree urbane della West Bank, ovvero il 22% della Cisgiordania, mal collegate tra loro) e una grande fascia di concentramento, la striscia di Gaza, considerata il più grande ghetto del mondo. Si può capire di cosa sto parlando solo tenendo sotto gli occhi una cartina dell’area[12]: la “Palestina” è un arcipelago di terra, una serie di isole recintate ed occupate dall’IDF e dai suoi check-point. Un sistema di prigioni a cielo aperto, collegate da strade dalla percorribilità limitata, sufficientemente facili da gestire e controllare per un esercito efficiente e ben equipaggiato come quello israeliano.

Abbiamo parlato dei presupposti e delle soluzioni, per così dire, “logistiche”, ma non del “disegno”. Qual è questo disegno, e perché sembra così chiaro?

Il disegno (che in realtà è l’unica soluzione politicamente sostenibile per Israele) è il mantenimento dello status quo in attesa di soluzioni migliori (o, se possibile, in eterno): togliere i fondi all’ANP e metterli nelle mani delle ONG umanitarie è un tentativo di decapitare qualsiasi iniziativa politica da parte dei palestinesi senza farli morire di fame, cioè fare in modo che sopravvivano in queste riserve – già realizzate – al di sopra del livello di povertà grazie agli aiuti umanitari. Fare in modo che sopravvivano senza uno stato, senza iniziativa e senza essere israeliani.

E’ in vista di questo “traguardo” e del ruolo “ibernante” che le ONG finirebbero per assumere in Palestina che va riconsiderato tutto l’intervento umanitario e l’efficacia delle reti di solidarietà: quanto può essere utile mettere in piedi un progetto che non può avere continuità[13], che non può avere senso se non nel breve periodo ma concorrendo, allo stesso tempo, a peggiorare la situazione nel lungo periodo, reiterando l’assenza di iniziativa e, addirittura, ostacolandola? Quanto è utile continuare ad essere supportati da uno Stato che si pone come imparziale ma imparziale non è? Quanto è fattibile portare avanti “sul terreno” un discorso umanitario indipendente dalla politiche nazionali e apertamente critico verso quelle israeliane?

Il rischio è quello di operare, in qualsiasi caso, per consentire a tre milioni e mezzo di persone di sopravvivere senza uno stato, senza iniziativa e senza essere israeliani. La preda migliore per gli interessi delle potenze arabe della regione, una preda già da tempo strumentalizzata.

Ma Israele cosa ci guadagna? Israele qualcosa (molto) ci perde: l’enorme apparato di controllo preposto al mantenimento di questa situazione paradossale richiede ingenti risorse (ad un paese non autosufficiente[14]); un tributo, estremamente circoscritto ma costante, di vite umane; il blocco dello sviluppo della stessa Israele che, oltre a costringere lo Stato ebraico a tenere in ostaggio la sua stessa popolazione, rende improponibile la prospettiva del “mantenimento dello status quo” ad libitum. Senza considerare l’aver messo alla luce due generazioni completamente militarizzate e plagiate da un “paradigma della difesa” che sarà impossibile sradicare. Senza considerare la reazione violenta dei palestinesi, inefficace dal punto di vista militare ma in grado di far vivere gli israeliani in un sistema di allerta e sospetto permanente che sarà difficile sostenere per sempre. Senza considerare che le simpatie verso Israele dell’opinione pubblica occidentale vanno scemando con incredibile rapidità[15], proporzionalmente a quelle dirette verso gli Stati Uniti, con l’aggravante “razzista” legato al retaggio ebraico…

Ecco che spunta, effettivamente, lo spettro di un nuovo antisemitismo – un antisemitismo strano, cervellotico, creato su immagine e somiglianza della brutalità militare israeliana e non sui soliti stereotipi dal naso adunco. I più attenti, però, si accorgono che spesso quello che si vorrebbe far passare per antisemitismo, cioè per un’antipatia genuinamente “razzista”, è in realtà antisionismo, ovvero qualcosa che si pone contro un movimento politico (così come potrebbe essere “antinazismo”), uno tra i più longevi di quei movimenti che, nati in Europa alla fine del XIX secolo, ponevano “sangue e suolo” tra i valori principali da perseguire. Per questa sua componente “razzista”, il sionismo – ovvero l’ideologia di base dell’attuale politica d’Israele – fu giudicato “una forma di discriminazione razziale” dalla risoluzione ONU 3379 del 10/11/1975 (poi abrogata dalla 4686[16] del 16/12/1991 – non appena “terminata” la guerra fredda).

Esistono molti gruppi di ebrei, dagli attivisti per i diritti umani agli ultraortodossi, apertamente antisionisti e in contrasto con le politiche di Israele – nessuno si sognerebbe di chiamarli “antisemiti”.

Sembra questo dell’antisionismo un distinguo di comodo, utile a mascherare una nuova forma di razzismo antisemita, eppure questo distinguo potrebbe tornare utile quando, per contrastare una battuta che inizia con “…peccato che Hitler” sarà facile separare un’ideologia di stampo neocon da una razza e/o religione, ed una causa storica da un suo effetto.

——————————————————————————–

[1] Gilbert Achcar, libanese, scrive per Le Monde Diplomatique ed insegna Scienze Politiche all’Università di Parigi-VIII (Saint-Denis). Il testo completo dell’intervista, in traduzione italiana, è disponibile all’indirizzo: http://www.zmag.org/Italy/achcar-doppioattaccoisraele.htm .

Per la versione originale (in inglese): http://www.zmag.org/content/print_article.cfm?itemID=10581&sectionID=107 .

[2] Dal 19/6 al 20/6/2005 chi vi scrive ha partecipato, nell’ambito del corso regionale per peacekeeper – mediatori di pace, ad uno stage nella West Bank per monitorare i progetti di cooperazione e sviluppo di organizzazioni non governative italiane e straniere.

[3] Giova a questo proposito ricordare che non è una novità per Israele ignorare le elementari regole del diritto internazionale: ci sono 72 risoluzioni (dalla 93 del 18/5/1951 alla 1435 del 24/9/2002) del Consiglio di Sicurezza [CS] delle Nazioni Unite, più della metà delle quali disattese, che esprimono condanna all’operato di Israele. E’ possibile consultarle tutte in questa pagina del sito delle Nazioni Unite: http://www.un.org/documents/scres.htm. Avendo in mente questa cifra record, resa possibile grazie allo strumento “veto USA”, non senza ironia si può accettare per valida la pretesa di Israele di far rispettare la risoluzione 1559 del 9/2004 sul disarmo delle milizie di Hezbollah relativamente al “nuovo” conflitto in atto.

[4] In proposito consiglierei un testo, “LTI – La lingua del Terzo Reich” di Victor Klemperer [ed. Giuntina, 1998]. Klemperer, filologo nonché ebreo tedesco, scrisse una serie di taccuini, in codice, durante la dittatura nazista. Questo libro, pubblicato nel 1947, li raccoglie in maniera organica, restituendoci il frutto delle osservazioni del professore: il modo in cui la lingua della propaganda (nell’esempio nazista) costruisca nuovi lemmi e nuovi ordini di pensiero, sostituisca vecchie parole a nuovi significati, costringa le stesse vittime del regime a farvi ricorso instaurando un processo di cattività e oppressione non solo fisica ma soprattutto mentale. Il testo è altresì molto interessante perché sottolinea le linee di convergenza tra l’ideologia alla base del sionismo di Herzl e i deliri nazionalsocialistici del Mein Kampf di Hitler.

[5] Basti ricordare, in occasione dei festeggiamenti del 58° anniversario dell’indipendenza di Israele all’Hotel Excelsior di Roma, come l’ex premier Berlusconi ed il neoeletto Prodi si siano trovati uniti nel brindare allo stato ebraico. Berlusconi ha poi dichiarato “L’Italia tutta, non quella divisa in due, non quella del centrodestra e del centrosinistra, sarà sempre al fianco di Israele come baluardo della difesa della sua democrazia e della sua libertà […] Israele è parte fondamentale dell’Occidente ed è un paese europeo […] come capo dell’opposizione sono sicuro di essere in piena sintonia su questi temi con la sinistra che avrà la responsabilità di governo […] Tutti noi, tutti gli italiani, siamo israeliani” [da Il Giornale n.104 del 4/5/2006]. Presenti, per l’occasione, sia Fini – all’epoca ancora Ministro degli Esteri – che D’Alema, il quale ha dichiarato “Su questo tema, la difesa di Israele, non c’è una politica di parte in Italia, ma una posizione che appartiene a tutto lo schieramento politico democratico” [ibid.]

[6] Come risulta da un appello congiunto lanciato, nel maggio 2006, dalle stesse ONG italiane attive in Palestina. Fonte: http://unimondo.oneworld.net/article/view/132989/1/?PrintableVersion=enabled

[7] Sull’assenza di una “costituzione” dello Stato d’Israele e sul modo in cui una manciata di Leggi Fondamentali tengano insieme la contraddittoria definizione di Stato “democratico” ed “ebraico” (generando una pericolosa asimmetria nell’estensione dei diritti civili ad ogni cittadino), segnalo l’articolo “Razzismo democratico” di Jonathan Cook [da Al-Ahram Weekly del 8-14 e 15-21 luglio 2004] disponibile in traduzione italiana qui: http://www.tsd.unifi.it/jg/it/index.htm?surveys/palestin/cook.htm

[8] In Israele la leva è obbligatoria per ebrei, drusi e circassi e dura, a partire dai 18 anni, tre anni per gli uomini e due per le donne. Dopo la leva obbligatoria tutti gli uomini vengono richiamati per un mese all’anno fino ai 45 anni.

[9] Sull’influenza dell’AIPAC – American Israel Public Affairs Committee – (la più potente lobby statunitense – dopo quella dei pensionati) sulla politica estera statunitense, è disponibile un saggio online [in inglese] di J. Mearsheimer e S. Walt: http://ksgnotes1.harvard.edu/Research/wpaper.nsf/rwp/RWP06-011/$File/rwp_06_011_walt.pdf

[10] Eventuali alleanze di questo futuro Stato palestinese con paesi arabi dalle velleità egemoniche (Siria, Iran) sarebbe troppo rischioso per Israele.

[11] “Il cosiddetto processo di pace [del periodo 1991-2001] venne interpretato dalla classe politica israeliana come la continuazione della guerra contro i palestinesi con mezzi politici” Michelguglielmo Torri, curatore de “Il grande Medio Oriente nell’era dell’egemonia americana” [ed. Bruno Mondatori, 2006].

[12] E’ proprio vedendo questa cartina che Arafat rifiuterà la “generosa offerta” di Barak durante gli accordi di Camp David del 2000. Un rifiuto che fece fallire gli accordi e risultò, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, “inspegabile”.

– Occorreranno alcuni mesi prima che si riesca a superare la soglia della disinformazione e a recuperare elementi complessivi che permettano di capire finalmente il rifiuto di Arafat a ciò che mai nessun governo israeliano gli avrebbe proposto. La prima difficoltà che ci viene incontro è che per lungo tempo dopo il vertice non si sono mostrate carte geografiche che permettessero di capire quale tipo di stato veniva “generosamente” offerto da Barak ai palestinesi. Si sarebbe così visto che il territorio della Cisgiordania appare spezzettato dalle colonie israeliane in tre aree, per due delle quali non c’è nessun collegamento se non attraverso strade dello stesso Israele, che possono essere chiuse a discrezione del governo israeliano – in Margherita Platania, “Israele e Palestina” [ed. Newton, 2005]

All’indirizzo http://www.khalas.it , nell’area download è possibile trovare una raccolta di cartine della West Bank e di Gaza.

[13] Un’attività di microcredito, quando ben programmata e realizzata (cosa già di per sé non facile), indubbiamente ristabilisce possibilità di produzione precluse dalla situazione palestinese. Ma quante attività possono aspirare alla continuità in una situazione così precaria? Le poche che ho visitato sono terminate nell’arco di due-tre mesi successivi senza lasciare traccia.

[14] Ma che riceve dagli USA 3 miliardi di dollari l’anno in assistenza diretta (senza contare gli aiuti in materiale bellico e in informazioni di intelligence).

[15] Anche perché il sistema di controllo delle informazioni viene duramente provato dall’esistenza di Internet…

[16] Ci sono dei dettagli interessanti riguardanti questa risoluzione:

  • è tra le risoluzioni ONU dal testo più corto in assoluto (“The general assembly decides to revoke the determination contained in its resolution 3379 (XXX) of 10 November 1975”)
  • fu chiesta e introdotta personalmente da Gorge Bush padre con una formula (l’uso strumentale dell’olocausto) che poi diventerà nota: “…to equate Zionism with the intolerable sin of racism is to twist history and forget the terrible plight of Jews in World War II and indeed throughout history.”

Su Wikipedia è disponibile una buona parte del discorso introduttivo del presidente Bush, molto interessante per rintracciare i forti legami tra il sionismo e i neocon statunitensi:

http://en.wikipedia.org/wiki/UN_General_Assembly_Resolution_4686

131 COMMENTS

  1. A proposito della nota (4), vi leggo:

    “sottolinea le linee di convergenza tra l’ideologia alla base del sionismo di Herzl e i deliri nazionalsocialistici del Mein Kampf di Hitler.”

    Io trovo o vorrei trovare questa una boutade sconveniente ed incoerente., specie in questo momento e qui ove si parla delle differenze tra antisemitismo & antisionismo.
    Il sionismo ha basi fortemente motivate dall’antigiudaismo virulento esistente in Francia Inghilterra Russia Spagna nell’800, dal caso Dreyfus, quando una èlite ebraica si domandò seriamente se non era ora di andarsene da quella Europa che trovava sempre più frequente spunti per diffamare e perseguitare gli ebrei.
    Faccio presente che molti ebrei di allora non pensarono di ritornare a Sion, giudicandola assai inospitale, ma molti proposero come meta generale l’America.
    Se proprio si volesse trovare un analogia con i deliri nazionalsocialisti bisognerebbe trovare un base comune in una “mania di persecuzione”,
    ma di fatto la persecuzione maniacale contro gli ebrei vi fu,
    mentre i tedeschi furono oggetto, sì, di ostracismo ma più che altro di pesantissimi/terribili tributi di guerra imposti dagli alleati anglo/francesi nel 1918.
    Per il resto il testo è attendibile ed interessante
    MarioB.

  2. “il ragazzo, credo abbia più o meno la mia età, si lascia scappare un commento, un commento che include un “…peccato per Hitler …poteva almeno finire il lavoro”. E’ un commento che, in un contesto simile, può scappare.”
    Un commento che, in un contesto simile, può scappare? PUO’ SCAPPARE? Ovvero: è comprensibile, pensabile, quasi normale? La precisazione successiva non scalfisce la gravità di questo moto (in?)conscio dell’autore.
    Come già citato:
    ““sottolinea le linee di convergenza tra l’ideologia alla base del sionismo di Herzl e i deliri nazionalsocialistici del Mein Kampf di Hitler.””
    Ma siamo sicuri che sto leggendo Nazione Indiana?
    “sarà facile separare un’ideologia di stampo neocon da una razza e/o religione”
    Ritorna la parola “RAZZA”?
    Avevo trovato ragionevole e ponderato l’intervento di Andrea Inglese. Trovo pesante e fazioso questo articolo. Le parole sono pietre.
    Ma l’avete letto bene, prima di pubblicarlo?

    Marco

  3. Bene. La discussione continua. Bene.

    A Marco e a Mario andrebbe data una risposta (avete visto l’ultimo commento al pezzo di Andrea? Ci sono tutte le tifoserie antisioniste riunite in un solo grido, un solo allarme: viva Hezbollah! Israele in fiamme! Dai ferrandiani a Forza Nuova, passando per il sottosegretario agli esteri Bobo Craxi).

    Nabih Berri sarà presto in Italia per discutere con il nostro ministro degli esteri. Il primo punto della sua ‘road-map’ è il cessate-il-fuoco. Secondo Berri, la rezione di Israele alla ‘provocazione’ di Hezbollah (morti, feriti e prigionieri) è stata come il tuzzo de Zidane a Materazzi (testuale).

    Berri ha sottolineato ancora una volta la questione delle Shebaa Farms.
    Vedremo.

    Buona giornata a tutti.

  4. Francamente Roberto, comincio a tovare fuorvianti le tue analisi, che mi paiono prive di senso etico.
    Non basta analizzare, fare le pulci a ogni frase di giornale o ad ogni dichiarazione per metterla da una parte o dall’altra:
    in questo modo hai messo in un solo calderone una frase, quella di Bobo Craxi, che a me, ad es., pare incontestabile e che nulla c’entra con l’antisionismo, e quelle di forza nuova, che sono al limite del razzismo.
    Io non ci sto a queste operazioni.
    E quelli di rifondazione, o ferrandiani, sono forse antisionisti che vorrebbero unirsi agli Hetzbollah fino alla vittoria finale? Che immagino sia la distruzione di Israele?
    Troppo comoda ergersi al di sopra delle parti sparando ogni volta un colpo al cerchio e un colpo alla botte isolando frasi e comportamenti da mettere poi nei due calderoni: antisionista o antiarabo: bel risultato: Craxi come Fiore…
    Anch’io potrei analizzare freddo e ironizzare sul tuo ultimo commento ma non mi interessa.
    Mi interessa invece sottolineare che anche tu ci sei dentro fino al collo ma eviti spesso di dar risposte a domande semplici, preferendo l’ironia.
    Ad es. Berri ha fatto un paragone calcistico, forse ad uso e consumo di noi occidentali, che a me sembra appropriato.
    Al confronto del rapimento e dell’uccisione dei soldati, la guerra di Israele val bene la testata di Zidane. Certo, gli Hetbollah han risposto alla testata (al contrario di Materazzi) ma il Libano è in ginocchio, è steso: possiamo dire la stessa cosa dello stato d Israele?
    Hetzbollah, non il Libano (poi adesso fai pure un post per spiegarmi i collegamenti tra hetzbollah e stato libanese, ma la differenza resta), ha ucciso un manipolo di soldati rapendone 2. Ha chiesto trattative, scambio di prigionieri:
    E’ guerra questa?
    No. E’ aggressione allo stato di Israele o alle popolazioni civili? No.
    E’ una rappresaglia di un gruppo terroristico contro militari e con un fine ben preciso.
    Israele come risposta ha bombardato il Libano. Questa si chiama guerra, aggressione ad uno stato con modalità fortemente terroristiche, visti gli obiettivi civili colpiti. Hetzbollah non s’è fatto pregare e ha risposto nello stesso modo ma con conseguenze molto meno gravi per la minor potenza dei mezzi a disposizione.
    Poi Israele ha invaso il Libano.
    Quindi non è antisionismo quello di Bobo Craxi, che dice che Israele è passato da aggredito ad aggressore: è pura constatazione dei fatti: è su questo che si dovrebbe discutere: su cosa sia la guerra, su cosa sia una giusta difesa e, visto il post, su come qualificare la politica “difensiva” di Israele.
    La guerra di difesa non può contemplare l’invasione di un altro stato. Nè l’uccisione di civili se prima l’offesa era stata l’uccisione di militari.
    Sia livello qualitativo che quantitativo la risposta di Israele all’offesa subita si qualifica come aggressione. E dire questo non c’entra niente con l’antisionismo.

  5. Per il resto sono d’accordo con @Mario B.

    @ a Marco vorrei chiedere:
    a parte la parola razza, che andrebbe abolita per il genere umano, cosa ne pensi di Dan Halutz, il comandante israeliano che pensa per il Libano che “per 1 dei nostri 10 dei loro”?
    e che secondo Yonathan Shapira, ha ben in mente la scala gerarchica del valore del sangue: al primo posto gli ebrei, all’ultimo i palestinesi?
    Trovi normale che questo uomo conduca importanti operazioni militari di Israele da anni?
    E poi: dici che l’articolo è fazioso e te ne scandalizzi: vorresti dire dove l’articolo risulta a te così lontano dalla verità?

  6. Perché siete così ipocriti? Non ve ne importa niente di chi ha torto o ragione. Chi ha cominciato e chi ha solo reagito. Volete solo che uno dei due stermini l’altro. E speriamo che siano i “nostri”. Ché NOI abbiamo ragione e loro devono morire.

  7. Confesso che mi lusinga vedere una cosa mia in home a nazioneindiana, pertanto ringrazio andrea inglese per la piacevole sorpresa. La palla è che questa cosa mi costringerà pure a difenderle queste parole, fornendo risposte sulle quali – avverto da ora – graverà un costante ritardo. Ma mi impegnerò a non dimenticarmi di nessuno. Quindi, @roberto, non trascurerò marco e mario, non preoccuparti.
    Allora, @cf0efdgv_ecc…
    “Il sionismo ha basi fortemente motivate dall’antigiudaismo virulento” “mentre i tedeschi furono oggetto, sì, di ostracismo ma più che altro di pesantissimi/terribili tributi di guerra imposti dagli alleati anglo/francesi nel 1918” [a questo proposito consiglierei la lettura – fondamentale – de I Proscritti di von Salomon, edito baldini&castoldi mi pare, testo eccezionale nonostante gli storgimenti di naso che potrebbe provocare]. Bene, sono motivazioni differenti, ma io non sarei in grado di stabilire una graduatoria sulla quale quantificare una motivazione più legittima dell’altra – o meglio – un effetto più condannabile dell’altro. La matrice ideologica del sionismo, quello di Herzl per intenderci, affonda comunque le radici in un pensiero tutto europeo che precede i fatti del ’14. E’ un pensiero coloniale, è un pensiero razzista, è un pensiero europeo. Dal diario di Herzl:
    – Gerusalemme, 31 ottobre
    Se Gerusalemme sarà mai nostra, e se sarò ancora in grado di fare qualcosa, prima di tutto comincerei a ripulirla. Getterei via tutto ciò che non è sacro, costruirei case per lavoratori fuori città, svuoterei ed abbatterei quelle luride topaie, brucerei tutte le rovine non sacre e trasferirei altrove i bazaar. Poi, cercando di mantenere quanto più possibile il vecchio stile architettonico, costruirei una città completamente nuova, confortevole ed ariosa, con fognature adeguate, intorno ai Luoghi Santi.
    [“The diairies of Theodor Herzl”, edited and translated by Marvin Lowenthal, London, Gollancz, 1958, p. 283-290 – qui: http://www.kh-uia.org.il/Crisisnew/artical2002/italian/180504%20italian.htm%5D
    Tenteremo di sospingere la popolazione (palestinese) in miseria oltre le frontiere procurandogli impieghi nelle nazioni di transito, mentre gli negheremo qualsiasi lavoro sulla nostra terra… Sia il processo di espropriazione che l’espulsione dei poveri (palestinesi) devono essere condotti con discrezione e con attenzione…”
    [Herzl, Theodore, “The complete diaries” (N.Y. Herzl Press, 1969) vol. I, p.88 – qui:
    http://www.disinformazione.it/duepesiduemisure.htm ] –
    L’ebraicità? Nel caso specifico del sionismo, ovvero [e non mi stancherò di ripeterlo] di un movimento politico, un pretesto. Un esempio tra tanti:
    – Si può essere antisemiti e sionisti ?
    Sì, certo. Il fondatore del moderno sionismo, Theodor Herzl, aveva già tentato di ottenere il sostegno di noti antisemiti russi, promettendo di levar loro gli ebrei di torno. Prima della Secondo Guerra Mondiale, l’organizzazione sionista clandestina IZL aveva installato in Polonia dei campi di addestramento militare sotto gli auspici di generali antisemiti che volevano liberarsi degli ebrei.
    [da alcune faq sull’antisemitismo dell’ebreo (almeno così afferma lui, poi non spetta a me quantificare l’”ebreitudine” vera da quella presunta) Uri Avnery – http://www.zmag.org/Italy/avnery-antisemiti-q-a.htm ]
    “sottolinea le linee di convergenza tra l’ideologia alla base del sionismo di Herzl e i deliri nazionalsocialistici del Mein Kampf di Hitler.” Non decontestualizzare il periodo dalla nota: si riferisce ai contenuti di un libro, che non ho scritto io ma un ebreo tedesco sotto il nazismo [il totalitarismo che voi non avete conosciuto di persona, come non conoscete la condizione di araboisraeliano sotto il sionismo – voi, nel senso di io pure], e se vuoi saperne di più puoi agevolmente farlo leggendoti questo breve saggio di tale Enrico Paradisi:
    http://alphalinguistica.sns.it/QLL/QLL01/EP.Elogiofilologo.pdf
    Forse la differenza tra un Herzl e un Hitler è una questione di fortuna, o di tempi.
    @marco
    “Ritorna la parola “RAZZA”?”
    Non so come la chiami tu, ma quella ebraica viene considerata – guarda un po’, dagli stessi ebrei d’Israele – qualcosa su cui fondarci addirittura un ordinamento politico. Puoi non chiamarla razza, ma la sostanza non cambia: un “democratic Jewish state” [ http://www.mfa.gov.il/MFA/Facts+About+Israel/State/The%20State ] contiene un dettaglio in più rispetto ad uno stato democratico e basta – e su questo dettaglio sono aggrappate tutte le leggi fondamentali di Israele. Non ritorna la parola “razza”, è il concetto “razza” a non essersene mai andato. E forse non hai capito la frase, quella che citi: è proprio di questa confusione (deliberatamente) generata tra razza/movimento politico che si nutre l’antisemtismo.
    A poi.

  8. Mi dispiace, diego,
    non sono d’accordo:
    1. Herzl poteva essere pure razzista ed antipalestinese/antiarabo ma non ha detto di ammazzare o sterminare i palestinesi.
    2. Herzl era solo uno dei fondatori e animatori del primo sionismo
    3.”Forse la differenza tra un Herzl e un Hitler è una questione di fortuna, o di tempi…” Mi dispiace io bado ai fatti:
    Hitler ha fatto certe cose mentre Herzl no, e non mi si dica: perché non ha potuto farle, nella storia bado ai fatti compiuti, non ai se o ai ma o ai forse.
    4.Ben Gurion aveva altre idee quando fondò lo stato d’Israele e pure Mertin Buber che prospettavano una civile convivenza con i palestinesi, sentendosi affini e non essendo dei fanatici religiosi.
    MarioB.

  9. Vorrei sottolineare e richiamare la vostra attenzione sul potere dei governi teocratici quali Israele è da sempre.
    é un discorso molto lungo ma forse affronta la parte piu’ sostanziale e atavica delle attuali idiosincrasie.
    Dovrei riportarvi i passi esatti di Spinoza nel trattato teologico politico dove appunto descrive profeticamente i limiti degli Ebrei nel trattare il potere temporale, riconducendolo tanto fedelmente alle sacre scritture.
    Pero’ per gli ebrei Spinoza è pur sempre un marrano, un eretico, per loro e per tutti…….

  10. Leggo articolo, commenti, risposte e l’unico scenario che mi ispirano è questo: fossimo in un recinto e invece della tastiera avessimo fra le mani un AK47, non tarderebbero a crearsi le fazioni e a partire le raffiche.

    Buon fine settimana. Trespolo.

  11. Galbiati, offeso e pacifista? Oppure solo offeso? Oppure solo pacifista? Oppure dà fastidio anche solo l’idea?

    Non è importante; vado a prepararmi la cena.

    Buona serata. Trespolo.

  12. @cf05103025
    [se il tono dev’essere questo]
    1. Hitler non ha mai scritto né parlato di sterminio. Hitler ha realizzato lo sterminio quando ne ebbe la possibilità.
    2. Già, però il congresso di Basilea – una sorta di costituente del sionismo – fu iniziativa sua.
    3. Anche io bado ai fatti compiuti: quello che Israele sta facendo da trentanove anni.
    4. Martin Buber ha perso nel sionismo, il suo pensiero non ha mai veramente contato nella politica sionista – non ha mai contato proprio perchè legato alla “spiritualità” del principio dialogico: Martin Buber arrivò a sostenere che l’identità ebraica non avesse bisogno di uno Stato [in proposito, Jeff Halper qui: http://www.tsd.unifi.it/jg/it/index.htm?surveys/palestin/halper.htm ]
    Ben Gurion può anche aver avuto altre idee (che non conosco), ma le idee da sole evidentemente non sono bastate.

    Vedi, non è un fatto di personaggi: ci sono dei personaggi e c’è anche una scena non isolata nel tempo e nello spazio. La dicotomia Hitler/Herzl mi è utile ad illustrare una questione, non è il fulcro del mio discorso, di quello iniziato nel post. Saremmo tutti costretti a cedere all’attesa del “condottiero” se qualsiasi evento fosse riconducibile a delle singole personalità.

    @trespolo
    se pensi questo, il mio è un fallimento. Perchè suscitare come reazione una chiosa così, come dire, “facile”, non può che indicarmi una bassissima qualità del dibattito. Allora ti dico un fatto: ho avuto a che fare con israeliani e palestinesi, sionisti e simpatizzanti di Hamas. Non credo di essere risultato così antipatico ad entrambi, di aver “desiderato il conflitto” con uno di loro. Ti dico questo per farti capire che il giochino del “fossimo” o del “se avessimo” resta un giochino retorico e mai niente di più, resta una tastiera e il monitor, il tempo a disposizione e il fatto che io stia parlando con qualcuno che si fa chiamare Trespolo. Non si può utilizzare sempre il valore assoluto sulle cose: ci sono dei personaggi e c’è anche una scena non isolata nel tempo e nello spazio. E in questa specifica scena in cui stiamo giocando, nessuno ha fra le mani un AK 47. E sono anche convinto che – fortunatamente o meno, a seconda dei punti di vista – mai lo avrà.

  13. @Diego, può essere anche retorica la mia, tutto può essere; così come può essere retorica la tua fotografia con i bimbi palestinesi (spero di aver indovinato la nazionalità). Potrei mostrarti fotografie mie provenienti da altre nazioni, ma simili nella sostanza: retorica. E non è solo nelle parole.

    La questione israeliana e palestinese non la discuto, non ho conoscenze sufficienti per farlo e non ho mai dedicato tempo sufficiente a capirla; ho una mia idea, imprecisa sicuramente, e me la tengo.
    Ciò non toglie che, leggendo i commenti all’articolo (non l’articolo in quanto tale e per questo mi scuso), quella che ho scritto è l’impressione che ne ho ricavato.
    Dici che non ci troveremo mai nella condizione di essere rinchiusi in un recinto con un AK 47? Spero sia sempre vero.

    Buona notte. Trespolo.

    PS: io non mi faccio chiamare Trespolo, mi chiamo Vincenzo Trespolo. Scherzi degli italici cognomi :-)

  14. @Diego, rileggo il tuo commento ultimo e trovo un passaggio talmente carico di retorica che, al confronto, la mia banale chiosa pare una pillolina per bambini dell’asilo: “Allora ti dico un fatto: ho avuto a che fare con israeliani e palestinesi, sionisti e simpatizzanti di Hamas. Non credo di essere risultato così antipatico ad entrambi, di aver “desiderato il conflitto” con uno di loro.”

    E cosa avrebbero dovuto temere? Che danno avresti potuto arrecare? Quale posizione strategica avevi? Quella dell’uomo ‘svizzero’?

    Vabbé, disputa inutile, concordo.

    Buona notte. Trespolo.

  15. @marco
    Veramente marco io vorrei far parlare te, e infatti ti ho chiesto un tuo giudizio morale sulle affermazioni di un comandante israeliano ma non hai risposto, così come non hai detto dove l’articolo ti pare fazioso, quali ragionamenti trovi lontano dal vero.
    Vorrei anche capire come giudichi, moralmente, la reazione di Israele alla rappresaglia degli Hetzbollah, dall’inizio fino alle posizioni di oggi.
    Hai scritto che “ha SOLO reagito”. SOLO? Puoi specificare cosa intendi per reagire? Puoi dire cosa avrebbe dovuto fare Israele per reagire in modo tale da passare dalla parte del torto? O ogni reazione è lecita quando si è attaccati?
    Per ora non hai risposto e hai dato dell’ipocrita un po’ a tutti, fino ad arrivare alle accuse di voler distruggere Israele.
    Siamo alle solite: chi non difende l’agire politico di Israele, per quanto illegittimo e criminale possa essere, vuole la sua distruzione. Manca l’accusa di antisemitismo, ma credo sia implicita quando si affermano cose del genere.
    Be’, la mia opinione è che proprio questo modo di fare (scrivere)rischia di favorire lo sviluppo dell’antisemitismo – non qui è chiaro, lo dico proiettando questa situazione nel mondo -, sia che venga proposto da un ebreo che da un goyim (termine che ho imparato leggendo Chaim Potok, uno dei miei autori preferiti) – e con questo non ho detto che l’antisemitismo non abbia radici storiche ben più profonde, meglio precisare, non si sa mai.

  16. @diego
    sto leggendo con più attenzione il pezzo di Achcar.

    @galbiati
    Fuorviante è l’aggettivo giusto. E’ proprio questo che mi interessa, lavorare sulle distorsioni linguistiche. E se questo ‘smontaggio’ e ‘rimontaggio’ è accompagnato da un po’ di ironia è meglio.

    Comunque, te la prendi (giustamente) quando provoco, ma non ho visto approfondimenti o commenti a quanto ho scritto sulle Shebaa Farms.
    Lì il discorso era diverso. Si trattava di spiegare, oltre alle solite colpe israeliane, le furbizie siro-libanesi. Ma chi si prende la briga di passare due o tre giorni in cerca di notizie? Le Shebaa Farms non fanno audience (né in tv, né alla radio, né sui giornali). Missili e morti sì.

    Quindi, a costo di sembrare ripetitivo, riporto quanto (già) scritto per definire il (mio) metodo: “….dovrebbe essere induttivo e non deduttivo. Qualsiasi piano di pace deve affrontare uno per volta i dati parziali (le Shebaa Farms), invece che ambire a una soluzione generale (il Golan). Un processo di analisi dal basso in alto che parte dalle ‘tracce’ delle esperienze locali e influenza l’azione politica più generale”.

    Ovviamente, resta il lato tragico (e ironico) di queste vicende.
    1) Ieri il direttore di Al Manar, la tv di Hezbollah, ha dichiarato al manifesto: “sappiamo che in Italia stampa e tv sono imbavagliate”. Stupefacente che ce lo venga a dire uno che lavora per creare un teocrazia islamista sulle ceneri di uno stato parlamentare e multiconfessionale. Ad ogni modo vorrei tranquillizzare il direttore di Al Manar. In Italia abbiamo le Sentinelle della Libertà. Gli “squadristi” alla Travaglio, per esempio, oppure le “gobettiane-guzzantiane” e i bellaciao santoriani (non lo dico io, lo dice Adriano Sofri. E spero che adesso non dirai che Sofri scrive certe cose perché vuole uno sconto di pena).

    2) Da ieri, in Iran, la pizza si chiama “pagnotta rigonfia”. In Italia, i pizzaioli sarebbero scesi in piazza con tassisti e farmacisti. In Iran non si può (scendere in piazza).

  17. @vincenzo
    “E cosa avrebbero dovuto temere? Che danno avresti potuto arrecare? Quale posizione strategica avevi? Quella dell’uomo ’svizzero’?”
    Prenderò ad esempio i bambini della foto che citi. Quella foto è stata scattata a Balata, il campo profughi di Nablus – una delle roccaforti delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa nella città. Le incursioni dell’IDF a Balata hanno cadenza giornaliera (o meglio, notturna). Per gli israeliani un posto come Balata, se fosse possibile, andrebbe raso al suolo così come fu fatto per il campo profughi di Jenin. Per gli abitanti di Balata gli israeliani indossano solo elmetti verdi, non sono mai “civili” poichè entrano solo se armati. Neanche gli abitanti di Nablus amano andare a Balata. Noi (io e altri tre ragazzi dello stage), approfittando di una giornata relativamente tranquilla, andammo alla ricerca della Tomba di Giuseppe (una delle ragazze studiava beni culturali o qlc. del genere e ci aveva chiesto di accompagnarla) che si trova lì.
    Adesso immaginati quattro bianchi occidentali, mai visti prima, privi di alcuna autorità, di qualsivoglia segno di riconoscimento, della minima conoscenza della lingua, senza una telecamera o qualcosa che sapesse di giornalistico, senza una “guida” autoctona, avventurarsi in un posto dove di solito l’unica cosa estranea che entra sono i proiettili degli M16, i lacrimogeni e le ruspe dell’esercito (e alcuni coloni pazzi che ogni tanto provano a “riappropriarsi” della tomba). Come minimo, a chi vive lì, sarebbe potuto venire il sospetto: chi eravamo? che danno potevamo arrecare? quale posizione strategica avevamo? Assolutamente nessuna posizione, nessuna intenzione: non costituivamo pericolo di nessun tipo – e i palestinesi di Balata sono in grado di valutarlo. Però dei bambini abituati dalle routine delle incursioni a difendersi lanciando pietre, come potevano interpretare il nostro rappresentare solo noi stessi e mai niente di più? Come potevano non temere una cosa del genere, abbastanza insolita? Ho chiesto loro (nello specifico a quello della foto) dove fosse la tomba e mi ci ha accompagnato – loro, che avrebbero avuto tutto il diritto di colpirci o comunque cacciarci in quanto corpo estraneo, ci hanno scortato festanti per le strade di Balata. Naturalmente esagero, anche perchè sapevamo che non poteva succederci niente (altrimenti non saremmo mai andati!) non è nel “costume” dei palestinesi. Noi, poi, non possiamo arrecare danno ma solamente vantaggio, e questo i palestinesi lo sanno benissimo: gli internazionali sono l’unico strumento a loro disposizione per fare uscire fuori delle informazioni non filtrate, il canale da cui il resto del mondo può essere informato sulla vita ai tempi dell’occupazione. Gli internazionali sono la busta da lettera delle richieste d’aiuto. Esiste e viene valutata, dunque, una “posizione strategica” – esiste sempre, e viene valutata in base al contesto reale.
    [ATTENZIONE!!! sta per seguire un mezzo chilo di retorica]
    Eppure mentre scrivo e mi ricordo di quei bambini, del loro aiuto e del loro entusiasmo, del fatto che con questi strumenti non posso render loro giustizia, del fatto che potrebbero anche aver fatto la stessa fine dei 27 di stanotte a Cana, veramente trovo che l’unica cosa sensata sia continuare a tenere una posizione ferma e di denuncia in una situazione che non si può permettere il lusso di nessuna “equivicinanza”. Scusatemi, ma io “sto” con i palestinesi.

  18. @Diego, con la frase finale hai tolto tutta la retorica precedente. L’ho già detto, non ho una conoscenza sufficiente per esprimere un’opinione sensata e quindi, purtroppo, mi limito a constatare, come nel caso di Cana, che la guerra è sempre e comunque un’atrocità.

    Ma pesare l’atrocità è sempre difficile.

    Buona giornata. Trespolo.

  19. Il tuo commento spiega il mio. L’hai letto come hai voluto. Hai scritto SOLO reagito come se fosse una mia opinione e non come il mio modo di dire che tutti, e sottolineo tutti, leggono come vogliono tutto quello che accade. Qualunque opinione avessi in merito e in qualunque forma la argomentassi gli ALTRI ci leggerebbero quello che è più comodo per loro al momento. Personalmente ritengo che la scelta sia di metodo. Se scelgo la reazione a qualsiasi attacco, terroristico, mediaco, sociale, culturale, religioso, non ne usciremo mai. A questo mi riferivo. Al fatto che il metodo resta, per tutti, l’annientamento, giustificato da ragioni religiose/storiche/sociali più o meno recenti. Ci sono gli israeliani, i palestinesi, gli americani che aiutano gli israeliani, gli arabi che aiutano i palestinesi. Avete la necessità di stare dalla parte di qualcuno, scusate, di qualcosa, di dare sfoggio di dialettica e conoscenza storica per trovare ragioni. Nessuno sa meglio di voi che: “se riesco a dirla bene riuscirò ad averne ragione” e uso averNE ragione non a caso. Vedi, potrei dire che “sto” con gli innocenti che sono vittime di tutto questo, ma non non rientro nei cliché qui attorno espressi.

  20. @diego
    Condivido quello che dice Achcar sull’ANP; sulla politica israeliana che ritarda la creazione di uno stato palestinese; sugli avvoltoi arabi che pascolano sulle disgrazie palestinesi; e pure sull’ipocrisia dell’industria dell’umanitarismo.

    D’ora in avanti farò più attenzione al “commento estemporaneo”, al “giudizio sarcastico frettoloso”, alla “generalizzazione saccente”. (Ma questa non ve la perdete: arrestato ubriaco al volante, venerdì scorso, l’attore e regista americano Mel Gibson ha dichiarato che “Gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre del mondo”).

    Achcar fa parte del blocco di teorici neomarxisti e radicali, da Chomsky al professor Zinn, passando per Terry Eagleton, che credono a uno “scontro di barbarie” (‘clash of barbarism’), a una guerra di fondamentalismi religiosi, per cui neoconservatori ebrei, evangelici americani, bin laden, hezbollah, hamas, pari sono. Questi intellettuali individuano la radice del problema (l’ideologia delle destre, anzi, della destra atlantica), ma non sono in grado di elaborare una teoria critica alternativa.

    Questa ‘mancanza’ di nuove proposte critico-teoriche, almeno in Occidente, impedisce il dialogo tra gruppi culturali (e ogni ‘gioco di posizione’ diplomatico, linguistico, eccetera) a favore dello scontro teorico, nel senso di una maggiore ‘vendibilità’ accademica, editoriale, del mio libro, della mia esperienza, piuttosto che la tua, della mia visione piuttosto che la tua, perché la mia è più ‘giusta’ della tua.

    Chi prova a sottrarsi dialetticamente a questo codice agonistico diventa subito un ‘intellettuale americanizzato’, come dice Achcar, oppure un ‘filo-terrorista’, come dice Frum.

    Achcar inizia il suo pezzo parlando della guerra libanese ma prosegue analizzando la questione palestinese. E’ un passaggio che avviene in modo quasi inavvertito, un modo di portare il lettore verso interpretazioni, dati, notizie, su cui evidentemente l’autore si sente più ‘sicuro’, più preparato, ma che a mio parere cozza con un metodo ‘induttivo’ di decifrazione della realtà.

    Non dico che Achcar generalizza, ma che collega evidenze che non sono tali. Ripeto, a mio parere ogni caso meriterebbe un’analisi e una interpretazione singolare, isolata e concordata. Da tante tracce a un “disegno”, se un disegno c’è.

  21. “Nell’assurdo teatro della guerra al terrorismo, è come se la mafia si fosse posta alla guida della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja” (Edward Herman, “The real terror network”, citato da P. Barnard nell’interessantissimo “Perché ci odiano”, BUR 2006, p. 17)

  22. Howard Zinn e Noam Chomsky, per quanto ne so io propongono l’abolizione della guerra.
    Abolire la guerra.
    Estendere l’art. 11 della Costituzione a tutte l’UE, rompere la NATO, disarmare gli eserciti nazionali, riformare l’ONU, istituire tribunali internazionali per i crimini di guerra, un corpo militare, uno di polizia e uno per la difesa popolare nonviolenta internazionali.
    Lo spirito con cui è nato l’ONU dopo la seconda guerra mondiale è stato sepolto. Bisogna dire no alla guerra, che ora come non mai è la prima scelta, non l’extrema ratio.
    Un no chiaro a ogni guerra, a ogni risposta armata che diventa aggressione, a ogni occupazione militare è l’unico modo per evitare il perpetuarsi dello scontro di barbarie.
    Anch’io sto con i palestinesi, ma solo perchè non hanno la terra e sono oppressi dall’occupazione militare israeliana. Non perchè sono palestinesi.
    E non giustifico in alcun modo nessun atto terroristico da loro compiuto, benché possa cmprenderne il motivo e possa considerare legittimo l’atto terroristico di un palestinese contro un militare israeliano che occupa la sua terra.
    Anch’io credo che il sionismo sia stato un disastro per arabi ebrei e tutti quanti ma non mi frega niente di essere “antisionista”: lo stato di Israele ora c’è, gli ebrei se lo sono conquistati con la forza – come spesso accade -e nessuno può più dire ora che non è loro, dato che ci abitano.
    Ma tutti, ebrei per primi, dovrebbero finirla col puntare il dito sui terroristi arabi, su iran siria libano e ammettere che da 40 anni persiste il crimine gravissimo dell’occupazione della Cisgiordania, contro ogni diritto e senso etico, e finchè Israele non lascerà quella terra ai palestinesi e non permetterà anche a loro di avere uno stato, finchè Israele non porrà fine a questo crimine non sarà nella posizione morale di accusare nessuno di volere la sua distruzione, dato che di fatto Israele impedisce allo stato palestinese di esistere, che è molto più grave di minacciare di distruzione (specie se con eserciti meno potenti).
    Non so voi, ma io non appartengo a nessuna parte, non ho alcun legame con ebrei, palestinesi, libanesi, arabi in genere ecc., e non mi interessano in modo particolare questi popoli. Prendo posizione unicamente perché mi interessano i conflitti e quello che avviene nella Terra santa dei tre monoteismi è da tempo un conflitto tra i più gravi e – pare – irrisolvibile del mondo. Prendo posizione perchè occorre dare giudizi etici su quello che sta succedendo e la verità, benché non stia mai al 100% da una parte, non sta mai neanche esattamente nel mezzo, con buona pace dei classici latini.

  23. Ho visto le foto della strage di Cana e probabilmente sarò retorica, ma dopo la terza non ce l’ho più fatta a guardare. E allora mi chiedo perché definire retorica l’empatia con le vittime? E mi chiedo come si può giustificare tutto quel massacro, come si può sostenere che la colpa è degli
    Hetzbollah che usano civili come scudi umani? Non è sostenibile. Nel delirio ossessivo di colpire il terrorismo si massacrano civili. Non è giustificabile. Altro che AK 47 dietro la tastiera.

  24. @gabriella

    Il ghigno serafico di un prete di Hezbollah, ieri sera, tra la folla che vegliava a Beirut. “Adesso i libanesi capiranno che stiamo combattendo per loro”, ha detto.

    Le immagini dei bambini, a differenza tua, le ho viste tutte, fino in fondo, una per una. E i miei amici mi dicevano, ma no, dai, cambia canale, che angoscia, vediamoci l’intervista a Sergio Rubini, vediamoci i filmissimi di Rete 4.

    Ho visto luridi fotografi che si avventavano su poveri corpi, braccia che stringevano figli gridando vendetta: “Bush, questa è la tua civiltà occidentale”, i flash, gli scatti, le telecamere che indugiavano sulla bocca piena di terra di ragazzini sepolti vivi.

    Ed è vero. Questo è il nostro occidente, la nostra cultura delle bombe e della morte (Lorenzo, credi forse che non abbia letto e ammirato Zinn? Ma non mi basta più Zinn).

    Mi chiedo però che cultura sia quella in cui le vittime, ‘gli scudi umani’, sono ritenute ‘sacrificabili’. Mi chiedo se quei bambini volessero davvero andarci, nel paradiso di Allah, come imposto da Hezbollah.

    Quando i cacciatori di teste quaidisti iniziarono a decapitare di qua e di là, mi ricordo che da tante parti, a sinistra come a destra, si disse: “censuriamo quelle immagini, sono troppo forti, insopportabili”. Forse conveniva mandarle in diretta, per ricordarci cosa significa disprezzare la vita, sacrificarsi in nome dell’aldilà.

    Guardiamo fino in fondo quelle immagini, Gabriella.
    Non dobbiamo avere paura del male.

    Che sia figlio di Davide o figlio di Allah,
    sempre figlio di puttana è.

  25. @roberto
    sei tanto attento, eppure forse t’è sfuggito qualcosa. Nel senso, non ho capito a quale “pezzo” di Achcar tu ti riferisca. La frase che apre il mio pezzo è tratta da un’intervista* ad Achcar, intervista in cui, per esempio, non si parla affatto di umanitario. Tra l’altro ho preso come spunto quella frase perchè mi serviva per introdurre e in qualche modo “autorizzare” quello che ho scritto – ma condivido pochissimo di quello che Achcar dice nell’intervista a Liberazione. Mi sa che ti sei confuso.
    Se quindi ho capito bene, le critiche che fai al “pezzo” di Achcar sono in realtà rivolte al pezzo mio.
    Fammi sapere se ho capito bene, e magari giramele direttamente quelle critiche.

    @Lorenzo Galbiati
    sono d’accordo con quello che scrivi nell’ultimo tuo commento; nel dire “sto” con i palestinesi volevo semplicemente sottolineare chi, tra le vittime, reputo più vittime. Non sono per una “guerra ad Israele”, se si è capito questo, addirittura non sono d’accordo neanche ad una (ridicola ma – a quanto dicono – più realistica) soluzione due popoli/due stati. Penso all’assimilazione dei palestinesi in Israele come l’unico futuro per la regione. Penso alla lotta dei palestinesi impostata sui temi e i modi della lotta all’apartheid sudafricana. Ma è una cosa che nessuno degli attori esterni vuole.

    *intervista apparsa su Liberazione e consultabile qui: http://www.zmag.org/Italy/achcar-doppioattaccoisraele.htm , come ho scritto in nota.

  26. Marco sembri uscito da una favola dei fratelli Grimm..
    I giudizi etici io li lascio fare a chi di competenza, a me interessano i fatti!

    Credo che pochi si rendano conto del valore che hanno questi topic e dell’occasione che offrono a chi voglia veramente farsi una idea di come stanno le cose in medio oriente..

    Mi pare che, al di là delle sterili discussioni su chi sia il buono e chi il cattivo, qui si stia parlando soprattutto di informazione manipolata.. e si sta anche (di)mostrando come “estrema destra” ed “estrema sinistra” in Italia ormai parlano la stessa lingua..

    Il vostro lavoro è così doppiamente utile.. bravi!

  27. Il pezzo pubblicato è di Diego Ianiro, nato come commento all’articolo di Andrea Inglese. La cosa è stata ora segnalata in modo più chiaro, dato che in prima stesura ciò non era immediatamente evidente.

  28. @Btzbea
    Sì certo, estrema destra ed estrema sinistra parlano la stessa lingua riguardo a Israele, come no, rossi e neri tutti uguali, ce li meritiamo i film di alberto sordi…

    @Roberto, estrema destra ed esterema sinistra parlano la stessa lingua – ma non è solo questioni di termini: intendo se hanno le stesse opinioni, la stessa modalità di approcio – a proposito di Israele e Palestina, tu che fai le analisi giornalistiche?
    Fiore come Ferrando?
    Chissà se stavolta avrò una risposta chiara.

    @diego
    non avevo dubbi sul fatto che il tuo “stare” con i palestinesi dipendesse dalla loro condizione di vittime. vedo poi che sei più idealista di me dato che speri ancora in uno stato unitario – e sapere che ci son persone come te mi dà piacere.

  29. @ roberto
    un po’ di tempo fa, qui su NI ci fu una bella discussione sull’assuefazione alle immagini con citazioni della Sontag ecc. il mio commento, se vuoi banalissimo, era dettato dalla stanchezza. Lo guardo il male, lo voglio guardare fini in fondo e non mi sento ancora assufatta, ma il dolore stanca e ci sono momenti in cui ti chiedi da spettatore dell’orrore cosa potresti fare per cambiare qualcosa e ti senti impotente e stanco e una certa amarezza ti pervade. Così. E allora lasci un piccolo commento per liberarti dalla sensazione di impotenza. Poi ti accorgi che non puoi liberarti.
    Adesso ti faccio una domanda un po’ stupida: ma se si sa che Hezbollah (in questo caso) utilizza “scudi umani” da un punto di vista strategicamente militare è inevitabile colpire? O potrebbe essere impedito?

  30. @Lorenzo

    Anch’io sto con i palestinesi, ma solo perchè non hanno la terra e sono oppressi dall’occupazione militare israeliana.

    E non giustifico in alcun modo nessun atto terroristico da loro compiuto, benché possa comprenderne il motivo e possa considerare legittimo l’atto terroristico di un palestinese contro un militare israeliano che occupa la sua terra.

    lo stato di Israele ora c’è, gli ebrei se lo sono conquistati con la forza – come spesso accade -e nessuno può più dire ora che non è loro, dato che ci abitano.
    Finchè Israele non lascerà quella terra ai palestinesi e non permetterà anche a loro di avere uno stato .. omissis… dato che di fatto Israele impedisce allo stato palestinese di esistere…

    Non so voi, ma io non appartengo a nessuna parte..

    Prendo posizione perchè occorre dare giudizi etici su quello che sta succedendo e la verità, benché non stia mai al 100% da una parte, non sta mai neanche esattamente nel mezzo, con buona pace dei classici latini

    ———————

    Ma come si fa, dico io, come si fa a risponderti???? ma te le hanno dette al catechismo tutte queste cose? o sono il frutto di tuoi accurati studi sull’argomento??

  31. @Btzabea
    hai mai provato ad andare a catechismo da adulto? se trovi uno (non per forza un prete) che lo conduce come si deve, potresti capire la differenza tra estrema destra ed estrema sinistra.
    ma prima comincia a dire chi sei, e poi se vuoi ti racconto la mia vita, le mie idee e i miei maestri spirituali, che per lo più non sono cattolici, e se lo sono, sono del dissenso.

  32. … se un poliziotto, un militare, chiunque (a maggior ragione..) sparasse contro una persona armata che si sta facendo scudo col corpo di un bambino.. e colpisce – uccidendolo – il bambino…(ma anche senza colpirlo) verrebbe immediatamente radiato. E considerato come un pazzo, uno scriteriato irresponsabile. Non ci passerebbe neppure per la testa che un tutore dell’ordine possa sparare, pur avendo come obiettivo un criminale, in mezzo alla folla, sulla metropolitana, nel giardino di un condominio o di un asilo. E’ semplice: anteponiamo la sacralità della vita di innocenti alla missione di repressione di un militare. Quello sarà anche un criminale, ma se è necessario sparare a duecento persone per fermarlo, il male minore è lasciarlo andare e provare a beccarlo in un’altra occasione. Tutto qui. Nessuno acceterebbe di vivere in un Paese (normale) dove la legislazione non prevedesse questo meccanismo di tutela della vita. POi, invece, mi tocca sentire le giustificazioni di questi pazzoidi di militari israeliani che dicono: “Embè… si proteggevano tra i civili: come potevamo colpirli altrimenti?”.
    Ma lassù non c’è proprio nessuno che possa far cadere una PIOGGIA DI SALE GROSSO…??!! ;(

  33. Gabriella la tua domanda non è stupida anzi, ma il problema riguarda entrambe le parti, ti chiedi perchè israele colpisca malgrado sappia che Ezbollah agisce in luoghi dove ci sono molti civili, lo stesso però dicasi degli ezbollah che lasciano andare dei disperati in fuga a trovar riparo in un palazzo che fino a un giorno prima era loro base di lancio per i missili, sapendo che Israele colpirà senza troppi complimenti.
    Se queste considerazioni sono vere lo sdegno e il dolore per la strage di Cana deve essere indirizzato anche all’esercito di dio che come saprai in libano ha anche funzioni, come dire, civili nei confronti della popolazione per cui resta difficile pensare che non riesca a indirizzare verso luoghi relativamente sicuri gli abitanti dei villaggi che scappano dalle bombe.
    Naturalmente tutto questo non riduce per nulla le responsabilità di Israele per questo attacco devastante e inutile
    rose

  34. @diego (dopo l’errata corrige)
    Secondo te, l’Arabia Saudita ‘direttamente’ o ‘indirettamente’ sosterrebbe gli Usa e Israele. Le grandi lobby petrolifere certamente. Ma i neoconservatori protagonisti del tuo pezzo sono convinti del contrario (dire neocon, infatti, non significa dire ‘quelli che comandano alla Casa Bianca’).

    Per un tipo come Frum, i sauditi recitano la parte del poliziotto buono al vertice di Roma, ma sottobanco finanziano Al Quaida (ci sono prove di tutti i tipi). I principi di Riad, secondo lui, sono alla radice di tutti i mali del medioriente. Una monarchia che si dà alle allegre scopate in privato mentre impone l’integralismo e la segregazione sessuale in pubblico.

    L’America è stata succube del petrolio saudita per troppo tempo, secondo Frum. Come in Iraq, quelle ricchezze devono essere ‘nazionalizzate’ (vedi: multinazionalizzate) e messe nelle mani di un governo che le usi per costruire uno stato ‘democratico’, al posto di ingrassare qualche tiranno.
    Il piano è di dividere l’Arabia Saudita. Togliere ai re della costa occidentale i pozzi dell’Arabia orientale.

    Nella visione di Frum non esistono principi arabi illuminati come quelli di “Siryana”. I principi non possono essere democratici.

    @sempre diego
    “Due generazioni (di israeliani, nda) completamente militarizzate e plagiate da un ‘paradigma della difesa’ che sarà impossibile sradicare”.

    Qualche anno fa ero in viaggio a Ikaria, un’isola greca a una manciata di miglia dalla Turchia. Ero lì con un manipolo di compagni milanesi, eravamo in vacanza, sole, spiaggia, bagni, ‘sta roba qua.

    Un giorno arrivano quattro giovani israeliani, due coppie che avevano deciso di fermarsi sull’isola prima di proseguire per un altro scoglio dove, a quanto pare, si sarebbe svolto un rave.

    I miei compagni di viaggio italiani naturalmente si tengono a rispettosa distanza perché non si parla con gli israeliani. Io da perfetto filisteo ci passo il pomeriggio. Certo, i quattro raccontano di quando, coscritti, sono stati ‘costretti’ a imbracciare il fucile per svolgere il loro compito di presidio e di ‘difesa’ del territorio. Ma nessuno di loro mi sembra particolarmente felice di farlo. Insomma, non mi sembrano vittime di una sorta di lavaggio del cervello. Non vogliono sterminare nessuno.

    Abbiamo parlato della pizzeria di uno, di quanto si sarebbero spaccati al rave del giorno successivo, o delle volte che erano stati in Italia e se vieni a Tel Aviv passa a trovarci.

    Uno di loro, l’unico, parlava di etica della diserzione. Uno su quattro mi sembra un buona proporzione.

    @galbiati
    naturalmente, se sono maestri cattolici, devono essere per forza maestri del dissenso.
    Fiore e Ferrando pari sono? Non sono io che sto dalla parte di Hezbollah. Sono loro. A proposito, li uniscono anche delle fiere battaglie di politica interna. Per esempio la difesa dei compagni della corporazione tassinara.

  35. @Diego
    Scusa Diego ma secondo me -più che scomodare spettri di ipotetiche alleanze- sono gli arabi a non potersi permettere l’esistenza di uno stato di Israele stabile: è immaginabile uno stato democratico e liberale su modello occidentale nel cuore del fondamentalismo islamico? A me sembra che dal 47 in poi, sono stati sempre gli “amici” arabi (primi fra tutti Siria ed Egitto) in un modo o nell’altro ad impedire che i Palestinesi costituissero uno stato indipendente. Mantenere l’instabilità, mantenere questo conflitto, conviene solo ai fondamentalisti per i quali la parola d’ordine è, e sempre sarà, fuori l’infedele, distruggiamo Israele, l’avamposto occidentale… non americano, occidentale!
    Per quanto riguarda lo “sfruttamento delle risorse dell’area” (senza sognarmi di negare il punto 9 come fa il Prof. Chomsky) posso sapere quali sarebbero queste risorse tanto preziose che ha Israele? Sempre riguardo 9), non so se gli stati uniti hanno grossi interessi a sfruttare le acque del Giordano.. Israele di sicuro si..

    Invece a proposito di risorse e necessità mi pare che qui nessuno abbia messo abbastanza in evidenza come i conflitti che hanno interessato Israele, fin dagli insediamenti dei primi kibbutz, siano state guerre per l’acqua..

    @Lorenzo, piacere sono Betsabea moglie di Uria l’Ittita.. veramente a me il catechismo me l’ha fatto Sergio Quinzio, comunque delle tue idee e della tua vita non me ne importa proprio niente, casomai parlami dell’acqua
    grazie.

  36. @roberto
    cioè, se io rispondo a un anonimo dicendo che alcuni tra i miei maestri sono cattolici del dissenso tu commenti dicendo:
    “naturalmente, se sono maestri cattolici, DEVONO ESSERE PER FORZA maestri del dissenso.”
    Ma è questo il tuo modo di fare? Ti piace fare incazzare le persone facendo commenti a sproposito?
    Be’, ti comunico che ne ho le palle piene, prendi di mira altri, grazie, se il tuo spitrito attaccabrighe non ne può fare a meno.
    Anche perchè le tue analisi non mi interessano più, ora che ho visto che si propongono di raggiungere i brillanti obiettivi di mettere sullo stesso piano Ferrando e Fiore, metodo induttivo o no – del resto, usare il metodo induttivo senza fare distinguo, com’è risaputo, porta a dei mostri, e da scienziato un poco so di che sto parlando.

    @Btzabea
    A te, come del resto a tutti gli anonimi, non ho molto da dire. Al massimo potrebbe interessarmi vedere come argomenti la tua equiparazione tra estrema destra e estrema sinistra, ma visti i tuoi commenti credo che non abbiamo un senso etico con un minimo in comune per poter intenderci.

  37. … ma chi l’ha detto che Israele è un avamposto occidentale..?.. basta con questi stereotipi. Perché sarebbe occidentale? Perché ha le elezioni? (le hanno anche Paesi musulmani). Perché hanno uno stile di vita laico? (ce l’hanno, spesso di più, anche altri Paesi musulmani). Perché è ricco eha i grattacieli e grandi università? (non avete gli Emirati, l’Egitto, il Marocco…). Io so soltanto che c’è un avamposto occidentale (mi viene da ridere…) che: non ha una costituzione; conserva nel suo diritto – peraltro emanazione della Torah – cosucce molto occidentali e moderne come la separazione etnica; ha bellamente snobbato una trentina di risoluzioni Onu; possiede armi chimiche, batteriologiche e atomiche che NON dovrebbe possedere (ma nessuno ha il coraggio di minaccare embarghi per questo); definisce il proprio status con un carattere religioso (Stato ‘ebraico’).
    Quando troverete un Paese occidentale (mettiamo… nell’Europa Unita) che corrisponde a questa descrizione… considererò Israele un avamposto occidentale.
    Ma, dato che non esiste e non esisterà mai un Paese del genere in Occidente, forse è il caso di cominciare a capire che Israele è tutto fuorché un Paese occidentale.
    Non ha NIENTE di occidentale. La sua natura, la genesi, i principi, le radici, l’architettura dello Stato, del Diritto, sono lontani anni luce dalle forme contemporanee occidentali.
    O no…?….

  38. @Marco V: non puoi confondere polizia e militari. Le logiche sono diverse. La polizia deve tutelare il cittadino e opera in periodo di pace, i militari devono eliminare i terroristi costi quel che costi e operano in periodo di guerra. Le eventuali vittime sono ‘effetti collaterali’ da gestire.
    Brutto a dirsi, ma è così. E’ uno dei motivi per cui, a fronte di rapiti ‘importanti’ da liberare, si cerca di evitare quasi sempre l’utilizzo delle squadre speciali: non avranno MAI l’obiettivo di liberare l’ostaggio, ma quello di eliminare i rapitori. Se poi riescono pure a liberare l’ostaggio (vivo) direi che è quasi un caso…
    Questa separazione, polizia per il tempo di pace e militari per il tempo di guerra è fondamentale: tranne che nei governi assolutisti questa separazione è netta e i poliziotti non sono mai militari.
    Noi in Italia abbiamo un’eccezione: i Carabinieri. Siamo, se non ricordo male, l’unico paese occidentale ad avere un corpo militare che controlla il territorio anche in tempo di pace.

    Sia chiaro, non voglio giustificare il bombardamento di Cana, ci mancherebbe, ma, purtroppo, le logiche sono diverse, non confrontabili e sono differenze da considerare quando si parla di guerra.

    Buona serata. Trespolo.

  39. Essendo una che se Hitler avesse finito il suo lavoro non sarebbe nata, volevo solo comunicarvi che molti dei vostri commenti rivegliano orribili fantasmi, fanno male. Male che si aggiunge alla disperazione che mi suscita questa guerra.
    Per il momento non riesco a dire altro.

  40. @ Trespolo

    Se fosse soltanto come dici tu, non esisterebbe la condizione di ‘criminale di guerra’.
    Ci sono ‘crimini’ anche in guerra oltre alle violenze inevitabili. Ripeto: quella della separazione tra polizia e militari è un sofisma: esistono convenzioni che parlano del trattamento dei prigionieri (?!) e invece radere al suolo un palazzo con 37 bambini dentro è soltanto guerra?… ma per piacere..!! Ma a chi la raccontiamo una cosa del genere..?!..è una balla gigantesca che in guerra ci si possa permettere tutto. Sono 60 anni che gli organismi internazionali (governativi e non) lavorano per codificare il contrario (dalla seconda guerra mondiale in poi, ma basti pensare ai Balcani). Se poi fa comodo dimenticarlo, oppure Israele scomoda ‘fantasmi’ orribili – che sanno adoperare molto bene e con cinismo senza pari – è un altro conto. Tuttavia mi pare chiaro, ormai, a tutti: quel famoso sondaggio di tre anni fa al Parlamento Europeo nel quale emerse che più del 60% dei parlamentari considerava Israele un Paese “pericolo per la pace nel mondo” era SACROSANTO. Venne attaccato, ci furono scuse ufficiali… qualcuno ci scrisse anche qualche libro (Paolo Mieli tra questi, con la tesi – originale.. – del ritorno dell’antisemitismo). Ricordo molto bene che leggevo i giornali e pensavo tra me e me: “Questi non hanno il coraggio di dire che i poveri parlamentari hanno assolutamente ragione, e semplicemente non si sono fatti trascinare dai pregiudizi giudicando oggettivamente (come si dovrebbe fare in un sondaggio serio)”. Preferirono correre ai ripari per evitare crisi diplomatiche e isterismi vari. Una delle tante occasioni perdute per affrontare la realtà, e piantarla di frapporre l’Olocausto – che c’entra come i cavoli a merenda – con la crisi mediorientale.
    Non c’è niente da fare: se non tirano fuori Hitler non li difende nessuno.
    Messi bene…e chiedersi come si è arrivati a questo punto..?..

  41. … per chiarire una volta pe tutte (prima che qualcuno mi dia dell’antisemita): qui nessuno sta con nessuno. Israele e palestinesi sono ugualmente vittime e carnefici. Però, Israele è ricco, è potente, è sostenuto da molte democrazie. E’ uno Stato con stabili relazioni diplomatiche. E, visto che ci tengono tanto, il suo carattere ‘ebraico’ pone l’accento sulle sofferenze del suo popolo, incredibilmente simili a quelle subite – e sfido chiunque ad affermare il contrario – dai palestinesi (non mi riferisco all’Olocausto, ovvio, bensì ai rastrellamenti, alla ghettizzazione). Ma come si fa a non avercela PARTICOLARMENTE con Israele? E’ come prendersela maggiormente con il figlio più intelligente (proprio perché più intelligente) quando commette una sciocchezza.
    Avere un certo tipo di storia alla spalle non può essere soltanto una scusante, la panacea ad ogni critica, ma anche una responsabilità. Si deve sentire la responsabilità di essere interpreti di un progetto come Israele.
    Mi diispiace dirlo, ma mi sembra che ormai sia una delle ultime ‘utopie necessarie’ (cito Steiner) ereditate dal ‘900. Inutile aggiungere come sono finite le altre… guai alle utopie quando sono necessarie, guai alla sopravvivenza di idee (Israele è una idea: come è nata può anche sparire: il popolo ebraico è un’altra cosa) contro ogni altra, contro la vita, il diritto degli altri. Sono crollati sistemi giganteschi, più potenti e arroganti. Sono caduti muri più alti.
    Se Israele non cambia prospettiva, è solo questione di tempo.

  42. @ marco
    Israele NON PUO’ cambiare prospettiva, ormai.
    La strada imboccata nel ’47 l’ha portata a tutto questo.
    Esistono anche responsabilità molto grosse da parte araba, soprattutto di quei regimi che sventolarono la bandiera anti-israeliana a fini di consenso interno, come l’Egitto di Nasser, la Siria di Hassad, eccetera: invece di lavorare per la pace fomentavano – e alcuni tuttora fomentano – l’odio.
    Sembra che ancora oggi, se un regime più o meno musulmano vuole acquisire uno status di stato-guida nell’area, deve innanzi tutto prendere la testa dell’essere-contro-Israele: l’Iran lo sta facendo da qualche tempo.
    La posta in gioco è molto alta.
    Essere egemoni nel Medio Oriente significa controllare le fonti principali di energia del pianeta.
    Nei prossimi decenni vedremo come andrà a finire la partita delle risorse.
    Israele è parte integrante di questa partita.

    Inutile stare a disquisire su cosa sia lecito o no in guerra, inutile affannarsi per un cessate il fuoco che lascerebbe immutati i rapporti di forza e che si trasformerebbe in una vittoria di Hezbollah: si stanno liberando le tensioni accumulate tra Israele e il sud del Libano e, indirettamente, si sta saggiando fin dove può arrivare l’appoggio Siriano e Iraniano ad Hezbollah.
    Questa guerra è conoscitiva per tutti, anche per noi.
    Israele vuole far fuori chi le butta missili sulla testa e sta prendendo le misure a chi può farlo o potrà farlo in futuro.
    Inutile illudersi che possa fare una politica diversa, perché ciò non è più possibile almeno dall’ultimo tentativo di Isaac Rabin.
    Israele non intende mollare e se dovrà soccombere lo farà trascinando con sé non solo gran parte del Medio Oriente, ma anche l’Occidente.

    Anche se rivendico il diritto di ciascuno di noi a criticare la politica di Israele senza per questo essere accusato di anti-semitismo, tuttavia riconosco che il rischio antisemitismo esiste, eccome.
    Che è come dire, per chi se lo fosse dimenticato, che la barbarie è sempre lì in agguato e chi la vuole vedere la vede.
    Domenica ascoltavo un gruppo di sub-trentenni “de sinistra” – tutti più o meno formatisi nei centri sociali metropolitani – discutere della questione: non riuscivano a tenere a freno un impulso anti-semita di fondo che probabilmente ha origine altrove che nel conflitto in atto.
    Non riuscivano a distinguere, a capire, non riconoscevano in se stessi l’esistenza di un rischio di barbarie.

    Chi scrive viene spesso travolto dall’ira contro Israele: occorre tenerla a freno, possibilmente eliminarla in quanto non-ragionevole: inutile mettersi ad odiare per appoggiare chi odia.
    Essere di sinistra è innanzi tutto un’opzione basica contro la barbarie: occorre saper accettare i dati e le risultanze della Storia e ripartire da quelle.
    Per quanto le sue origini siano discutibili e per quanto abbia fatto e stia facendo una politica odiosa nei confronti del popolo palestinese, Israele è ormai una realtà che ha diritto a vivere.
    Per quanto sia comprensibile l’opzione terrorista per chi vive da sessant’anni da profugo sulla propria terra, tuttavia non si può stare dalla parte del terrorismo: l’opzione anti-barbarie lo vieta.
    Ogni giudizio politico sulla questione, che rifiuti di considerarne in primo luogo la complessità, è inutile e pericoloso, perché in definitiva fomenta la barbarie e il primo segno della barbarie, ormai lo sappiamo, è già da tempo alle viste: il razzismo.
    Eccetera.

  43. @zinedinezidani
    Secondo il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy, l’Iran è “un grande paese” che nell’area mediorientale svolge un insostituibile “ruolo di stabilizzazione”. Come Saddam Hussein, no? I nostri amici arabi. In Italia, l’ENI ringrazia quel fior di liberator di nome Napoleon.

    @helena
    Nel frattempo, tanto per far sganasciare i nostri cultori dello “stato artificiale”, riporto la copertina di un giornale satirico che piace tanto ai fiorentini declamatori di Dante:
    La prima pagina del “Vernacoliere”:
    “ISRAELE NON RISPARMIA SULLE BOMBE
    E CHE EBREI SONO?”
    http://www.ilvernacoliere.com/

    @ggiornamenti/1
    Adriano Sofri: “Senza il sostegno (fino a quando?) degli Stati Uniti, se Israele subisse un attacco teso a distruggerla e a buttarla a mare, l’Europa metterebbe tutt’al più a disposizione qualche nave per caricare i superstiti, già qualcosa di più rispetto all’altra volta”.

    @ggiornamenti
    Ieri rileggevo la postfazione a Orientalismo di Said. Il professore sottolineava l’importanza della rivoluzione khomeinista del ’79, uno degli eventi che – secondo lui – meritavano di essere approfonditi anche per rimettere in discussione le tesi che lui stesso aveva esposto in precedenza (e per impedire che i fondamentalisti islamici se ne impossessassero per legittimare le loro tesi).

    Ebbene, ricordiamo che uso fu fatto dei bambini dall’Ayatollah Khomeini nella guerra contro Saddam: mandati in avanscoperta in Iran, per saltare in aria sulle mine. La stessa tecnica kamikaze esaltata dall’ANP (Ayyat al Akhras), da Hamas, da Hezbollah, dai terroristi ceceni (vedi: Beslan). Insomma, da tutti quelli che sono assai contenti di sacrificare inermi e innocenti, perché – nelle parole della Suprema Guida iraniana: “Morire non significa annullarsi, ma vivere”.
    http://www.israel-wat.com/q6_eng.htm
    http://www.pmw.org.il/PMW%20Bulletins%202003%20French%20set2.htm

    Guardando i volti dei poveri superstiti di Cana, non mi sembra che fossero poi così contenti di aver donato i loro figli al Profeta. Certo, ora l’odio è rivolto tutto verso i missili israeliani. Ed è giusto che sia così. Deve essere così. Vedremo presto se l’inchiesta ordinata dal governo Olmert sarà una farsa oppure no. Ma vedremo anche se, tra qualche anno, tornando sulle tombe di chi è morto, i cittadini libanesi che oggi gridano “Grazie Hezbollah” saranno ancora della stessa idea.

    Sulle cose indecenti che scrive il manifesto di oggi (sottoscrizione a quota 1.253.628 euro), a proposito di Hezbollah, ne parliamo oggi pomeriggio.

    Buona giornata
    senza cacciabombardieri
    e katyuscia sulla testa

  44. @zinedinezidani
    Secondo il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy, l’Iran è “un grande paese” che nell’area mediorientale svolge un insostituibile “ruolo di stabilizzazione”. Come Saddam Hussein, no? I nostri amici arabi. In Italia, l’ENI ringrazia quel fior di liberator di nome Napoleon.

    @helena
    Nel frattempo, tanto per far sganasciare i nostri cultori dello “stato artificiale”, riporto la copertina di un giornale satirico che piace tanto ai fiorentini declamatori di Dante:
    La prima pagina del “Vernacoliere”:
    “ISRAELE NON RISPARMIA SULLE BOMBE
    E CHE EBREI SONO?”
    http://www.ilvernacoliere.com/

    @ggiornamenti/1
    Adriano Sofri: “Senza il sostegno (fino a quando?) degli Stati Uniti, se Israele subisse un attacco teso a distruggerla e a buttarla a mare, l’Europa metterebbe tutt’al più a disposizione qualche nave per caricare i superstiti, già qualcosa di più rispetto all’altra volta”.

    @ggiornamenti
    Ieri rileggevo la postfazione a Orientalismo di Said. Il professore sottolineava l’importanza della rivoluzione khomeinista del ’79, uno degli eventi che – secondo lui – meritavano di essere approfonditi anche per rimettere in discussione le tesi che lui stesso aveva esposto in precedenza (e per impedire che i fondamentalisti islamici se ne impossessassero per legittimare le loro tesi).

    Ebbene, ricordiamo che uso fu fatto dei bambini dall’Ayatollah Khomeini nella guerra contro Saddam: mandati in avanscoperta in Iran, per saltare in aria sulle mine. La stessa tecnica kamikaze esaltata dall’ANP (Ayyat al Akhras), da Hamas, da Hezbollah, dai terroristi ceceni (vedi: Beslan). Insomma, da tutti quelli che sono assai contenti di sacrificare inermi e innocenti, perché – nelle parole della Suprema Guida iraniana: “Morire non significa annullarsi, ma vivere”.
    http://www.israel-wat.com/q6_eng.htm
    http://www.pmw.org.il/PMW%20Bulletins%202003%20French%20set2.htm

    Guardando i volti dei poveri superstiti di Cana, non mi sembra che fossero poi così contenti di aver donato i loro figli al Profeta. Certo, ora l’odio è rivolto tutto verso i missili israeliani. Ed è giusto che sia così. Deve essere così. Vedremo presto se l’inchiesta ordinata dal governo Olmert sarà una farsa oppure no. Ma vedremo anche se, tra qualche anno, tornando sulle tombe di chi è morto, i cittadini libanesi che oggi gridano “Grazie Hezbollah” saranno ancora della stessa idea.

    Buona giornata
    senza cacciabombardieri
    e katyuscia sulla testa

  45. Marco quello che scrivi e’ veramente pazzesco! Tu stai scrivendo Occidentale = Buono!
    Guarda che una cosa e’ non giustificare le decisioni di un governo (ti assicuro che neanche io le giustifico), un’altra e’ quello che fai tu quando parli di Israele: alla faccia del non sono antisemita, tu attacchi l’ebraismo nella sua essenza!!
    Comunque, giusto perche’ purtroppo ho poco tempo stamattina, in barba alla dichiarazione congiunta del 2003 sulla non proliferazione delle WMD: USA, Francia e Inghilterra posseggono sia armi di distruzione di massa che armi chimiche. Quindi secondo i tuoi parametri queste nazioni non sono da considerare occidentali?
    Senti, ma tu ci sei mai stato nella “idea” di Israele? E dimmi sei mai stato in un paese veramente musulmano (di quelli che tu definisci occidentali)? E che giri hai fatto, dall’aeroporto al Mac Donald?
    Ripeto la banale affermazione (per te cosi scandalosa) che per i fondamentalisti islamici l’esistenza di Israele e’ inammissibile.

    …sempre le stesse sterili discussioni, cose fritte e rifritte, uguali dai tempi dell’intifada (facevi le elementari ma forse ti ricordi..).
    Basta, torno nel mio beneamato anonimato ad ascoltare, in attesa di qualche input interessante che per fortuna spunta ogni tanto…

  46. @zinedinezidani
    Secondo il ministro degli esteri francese Philippe Douste-Blazy, l’Iran è “un grande paese” che nell’area mediorientale svolge un insostituibile “ruolo di stabilizzazione”. Come Saddam Hussein, no? I nostri amici arabi. In Italia, l’ENI ringrazia quel fior di liberator di nome Napoleon.

    @helena
    Nel frattempo, tanto per far sganasciare i nostri cultori dello “stato artificiale”, riporto la copertina di un giornale satirico che piace tanto ai fiorentini declamatori di Dante:
    La prima pagina del “Vernacoliere”:
    “ISRAELE NON RISPARMIA SULLE BOMBE
    E CHE EBREI SONO?”
    http://www.ilvernacoliere.com/

    @ggiornamenti/1
    Adriano Sofri: “Senza il sostegno (fino a quando?) degli Stati Uniti, se Israele subisse un attacco teso a distruggerla e a buttarla a mare, l’Europa metterebbe tutt’al più a disposizione qualche nave per caricare i superstiti, già qualcosa di più rispetto all’altra volta”.

    @ggiornamenti
    Ieri rileggevo la postfazione a Orientalismo di Said. Il professore sottolineava l’importanza della rivoluzione khomeinista del ’79, uno degli eventi che – secondo lui – meritavano di essere approfonditi anche per rimettere in discussione le tesi che lui stesso aveva esposto in precedenza (e per impedire che i fondamentalisti islamici se ne impossessassero per legittimare le loro tesi).

    Ebbene, ricordiamo che uso fu fatto dei bambini dall’Ayatollah Khomeini nella guerra contro Saddam: mandati in avanscoperta in Iran, per saltare in aria sulle mine. La stessa tecnica kamikaze esaltata dall’ANP (Ayyat al Akhras), da Hamas, da Hezbollah, dai terroristi ceceni (vedi: Beslan). Insomma, da tutti quelli che sono assai contenti di sacrificare inermi e innocenti, perché – nelle parole della Suprema Guida iraniana: “Morire non significa annullarsi, ma vivere”.

    Guardando i volti dei poveri superstiti di Cana, non mi sembra che fossero poi così contenti di aver donato i loro figli al Profeta. Certo, ora l’odio è rivolto tutto verso i missili israeliani. Ed è giusto che sia così. Deve essere così. Vedremo presto se l’inchiesta ordinata dal governo Olmert sarà una farsa oppure no. Ma vedremo anche se, tra qualche anno, tornando sulle tombe di chi è morto, i cittadini libanesi che oggi gridano “Grazie Hezbollah” saranno ancora della stessa idea.

    Sulle cose indecenti che scrive il manifesto di oggi (sottoscrizione a quota 1.253.628 euro), a proposito di Hezbollah, ne parliamo oggi pomeriggio.

    Buona giornata
    senza cacciabombardieri
    e katyuscia sulla testa

  47. … niente da fare: ci rinuncio. Se parlo male di Israele, se lo critico – e chi si sogna di negare quanto dici, Tashtego? Controfirmo tutto – sono dalla parte dei terroristi.
    Ma sì, continuiamo così: facciamoci del male.
    A molti interessa soltanto di rappresentare un atteggiamento politicamente corretto, complesso, raffinato, multilaterale, nei confronti di questo conflitto. Mi chiedo se davvero questi sfiancanti esercizi di spaccamento del capello in quattro siano la risultante di un autentico rispetto per Israele. O invece non siano solo quel che è più ‘cool’. Altro che sub-trentenni de sinistra….!
    Ve lo dico come finirà: dieci, vent’anni… quando Cina, Russia e India saranno enormemente più imperanti degli Usa e dell’Europa. E’ il tempo che rimane ad Israele. Se lo godano (continuando ad ammazzare a caso) tanto quando non ci sarà più non mancherà a nessuno.
    Beh, tranne che alle prefiche – di sinistra, of course, ma non solo – che piangeranno il triste destino del popolo ebraico lungo i millenni. Collegando l’Olocausto con la distruzione di Israele e quella del tempio nel 70 D.C. … e chissà quante belle parole e quanto battere sul petto.
    Ma non gliene fregherà a nessuno.
    Invece a me, guarda caso, frega moltissimo, e sono molto preoccupato per Israele. Perché è circondato da troppi ‘amici del giaguaro’: ti dicono poverino, e intanto ti rovinano. Chi gli dice NO! ad Israele? Chi gli dice BASTA! Chi gli dice CAMBIA? Nessuno…
    E perché mai dovrebbe cavarsela..?..quando ci si comporta così coi figli, di solito, non combinano granché e danno solo preoccupazioni.

  48. @marco
    apprezzo il tuo desiderio di cambiamento.
    Non sei l’unico qui che si batte per il “dissenso”.
    Ma non vedo idee o analisi, a differenza di Tash
    (che tu hai liquidato come se niente fosse).

    A meno che non ritieni un’analisi questa:
    “Ve lo dico come finirà: dieci, vent’anni… quando Cina, Russia e India saranno enormemente più imperanti degli Usa e dell’Europa. E’ il tempo che rimane ad Israele. Se lo godano (continuando ad ammazzare a caso) tanto quando non ci sarà più non mancherà a nessuno”.

    @per gli amanti della cospirazione:
    http://tonibaruch.blogspot.com/2006/07/diario-di-guerra-giorno-20.html
    (un noto video prefabbricato dallo shin-bet per
    inquinare la pulizia morale dell’Hezbollah).

  49. … ah, bè, non sarà un’analisi raffinata…. e poi magari finisce proprio così.
    Tashtego non l’ho liquidato: ho detto che sono d’accordo con quanto ha scritto. Magari sono meno preoccupato delle barbarie antisemite che covano dentro di noi. Si può dire che non c’erano nemmeno al tempo delle Leggi razziali: tanto gravi quanto lontane dalle convinzioni degli italiani all’epoca. Infatti, al contrario della Germania, nel nostro Paese vivaddio si moltiplicarono i casi di solidarietà – anche a rischio della vita – agli ebrei a rischio di deportazione.
    Figurarsi oggi che barbarie e antisemitismo covi dentro di noi…!
    Mi sembra un pericolo lontanissimo, tutto teorico.
    Concreto è quello che sta accadendo. Dove Israele non è l’agnello. E lo sarà (diventerà) soltanto se e quando sarà sconfitto.
    Non vedi idee? Non vedi analisi?
    E chi ce ne ha più di idee e analisi dopo tutto quel che si è detto e scritto, e letto e visto? Mi pare però che non si sia andati molto avanti…
    La visione che più si avvicina alla mia sensibilità, è quella che avverte come israeliani e palestinesi siano ostaggi gli uni degli altri. Per ragioni di opportunità politiche e cinismo.
    Io, comunque, non mi sono neppure di dire “sto con…”. Cosa volete che vi dica? Lo trovo volgare.

  50. Nel caso non si fosse capito, non avevo alcuna intenzione di esprimere accuse implicite e/o ricattatorie. Non mi interessa distribuire bollini di “antisemita”, sport che lascio volentieri a chi vuole troncare discussioni (a parte che uno può esprimere una frase antisemita senza esserlo). Ma credo, come dice Tash, che ci siano due ragioni fondamentali per sorvegliare quel tipo di sostrato.
    Una è che anch’io credo che chi vuole difendere un’orizzonte di civiltà condivisa dagli uomini, deve collegare la passione con la ragione (in molte opinioni della cosidetta sinistra moderata lette in questi giorni trovo poco ragionamento e ancor meno passione, cosa che mi pare altrettanto insultante per chi sta crepando sotto le bombe).
    L’altro è che l’aumento e il parziale “sdoganamento” dell’antisemitismo fa esattamente il gioco di una politica della forza paranoide e potenzialmente suicida come quella che stiamo vedendo ora. E di una società troppo sfinita e spaventata e priva di speranze e visioni, da non riuscire ad opporsi.
    Non lasciate che negli israeliani e negli ebrei della diaspora cresca ancora di più il sentimento che “bisogna difendersi” perché – dall’presidente dell’Iran, ai media arabi, al ragazzino della porta accanto- “tutti ci odiano in ogni caso”.
    Vi consiglierei un po’ di empatia anche per il popolo di Israele (in senso largo e stretto), anche solo nella misura uno a dieci che corrisponde (boh, non ho fatto la conta esatta) alla misura delle sue vittime.

  51. il mio (probabilmente banale e scontato) punto di partenza è che ci sono persone (civili) che muoiono.
    Non ho le conoscenze di storia adatte a ricostruire quanto ha portato alla situazione attuale, ma soprattutto mi chiedo se ne vale la pena.
    La domanda che prima di tutte mi viene è: non dovrebbero avere diritto tutti ad un loro stato sovrano (israele, libano, palestina)?
    Andrea

  52. @marco
    “Infatti, al contrario della Germania, nel nostro Paese vivaddio si moltiplicarono i casi di solidarietà – anche a rischio della vita – agli ebrei a rischio di deportazione.”
    Ecco, qui ti volevo.
    Per quanto ci sforziamo di narrarci, noi italiani, come non razzisti et pacifisti e sostanzialmente brava gente e Non-Come-I-Tedeschi, tuttavia la verità storica è un’altra e dice che nel nostro Paese furono emanate leggi razziali con l’intento di perseguitare gli ebrei e dice che il nostro Paese partecipò attivamente al programma di sterminio degli ebrei messo in piedi dai nazisti.
    Che poi vi siano state molte persone che agirono in senso contrario è vero, ma non sposta di una virgola la gravità dei fatti.
    E se devo essere esplicito, allora dico che ne ho le palle piene del nazionalismo buonista del quale ancora abbiamo il vezzo di ammantarci: che noi italiani no, siamo diversi: diversi un corno: il razzismo è in buona misura un impulso naturale e come tale può essere combattuto solo con la cultura civile, solo sapendolo riconoscere per tempo, solo non considerandosi diversi e migliori degli altri.
    Ormai lo sanno anche i sassi che non siamo “brava gente”, ma gente come ce n’è tanta nel mondo, né buona né cattiva, ma pronta a incattivirsi al verificarsi di certe condizioni.

  53. concordo in pieno con tashtego sulla necessità di riconoscere che sono cosa diversa gli episodi di singole persone che aiutarono chi rischiava la deportazione e la realtà di un regime fascista che emanò leggi razziali e contribuì alla deportazione nei campi di concentramento; distinzione necessaria ancora di più oggi, visto che molte persone ignorano cosa sia stato il regime fascista.

  54. … Tahstego, mi metti in bocca parole e pensieri che non mi appartengono. Qui siamo proprio al riduzionismo: è o non è un fatto che quelle leggi razziali non interpretarono il sentire comune degli italiani al contrario di quanto accadde in Germania, dove non si registrò nessun caso eclatante di resistenza e opposizione al regime nazista in queste scelte?
    E allora, io non ho semplificato “italiani brava gente”. Quello l’hai fatto tu. Ho solo ricordato l’incontestabile differenza (qualitativa) tra due Paesi ahinoi macchiatisi entrambi (ma va? Grazie per la lezione di storia..) dell’immonda colpa di leggi razziali. Punto.
    Viviamo o non viviamo in un Paese dove Borghezio è Onorevole? Viviamo o non viviamo in un Paese dove ci sono i Cpt? Paragonati – giustamente – a dei lager… e allora? Questo significa che io sono Borghezio? Che i Cpt li ho voluti io? Io ssarei quella roba lì. Perché tra 50 anni un Tashtego risponderà ad un poverino marco v che si permetterà di dire: “Beh, però in Italia all’epoca furono in tanti a protestare, la legge sull’immigrazione fu anche interpretata male, e ben più della metà del Paese considerava la Bossi-Fini una legge sbagliata”… BALLE! LA GRAVITA’ DEI FATTI RESTA.
    Ecco, visto?
    Siamo a posto: tu ed io, Tashtego, e Borghezio. Insieme. Tutti uguali. Razzisti.

  55. beh, si dà il caso che ho puntualizzato anch’io. Su, dai basta con queste polemiche che mi stai anche molto simpatico…
    Piuttosto: nella selva di commenti che ho fatto – tutti molto appassionati ma non sempre ragionati – c’è un elemento che mi colma di dubbi, ed è il seguente: il LIbano ha appena dato la notizia che accuserà formalmente Israele all’Aja per crimini contro l’umanità per quanto è accaduto a Cana. Io stesso – facendo il paragone, poi puntualizzato da non mi ricordo chi, con il militare che spara in mezzo alla folla – mostravo in effetti di considerarlo tecnicamente un gesto criminale ANCHE in un contesto belligerante. Tuttavia, se, come sembra, gli hezbollah hanno attirato civili nel palazzo per poi strumentalizzare i morti (il particolare aberrante e che mi fa sospettare – ma spero ardentemente di sbagliarmi – è che molti dei bambini erano disabili..), allora c’è una postilla di un articolo della quarta convenzione di Ginevra, quella appunto che si occupa delle vittime civile in guerra, che dà totale responsabilità a chi adopera scudi umani in obiettivi militari.
    La questione, che forse qui a N.I. dove c’è sempre molta gente che ne sa sempre un sacco (non è ironico) si può discutere bene è: l’attacco missilistico a Cana è un atto criminale? Se non lo è tecnicamente, si può dire che lo è per il senso comune? Se sapessimo che l’esercito israeliano era a conoscenza non solo che in quel palazzo c’erano hezbollah, ma grazie a quegli stessi satelliti, che c’erano anche tanti civili (e così tanti bambini), il nostro giudizio dovrebbe cambiare?
    Ci possiamo davvero accontentare del concetto di ‘danni collaterali’? Ma questa non è un espressione contro la quale abbiamo combattuto, ci siamo fatti chilometri di marce, proteste, incazzature varie? In Irak (1 e 2), nel Kossovo, a Belgrado?
    Ce la facciamo a ritirarci in ordine (sparso, direi) di fronte ai tecnicismi delle guerre igieniche di oggi? (che sono chirurgiche, preventive, di difesa, umanitarie… mai guerre e basta), sorretti dalla consapevolezza che – lo si voglia o no – quando si parla di Israele è ‘diverso’?..
    Fate un piacere a questo ragazzo: ditemi qualcosa che mi rimetta un po’ in sesto… perché più ci penso e più continuo a pregare per la pioggia di sale grosso che la faccia finita una volta per tutte… ;)

  56. Era questa la domanda che mi gira in testa da un paio di giorni e che tu hai esposto molto meglio, mi piacerebbe sapere cosa ne pensano le persone qui “presenti” che hanno strumenti di analisi migliori dei miei. Preciso che non sono ironica, ma in attento ascolto.

  57. Messaggio non disinformativo di un operatore ONU che a Cana c’era e non dormiva

    http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idpa=&idc=7&ida=&idt=&idart=5970

    Un mare di odio
    Il massacro di Qana, la rabbia per le vittime e l’impotenza verso le menzogne

    Intervista a Jihad Samhat, operatore delle Nazioni Unite a Tiro, nel sud del Libano.

    “Provo una tristezza più profonda che mai. Ieri è stato di gran lunga il giorno peggiore dall’inizio di questa guerra. Mi solo alzato la mattina per ascoltare le notizie dell’ennesimo massacro, a Qana, un villaggio a sud di Tiro. È stato un po’ come un deja vu. Solo dieci anni fa, nel 1996, Qana fu teatro di un grave massacro avvenuto all’interno della base dei peacekeepers delle Nazioni Unite, in cui furono uccisi oltre centocinquanta civili. Un ricordo molto vivo nelle memorie di noi tutti. Oggi, di nuovo, la macchina del terrore di Israele ha spinto nel silenzio eterno dozzine di civili. Sono distrutto dal numero di bambini che ho contato mentre venivano rimossi dalle macerie di quello che era un rifugio per civili. Con i miei occhi ho osservato i cadaveri di ventisei bambini, per non parlare delle vittime tra le donne e le persone anziane. Non ne potevo più del conteggio, volevo solo urlare.”

    Lei dice che era un rifugio di civili. Israele sostiene invece che da quel palazzo partivano i razzi di Hezbollah…
    “Fin dall’inizio di questo conflitto i droni, gli aerei spia senza pilota, hanno sorvolato ininterrottamente le nostre teste alla ricerca di obiettivi per i missili e l’artiglieria israeliana. Non sarebbe logico che questi ‘occhi in cielo’ siano in grado di distinguere tra civili o bambini e combattenti della guerriglia? Perché è successo? Forse perché il pilota dell’elicottero che ha distrutto il rifugio e le vite che custodiva non ha un cuore? Credo di no. I militari israeliani sono dei robot senza emozioni degne di esseri umani? Questo potrebbe anche essere possibile. I capi dell’esercito israeliano sapevano bene che quell’edificio era un rifugio per civili! Quelle persone erano rimaste strette e rannicchiate per sedici giorni, con lenzuola bianche esposte, a sottolineate la loro innocenza. Cos’è questo se non un omicidio a sangue freddo?”

    Gli israeliani parlano di diritto all’autodifesa.
    “Forse gli israeliani non la vedono allo stesso modo, dopo tutto i loro bambini hanno scritto messaggi d’amore sulle bombe da spedire ai loro coetanei arabi. Forse lo fanno perché si considerano il ‘popolo eletto da Dio’. Ma questo dà loro il diritto di uccidere? Tutto questo mi fa pensare: come è possibile che il governo più razzista del mondo possa essere sostenuto ciecamente dall’occidente e dagli Stati Uniti, che fanno un gran parlare di diritti umani e uguaglianza? L’occidente e gli Stati Uniti non si ricordano i discorsi dell’ex ministro della Difesa Moshe Dayan, quando diceva ai suoi colleghi del parlamento che “Noi dovremmo dire ai palestinesi che non abbiamo soluzioni per loro. Che dovranno vivere come cani e chi se ne vuole andare se ne vada”. Non è razzismo questo? Se non lo è, allora il razzismo non so che sia”.

    Ha fiducia nella mediazione delle nazioni occidentali?
    “Che cosa è venuta a fare in Libano la ‘profondamente preoccupata’ Condoleezza Rice settimana scorsa? Il presidente di guerra Gorge W. e la sua marionetta Tony Blair credono davvero di proteggere la popolazione statunitense e britannica, avvallando e sponsorizzando tutta questa serie di morti nel nome della ‘guerra contro il terrore ’? O stanno invece ponendo le pietre angolari perché nuove cellule del terrore possano emergere dal mare di odio verso l’occidente e i suoi alleati?”

  58. marco sei veramente un campione del mondo!
    c’hai veramente una faccia tosta a dire e ridire che sei d’accordo con le affermazioni di tashtego, che sono state sempre tra le più lucide, puntuali, equidistanti e obiettive.. esattamente il contrario delle tue.
    Se invece di propinarci le tue personali opinioni scambiandole come delle verità tu leggessi un po’ di più, e meglio, non faresti un grande danno..

    Riguardo alla tua ultima questione (che ancora una volta non c’entra niente con il discorso) ti riporto, perchè tu possa fartene una ragione, a quanto già linkato dal buon Roberto:

    http://tonibaruch.blogspot.com/2006/07/diario-di-guerra-giorno-20.html

    Riguardo alla questione “italiani-brava-gente” glissiamo veramente.. basti pensare alla posizione assunta dalla santacattolicaapostolicaromanachiesa.. e al suo tardivo (ma non esaustivo) pentimento…

  59. @Tariq Ali

    Oggi, ‘il manifesto’ pubblica un editoriale dello scrittore pakistano Tariq Ali. In gioventù, Ali si è battuto contro la dittatura militare (ancora) al potere ad Islamabad. Prima di finire in galera nel suo paese, ha scelto di rifugiarsi nella immonda latrina capitalista di Londra. Tra Oxford & la London School of Economics, nella convinzione che i Viet-Cong avrebbero mostrato al mondo come si sconfigge l’imperialismo yankee.

    Dopo essere diventato il leader dell’Internazionale marxista e trotzkista che si batteva per dare un Soviet all’Europa, Ali molla l’attività politica e si dà alla letteratura impegnata, scrive saggi, romanzi e sceneggiature. Diventa il direttore della “New Left Review”. Questa onorata carriera si rivela un ottimo sistema per sconfiggere il sistema. E’ l’aporia dell’intellettuale dissenziente che vende più copie contro l’occidente perché in occidente si marginalizza il dissenso.

    Sul manifesto di luglio, Ali aveva già scritto che è “semplicemente ridicolo” incolpare Sira e Iran di quello che sta succedendo in Libano. Il motivo della guerra è un altro, “non è ancora stata risolta la questione palestinese”. La solita deduzione logica (?) che riduce la matassa mediorientale a uno scenario totemico, il genocidio palestinese (non uso virgolette). Be’, anche i neocon sono convinti che la soluzione della questione palestinese riconfigurerebbe popoli, nazioni e stati arabi. E’ la teoria degli “stati-faro”. Faro delle libertà e faro delle resistenze. Con buona pace delle differenze.

    Arriviamo all’editoriale di Ali apparso oggi sul manifesto. “L’assurdo piano dell’Occidente”. Per non essere accusato di estrapolare frasi e di manipolarle (il mio intento se mai è il contrario, una sorta di ‘rimanipolalazione’), cito l’incipit del pezzo:

    “Fin dal momento in cui le truppe siriane sono state costrette a lasciare il Libano, nel paese si è determinato un vuoto di potere. Gli occidentali pensavano che sarebbe stati loro a riempirlo, con Israele come agente; ma c’era un ostacolo, gli Hezbollah, che già in una precedente occasione avevano sconfitto gli israeliani”.

    1. “Le truppe siriane sono state costrette a lasciare il Libano”. Costrette da chi? Dall’“assurdo piano” della Rice? Oppure, come sembra più verosimile, da una protesta di piazza che ha messo fine alla occupazione illegale dei siriani?

    2. “Sono state costrette”. Emerge una sorta di nostalgia per le truppe siriane che controllavano il sud del Libano. Se non è così, magari era opportuno spiegare che la ritirata nasceva proprio dal movimento democratico e popolare di cui sopra (oltre che dalla pressione americana sulla Siria dopo l’11 settembre).

    3. Invece no, con la fuoriuscita siriana, “nel paese si è determinato un vuoto di potere”. Quindi, se pure illegittima, secondo Ali l’occupazione siriana era una garanzia di stabilità?

    4. “Gli occidentali pensavano che sarebbe stati loro a riempirlo (il vuoto), con Israele come agente”, forse nel senso che le manifestazioni di piazza a Beirut sono state una manovra occidentale per indebolire il Libano? l’ennesimo colpo sul mercato dell’export atlantico? E i giornalisti di Beirut che sono morti per aver raccontato quelle giornate? Li avrà fatti fuori la CIA o il Mossad?

    5. “Ma c’era un ostacolo (al piano), gli Hezbollah, che già in una precedente occasione avevano sconfitto gli israeliani”. Cioè quando? Quando Barak si era ritirato in ossequio alla risoluzione ONU? Secondo Ali questa sarebbe una sconfitta? Visioni del genere non tengono in alcun conto la dialettica politica tra destra e sinistra israeliana, accomunate dalla stessa radice sionista.

    6. Il “piano”, inoltre, si sarebbe ritorto contro l’Occidente. La Rice considerava il Libano già cosa sua. La gente è scesa in piazza con Siniora e l’Hezbollah (“nuovo Nasser”) per difendere la libertà.

    Mah… A ben vedere, i commentatori che definiscono il premier libanese Siniora come una sorta di marionetta occidentale sbagliano. Il governo libanese continua ad avere contatti con la Siria. In questi giorni, quando Siniora appare in tv, accanto a lui, c’è sempre il presidente del parlamento Berri. Quindi se è vero che l’attacco israeliano e l’immobilismo europeo hanno spinto su posizioni anti-occidentali il moderato Sinora, resta il fatto che l’indirizzo del governo libanese è di continuare a usare Amal-Hezbollah per difendersi.

    Si tratta di una guerra tra stati sovrani, dunque? Se Amal-Hezbollah è una forza politica che a) ha ridato fiato al welfare libanese; b) lavora con una mano in parlamento; c) con l’altra spara katyuscia. Se, dunque, Amal-Hezbollah non è un fazione terrorista, ma un gruppo politico vincente, qui parliamo di uno stato (il Libano) che, dopo un attacco, subisce la ritorsione di un altro stato (Israele).

    Tutto questo a meno che non crediamo alla teoria del casus belli ‘creato’ ad arte, mesi e mesi fa, da quei sadomasochisti del governo israeliano (che si spiega con la tesi retrodatata della reazione spropositata). Ad ogni modo, se anche fosse vero che Israele aveva un ‘piano’, il governo libanese ha scelto consapevolmente di difendersi con Hezbollah (non “è stato costretto a farlo”, parliamo di assemblee democratiche).

    Per chi, invece, crede che Hezbollah sia un gruppo terrorista che sta trascinando il Libano in una guerra civile (succede anche in Irak), si tratta di disarmare la ‘resistenza’ (quei ‘partigiani’ che proteggono fino alla morte i civili, nel senso di farli morire nel nome di Allah). Nello stesso tempo, chiederemo il conto dei danni a Israele, che forse sarà disposto a pagarli, non solo nome di una “pace duratura”, ma per il buon nome che si è fatto negli ultimi giorni a livello internazionale.

    7. La chiusa dell’editoriale di Ali: “Mentre questo è lo stato della politica ufficiale, la gente mostra di essere invece contro la continuazione della guerra in Iraq, contro l’aggressione israeliana in Libano, contro la subordinazione alla Casa Bianca”.

    La ‘ggente’. Il mito della “ggente”, la democrazia della “ggente”. Ecco lo sport preferito dei populisti postmarxisti, quelli che se va bene strizzano l’occhio a Zapatero, se va male a mr. Chavez (sic), per vendere meglio i nostri libri sul neonazista Bush (sic sic). Scuola Michael Moore. Trentasei candidature all’Oscar. Un soffio dal Nobel.

    Qualcuno dovrebbe informare il dottor Ali che un po’ di “ggente” che si indigna, in Italia, c’è. Certi si indignano per le ragioni di uno, certi per le ragioni dell’altro, certi perché non trovano nessuna ragione.

    Ma la vera “ggente”, quella che ha in mente Ali, le masse rivoluzionarie, in questo momento sono sulle spiagge di Riccione a leggere di Lucianone sulla Gazzetta dello Sport, e a cambiare canale se il tg ti fa vedere le immagini di Cana mentre sto a mangiare.

    @ops
    Un vero osservatore imparziale.

    @galbiati
    Sul gioco di sponda tra estrema destra ed estrema sinistra:
    “si tratta di un progetto politico, che giudicando superata la dicotomia destra-sinistra, e identificando nell’impero americano il nemico dell’umanità chiama a raccolta tutti coloro che vogliono contrastare l’avanzata degli americani, senza distinzioni di razza, di religione, di idee politiche”.
    http://www.controappunto.org/resistenza/fascistinelcampo/infiltrazioni.html

  60. se volete leggere opinioni di ottimi ebrei residenti in Israele, ma ‘leggermete’ discosti rispetto alle versioni di Olmert e dei militari consiglio alcune voci come quelle di Gideon Levi, Tanya Reinhart, Uri anery e numerosi altri che trovate su
    http://www.zmag.org/meastwatch/tanya_reinhart.htm

    se poi volete leggere le pubblicazioni recenti, chiare, poco tenere e timide di Uri Avnery consiglio un salto al sito di Gush Shalom.

    Leggere gli ebrei che parlano con la loro sensibilità e al di fuori del ruolo di ‘cane da guardia’ (parole di Avnery) che Israele ha sia pro domo sua che in funzione americana è molto interessante e istruttivo. Se interessati in rete ne trovate molti, se non li trovate fate un cenno e vi mando un bel pò di link.

  61. @ops
    Un vero osservatore imparziale.

    visto che era parziale te ne ofro uno che forse parziale non è visto che è ebreo e che vive in Israele, con tutte le difficoltà di chi coltiva idee diverse rispetto a quelle della destra al potere e dei militari sopra il potere (parole sue) e va pure in piazza a contestare insieme ai refusenik agli anarchici e a varia umanità forse la più significativa in questo momento in Israele).

    di Uri Avnery*

    Il vero scopo è cambiare il regime in Libano e installare un governo
    fantoccio.

    Questo era lo scopo dell’invasione del Libano di Ariel Sharon, nel 1982.
    Fallì. Ma Sharon e i suoi allievi della leadership politica e militare non
    hanno mai davvero rinunciato.

    Come nel 1982, anche l’operazione in corso è stata pianificata e viene portata
    avanti in pieno coordinamento con gli Stati Uniti.

    Come allora, non c’è dubbio che sia coordinata con parte dell’élite libanese.

    Questo è il punto principale. Il resto è clamore e propaganda.

    Alla vigilia dell’invasione del 1982, il Segretario di Stato Alexander Haig
    disse ad Ariel Sharon che, prima di dare il via all’operazione, era necessario
    avere una “chiara provocazione”, che sarebbe stata tenuta per buona dal
    mondo.

    La provocazione infatti ebbe luogo – proprio al momento giusto – quando il
    gruppo terroristico di Abu Nidal cercò di assassinare l’ambasciatore
    israeliano a Londra. Tutto ciò non aveva alcuna relazione con il Libano, e
    ancora meno con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (nemica di
    Abu Nidal), ma servì allo scopo.

    Questa volta, la necessaria provocazione è stata fornita dalla cattura dei due
    soldati israeliani da parte di Hizbollah. Tutti sanno che non possono essere
    liberati se non attraverso uno scambio di prigionieri. Ma l’enorme campagna
    militare, che era pronta a partire da mesi, è stata venduta al pubblico
    israeliano e internazionale come un’operazione di salvataggio.

    (Curiosamente, la stessa identica cosa era avvenuta due settimane prima nella
    Striscia di Gaza. Hamas e e i suoi alleati hanno catturato un soldato, il che
    ha fornito la scusa per una massiccia operazione che era stata preparata da
    molto tempo, e il cui scopo è distruggere il governo palestinese).

    Lo scopo dichiarato dell’operazione in Libano è di allontanare Hizbollah dal
    confine, affinchè sia per loro impossibile catturare altri soldati e lanciare
    razzi sulle città israeliane. Anche l’invasione della Striscia di Gaza è
    ufficialmente finalizzata a portare Ashkelon e Sderot fuori dalla portata dei
    razzi Qassam.

    Questo ricorda l'”Operazione Pace per la Galilea”, nel 1982. Allora, si disse
    alla gente e alla Knesset (il Parlamento israeliano, ndt) che lo scopo della
    guerra era “allontanare i Katiuscia di 40 chilometri dal confine”.

    Questa era una deliberata menzogna. Nel corso degli undici mesi precedenti
    alla guerra, attraverso il confine non era stato sparato un solo razzo
    Katiuscia (né un solo colpo). Fin dall’inizio, lo scopo dell’operazione era
    raggiungere Beirut e installarvi un dittatore collaborazionista. Com ho
    riferito più di una volta, lo stesso Sharon mi disse così nove mesi prima
    della guerra, e puntualmente lo pubblicai, con il suo consenso (ma non
    attribuendolo a lui).

    Naturalmente, l’operazione in corso ha anche diversi scopi secondari, che non
    includono la liberazione dei prigionieri. Chiunque capisce che questo non si
    può ottenere con azioni militari. Ma probabimente è possibile distruggere una
    parte delle migliaia di missili che Hizbollah ha accumulato negli anni. A
    questo scopo, i comandanti dell’esercito sono pronti a mettere in pericolo gli
    abitanti delle città israeliane che sono esposte ai razzi. Credono che ne
    valga la pena, come in uno scambio di pedine a scacchi.

    Un altro scopo secondario è riabilitare il “potere deterrente” dell’esercito.
    Questa è una parola in codice per la restaurazione dell’orgoglio ferito
    dell’esercito, duramente colpito dalle temerarie azioni militari di Hamas nel
    sud e Hizbollah al nord.

    Ufficialmente, il governo israeliano chiede che il governo del Libano disarmi
    Hizbollah lo allontani dalla zona di confine.

    Questo è chiaramente impossibile con l’attuale regime libanese, un delicato
    mosaico di comunità etnico-religiose. Il minimo shock può far crollare
    l’intera struttura e gettare lo Stato nell’anarchia totale – in particolare
    dopo che gli statunitensi sono riusciti a cacciare l’esercito siriano, l’unico
    elemento che per anni aveva garantito una qualche stabilità.

    L’idea di installare un governo collaborazionista in Libano non è cosa nuova.
    Nel 1955, David Ben Gurion propose di prendere un “funzionario cristiano” e
    insediarlo come dittatore. Moshe Sharet dimostrò che questa idea si basava
    sulla completa ignoranza degli affari libanesi e la silurò. Ciò nonostante, 27
    anni dopo Ariel Sharon ci riprovò. Bashir Gemayel fu infatti insediato come
    presidente, solo per essere assassinato poco tempo dopo. Suo fratello, Amin,
    gli sucedette e firmò un accordo di pace con Israele, ma fu cacciato
    dall’incarico. (Lo stesso fratello ora sostiene pubblicamente l’operazione
    israeliana).

    La previsione adesso è che se le forze aeree israeliane riescono a far piovere
    colpi abbastanza pesanti sulla popolazione libanese – paralizzando porti e
    aereoporti, distruggendo le infrastrutture, bombardando i quartieri
    residenziali, interrompendo l’autostrada Beirut- Damasco eccetera – il popolo
    libanese si infurierà con Hizbollah e farà pressione sul governo libanese per
    soddisfare le richieste di Israele. Dal momento che l’attuale governo non può
    neanche sognare di fare una cosa del genere, verrà instaurata una dittatura,
    con il supporto di Israele.

    Questa è la logica militare. Io ho i miei dubbi. Si può supporre che la
    maggior parte dei libanesi reagirà come farebbe chiunque altro al mondo: con
    furore e odio contro l’invasore. Così accadde nel 1982, quando gli sciiti del
    sud del Libano, fino ad allora docili come zerbini, si sollevarono contro gli
    occupanti israeliani e crearono Hizbollah, che è diventata la forza più
    potente del Paese. Se ora l’élite libanese viene assimilata ai collaboratori
    di Israele, sarà cancellata dalla faccia della terra. (Peraltro, i razzi
    Qassam e Katiuscia hanno fatto sì che la popolazione israeliana facesse
    pressione sul nostro governo per arrendersi? Piuttosto il contrario).

    La politica statunitense è piena di contraddizioni. Il Presidente Bush vuole
    “cambi di regime” in Medio Oriente, ma l’attuale regime libanese è stato
    istituito solo di recente, sotto la pressione americana. Nel frattempo, Bush è
    riuscito solamente a fare a pezzi l’Iraq e scatenare una guerra civile.
    Potrebbe ottenere la stesso risultato in Libano, se non ferma in tempo
    l’esercito israeliano. Inoltre, un devastante attacco contro Hizbollah
    potrebbe far crescere la furia non solo in Iran, ma anche fra gli sciiti in
    Iraq, sul cui sostegno si fondano tutti i programmi di Bush per un regime
    filo-statunitense.

    Dunque qual è la risposta? Non per caso, Hizbollah ha condotto il suo raid di
    rapimento dei soldati in un momento in cui i palestinesi hanno un gran bisogno
    di aiuto. La causa palestinese è popolare in tutto il mondo arabo. Mostrando
    che sono amici nel momento del bisogno, mentre gli altri arabi falliscono
    miseramente, Hizbollah spera di accrescere la sua popolarità. Se un accordo
    fra Israele e Palestina fosse già stato raggiunto, Hizbollah non sarebbe altro
    che un fenomeno libanese, irrilevante per la nostra situazione.

    Ameno di tre mesi dal suo insediamento, il governo di Olmert e Peretz è
    riuscito a trascinare Israele in una guerra su due fronti, i cui obbiettivi
    sono irrealistici e i cui risultati non possono essere previsti.

    Se Olmert spera di essere visto come Mister Macho-Macho, uno Sharon bis,
    rimarrà deluso. Lo stesso vale per i disperati sforzi di Peretz di essere
    preso sul serio come PP Mister Sicurezza. Chiunque capisce che questa campagna
    – sia a Gaza che in Libano – è stata pianificata dall’esercito e imposta
    dall’esercito. Chi prende decisioni in Israele, adesso, è Dan Halutz. Non è un
    caso che il lavoro in Libano sia stato affidato alle Forze aeree.

    La gente non è entusiasta della guerra. Si è rassegnata, in uno stoico
    fatalismo, perchè è stato detto che non c’è alternativa. E infatti, chi può
    essere contrario? Chi è che non vuole liberare i “soldati rapiti”? Chi non
    vuole rimuovere i Katiuscia e riabilitare la deterrenza? Nessun politico osa
    criticare l’operazione (ad eccezione dei membri arabi della Knesset, ignorati
    dal pubblico ebraico). Sui media, i generali regnano incontrastati, e non solo
    quelli in uniforme. Non esiste praticamente ex generale che non sia stato
    invitato dai media a commentare, spiegare e giustificare, tutti con una voce
    sola.

    (A titolo d’esempio: la più seguìta televisione israeliana mi ha chiesto
    un’intervista , dopo aver sentito che avevo preso parte a una manifestazione
    contro la guerra. Ero abbastanza sorpreso. Ma non per molto – un’ora prima
    della trasmissione, un contrito conduttore ha chiamato per dire che c’era
    stato un terribile errore – in realtà volevano invitare il professor Shlomo
    Avineri, un ex direttore generale del Foreign Office, su cui si può contare
    per giustificare qualsiasi atto del governo, qualunque esso sia, in forbito
    linguaggio accademico.

    “Inter arma silent Musae” – quando parlano le armi, le muse tacciono. O,
    piuttosto: quando rombano i cannoni, il cervello smette di funzionare.
    E solo un pensiero: quando lo Stato di Israele fu fondato, nel mezzo di una
    guerra cruedele, un poster tappezzava i muri: “Tutto il paese – un fronte!
    Tutto il popolo – un esercito!”

    Sono passati 58 anni, e lo stesso slogan è valido come lo era allora. Che cosa
    ci dice, questo, su generazioni di statisti e generali?

    Tel Aviv, 15 luglio 2006

    “Nasrallah, ultimo eroe del Medioriente”
    dal manifesto
    Una donna, immigrata dalla Russia, si butta a terra disperata di fronte alla propria casa appena colpita da un missile, urlando nel suo ebraico incerto: «Figlio mio! Figlio mio!», credendolo morto. In realtà è stato soltanto ferito e spedito all’ospedale. Bambini libanesi, coperti di ferite, negli ospedali di Beirut. Il funerale delle vittime di una missile in Haifa. Le rovine di un intero quartiere devastato a Beirut. Abitanti del Nord di Israele che fuggono dai missili, verso sud. Abitanti del Libano del sud che fuggono dalle forze aeree israeliane, verso nord.
    Morte e distruzione. Sofferenze umane inimmaginabili. E poi la visione più disgustosa: George Bush di umore giocherellone seduto sul suo scranno di San Pietroburgo, col suo servo fedele Tony Blair chinato verso di lui, che risolve il problema: «Vedi? Basta chiedere alla Siria di costringere Hezbollah a fermare quella merda, ed è fatta». Così parlò il sovrano del mondo, ed i sette nani – i potenti della terra – subito dissero Amen.
    La Siria? Eppure qualche mese fa è stato Bush – sì, lo stesso Bush – che ha portato i libanesi a cacciare i siriani dal paese. E adesso vorrebbe far intervenire i siriani in Libano per ripristinare l’ordine?
    Trentuno anni fa, quando la guerra civile era al culmine, i siriani hanno spedito il loro esercito in Libano (invitati, fra tutti, dai cristiani). All’epoca, l’allora ministro della difesa Shimon Peres e i suoi associati provocarono l’isteria in Israele. Pretesero che Israele dichiarasse un ultimatum alla Siria, per impedir loro di raggiungere il confine israeliano. Yitzhak Rabin, primo ministro, mi disse che era semplicemente insensato, poiché per Israele non poteva esserci niente di meglio che l’esercito siriano schierato al confine. Soltanto così sarebbe stata garantita la calma, la stessa che regnava al confine con la Siria.
    Comunque sia. Rabin si lasciò prendere dall’isteria della stampa e fermò i siriani lontano dal confine. Il vuoto creatosi al confine fu riempito dall’ Olp. Poi, nel 1982, Ariel Sharon espulse l’Olp. E il vuoto venne riempito da Hezbollah.
    Da allora, tutto ciò che succede da quelle parti non sarebbe mai successo se avessimo permesso alla Siria di occupare il confine sin dall’inizio. I siriani sono gente cauta, sono agiscono mai sconsideratamente. A che cosa stava pensando Hassan Nasrallah quando ha deciso di attraversare il confine e scatenare l’azione di guerriglia che ha portato all’escalation di questi giorni? Perché l’ha fatto? Perché proprio adesso?
    Tutti sono d’accordo nel ritenere Nasrallah intelligente. E prudente. Per anni ha messo insieme immensi arsenali con tutti i genere possibili di missili per stabilire il suo equilibrio di terrore. Sapeva che l’esercito israeliano stava soltanto aspettando l’opportunità giusta per distruggerli. Ma in tutto questo, ha messo in atto una provocazione che ha fornito al governo israeliano la provocazione perfetta per attaccare il Libano col pieno benestare del mondo intero. Perché?
    Una strana tempistica
    È possibile che la richiesta gli sia pervenuta da Iran e Siria, che già avevano provvisto i missili, a fare qualcosa che dirottasse la pressione americana via dai rispettivi due paesi. E per l’appunto, la crisi improvvisa ha spostato completamente l’attenzione dagli sforzi nucleari iraniani, e pare che anche l’atteggiamento di Bush verso la Siria sia cambiato.
    Ma Nasrallah è ben lungi dall’essere una marionetta dell’Iran o della Siria. È a capo di un autentico movimento libanese, e calcola i suoi tornaconti di pro e contro. Nel caso davvero Siria e Iran gli avessero chiesto qualcosa – e, di questo, non abbiamo prova alcuna – da lui ritenuto contrario agli interessi del proprio movimento, di certo non l’avrebbe fatto.
    Forse ha agito dietro a preoccupazioni interne alla politica libanese. Il sistema politico libanese cominciava a stabilizzarsi ed era sempre più difficile giustificare l’ala militare del suo partito. Un nuovo incidente armato poteva far comodo. Ma tutto questo non spiega ancora la tempistica. Dopo tutto, Nasrallah avrebbe potuto agire un mese prima o un mese dopo, l’anno prima o l’anno dopo. Devono esserci stati ben altri moventi per convincerlo ad intraprendere una simile avventura proprio adesso.
    Una ragione infatti c’è: la Palestina. Due settimane fa, l’esercito israeliano aveva iniziato una guerra contro la popolazione della Striscia di Gaza. Anche là il pretesto era venuto da una azione di guerriglia, la cattura di un soldato. Il governo israeliano ha colto l’occasione per mettere in atto un piano da tempo preparato: spezzare la resistenza palestinese e distruggere il neoeletto governo palestinese, dominato da Hamas .
    L’operazione a Gaza è particolarmente brutale. Morti, feriti, devastazione. Scarsità di acqua e di medicine per feriti ed ammalati. Intere famiglie sterminate. Bambini che urlano. Madri che piangono. Edifici che crollano. I regimi arabi, tutti dipendenti dall’America, non hanno fatto nulla. Dato che anch’essi sono minacciati dall’opposizione islamista, sono rimasti a guardare. Ma le decine di milioni di arabi, dall’Oceano Atlantico al Golfo Persico si sono indignati con i propri governi, invocando un leader che soccorresse i loro assediati, eroici fratelli.
    Un nuovo e delicato armistizio?
    Cinquant’anni fa, Gamal Abdel Nasser, nuovo leader egiziano, scrisse che c’era un ruolo che aspettava soltanto un eroe. Decise di essere lui stesso quell’eroe. Per anni è stato l’idolo del mondo arabo, il simbolo dell’unità araba. Ma Israele ha approfittato della Guerra dei sei Giorni per spezzarlo. Dopodiché è stata la volta di Saddam Hussein, che ha osato opporsi allo strapotere americano e lanciare missili contro Israele, divenendo l’eroe delle masse arabe. Ma è stato deposto nella più umiliante delle maniere dagli americani.
    Una settimana fa, Nasrallah ha sperimentato la stessa identica tentazione. Il mondo arabo invocava un eroe, ed è stato lui a rispondere: Eccomi! Ha sfidato Israele e, indirettamente, gli Stati uniti e tutto l’Occidente. Se n’è andato all’attacco senza alleati, sapendo che né Iran né Siria potevano correre il rischio di aiutato.
    Forse si è lasciato prendere la mano, un po’ come Nasser e Saddam prima di lui. Forse ha calcolato male l’entità del contrattacco israeliano. Forse ha veramente creduto che, sotto il peso dei suoi missili, Israele sarebbe crollata. Come, del resto, l’esercito israeliano credeva di spezzare i palestinesi a Gaza e gli sciiti in Libano.
    Una cosa è certa: Nasrallah non avrebbe mai scatenato questa spirale di violenza, se i palestinesi non avessero invocato aiuto. Che sia stato per freddo calcolo, o per sincera indignazione, o per entrambi, Nasrallah è corso a soccorrere la vicina Palestina.
    La reazione israeliana poteva essere prevista. Per anni i comandi militari avevano atteso l’occasione per eliminare l’arsenale bellico di Hezbollah e distruggere l’intera organizzazione, o quantomeno disarmarla e allontanarla via dal confine. E ci provano con l’unico sistema che conoscono: devastando tutto al punto che sarà la popolazione stessa a sollevarsi e pretendere che il proprio governo accondiscenda alle richieste israeliane.
    Funzionerà? Hezbollah è il più autentico rappresentante della comunità sciita, che comprende il 40% della popolazione libanese. Con il resto dei musulmani, sono la maggioranza nel paese. L’idea che il governo libanese – che in ogni caso comprende anche Hezbollah – possa liquidare l’organizzazione è semplicemente ridicola.
    Il governo israeliano pretende che sia l’esercito libanese ad essere schierato al confine. Ormai è diventato un mantra, e rivela un’ignoranza abissale. Gli sciiti occupano posizioni importanti nell’esercito, e non c’è verso che si imbarchino in una guerra fratricida contro Hezbollah.
    All’estero, ecco che un’altra idea prende forma: che venga spiegata una forza di intervento internazionale al confine. Il governo israeliano si oppone strenuamente. Un’autentica forza internazionale – e non come la Unifil, che ci è già rimasta per decenni – impedirebbe all’esercito israeliano di fare tutto ciò che vuole. In più, se venisse spiegato al confine senza l’ok di Hezbollah, ne seguirebbe una nuova serie di ritorsioni. Come potrebbe questa forza di intervento, senza alcuna motivazione reale, riuscire dove l’esercito israeliano ha fallito?
    Tutt’al più questa guerra, con le sue centinaia di morti e la sua distruzione, porterà ad un nuovo e delicato armistizio. Il governo israeliano dichiarerà vittoria e sosterrà di aver «cambiato le regole del gioco». Nasrallah dichiarerà che la sua piccola organizzazione ha fronteggiato una delle più potenti macchine militari al mondo e scritto un altro radioso capitolo di eroismo negli annali della storia araba e musulmana.
    Non vi saranno soluzioni reali, perché non ci sono reali cure al problema di fondo: la questione palestinese. Chiuque aspiri ad una soluzione deve esserne conscio: non ci sono soluzioni finché il conflitto israelo-palestinese non verrà risolto. E non c’è soluzione per la questione palestinese senza un negoziato con il governo democraticamente eletto, capeggiato da Hamas. Se qualcuno vuole farla finita, una volta per tutte, con questa merda – come Bush ha delicatamente puntualizzato – questa è l’unica via per farlo.
    Traduzione di Annalena Di Giovanni

  62. @ops
    è chiaro che tu e l’operatore ONU siete degli antisionisti, al pari di Ferrando, Fiore, Bobo Craxi.
    Il pezzo è fortemente antisemita e soprattutto, come potrebbe spiegarti Tashtego, non tiene conto della complessità della situazione dell’aria mediorientale.
    Sempre Tashtego potrebbe spiegarti come
    “Israele NON PUO’ cambiare prospettiva, ormai.”
    Evidentemente in Israele hanno perso la facoltà del liberto arbitrio, cosa che gli arabi hanno ancora: sono loro che devono cambiare, altrimenti Israele, che non ha scelta, li bombarda.
    Ed è “Inutile stare a disquisire su cosa sia lecito o no in guerra, inutile affannarsi per un cessate il fuoco che lascerebbe immutati i rapporti di forza e che si trasformerebbe in una vittoria di Hezbollah”, come insegna sempre Tashtego in formato Bush: ci vuole una guerra duratura per avere una pace duratura: sennò vincono gli antisemiti (molto diffusi anche nell’italia di oggi e di ieri, al pari della Germania, con buona pace di Hannah Arendt e della sua banalità del male). Quindi, non si può star lì a guardare i bambini morti, che altro non sono se non scudi umani, o gli operatori dell’ONU morti: bisogna fare una guerra duratura in cui tutto è lecito per distruggere tutti gli hezbollah, tutti i loro sostenitori, tutti i loro armamenti, tutte le infrastrutture di cui si servono, capisci?
    Cosa dici? così si distruggerà anche gran parte del Libano e si ammazzeranno centinaia, forse migliaia di civili?
    Ma sei tonto allora! Ti abbiamo appena detto che Israele non può fare diversamente, e che in guerra tutto è lecito, e che tutti qui vogliamo la pace e stai tanquillo: quando Libano, Cisgiordania, Siria e Iran saranno stati del tutto disarmati, quando tutti, uomini, donne, bambini non avranno neanche una fionda, neanche un coltello in mano – e per essere sicuri saranno anche in mutande col culo al vento -, ecco, ti assicuro che in Medioriente ci sarà una pace duratura.

  63. @roberto
    visto che non sono più tenuto a esprimermi su questo (mi concederò un sorriso, ma piccolo piccolo)
    https://www.nazioneindiana.com/2006/07/29/la-politica-di-israele-e-le-popolazioni-in-ostaggio/#comment-34328
    passo al resto.
    Che i principi sauditi partecipino -senza danno – del grasso spremuto dal medioriente e che agli USA convenga è un fatto sul quale (m’è sembrato di capire) ci troviamo d’accordo.
    Vediamo un po’
    – Ma i neoconservatori protagonisti del tuo pezzo sono convinti del contrario (dire neocon, infatti, non significa dire ‘quelli che comandano alla Casa Bianca’).
    Oh, ma grazie per la specifica. Dire neocon non significa ‘quelli che hanno letto Leo Strauss o Kojeve’ (tra l’altro, ci vuole poco a riconoscere il profondo divario tra i due), dire neocon non significa solo Fukuyama o Hunghtington – però vuol dire anche includerle tutte queste diverse correnti, da quelle più idealiste a quelle più pragmatiche (idem per il sionismo). E nella strategia politica di quelle più pragmatiche – il denaro, signori, weberianamente accumulato – siamo sicuri che ci sia sempre l’esposizione di una pianificazione che corrisponde a verità? Perchè mai svelare i piani di un’oligarchia economica, per esempio? per masochismo? per fare un po’ gli sboroni?
    – ma sottobanco finanziano Al Quaida
    Ti meravigli di questo? Vedi un po’ ad ogni destabilizzazione come schizzano i prezzi…
    Per il resto onestamente non capisco cosa dovrebbe interessarmi di David Frum che sostiene (ma da qui a esercitare un’influenza tale per cui sarebbe possibile metterlo in pratica ora… dovrebbero cambiare davvero molte cose…) l’inclusione dei sauditi nelle “teste da democratizzare”; un programma che non mi stupirebbe affatto, anzi, potrebbe essere una naturale (nel lungo periodo) evoluzione di quel delirante sistema di “manutenzione” di cui parlavo qui:
    https://www.nazioneindiana.com/2006/07/22/un-dogma-culturale-sulla-critica-alla-politica-israeliana/#comment-34045
    manutenzione unipolare – eccoti riassunta la prospettiva neocon. E Israele laggiù, in qualità di stato razzista e democratico insieme, ben sagomato buco del diritto internazionale, con una spina nel fianco che è croce, delizia ed autosostentamento, non serve ad altro che a tenere in piedi tutto il castello. Prova a rendere israeliani i palestinesi, a far goder loro degli stessi diritti civili degli israeliani. Mi dirai che ormai l'”identità nazionale” palestinese esiste ed ha già anni interi di mitografia accumulata. Ti dirò che ricordarti com’è stata gonfiata, negli anni ottanta, Hamas per contrastare Fatah è un segreto di pulcinella [a chi interessa, forse ne parla pure David Grossman]. E potresti continuare all’infinito…
    Tutto quello che dici, onestamente, non cambia la sostanza (e, non so perchè, ma sono convinto che, in fondo, un po’ lo riconosca anche tu).
    Poi da un’altra parte dici
    – Ma non vedo idee o analisi, a differenza di Tash
    vediamole dunque, queste idee e analisi di

    @tashtego
    – Israele vuole far fuori chi le butta missili sulla testa e sta prendendo le misure a chi può farlo o potrà farlo in futuro.
    Inutile illudersi che possa fare una politica diversa, perché ciò non è più possibile almeno dall’ultimo tentativo di Isaac Rabin.
    Ma chissà poi perchè questi cattivoni buttano i missili sulla testa a Israele… E tu, sei proprio sicuro che Israele voglia far fuori loro, e per sempre?
    Non è possibile fare una politica diversa, ma perchè ne siamo tutti così sicuri? Siamo così rassegnati al vicolo cieco? Porco giuda, credo che molti tra noi siano ancora sotto i trenta… se già ci facciamo fottere da ‘sto determinismo è finita… Ci si potrebbe provare, a costo di enormi sacrifici [ma niente è gratis], a fare un’altra politica. Ribadisco: perchè Israele non prova ad assimilare i suoi ostaggi? “Perchè è uno stato ebraico” non è una risposta. E la prima politica diversa dovrebbe essere la nostra – ricominciare ad avere una politica estera, per esempio, non giocare più a nascondino.
    – non riuscivano a tenere a freno un impulso anti-semita di fondo che probabilmente ha origine altrove che nel conflitto in atto.
    Mamma mia a volte ci ho pur’io un [inconscio e irrefrenabile, of course] impulso antisemita proprio qui, dietro la nuca, che mi pizzica e dice “vai a picchiare l’ebbbbreo”! Ma quando terminerà questa storia? Comincio a vederci i contorni di una malattia, una di quelle brutte…
    – il razzismo è in buona misura un impulso naturale e come tale può essere combattuto solo con la cultura civile, solo sapendolo riconoscere per tempo, solo non considerandosi diversi e migliori degli altri.
    Questa sì che è una fine analisi, vero roberto?

    @Btzbea
    – A me sembra che dal 47 in poi, sono stati sempre gli “amici” arabi (primi fra tutti Siria ed Egitto) in un modo o nell’altro ad impedire che i Palestinesi costituissero uno stato indipendente.
    Nessuno lo mette in dubbio. Però spostare tutto sull’asse cultural/religioso
    – mantenere l’instabilità… conviene solo ai fondamentalisti per i quali la parola d’ordine è, e sempre sarà, fuori l’infedele, distruggiamo Israele, l’avamposto occidentale
    è, lasciamelo dire con aperta franchezza, una stronzata. Cioè, la convenienza sarebbe far “prevalere”, tra l’altro contro ogni realismo tattico-militare, il popolo del profeta sulla cattiva democristiangiudocrazia integrata? Allora sono proprio scemi questi arabi, ammazziamoli tutti.
    – Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse dell’area… posso sapere quali sarebbero queste risorse tanto preziose che ha Israele?
    No, non puoi sapere quali sono le risorse, perchè risorse non ce ne stanno – in Israele. Puoi sapere però cosa s’intende con “area”: in linea di massima quella che dal caucaso e dal caspio scende fino al golfo persico a destra, mentre è chiusa da mar rosso e (un po’ di) mediterraneo a sinistra. In relazione al peso, in percentuale rispetto al resto del pianeta, delle risorse (quelle che servono a noi ometti in questa fase storica) quivi contenute, non è poi così “geograficamente” grande come area.
    – mi pare che qui nessuno abbia messo abbastanza in evidenza come i conflitti che hanno interessato Israele, fin dagli insediamenti dei primi kibbutz, siano state guerre per l’acqua.
    Infatti le alture del Golan le controlla ancora Israele, niente paura.

    @helena
    – Vi consiglierei un po’ di empatia anche per il popolo di Israele (in senso largo e stretto), anche solo nella misura uno a dieci che corrisponde (boh, non ho fatto la conta esatta) alla misura delle sue vittime.
    Sono dei poveri disgraziati helena, e non scherzo. Sicuramente non possiamo permetterci di invidiarli: le nostre libertà se le sognano.

    ancora @roberto
    sono stato anch’io ad ikaria (giuro!), l’anno scorso (armenistis… mare bello… tante vespe… un po’ una palla, tranne i panighiri o come si chiamavano… un guaio se non fitti la macchina), però di israeliani (non coloni) ne ho conosciuti qualche settimana prima ad un check point a Hebron (due ragazzini… ne ho anche una foto: http://www.muzak.it/nablus/foto/diego/diego/likud.jpg – che ho dovuto censurare per un bel po’), il check point alla Tomba dei Patriarchi, per la precisione. Di certo non erano contenti di stare lì, quaranta gradi all’ombra. Quando gli chiesi di farci una foto insieme si stupirono parecchio, ma furono ben felici di farlo: a quanto pare non succede tanto spesso. Ma come mai secondo te? Di riflesso, quando sai che la gente ti schifa, t’incattivisci. A diciott’anni (tanti ne portavano cadauno) forse il processo non è ancora giunto a compimento. Ma dopo tre anni di quella leva… A Tel Aviv – simpatico incrocio tra Las Vegas e Formia – ho (abbiamo) conosciuto invece una refusenik per un’intervista. Tra le cose interessanti, a parte come funziona la formazione di base in Israele (sosteneva che a 16 anni sai come portare un tank o lanciare una bomba a mano ma non puoi guidare un’auto o bere alcolici), ci raccontò del velo da paria con il quale vieni coperto nella società israeliana quando rifiuti di servire il paese. Non è come fare obiezione di coscienza qui, che al limite ti danno per raccomandato, significa il disprezzo.
    Sul fatto dei rave e dello spaccarsi in Israele a noi non ci vedono proprio, sono maestri: vedessi che spiagge, e che fighe! E quando ti tuffavi e vedevi gli Apache andare da destra a sinistra sulla linea dell’orizzonte, giù verso Gaza, nella noncuranza più totale, tra una partita di beach-volley, un topless mozzafiato e una canna tra fricchettoni… un ottimo posto di vacanza, garantito!

    sempre @roberto
    grandioso il tuo commento a @gabriella, un ottimo biglietto da visita per il Corriere o la Repubblica. Guarda che faranno a gara per averti. Se condisci il tutto con po’ più di lacrime e sangue hai ottime possibilità anche per il Giornale.

    saluti a tutti

  64. Allora anche peacereporter che lo pubblica è antisemati, ma non bastasse antisemiti sono anche un bel pò di ebrei che scrivono pressapoco le stesse cose. Gli interventi degli ebrei israeliani di cui sopra diocono anche cose più forti, ma andrebbero letti. Non credo che in loro ci sia traccia di antisemitismo, ma di un umano sentire che li accomuna alle parti migliori di tutti i popoli che hanno cercato di fermare i loro governi quando le politiche di morte e opressione minacciavano altri popoli e uccidevano l’umanità e le leggi del proprio.
    Leggetevi ‘distruggere la Palestina’ della Reinhart e sentirete parlare di genocidio dei palestinesi e anche perchè, non ascoltate solo le voci accreditate dalla nostra stampa succube di quella ufficiale israeliana.
    Poi ne riparliamo, adesso devo andare.

    Leggete anche Avnery che su gush shalom parla di crimini contro l’umanità e lo fa da ebreo e da umano, essere più realisti del re non so quanto sia utile sia a noi che agli ebrei o agli israeliani.

  65. IO TENGO PER ISRAELE!
    E SONO CONTENTO CHE A PROTEGGERE IL MONDO SIANO I NOSTRI FRATELLI AMERICANI.
    AMEN

  66. PERCEPISCO NEGLI INTERVENTI UNA CERTA PARANOIA!
    FU QUESTO SENTIMENTO A FAR NASCERE IL MODERNO ANTISEMITISMO.
    CERTO ANTIAMERICANISMO ED ANTIMPERIALISMO GLI SOMIGLIANO MOLTO, ALLA RADICE.

  67. MA FORSE SIETE SOLO UN PO’ UBRIACHI TIPO MEL GIBSON!

    LOS ANGELES – Quattro pagine di verbale della polizia finite su internet inchiodano Mel Gibson. Fermato dagli agenti in stato di ebrezza si è messo a urlare frasi antisemite di inaudita gravità: prima ha chiesto a uno dei poliziotti “Sei ebreo?”, poi ha iniziato a imprecare “Fottuto ebreo”, fino a urlare “Gli ebrei sono responsabili di tutte le guerre su questo pianeta”. L’attore e regista del film “La passione di Cristo”, che aveva sollevato un coro di polemiche proprio perché la lettura del Vangelo data da Gibson era sembrata a molti antisemita, oggi si è scusato dicendo: “Ero ubriaco”. Ma il dubbio che l’alcool abbia solo fatto venire a galla le convinzioni della star americana è forte.

    Il fattaccio è avvenuto nelle prime ore del mattino di venerdì scorso, quando Gibson, che non ha mai nascosto le sue convinzioni di integralista cattolico, è stato fermato dalla polizia di Los Angeles vicino a Malibu, alla guida della sua auto, per eccesso di velocità ed è stato poi arrestato in seguito alla reazione violenta avuta con gli agenti. La notizia dell’arresto era trapelata subito, ma solo oggi sono emersi i particolari più inquietanti, dopo che sul web è stata pubblicata una fotocopia del verbale redatto dagli agenti (del quale pubblichiamo la versione completa e un estratto con le frasi antisemite sottolineate).

    L’agente che ha redatto il verbale riferisce per filo e per segno le sparate dell’attore, che ha minacciato gli agenti di fargliela pagare perché “possiede tutta Malibu” e si è lasciato andare a improperi continui contro chiunque. Dopo la pubblicazione sul documento fatta dal sito Tmz.com, oggi è arrivata anche la conferma ufficiale della polizia: le quattro pagine andate sul web corrispondo al verbale ufficiale. Dalla vicenda non esce bene neanche la polizia di Los Angeles, che è stata accusata di voler insabbiare il caso.

    Ieri Mel Gibson si è scusato pubblicamente. “E’ tutta la vita che cerco di sconfiggere l’alcolismo e ho avuto una terribile ricaduta”, ha detto l’attore, aggiungendo di essere consapevole di aver fatto “spregevoli” affermazioni al momento dell’arresto. “Ero completamente fuori controllo”, ha dichiarato Gibson, e “ho coperto di vergogna me stesso e la mia famiglia”.
    Alcune ore dopo l’arresto, l’attore e regista era stato rilasciato su cauzione di 5mila dollari, ma dovrà ora comparire in giudizio. Ed è indubbio che le sue intemperanze verbali non passeranno inosservate.

    Lo star system aveva già perdonato all’attore le sparate antisemite fatte da suo padre, Hutton Gibson. Nell’aprile 2004, Gibson senior in un’intervista radiofonica aveva negato l’Olocausto e si era detto convinto dell’esistenza di una cospirazione mondiale ebrea. L’attore e regista aveva chiesto ai giornalisti di lasciare in pace suo padre, 85enne, e aveva detto di non mettere in dubbio la realtà storica dell’Olocausto, che aveva definito “un’atrocità di proporzioni immani”.

    (30 luglio 2006) Torna su

  68. caro viva Israele,
    la partita per cui tifi non è giocata con un pallone, magari. La partita per cui tifi, forse acriticamente, è giocata sulla pelle di molti e non solo libanesi e palestinesi, ma anche israeliani e, più in generale, ebrei.
    Le tifoserie (lo dico con stupido senso del macabro) non sono divisibili tra lo schematico e generico semitismo vs antisemitismo. Tant’è vero che se così fosse i Palestinesi potrebbero (dovrebbero) giocare in una squadra di semiti come convenzionalmente si conviene designare le popolazioni originarie di quella zona. Non è così e visto che anche molti ebrei non sono d’accordo con le opposte tifoserie (non solo quelli sopra, ma anche altri tra cui gli attivisti di Gush Shalom, Yesh Gvul, Anarchists Against the Wall, Coalition of Women for Peace, Taayush e molti altri che in alcuni casi posso citarti per nome e per testi reperibili in rete) la partita che si gioca in Israele sembra esere una partita di giustizia, di equità e diritti contro oligarchie di potere (di molti tipi non solo Israeliane, ma anche di certi emirati, dei poteri forti americani, europei ecc.) contro gli interessi di un mondo tenuto diviso, appunto, per tifoserie.
    Portare questi conflitti al di fuori delle logiche della tifoseria potrebbe servire a mettere in luce cosa questi poteri stanno levando alle nostre vite, alla nostra umanità e alla capacità di riconoscere gli interessi collettivi. Può suonare come un discorso astratto o equivicinate (orrore), non è questo quello che vorrei e che molti ebrei e palestinesi e arabi già oggi non vogliono quando si uniscono in movimenti comuni e lottano e manifestano per diritti comuni (alcune di quelle organizzazioni che ho citato prima portano in piazza, tra mille difficoltà, sia ebrei che palestinesi). La guerra al terrorismo è una dinamica paranoica (e anche molto israeliana) estesa al mondo da quella che crede di essere l’unica potenza rimasta dopo il crollo dell’URSS. Questa dinamica è fonte e pratica di terrorismo e ci sta costringendo sempre più a un mondo di esclusioni, ingiustizie, guerre e nuovo terrorismo. Questa dinamica sta erodendo progressivamente i diritti umani, sociali, ecc. conquistati a fatica. In nome di quelle logiche ci sembra normale che un rapinato o minacciato (o che si sente minacciato) insegua per strada il suo nemico e gli pianti una pallottola nella schiena, che esistano lager sui nostri territori (piccole Gaza, quasi) con il burocratico nome di CPT e che ci siano guerre embedded in cui la violazione della convenzione di Ginevra non solo viene praticata, ma incoraggiata. Gli ebrei sia isreliani che no (sia religiosi che no) che hanno la sensibilità di vedere quale disumanizzazione stanno praticando non solo sugli altri, ma su se stessi sono persone giuste, che vengono riconosciute e stimate da chi sa vedere che quello che cercano di salvare non il loro essere ebrei o ‘semiti’, ma il loro essere uomini e essere uomini in mezzo ad altri uomini che siano essi ebrei, mussulmani, libanesi, magrebini, caucasici o esquimesi.

    Davanti a questi abomini che le potenze di fuoco e di propaganda dei nostri Stati e delle nostre elites ci stanno propinando viene proprio voglia di chiedersi: se questo è un uomo.

    Vi rimando anche a un intervento del vecchio Fortini che dalle sue origini umane e ebraiche faceva, anni fa, considerazioni sulla politica israeliana che sono valide tuttora: ebrei:http://www.inguine.net/kufia/francofortini.htm

  69. Mi accorgo solo ora che il titolo iniziale dell’articolo,
    LA POLITICA DI ISRAELE CONSISTE PROPRIO NEL TENERE INTERE POPOLAZIONI IN OSTAGGIO, è stato cambiato nel neutro:
    LA POLITICA DI ISRAELE E LE POPOLAZIONI IN OSTAGGIO.

  70. Anzi, Fortini ve lo posto e vi risparmio la fatica della ricerca in rete:

    Lettera agli ebrei italiani*
    Franco Lattes Fortini

    Ogni giorno siamo informati della repressione israeliana contro la popolazione palestinese. E ogni giorno più distratti dal suo significato, come vuole chi la guida. Cresce ogni giorno un assedio che insieme alle vite, alla cultura, le abitazioni, le piantagioni e la memoria di quel popolo – nel medesimo tempo – distrugge o deforma l’onore di Israele. In uno spazio che è quello di una nostra regione, alla centinaia di uccisi, migliaia di feriti, decine di migliaia di imprigionati – e al quotidiano sfruttamento della forza-lavoro palestinese, settanta o centomila uomini – corrispondono decine di migliaia di giovani militari e coloni israeliani che per tutta la loro vita, notte dopo giorno, con mogli, i figli e amici, dovranno rimuovere quanto hanno fatto o lasciato fare. Anzi saranno indotti a giustificarlo. E potranno farlo solo in nome di qualche cinismo real-politico e di qualche delirio nazionale o mistico, diverso da quelli che hanno coperto di ossari e monumenti l’Europa solo perché è dispiegato nei luoghi della vita d’ogni giorno e con la manifesta complicità dei più. Per ogni donna palestinese arrestata, ragazzo ucciso o padre percosso e umiliato, ci sono una donna, un ragazzo, un padre israeliano che dovranno dire di non aver saputo oppure, come già fanno, chiedere con abominevole augurio che quel sangue ricada sui propri discendenti. Mangiano e bevono fin d’ora un cibo contaminato e fingono di non saperlo. Su questo, nei libri dei loro e nostri profeti stanno scritte parole che non sta a me ricordare.
    Quell’assedio può vincere. Anche le legioni di Tito vinsero. Quando dalle mani dei palestinesi le pietre cadessero e – come auspicano i ‘falchi’ di Israele – fra provocazione e disperazione, i palestinesi avversari della politica di distensione dell’Olp, prendessero le armi, allora la strapotenza militare israeliana si dispiegherebbe fra gli applausi di una parte della opinione internazionale e il silenzio impotente di odio di un’altra parte, tanto più grande. Il popolo della memoria non dovrebbe disprezzare gli altri popoli fino a crederli incapaci di ricordare per sempre.
    Gli ebrei della Diaspora sanno e sentono che un nuovo e bestiale antisemitismo è cresciuto e va rafforzandosi di giorno in giorno fra coloro che dalla violenza della politica israeliana (unita alla potente macchina ideologica della sua propaganda, che la Diaspora amplifica) si sentono stoltamente autorizzati a deridere i sentimenti di eguaglianza e le persuasioni di fraternità. Per i nuovi antisemiti gli ebrei della Diaspora non sono che agenti dello Stato di Israele. E questo è anche l’esito di un ventennio di politica israeliana.
    L’uso che questa ha fatto della Diaspora ha rovesciato, almeno in Italia, il rapporto fra sostenitori e avversari di tale politica, in confronto al 1967. Credevano di essere più protetti e sono più esposti alla diffidenza e alla ostilità.
    Onoriamo dunque chi resiste nella ragione e continua a distinguere fra politica israeliana ed ebraismo. Va detto anzi che proprio la tradizione della sinistra italiana (da alcuni filoisraeliani sconsideratamente accusata di fomentare sentimenti razzisti) è quella che nei nostri anni ha più aiutato, quella distinzione, a mantenerla. Sono molti a saper distinguere e anch’io ero di quelli. Ma ogni giorno di più mi chiedo: come sono possibili tanto silenzio o non poche parole equivoche fra gli ebrei italiani e fra gli amici degli ebrei italiani? Coloro che, ebrei o amici degli ebrei – pochi o molti, noti o oscuri, non importa – credono che la coscienza e la verità siano più importanti della fedeltà e della tradizione, anzi che queste senza di quelle imputridiscano, ebbene parlino finché sono in tempo, parlino con chiarezza, scelgano una parte, portino un segno. Abbiano il coraggio di bagnare lo stipite delle loro porte col sangue dei palestinesi, sperando che nella notte l’Angelo non lo riconosca; o invece trovino la forza di rifiutare complicità a chi quotidianamente ne bagna la terra, che contro di lui grida. Né smentiscano a se stessi, come fanno, parificando le stragi del terrorismo a quelle di un esercito inquadrato e disciplinato. I loro figli sapranno e giudicheranno.
    E se ora mi si chiedesse con quale diritto e in nome di quale mandato mi permetto di rivolgere queste domande, non risponderò che lo faccio per rendere testimonianza della mia esistenza o del cognome di mio padre e della sua discendenza da ebrei. Perché credo che il significato e il valore degli uomini stia in quello che essi fanno di sé medesimi a partire dal proprio codice genetico e storico non in quel che con esso hanno ricevuto in destino. Mai come su questo punto – che rifiuta ogni ‘voce del sangue’ e ogni valore al passato ove non siano fatti, prima, spirito e presente; sì che a partire da questi siano giudicati – credo di sentirmi lontano da un punto capitale dell’ebraismo o da quel che pare esserne manifestazione corrente.
    In modo affatto diverso da quello di tanti recenti, e magari improvvisati, amici degli ebrei e dell’ebraismo, scrivo queste parole a una estremità di sconforto e speranza perché sono persuaso che il conflitto di Israele e di Palestina sembra solo, ma non è, identificabile a quei tanti conflitti per l’indipendenza e la libertà nazionali che il nostro secolo conosce fin troppo bene. Sembra che Israele sia e agisca oggi come una nazione o come il braccio armato di una nazione, come la Francia agì in Algeria, gli Stati Uniti in Vietnam o l’Unione Sovietica in Ungheria o in Afghanistan. Ma, come la Francia era pur stata, per il nostro teatro interiore, il popolo di Valmy e gli americani quelli del 1775 e i sovietici quelli del 1917, così gli ebrei, ben prima che soldati di Sharon, erano i latori di una parte dei nostri vasi sacri, una parte angosciosa e ardente della nostra intelligenza, delle nostre parole e volontà. Non rammento quale sionista si era augurato che quella eccezionalità scomparisse e lo Stato di Israele avesse, come ogni altro, i suoi ladri e le sue prostitute. Ora li ha e sono affari suoi. Ma il suo Libro è da sempre anche il nostro, e così gli innumerevoli vivi e morti libri che ne sono discesi. È solo paradossale retorica dire che ogni bandiera israeliana da nuovi occupanti innalzata a ingiuria e trionfo sui tetti di un edificio da cui abbiano, con moneta o minaccia, sloggiato arabi o palestinesi della città vecchia di Gerusalemme, tocca alla interpretazione e alla vita di un verso di Dante o al senso di una cadenza di Brahms?
    La distinzione fra ebraismo e stato d’Israele, che fino a ieri ci era potuta parere una preziosa acquisizione contro i fanatismi, è stata rimessa in forse proprio dall’assenso o dal silenzio della Diaspora. E ci ha permesso di vedere meglio perché non sia possibile considerare quel che avviene alle porte di Gerusalemme come qualcosa che rientra solo nella sfera dei conflitti politico-militari e dello scontro di interessi e di poteri. Per una sua parte almeno, quel conflitto mette a repentaglio qualcosa che è dentro di noi.
    Ogni casa che gli israeliani distruggono, ogni vita che quotidianamente uccidono e persino ogni giorno di scuola che fanno perdere ai ragazzi di Palestina, va perduta una parte dell’immenso deposito di verità e sapienza che, nella e per la cultura d’Occidente, è stato accumulato dalle generazioni della Diaspora, dalla sventura gloriosa o nefanda dei ghetti e attraverso la ferocia delle persecuzioni antiche e recenti. Una grande donna ebrea cristiana, Simone Weil, ha ricordato che la spada ferisce da due parti. Anche da più di due, oso aggiungere. Ogni giorno di guerra contro i palestinesi, ossia di falsa coscienza per gli israeliani, a sparire o a umiliarsi inavvertiti sono un edificio, una memoria, una pergamena, un sentimento, un verso, una modanatura della nostra vita e patria. Un poeta ha parlato del proscritto e del suo sguardo “che danna un popolo intero intorno ad un patibolo”: ecco, intorno ai ghetti di Gaza e Cisgiordania ogni giorno Israele rischia una condanna ben più grave di quelle dell’Onu, un processo che si aprirà ma al suo interno, fra sé e sé, se non vorrà ubriacarsi come già fece Babilonia.
    La nostra vita non è solo diminuita dal sangue e dalla disperazioni palestinese; lo è, ripeto, dalla dissipazione che Israele viene facendo di un tesoro comune. Non c’è laggiù università o istituto di ricerca, non biblioteca o museo, non auditorio o luogo di studio e di preghiera capaci di compensare l’accumulo di mala coscienza e di colpe rimosse che la pratica della sopraffazione induce nella vita e nella educazione degli israeliani.
    E anche in quella degli ebrei della Diaspora e dei loro amici. Uno dei quali sono io. Se ogni loro parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un’altra ne toglie anche a quelli, ora celati, dei palestinesi. Parlino, dunque.

    * pubblicata su “il manifesto” il 24 maggio 1989 e poi ripresa sulla “Rivista del manifesto” (n. 21, ottobre 2001). Dopo l’edizione del ’79 dei Cani del Sinai Fortini è tornato più volte sul tema del Medio Oriente, sul conflitto che dal ’46 dura sino ad oggi in quella regione e sulla sua gestione da parte dei media. Va ricordata una intera parte di Extrema ratio (Milano, Garzanti, 1990), intitolata Un luogo sacro, dedicata al racconto di un soggiorno a Gerusalemme avvenuto nell’aprile dell’89.

  71. C’ERA UNA VOLTA ZAPPA CHE VENNE A CANTARE IN ITALIA…. GLI BRUCIARONO IL PALCO PERCHE’ ERA AMERICANO.

  72. non mi sono augurato una guerra duratura.
    ma sono sicuro che non finirà presto.

    ho scritto da qualche altra parte, qui in NI.2, che l’unica speranza di pace VERA è nel totale rovesciamento di ogni paradigma attuale, nella rinuncia ad uno Stato mono-confessionale da parte di Israele, nella restituzione di un sacco di terra, oppure nell’inclusione totale dei palestinesi.
    tutto questo oggi è pura utopia.

    voglio precisare che in ogni caso sono dalla parte dei palestinesi, perché sono i più deboli.
    ma mi rifiuto di “tifare” per loro: non è una partita di calcio.

  73. @helena

    L´empatia non la si puó decidere né dosare, credo. Se “hitler avesse finito il suo lavoro” molti non sarebbero nati, ma se olmert/peretz finissero il loro lavoro, che cosa avverrebbe? Un’ingiustizia ricompenserebbe un’altra? Sono saltato sulla sedia leggendo per caso un intervento di Imre Kertesz, premio Nobel per la letteratura e sopravvissuto ai campi di sterminio, quando nel 2002, durante l’assalto israeliano al campo profughi di Jenin, affermava di sentirsi rassicurato dal fatto che la stella di David fosse impressa sui carri armati dell’esercito israeliano e non piu’ sul suo abito di perseguitato.
    Ma perche’ ancora questo corto circuito tra passato e del presente? Perche’ questa falsa teologia per cercare giustificazioni che non si hanno?
    Perche’ servirsi di Auschwitz come di una moneta da spendere, quando invece e’ il punto dove tutte le nostre argomentazioni non hanno piu’ presa?
    E’ questo il varco da dove i vecchi mostri ritornano.

  74. Qui siamo nella patologia del triangolo maledetto tratteggiato da Giovanni Liotti nel” Le opere della coscienza” cioè vittima-carnefice-salvatore, trasposto su piano geopolitico con le dovute riduzioni.
    gli Israeliani amano la struttura temporale dell’eterno…una cosa è per sempre, maledizioni, guerre, rivalse, rivendicazioni, eterne, da millenni immutabili.
    ma non si stufano di rimanere sempre negli stessi orizzonti di senso?

  75. esiste anche un meccanismo secondo cui le persone che si amano, si imitano, come l’infante con la propria madre, attraverso il processo di rispecchiamento, riconoscimento e identificazione.
    è un primo istinto, l’istinto d’amore.
    perchè gli israeliani imitano i loro persecutori? li amano dunque? hanno maturato nei loro confronti la sindrome di Stoccolma interiorizzandone l’anima?
    Oppure cio’ verso cui non ci si puo’ rivalere, ne uccidere, si ruba, si ruba l’anima di chi non si puo’ piu’ perseguitare vendicandosi su chi invece per inermità lo permette.
    E’ una diabolica e mostruosa legge economica dell’animo umano che punta anon sprecare nessun sentimento, nessun odio. l’odio và espresso, incanalato, esploso contro chiunque si trovi sulla sua traiettoria.
    ma la cosa piu’ sconvolgente è il sospetto che questo sia fatto strategicamente e strumentalmente per fini non d’onore ma d’economia.
    In questo caso onore e egemonia economica coincidono.

  76. Luca, ho cercato di mettere in chiaro che non intendevo spendere nessuna moneta di Auschwitz. Gli uomini hanno i loro traumi, hanno un passato che si propaga nel presente, individuale e collettivo, con cui fare i conti individualmente e ancor più collettivamente è duro e difficile. Tutti, e tutti i popoli che hanno subito o subiscono violenze. Non rivendico esclusive.
    L’empatia, è vero, non la si può dosare e infatti la mia era una proposta semiseria. Ma forse la si può esercitare.
    E credo che sia utile farlo a fianco del ragionamento e del giudizio.

  77. Vi auguro la buona notte con l’articolo di un altro ebreo che non si fa infinocchiare dalla propaganda diffusa a tamburo battente su tutti i media (e controproducente per gli ebrei perchè induce moltissimi, che prima non lo pensavano, a credere che ci sia una lobby ebraica che dirige tutte le testate di giornali e telegiornali) e coltiva sguardo e idee proprie. Meditiamoci sopra.

    a Ben-Dor ebreo che iè israeliano e insegna in Inghilterra potete anche rivolgere domande o fare obiezioni, in fondo è indicato il contatto e-mail.

    Articolo originale: http://comment.independent.co.uk/commentators/article1197235.ece

    Il fondamento immorale dell’entità statale israeliana
    (31 luglio 2006)

    Dopo l’attacco e la distruzione contemporanea di Gaza e del Libano, Ben-Dor riconsidera alla violenza insita nello Stato Sionista per Soli Ebrei e spiega che l’esistenza di Israele, come stato ebraico, può portare a una catastrofe che minaccia di coinvolgere il mondo intero. Questo dimostra l’assoluta necessità e urgenza di lottare per la distruzione di Israele in quanto stato ebraico sionista e la sua sostituzione con uno stato democratico, non razzista, di ebrei e palestinesi secondo il principio: un uomo, un voto, come è successo in Sud Africa. L’articolo è anche un buon commento a chi si sbraita a gridare che «Israele ha il diritto di difendersi» (Manno Mauro).

    L’entità statale di Israele è fondata su un’ideologia ingiusta che è causa di umiliazione e sofferenza inflitta a coloro che sono classificati come non-ebrei, secondo parametri religiosi o etnici. Per nascondere questa immoralità primordiale, Israele incrementa per sé un’immagine di vittima. Provocare la violenza, consapevolmente o inconsapevolmente, contro la quale si deve poi difendere è un aspetto determinante della mentalità vittimistica. Dal momento che ha bisogno di perpetuare un simile tragico ciclo, Israele è uno Stato terrorista come nessun altro.

    Molti tra coloro che vogliono nascondere l’immoralità di fondo dello Stato israeliano, lo fanno evitando di volgere e attirare lo sguardo sugli orrori dell’occupazione successiva al 1967 e proponendo una soluzione di due Stati, dal momento che sostenere uno Stato palestinese, implicitamente avalla l’ideologia che è dietro a quello ebraico.

    La stessa creazione di Israele richiese un atto di terrore. Nel 1948, la maggior parte degli abitanti indigeni non-ebrei subirono la pulizia etnica e furono espulsi da quella parte della Palestina che divenne Israele. Questa operazione era stata attentamente pianificata. Senza la pulizia etnica, non sarebbe stato possibile fondare uno Stato con una maggioranza e un carattere ebraico.[1] Dal 1948, gli “arabi israeliani”, quei palestinesi che riuscirono ad evitare di essere espulsi, hanno subito una continua discriminazione. Nei fatti, molti sono stati dislocati nello stesso Israele, ufficialmente per “ragioni di sicurezza”, ma in realtà allo scopo di prendere le loro terre e darle agli ebrei.

    Non è forse sicuro che la memoria dell’Olocausto e il desiderio di Eretz Israel (il Grande Israele, dal Nilo all’Eufrate, ndt) non sarebbero mai stati sufficienti per convincere il mondo della necessità della pulizia etnica e di uno Stato etnocratico? Allora per evitare la destabilizzazione che verrebbe da una indagine sull’eticità di Israele, lo Stato israeliano ricorre anche ad altri mezzi per nascondere il problema centrale, e lo fa alimentando una mentalità vittimistica tra gli ebrei israeliani.

    Per tenere in piedi quella mentalità e per mantenere l’impressione davanti al mondo che gli ebrei sono le vittime, Israele deve alimentare le condizioni della violenza. Tutte le volte che le prospettive di violenza contro di esso diminuiscono, Israele deve fare il massimo per ricrearle: il mito che Israele è una povera vittima che cerca la pace e che però non trova “nessun partner per la pace” è un elemento fondamentale nel quadro che Israele ha elaborato per nascondere la sua immoralità primordiale e continua.

    Il successo ottenuto da Israele nella campagna condotta per mettere a tacere le critiche della sua iniziale e successiva spoliazione dei palestinesi non lascia a quest’ultimi nessuna altra scelta se non quella di ricorrere alla resistenza violenta. Dopo l’elezione di Hamas – l’unico partito che, agli occhi dei palestinesi, non ha rinunciato alla loro causa – la popolazione palestinese di Gaza e di Cisgiordania è stata schiacciata da una campagna di affamamento , di umiliazioni e violenza.

    L’insincero “ritiro” da Gaza, e il successivo assedio, hanno provocato una sequela di violenze che, fino ad ora, ha comportato il lancio di razzi Kassam, la cattura di un soldato israeliano e la quasi rioccupazione di Gaza. Ciò che oggi vediamo è la crescita dell’odio, la crescita della violenza da parte dei palestinesi, l’aumento delle umiliazioni e delle punizioni collettive da parte degli israeliani – tutte cose utili a rafforzare e la mentalità vittimistica israeliana e lo status di mucca sacra dell’entità statale di Israele.

    La verità è che non era possibile spartire la Palestina con misure etiche accettabili. Israele è nato per mezzo del terrore e ha bisogno del terrore per nascondere la sua immoralità di fondo. Ogni qualvolta c’è un barlume di stabilità, lo Stato ordina un assassinio mirato come quello effettuato a Sidone prima dell’attuale crisi in Libano, ben sapendo che un simile atto non porta sicurezza ma più violenza. L’unilateralismo di Israele e il ciclo di violenza si nutrono a vicenda.

    Tra le violenze e malgrado il discorso convenzionale fatto per nascondere le radici della violenza, l’attualità ci invita a riflettere. Più rifiutiamo di rispondere all’impellenza di questa riflessione, e più l’attualità parlerà con le sue parole di violenza.

    In ebraico, la parola elem (un silenzio stordito dall’oppressione e dallo sbigottimento) è etimologicamente legata alla parola almut (violenza). Il silenzio riguardo al fondamento immorale dell’entità statale israeliana ci rende tutti complici della crescita del terrorismo che minaccia una catastrofe di tali dimensioni da lacerare il mondo intero.

    Note:
    [1] Sarebbe nato solo uno stato multi-etnico, non razzista, di ebrei e palestinesi, che gli ebrei però non volevano. Invece, una proposta di minoranza della Commissione per la Sparizione del 1947 suggeriva espressamente questa ragionevole soluzione che ogni democratico oggi ha il dovere di riproporre. Ma, su pressione dei sionisti, vinse la proposta sostenuta da USA e Gran Bretagna di due stati etnici. Fu questa proposta voluta dai sionisti che fu approvata dall’ONU, allora costituito da soli 56 Stati dato che mancavano quasi tutti gli Stati che nasceranno dalla dissoluzione degli ex imperi coloniali di Francia, Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, ecc. (oggi l’ONU è costituito da 194 paesi e dall’Onu attuale non sarebbe mai stata approvata la Risoluzione 181 sulla Spartizione della Palestina, questo è sicuro!). In quasi 60 anni di storia di Israele si è potuto vedere quali sono stati i risultati di quella sciagurata decisione, sarebbe tempo di finirla. Ndt.

    Oren Ben-Dor è israeliano, insegna ‘Filosofia della Legge’ e ‘Filosofia Politica’ all’Università di Southampton, Inghilterra. Potete scrivergli a: okbendor@yahoo.com .

    da il pane e le rose
    Tradotto dall’inglese da Manno Mauro, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@tlaxcala.es). Questa traduzione è in Copyleft.

  78. A proposito di voci del dissenso.
    fonte: http://www.megachip.info/index.php

    Intervista di Erminia Calabrese con Avi Mograbi, regista israeliano, che firma un appello con alcuni colleghi per la pace

    “Noi registi israeliani salutiamo tutti i registi arabi riuniti a Parigi per la Biennale del cinema arabo. Ci opponiamo categoricamente alla brutalità e alla crudeltà della politica israeliana. Niente può giustificare il bombardamento della popolazione civile in Libano e a Gaza”.
    Avi Mograbi è un regista israeliano. Con altri 40 suoi colleghi connazionali ha firmato questo messaggio di amicizia e solidarietà ai colleghi libanesi e palestinesi e alle popolazioni civili colpite dalla guerra. Da anni, Mograbi lotta contro l’occupazione israeliana. Nel 1982 si rifiutò di partire per la guerra in Libano, pagando la sua scelta con la prigione. In occasione della biennale del cinema arabo, in corso a Parigi dal 22 al 30 luglio e organizzato dall’Istituto del mondo arabo, dove vengono presentati un centinaio di film, questo messaggio testimonia il suo impegno continuo per la pace.

    Come è nata l’iniziativa di lanciare un appello di solidarietà? E quanto crede che l’opinione pubblica in Israele condivida la vostra iniziativa?

    Questa idea nasce innanzitutto dalla lunga relazione di amicizia che abbiamo con molti registi arabi, specialmente libanesi e palestinesi, poi sicuramente quello che è successo nelle ultime settimane è stato determinante. Non potevamo non farlo vedendo quello che succede ai nostri amici. Avevamo molte informazioni riguardo quello che succede nei Territori Occupati, ma molto meno per quello che riguarda il Libano. Eravamo contrari all’iniziativa presa dal nostro governo e abbiamo deciso di inviare questa lettera per far capire che non tutte le persone in Israele sono d’accordo con la linea politica intrapresa dal premier Olmert.

    Quanto i film di registi libanesi e palestinesi sono diffusi in Israele e di quanta popolarità godono?

    I film libanesi non vengono diffusi qui. Alcune persone li hanno perché li comprano in Francia dando così l’opportunità di conoscerli. I film palestinesi sono più conosciuti. Assieme ad altri registi palestinesi abbiamo creato un club che si chiama ‘occupation club’, dove trasmettiamo film palestinesi e a volte, quando si può, il regista viene e parla del suo lavoro. Per esempio il film Paradise now è stato molto visto in Israele.

    Nei suoi film molto spesso ha denunciato la politica del governo israeliano. Come si sente in questo momento lei che ha rifiutato, nell’82, di andare in Libano a combattere? Ritiene che Israele attaccando il Libano abbia fatto un passo indietro?

    Certamente questo è un deja vu. Domenica scorsa ci sono state manifestazioni contro la guerra. Come nell’82, sono i libanesi a pagare il prezzo maggiore.

    Come spiega che in Israele, almeno stando ai dati diffusi dai giornali, la gente è convinta che questa guerra sia giusta e sia di difesa?

    Non posso spiegare questo in poche parole. Il nostro è un paese militare, l’educazione è militare. Si diffonde, tra la gente, la paura che si possa andare incontro ad un nuovo Olocausto. Il governo usa la storia ebraica per creare miti e far pressione sulla gente, così ogni piccolo incidente, come il caso dei due soldati rapiti, può portare una totale crisi esistenziale e dopo, quando Hezbollah agisce, allora il governo non ha bisogno di spiegare più niente, ha raggiunto il suo scopo: far capire che l’unica cosa che resta da fare è combattere.

    Oltre al messaggio a Parigi, quali altre sono le sue attività di solidarietà in questo periodo?

    Organizziamo manifestazioni e attiviamo petizioni perché la guerra si arresti.

    I registi libanesi e palestinesi hanno risposto al vostro messaggio invitando i colleghi di tutto il mondo a montare cortometraggi per rendere possibile il festival Ayyam Cinemai di settembre 2006, a Beirut. Ha già pensato a qualcosa? Parteciperà?

    Per ora non ho niente in testa. Di questi tempi è molto difficile fare arte. Ma anche se io farò qualcosa non sono sicuro che i libanesi siano pronti a mostrare un film israeliano a Beirut che parla della nuova distruzione del Libano. Ma ora a me questo non interessa, quello che voglio è che tutto finisca e che si prenda un’altra strada perché così non andremo da nessuna parte.

    da peacereporter.net

  79. @ Marco V

    Tu hai scritto questo:

    “Magari sono meno preoccupato delle barbarie antisemite che covano dentro di noi. Si può dire che non c’erano nemmeno al tempo delle Leggi razziali: tanto gravi quanto lontane dalle convinzioni degli italiani all’epoca. Infatti, al contrario della Germania, nel nostro Paese vivaddio si moltiplicarono i casi di solidarietà – anche a rischio della vita – agli ebrei a rischio di deportazione.
    Figurarsi oggi che barbarie e antisemitismo covi dentro di noi…!
    Mi sembra un pericolo lontanissimo, tutto teorico.”

    Temo che tu ti sia accontentato della favola bella degli italiani brava gente.

    Tutti gli ebrei italiani finiti nei campi come ci sono arrivati? Sono spariti piano piano dalle scuole, dai negozi, dalle strade, dall’Italia e gli italiani non se ne sono accorti? Volavano? Erano diventatio invisibili e sostituiti da cloni in modo che nessuno si accorgesse che non c’erano più?

    Qualcuno c’è stato, sì, che ha visto e ha cercato di fare qualcosa. Qualcuno però, qualche essere umano come ce ne sono dappertutto, non il popolo italiano in quanto tale.

    Se fossi Mussi metterei un anno di storia obbligatoria propedeutico a qualsiasi altra facoltà. E metterei a maggese le facoltà di scienze della comunicazione et similia. Non per molto, cinque anni, per tornare a respirare.

  80. Quello che i nazisti compirono fu un genocidio: l’uccisione sistematica, voluta e pianificata, di ogni ebreo e zingaro. Prima ci fu quello degli armeni, dopo quello dei khmer rossi e dei tutsi ruandesi. Le parole devono avere un peso e un senso specifico, anche quando sono dure e durissime.

  81. Ho scritto un paio di post ieri ma.. non sono stati postati..
    pazienza.. tra le altre cose sul “concetto” di occidentale linkavo all’ottimo libretto di Margalit e Buruma: Occidentalismo…

    Comunque @diego.. grazie delle ottime risposte!! veramente grazie!! pensa te quante cose nuove che non sapevo!! veramente illuminante!!

    ps. ribadisco (in caso non tornassero i vecchi topic che marco c’ha proprio una bella faccia tosta a dire che e’ d’accordo con tashtego che e’ l’unico qui con la testa sulle spalle…)

    shalom-salam

  82. @ temperanza

    Sono d’accordo con Luca: il varco da cui possono entrare i vecchi mostri lo aprono, lo hanno sempre aperto, gli ebrei – in particolare gli israeliani – in un paradossale e inaccettabile utilitarismo dell’Olocausto.
    Ribadisco (anche se ormai mi sembra perfettamente inutile: mi sembra di esser finito in una selva di maestrine): il pericolo di un antisemitismo in Italia non c’è perché non si può nemmeno parlare di antisemitismo quando furono promulgate le leggi razziali. Quando mi si fa notare – un po’ ragioneristicamente – che molti in Italia si voltarono dall’altra parte, che comunque il regime fascista ha promulgato quelle leggi e che l’Italia ha a tutti gli effetti partecipato all’Olocausto, si dimostra di non aver minimamente capito cosa intendo dire quando rimarco la differenza qualitativa tra noi e la Germania.
    Hitler BASO’ il suo successo sull’antisemitismo. La critica all’ebraismo internazionale fu un elemento catalizzatore di tutte le frustrazioni di un popolo, com’è noto, assoggettato dalle feroci ristrettezze di Versailles. Si può dire che l’antisemitismo ha prodotto Hitler, e non il contrario. E’ possibile dire questo per l’Italia? Gli italiani, la maggior parte di loro, scoprirono che in Italia c’erano (circa) 500 mila ebrei (alcuni dei quali stabilmente nel Paese da duemila anni) solo quando ne parlò il regime. Insomma, fu il consenso al regime – e la paura che esso sa instaurare – a ‘inventare’ un antiebraismo italiano. Che non c’era mai stato e che non si presentò mai nelle forme tedesche. Voi continuate a parlare di antisemitismo, ma non fu nel senso proprio: fu consenso di massa al regime.
    In Italia, al contrario della Germania, fu dunque il regime a produrre il razzismo. Questa diversità (riconosciuta persino dai suoi stessi protagonisti) non è cosa da poco. Perché nel caso della Germania ha costretto molti a interrogarsi sulle origini (che si perdono nella notte dei tempi) di questa volenterosa propensione alla carneficina (cito un famoso saggio), mentre per l’Italia e gli italiani ‘è sufficiente’ scomodare gli strumenti delle dinamiche di massa e delle caratteristiche dei regimi totalitari.
    Io continuo ad avere una tale considerazione di quello che è accaduto che non riesco a banalizzarlo: qualunque cosa sia l’antisemitismo, non è sicuramente uno stereotipo o l’inclinazione – diffusa in tutte le persone del mondo – a pensare al proprio ‘particulare’. Questo è sempre accaduto. Nell’antisemitismo c’è qualcosa di inquietante, spaventoso, atavico; ci sono pagine straordinarie di Freud o del Fromm di ‘Anatomia della distruttività’ che fanno capire che c’è ben altro. Quindi – e poi non ne parliamo più e ognuno si tiene le sue opinioni – per piacere piantatela di utilizzare la frase scontata degli ‘italiani brava gente’. Non fummo affatto bravi. Più semplicemente, non eravamo antisemiti. Fummo pavidi. Niente di cui essere orgogliosi, comunque. Ovvio…

  83. Helena, quello che dici è vero. Guardo agli ebrei lucidi per non confondere la critica alla politica di Israele (ai suoi crimini) con gli ebrei o con l’ebraismo e non ho voglia di fare paragoni che, forse, un vecchio racconto di Borges può autorizzare nella figura dell’aguzzino nazista che muore contento perchè l’ideologia per cui ha sterminato sopravviverà e sarà portata avanti proprio dai popoli che hanno combattuto il nazismo. Questo è possibile, ma non mi interessa, mi interessa invece leggere le voci di ebrei e ebrei israeliani del dissenso perchè sono loro oggi le persone del mondo ebraico più lucide e giuste. Se prima ho parlato di genocidio non è a caso e non lo fa a caso Tanya Reinhart che è sia ebrea che israeliana. Lei lo chiama ‘genocidio lento e sistematico’ (allego link e piccolo estratto in spagnolo di una sua intervista recuperabile anche in inglese) e ad ascoltarla/leggerla si capisce perchè. Non fa paragoni tra la barbarie nazista e quella israeliana, ma se ti capiterà di porle la domanda su come mai un popolo che ha tanto patito (Edward Said la chiamava: la tragedia di essere vittima delle vittime) possa oggi mettere in piedi un sistema simile farà fatica a risponderti. Avrai modo di vedere due occhi pieni di pianto anche se non si metterà a piangere. Quando ho assistito a questa scena sia lei che suo marito, il poeta Aharon Shabtai, erano veramente addolorati e in imbarazzo, incapaci di dare una risposta razionale, finirono per dire una frase che il traduttore ci trasferì come : qualcosa di demoniaco (non giurerei fossero le loro esatte parole).

    Visto che ci sono aggiungo dei link a voci di ebrei (anche israeliani) che è utile leggere ei anche diffondere.
    L’elenco potrebbe essere molto più ampio, non mancano i nomi (Gilad Azmon, Norman Finkelstein, Ilan Pappe, Mordechai Vanunu, Eyal Sivan, Oren Ben-Dor, Noah Cohen, Ben Merhav, Noel Ignatiev, Yerach Gover, Jeff Blankfort, Akiva Orr, Shimon Tzabar,Tzivi Havkin, Moshé Machover, e molti altri che potete cercare in internet), ma non ho tempo per fare ricerche più vaste. Sarò via per qualche tempo.

    sabato 22 luglio 2006
    L’infinita guerra preventiva di Israele – ed i limiti dell’unilateralismo
    http://bellaciao.org/it/article.php3?id_article=14383

    Chi ha iniziato? di Gideon Levy
    http://www.informationguerrilla.org/chi-ha-iniziato/

    Ran HaCohen
    DAVID HOROWITZ HA RISCRITTO IL PASSATO
    http://www.arabcomint.com/davidhorow.htm

    Chi ha vinto la seconda guerra mondiale?
    di Ran HaCohen
    http://it.geocities.com/comedonchisciotte/Yassin.html

    La democrazia israeliana
    Michel Warschawski
    http://www.zmag.org/italy/warschawski-israelidemocracy.htm

    sito di Tanya Reinhart
    http://www.tau.ac.il/~reinhart/

    Molti articoli di Tanya dal 1995 al 2006
    http://www.tau.ac.il/~reinhart/political/politicalE.html

    Presentazione del libro di T. Reinhart: distruggere la Palestina
    http://www.saggiatore.it/index.php?page=boo.detail&id=bk040100&site=tro

    per cosa stanno combattendo. Tanya Reinhart
    http://www.informationguerrilla.org/2006/07/13/per-che-cosa-stanno-combattendo-di-tanya-reinhart/

    http://www.anarkismo.net/newswire.php?story_id=3424&print_page=true
    L’attacco degli Hezbollah? È l’unico atto di solidarietà per Gaza
    Tanya Reinhart*

    versione in inglese
    http://fromoccupiedpalestine.org/node.php?id=757
    A slow, steady genocide Autor: Jon Elmer and Tanya Reinhart

    versione in spagnolo
    http://www.zmag.org/Spanish/0104elmer.htm
    Elmer: Gideon Levy escribía recientemente en Ha’aretz: “cada día de quietud en Israel es otro día de crudo desentendimiento respecto a lo que está ocurriendo en nuestro patio trasero. Si no hay terrorismo, no hay palestinos” (Gideon Levy, Ha’aretz, 7 Septiembre 2003). ¿qué te parece esta frase?

    Reinhart: Es cierto que los israelíes sólo ven a los palestinos a través de sus efectos en la sociedad israelí. Es verdaderamente sorprendente como la vida sigue en Tel Aviv con total normalidad cuando no hay terror. La gente va a sus asuntos, a su trabajo, a sus clases o a sus cafeterías mientras a tan sólo unos kilómetros toda una sociedad se está muriendo.

    Lo que está ocurriendo en los territorios es un proceso de lento y metódico genocidio. Alguna gente muere por que le asesinan de un disparo, muchos mueren por las heridas, el número de heridos es enorme, ronda las decenas de miles. A menudo la gente no puede conseguir tratamiento médico, así que alguien con un ataque al corazón se muere en un bloqueo de carreteras, por que no puede llegar al hospital. Hay una escasez de comida muy seria y por lo tanto malnutrición infantil. La sociedad palestina se muere día a día y la sociedad israelí apenas es consciente de todo esto. El grupo israelí oficialmente por la paz se disolvió en los años de Oslo. Desde su punto de vista, estaban totalmente dispuestos a aceptar que en los acuerdos de Oslo Israel ya les había devuelto la tierra a los palestinos. Quedaban algunos pequeños tecnicismos por salvar en los años venideros, pero esencialmente la ocupación había acabado.

    Ningún hecho en el terreno, como el hecho de que el número de asentamientos se doblara desde Oslo, o de que las tierras palestinas confiscadas aumentaran de tamaño, o de que en Gaza un millón de palestinos estuvieran encerrados en una prisión rodeada de enormes vallas eléctricas, con el ejército israelí vigilando desde fuera… de nada de esto se apercibió el grupo israelí por la paz.

    Así que la reacción al comienzo del levantamiento palestino [octubre 2000] y su represión fue: “nosotros los israelíes les dimos a los palestinos todo lo que pedían, nosotros los pacifistas estábamos en contra de la ocupación y aceptamos acabar con ella y los palestinos son unos extremistas que no han querido aceptar nuestras propuestas”. Aunque hoy en día esto ha cambiado un poco, todavía hay muchos que ven lo que hacemos en los territorios como autodefensa: no tenemos elección, y, en la guerra hay víctimas.

    Pero es importante mencionar que hay también muchos israelíes que ven lo que está pasando y hay un grupo creciente de reservistas insumisos que continúan informando sobre lo que han visto estando de guardia en los territorios y que afirman que no piensan volver a hacerlo nunca más. Hay grupos de jóvenes israelíes que van a los territorios e intentan luchar contra el muro [de separación].

    El Grupo Masha, de base muy popular, es un proyecto conjunto de palestinos, israelíes e internacionales del Movimiento de Solidaridad Internacional. Junto con los pobladores que están perdiendo sus tierras por culpa del muro montaron un campamento y se quedaron unos tres meses. El campamento fue desmantelado recientemente por el ejército, pero lo están volviendo a montar. Así que los palestinos no son transparentes para todos los israelíes. Hay una cierta conciencia, pero no es la corriente dominante.

  84. ” il pericolo di un antisemitismo in Italia non c’è perché non si può nemmeno parlare di antisemitismo quando furono promulgate le leggi razziali.”

    Questo dice Marco V.

    Ho vissuto a lungo in una città con una forte (prima della guerra) comunità ebraica, di alcuni di quegli ebrei sono amica, i genitori e i nonni di alcuni di quegli ebrei sono morti nei campi, ricordo di come si parlava degli ebrei dopo la guerra, quand’ero bambina, prima che diventasse politicamente corretto NON parlarne.

    L’Italia era antisemita come tutta l’Europa, nel modo bonario con cui noi copriamo la nostra debole moralità, certo, ma l’ebreo era accolto finchè era assimilato, e comunque apparteneva sempre a un’altra comunità. Poiché il nazismo non è nato in Polonia a in Russia vogliamo dire che Polonia o Russia non sono state antisemite?

    Se sapere questo e ricordarlo vuol dire essere una maestrina sono ben contenta di esserlo.

    Ribadisco, anno obbligatorio proprdeutico di storia per tutti.

  85. Temp, io sono pronto anche per una eventuale raccolta firme, in vista di un disegno di legge che regolamenti la disciplina a tutti i livelli scolastici.

    @ ops

    Grazie.

  86. @ temperanza

    stai scherzando?!
    In Polonia e in Russia??!! Ah, proprio begli esempi che fai. Perfetti.
    Per dare ragione a me.
    Quando il massimo che poteva accadere in Italia era il caso Edgardo Mortara, in Russia Dostoevski scriveva: “Se gli ebrei subiscono persecuzioni ovunque nel mondo, a questo punto un motivo ci sarà”.
    Quello sì che era un retroterra, quello sì che era antisemitismo radicato, secolare. Quello che c’era qui era pure eterodiretto: importato dal Vaticano.

  87. Voglio solo rammentare che il famoso Concilio si fece (simbolicamente, non politicamente) a Trento perché in quella città “accadde” la famosa panzana antisemita della comunità ebraica che rapì e mangiò un neonato cattolico.
    Insomma, in quanto ad antisemitismo la kultura kattolica (cioè la nostra, del belpaese!) non è seconda a nessuno. Sarà pure eterodiretta ma di certo è secolare.

  88. In Italia esiste un antisemitismo secolare, di matrice cristiana, che affonda le radici nelle accuse di deicidio. Gli ebrei, nei paesi cristiani, hanno sofferto molto di più che nei paesi arabi: erano soggetti a ogni genere di ristrettezza, costretti alla conversione, costretti a lavori invisi al popolo (strozzinaggio), chiusi nei ghetti, massacrati al carnevale.
    Però, personalmente, da ebreo, non trovo che oggi in Italia ci sia un forte antisemitismo; anzi (tranne alcuni commenti agghiaccianti che riscontro, in questo periodo, su questo e altri blog che parlano del Libano).

  89. Marco V, fammi capire, per te antisemitismo vuol dire pogrom?

    Quindi niente pogrom = niente antisemitismo?

    A tuo avviso, se capisco bene quello che dici, per parlare di antisemitismo bisogna essere di fronte solo a massacri e saccheggi?

    Dunque immagino che anche il razzismo americano fosse razzismo solo quando qualche nero ci lasciava le penne, se invece non avevano le libertà civili era poca cosa.

    Dunque i ghetti erano solo quartieri un po’ speciali, come Cinatown adesso a New York, esotici, dove l’interessato visitatore andava a cenare nel ristorante kosher?

    Ribadisco, un anno di storia obbligatorio, e mi trattengo.

  90. è davvero desolante assistere, tutte le volte che si discute della politica di Israele – ripeto e ripeto e ripeto -, allo slittamento del discorso sull’anti-semitismo.
    e assistere poi, una volta slittati, allo snocciolamento di tutti i luoghi comuni possibili sull’argomento.

  91. Forse era più radicato perchè nei paesi dell’est c’erano molti più ebrei?
    forse?
    Forse mia nonna non ce l’ha mai avuta coi musulmani perchè non sapeva manco dove stavano?
    forse?

  92. @marco
    anch’io in italia, da italiano bianco, milanese da generazioni, insomma “ariano” o goy o infedele o cristiano cattolico in quanto italiano (e non per via della mia fede spirituale, che è cosa mia), non trovo alcuna ostilità da parte di ebrei o musulmani o altri.
    trovo invece molti commenti razzisti (in senso lato) su questo blog e su altri da parte di ebrei o di simpatizzanti per Israele (o USA) o di uomini di destra verso chi critica Israele e USA: se a farlo sono ebrei, questi (pochi) riescono spesso a evitare l’accusa di antisemitismo (ma non sempre, anche Primo Levi è stato accusato di antisemitismo), se sono non-ebrei l’accusa di antisemitismo è praticamente automatica. (credo che anche l’accusa di essere “antiislamico” possa venire fuori per altri motivi ma finora m’è capitato meno di sperimentarla).
    Da parte mia ho dedotto, ormai da qualche anno, che chi distribuisice a piene mani accuse di antisemitismo, ebreo o no, ha idee razziste (in senso lato).

    @marco V
    concordo con te su quasi tutto, andremo tutti a ripetizioni di storia da temperanza ma confido che sia così generosa da farcele gratis. credo ci spiegherà anche perchè la Arent nella Banalità del male e Levi in Se non ora quando ci hanno tenuto a dire quanto (relativamente) poco fosse diffuso l’antisemitismo in Italia nel novecento, anche al tempo delle leggi razziali, se ben ricordo. Ma pare che se lo diciamo noi allora sosteniamo noi italiani siam brava gente, mah!

    @ ops
    apprezzo molto ciò che scrivi o riporti (il mio primo commento su di te era ironico) ma ti chiedo: per evitare l’accusa di antisemitismo dobbiamo proprio citare ciò in cui crediamo solo con parole pronunciate da e testi scritti da ebrei? Voglio dire: se le stesse cose le dico io non dovrebbero essere valide lo stesso? Io credo di sì, quindi dobbiamo batterci per la possibilità di far passare certe tesi chiunque le pronunci, fregandocene delle accuse di antisemitismo.

  93. Certo che bisogna fregarsi delle accuse, se sono strumentali e ingiuste mentre le critiche cosidette costruttive vale la pena ascoltarle. E credo che nel tuo caso, Lorenzo, quelle di Andrea Inglese, Tash e della sottoscritta lo fossero. Non ci si aspetta un “avete ragione voi!”, ma solo di essere ascoltati.
    La merda e il fastidio, per esempio, che io mi becco da due parti (fronti?), perché se da un lato affermo i pari diritti e l’uguale valore di un vita palestinese/libanese mi becco dell’ idealista cogliona, utile idiota, traditrice (crescendo), mi sento dall’altra parte dire (scusa, Luca, se semplifico a mo di esemplificazione, non ce l’ho con te) che anch’io userei Auschwitz se solo faccio presente che il trauma della persecuzione e l’antisemitismo esistono davvero, è – mi rendo conto- un cazzo rispetto alla fatica con cui esprimono dissenso persone come Amira Hass o anche il più moderato, ma per me sempre infinitamente sincero e umano David Grossmann
    (C’era un suo pezzo su Repubblica dell’altro ieri che vale la pena leggere). Pazienza, quindi. Andiamo avanti a ragionare con chi ne ha voglia, perché se ci rinunciamo rischiamo di essere fottuti tutti alla fine, in un gran finale apocalittico: palestinesi e libanesi, israeliani e ebrei, abitanti di ogni parti del mondo in cui propagini del conflitto potrebbero in un modo o nel altro arrivare.
    @ops Citi autori ebrei antisionisti (definizione non-valutativa) e altri solo fortemente critici e fai bene a ricordare che esistono questi e quelli e altri ancora se questo serve a non fare di ogni erba un fascio (oops!), anche se in questo momento la maggioranza appoggia la guerra e la repressione, ma in tmpi di guerra quasi sempre le maggioranze appoggiano la guerra, almeno all’inizio. E no, non bisogna essere ebrei per poter criticare Israele, bisogna solo evitare l’odio, la generalizzazione, le diverse e speculari retoriche belliche e “del nemico”, il rifiuto di capire (che non significa giustificare) ogni parte in causa.

  94. @diego
    Se guadagnerò un tesserino per il corriere meglio così, riparto al volo per Ikaria. Vado a godermi il beach volley, i rave e i B-52. Finale molto apocalypse-style, devo dire. Come vedi siamo tutti incorporati da un certo stile e da un certo lessico, anche tu.

    La “quarta guerra mondiale” è una periodizzazione storica e simbolica precisa, audace, livida nella sua forza estetica, nella sua promessa (in parte mantenuta) di ordine e violenza. Considero questa teoria ‘ostile’ alla mia formazione e alle mie idee ma, oggettivamente, la giudico ‘utile’ a interpretare il cambiamento in atto (i fenomeni, i fermenti, le notizie).
    Ben venga ogni ‘politica altra’, dunque, se e quando mi offrirà la stessa chiarezza. Nel frattempo, insieme al professor Negri, non resta che leggere Podhoretz.

    @ops
    @gabriella
    @s.

    “non farsi infinocchiare”
    (nemmeno dal professor Said)

    A pagina 13 del manifesto di ieri c’è una recensione firmata da Maurizio Riotto su un fumetto dedicato alla Corea del Nord (Guy Delisle,
    “Pyongyang”).

    Riotto fa un’operazione semplice semplice. Afferma che noi occidentali dipingiamo l’attuale presidente nordcoreano – Kim Chong’il – come un ‘muso giallo’ che si crede una star di Hollywood e affossa la sua nazione.

    Kim Chong’il non è un “muso giallo”. Ma resta pur sempre un criminale che si crede una star di Hollywood e affossa la sua nazione.

    Secondo Riotto, invece, prima di parlare dei gulag nordcoreani dovremmo pensare – niente meno – che a quelli italiani. “Basti citare il quartiere Zen…” (segue elenco di ‘ghetti’ italiani). Per cui, “lo Stato – anche quello democratico – può in realtà uccidere in tanti modi: il clientelismo…” (segue elenco di vizi italici, comprese “le scarcerazioni facili”). Altro che Said e la teoria postcoloniale. Questo è occidentalismo, banale banale.

    Possiamo rileggere ‘maliziosamente’ anche gli interventi di Uri Avnery, Ben Dor, Avi Mograbi, lo stesso Fortini (il più inespugnabile, soprattutto per quell’appello rivolto agli ebrei della Diaspora). Voglio dire, perché, oltre a citarli, non proviamo anche a ‘forzare’ l’interpretazione per vedere se reggono fino in fondo a una sorta di prova del nove? No, gli stronzi stanno tutti da una parte. Noi siamo i buoni, dissenzienti e intelligenti.

    1. Avnery e Ben Dor, ancora una volta, riducono la pace Israele e Libano alla risoluzione della questione palestinese. Ben Dor con toni ‘spiacevoli’, tipo rifondazione della ‘entità sionista’, che mi dà di molto sangue che scorre, anche più di adesso. Ad ogni modo, caricare un evento storico singolare (lo stato palestinese) di ricadute epocali così vaste (la soluzione della crisi mediorientale), significa sognare ad occhi aperti (lo fanno tutti gli idealisti, conservatori e democratici). Ogni ‘teatro’ ne contiene al suo interno altri, sempre più parcellizzati, con la loro storia specifica. A meno che non stai aggiornando peacereport o il pane e le rose.

    2. Avnery la pensa come Ali, e cioè che si stava meglio quando il Libano meridionale era ‘stabilizzato’ dalle forze di occupazione siriane. Dice che nel 1982 Israele invase il Libano senza che Hezbollah avesse sparato nemmeno un colpo nei mesi precedenti. Faccio notare che nel 2005-2006, la pioggia di Katyiuscia è stata molto più intensa del ‘normale’ (era iniziata con il ritiro di Barak). 210 razzi, ieri.

    3. Trattare il governo libanese come “un delicato mosaico di comunità etnico-religiose”… questo sì che è riduzionismo! qui si che ci vorrebbe il professor Said! una presunta fragilità democratica che impedirebbe a Siniora il disarmo di Hezbollah… Il parlamento libanese = ‘governo fantoccio’, una specie di margheritina che ha bisogno di tutori e fratelli maggiori.

    4. Che poi Avnery ironizzi sulle debolezze dell’Unifil è davvero deprimente. Dovrebbe ascoltare gli slogan dell’ala ‘movimentista’ e pacifista della sinistra italiana quando si parla di MSU.
    D’Alema ieri ha sgridato gli alleati europei per i ritardi nell’invio della forza multinazionale. Nello stesso tempo, dice che dobbiamo aspettare il cessate-il-fuoco (equistronzata). Vedrà, il caro ministro, quando i nostri soldati dovranno far indietreggiare i carri armati israeliani e disarmare i terroristi (fanta-regole d’ingaggio). Vedrà, che bel piattino gli stanno preparando in casa i cugini della sinistra umanitaria (“umano sentire”). Che bel dissenso, dall’11 settembre in poi.

    @temp
    Prima di andare in vacanza, voto anch’io per la mozione Temperanza.

  95. Galbiati, Helena
    non uso strumentalmente gli ebrei critici (siano antisionisti o no) per evitare accuse di antisemitismo. Non solo, almeno. Potrei avere anche ascendenze semitiche e rivendicarle se la cosa per me avesse un senso. Non lo ha e rifiuto di scendere in considerazioni di questo tipo perchè inevitabilmente riportano a concetti di ‘razza’ o di appartenenze religiose che sono a un passo dai concetti di ‘razza’.
    Per me sdoganare gli autori ‘ebrei’ critici ha lo stesso valore che ha avuto scoprire che in Italia solo una dozzina di docenti universitari si opposero a viso scoperto e di persona al fascismo accademico e sociale. Quando l’ho scoperto mi sono meravigliat. di non averlo mai saputo e di quanto fossero pochi. Oltretutto erano già tutti passati ad altra vita.
    Questo mio insistere nel leggere le voci ebraiche che non solo tesimoniano dissenso, ma disagio umano e lotta, è un modo per evitare che vengano ricordati e glorificati da morti come i pochi giusti che osarono (subendo ostruzionismo e carcere) dire alle loro comunità come stanno realmente le cose e indicare anche le strade per uscirne.
    Per questo li leggo e per questo mi danno coraggio, le difficoltà che da persona senza appartenenze religiose o particolari sudditanze culturali devo affrontare nell’avere idee critiche rispetto a Israele sono di molto inferiori a quelle che hanno loro. Non dev’essere facile (e alcuni descrivono questo processo) stabilire una distanza dalla mucca sacra Israele quando l’educazione e la propaganda ti hanno educato a pensare quel posto come il baluardo contro persecuzioni e olocausti. Men che meno deve essere facile porsi apertamente, in piazza e negli scritti contro un apparato sociale e di informazione che è creato apposta per uniformare o espellere.
    Per concludere direi che li posto perchè condivido le loro posizioni, perchè quando mi danno dell’antisemita penso che questa accusa su me pesa molto meno che sulle loro teste e infine perchè credo che di qualsiasi epoca e di qualsiasi popolo le voci come le loro siano le migliori, le voci giuste.

  96. ops, quel che scrivi mi scalda un po’ il cuore ed è utile anche questo, cercare le voci che servono a sentirsi meno soli, prenderle come incoraggiamento, moltiplicarle.

  97. @ ops

    Bellissimo commento, con la testa e il cuore al posto giusto, e con una riflessione centrale che spazza via quintalate di parole inutili. Se sei un giovane, come credo, vuol dire che c’è ancora speranza.

  98. Le do gratis volentieri, Galbiati, perché gratis le ho ricevute, da un grande storico che ci ha insegnato non tanto ad accumular dati e a sbatterli sul tavolo, o a dire questo ha torto questo ha ragione, ma a leggere i documenti con mente aperta e possibilmente, finché è umanamente possibile, senza pregiudizi, sapendo che i pregiudizi sono radicati nella testa nel cuore e nella pancia di ogni essere umano.

    La prima tesina che ci ha fatto fare, quando avevamo vent’anni, è stato mettere a confronto la storia conciliare letta da storici cattolici e da storici protestanti, anche una zuccona ventenne qualcosa impara, con quel metodo. Gliene sono ancora grata.

    Forse non ti sei accorto che io sono intervenuta sempre e solo sui pregiudizi dei commentatori, non sulla politica di Israele, e soprattutto sul modo a mio avviso inconsapevole e incontrollato con cui usano parole come nazismo e antisemitismo. E con cui usano allegramente luoghi comuni e pregiudizi.

    A me, qui, interessano solo le questioni di metodo. Le mie indignazioni me le tengo per me o le esprimo in altre sedi, quelle che io, a mio insindacabile giudizio ritengo più opportune. E spero che visto che si tratta delle MIE indignazioni, me lo concederai.

    Come si possa giudicare con mente libera se non si fa pulizia nel linguaggio con cui si prende posizione per me è cosa oscura e pericolosa, le parole – una volta partorite – hanno vita propria.

    Cmq vi saluto tutti, buone vacanze, per chi le fa, e animi più placati, se possibile.

  99. @ Galbiati

    grazie per la comprensione, ma come ho già detto: ci rinuncio.
    Non vedi come temperanza continua a spostare la questione? Facendola scivolare in altri ambiti (persino gli afroamericani!), dimostra di non aver capito nulla dell’antisemitismo – almeno per come ho tentato di farlo intendere io – cioè assimilandolo alla forma più clamorosa (per numeri, per storia e per violenza) di razzismo. Almeno fosse ‘soltanto’ così…
    Ho speso anche troppe parole per cercare di far capire come bisognerebbe adoperare colle molle questo termine. E’ un termine delicatissimo, che scomoda mostri antichi (giustissima l’annotazione in questo senso della responsabilità della Chiesa), ma che nel Novecento ha assunto, in Germania, una forma diversa e radicale (o meglio: ontologica) che non ha niente a che vedere con le forme storiche dell’odio verso gli ebrei, che esistevano – in forma blanda, checché se ne dica e non mi interessa se le maestrine si stracciano le vesti perché tanto è così e basta parlarne coi nostri nonni per rendersene conto – anche Italia come nel resto dell’Europa. Non era mia intenzione banalizzare il concetto. Anzi, credo sia stato banalizzato da altri (meglio lasciar perdere apartheid e ku kluz klan…).
    La differenza, sostanziale, risiede proprio nel superamento del concetto di ‘colpa dell’ebreo’: se per un italiano devoto a Pio IX un bambino ebreo battezzato (anche per sbaglio) doveva essere portato via dalla famiglia ed essere educato da un istituto religioso (un antiebraismo di prospettiva religiosa), in Italia non si produsse mai un antisemitismo che fosse lontanamente simile a quello centroeuropeo. Ed è quella la radice (che da noi non funzionava, ed è per questo che l’atteggiamento degli italiani nei confronti delle leggi razziali fu tanto diverso rispetto ai tedeschi) che sgorga l’ultima forma di antisemitismo, quella che oggi rappresenta l’unica (ma non lo è!) e l’universalmente riconosciuta: quello biologico.
    La colpa dell’ebreo non è più quella di essere ebreo, o di non essere cristiano, di essere usuraio o deicida. La colpa dell’ebreo è quella di essere…punto e basta. Di esistere. La differenza è gigantesca: facciamo della fantastoria. Se non ci fosse stato Hitler, il progetto dello sterminio finale l’avrebbe concepito qualcun altro? la risposta, secondo me è: forse sì, ma sicuramente non in Italia. Perché il ‘nostro’ antisemitismo non era quello là. In decine di secoli, la popolazione ebraica si era a tal punto mimetizzata e integrata – pur con le note difficoltà – che si era stabilizzata demograficamente. A Hitler bastarono sei anni per farli quasi scomparire.
    Non c’era conversione possibile, la prospettiva era diversa: l’antisemitismo che qualcuno si ostina a credere sempre uguale in ogni tempo e dappertutto (e invece non è affatto così) sarebbe meglio declinabile al plurale: ci sono stati antisemistismi.
    Se vogliamo parlare di quello italiano, parliamone. E’ quello che avevo tentato di fare, attuando prima una doverosa distinzione – non per ragioni di comodo, ma proprio per rispetto delle differenze – con quello nazista che esce sempre nelle occasioni più disparate. E a sproposito.
    Non sono io ad aver citato i lager, i nazisti. Io sono quello che ha detto: “beh, se è quello l’antisemitismo di cui vi preoccupate, vi informo che si può dire che non c’è stato neppure nel 1938”.
    Ha ragione Galbiati: una lettura veloce della Harendt e di Levi non farebbe male. E poi, a questo punto, mi piacerebbe proprio sapere che libri di storia ha letto temperanza.
    Una cosa è certa: son di quelli che ti fanno sentire in colpa (e perciò alfine assolutori..) e la chiudono lì ;)

  100. @marco v
    belli i discorsi da scompartimento ferroviario sull’antisemitismo buono degli italiani.
    bella l’affermazione non dimostrata né dimostrabile che il lager poteva costruirsi dappertutto, ma non da noi.
    una massa di parole a ribadire stronzate che manco mia nonna, la persona più dedita al luogo comune che abbia mai conosciuto, riuscirebbe a dire.
    complimenti poi per il livello di approfondimento che siete riusciti a raggiungere sulla questione palestina-israele.

  101. – Come vedi siamo tutti incorporati da un certo stile e da un certo lessico, anche tu.
    Sì @roberto, la medaglia è la stessa. Stessi cartoni giapponesi, stesse pubblicità, stessa istruzione elementare media e superiore, stesse famiglie che si sono impegnate – a volte arrancando, a volte non facendoci neanche caso – alla perpetuazione dignitosa del pacchetto morale col quale inscrivere nel futuro, presumibilmente il migliore tra i possibili, quella prole sulla quale hanno investito le speranze dei loro padri a guerra finita – spesso nell’illusione che questa potesse non ripresentarsi mai più nella storia. L’intrattenimento e la divulgazione, prerogativa dei nostri presenti trascorsi, hanno contribuito ad omogeneizzare i bisogni – finanche i desideri – di questa generazione. E fra tali (e tanti) desideri, la possibilità di mantenere stabilmente (e pacificamente) al livello del confronto dialettico e “democratico” le difese dei rispettivi punti di vista occupa una posizione di tutto rilievo.
    Però.
    Questo apparato di intrattenimento e divulgazione “forzata”, lo stesso che ci propina lo stato di fatto della globalizzazione come fosse una delle manifestazioni tangibili della fine della storia, è anche quello che ci ottenebra con una serie spettacolare di apocalissi in differita, di inspiegabili movimenti tellurici tra “stati”, “popolazioni” ed entità sovranazionali che sembrano monadi eterne invischiate per caso nelle nostre attualità. Elementi ai quali siamo tenuti a dare un nome – per non perdere definitivamente coerenza tra la nostra formazione/esperienza e la realtà così come ci viene mostrata e così come la subiamo – e, nel far questo, prendere una posizione.
    L’unica tecnica che possa garantire ai più volenterosi – ovvero a chi può ancora permetterselo – una certa onestà di giudizio nello scegliersi una posizione senza venir trascinati – consapevolmente o meno – dal vortice (non troppo) subliminale delle posizioni già prese da chi (o cosa), di volta in volta, “gestisce” il potere, è la ricerca (non necessariamente nella sua accezione accademica, e questo credo tu lo sappia bene). Significa selezionare e comparare fonti, significa seguire attraverso i documenti la portata diacronica delle riflessioni e degli atti di quelli che ci hanno preceduto. Significa, dopo essersi fatti un’idea, ancorarla a qualcosa di definibile, giustificabile e a sua volta analizzabile e proponibile. Ma soprattutto significa ristabilire un livello di coerenza a delle complessità che, così come risultano date, ci sfuggono necessariamente di mano nella loro inintellegibilità. Ovviamente, l’arbitrio è il limite che il tempo ci impone, nonché – paradossalmente – la spinta propulsiva a costituire in maniera sistematica la forza delle nostre argomentazioni.
    E’ a questo punto, ovvero dopo aver scelto e legittimato la posizione da prendere, il punto di vista da difendere e divulgare, che qualcosa non funziona. La mia raccolta di dati, il mio tentativo di ripristinare una coerenza risulta del tutto inutile stretto nella morsa del confronto dialettico e “democratico” fatto di altre raccolte di dati che sono posizioni (e previsioni) oziose tanto quanto le mie. E’ a questo punto che ci si trova costretti ad ammettere di non poter costruire niente che non sia un’altra chiacchierata, pubblica o meno, che lascia il tempo che trova. Nel peggiore dei casi, per stanchezza o esasperazione, la mia chiosa a tutto questo potrebbe essere un facile slogan per chiarire al mondo che da quel punto non mi sposto più, nel migliore sono tentato dal cercare la forma e la sfumatura più accattivante per far penetrare un messaggio del quale, alla fine, svilisco la portata ostensiva.
    Il fatto è che entrambe le opzioni non possono interessarmi. Perché non devo più far valere o difendere un punto di vista su di un ring con quattro spettatori – il fatto è che devo, al livello di dovere morale retaggio di quei pacchetti culturali all-inclusive di cui sopra, rendere partecipe quanti non possono saperlo (perché non ci sono stati) cos’è che succede in Palestina. Il fatto è che la visibilità della tragedia Libano mi offre più attenzione, un pubblico sensibilizzato sul quale piantare i semi di un’esperienza, ovviamente individuale, che ho cercato di sintetizzare in forma di analisi sfruttando la formula di Achcar “la politica di Israele consiste proprio nel tenere in ostaggio intere popolazioni”. E mi sento in dovere di cavalcare l’onda Libano per esporre quella che ritengo essere un’analisi corretta e assolutamente non imparziale né equivicina: qualsiasi deriva del genere nel mio discorso, qualsiasi ammorbidimento politically correct sarebbe stato una menzogna utile solo a non scontentare nessuno – un tipo di utilità di cui posso fare tranquillamente a meno.
    Io non devo solo “interpretare il cambiamento in atto”, io devo denunciare una politica e un’ideologia criminale – il sionismo così come si presenta oggi, supportato dal turbocapitalismo internazionale nella sua espressione ideologica e pragmatica – che mette in pericolo non solo le popolazioni direttamente interessate e – con una facile proiezione – la nostra tanto vilipesa pellaccia, ma anche la stessa identità ebraica, costretta in futuro – per quei giochi di semplificazione noti a noi tutti – a rispondere di un precedente che può renderla indegna di qualsiasi elezione.
    Accolgo (quasi) ogni giorno il consiglio di @temperanza, alla quale però vorrei chiedere, di grazia, quale storia studiare e se ne conosce una, di queste storie, che ritiene esaustiva e completa.
    Nel frattempo vi faccio io un assegno “di storia” per le vacanze, qualcosa che possa renderci partecipi della genesi dell’ideologia sionista come risposta all’antisemitismo europeo e degli accesi dibattiti che provocò all’interno dell’intellighentja ebraica tedesca a proposito di concetti quali “nazione ebraica”, “nazionalità ebraica” e “stato ebraico” in relazione alla “religiosità ebraica”: la polemica Cohen-Buber del 1916 ne è un ottimo compendio; i testi integrali sono tradotti in italiano e contenuti nel volume “La fede d’Israele è la speranza”, una raccolta di interventi di Hermann Cohen sulle questioni ebraiche, a cura di P. Fiorato – ed. Giuntina, 2000.
    Io domani parto per la (mai come quest’anno) meritata vacanza – non mi sarà quindi possibile rispondere per una settimana. Tanti saluti.

  102. @diego
    e bravo Diego, non mi stupisci mai abbastanza.
    Ottima cosa leggerti.
    Soprattutto quando parli di quali ‘storie’ dobbiamo studiare.
    Ma ne riparleremo.
    Bon voyage.

  103. Io credo che sia una tragica maledizione ritenersi, non un popolo, ma il popolo prediletto da un DIO che gli ha promesso non una terra, ma quella terra.
    Molti israeliani non hanno ancora storicizzato il fatto, purtroppo.
    Nella stessa presunzione della affermazione c’è il seme di una tragedia che ancora si consuma ora, a danno di altri vicini e purtroppo porterà conseguenze, ritorni di violenza, vendette su questo popolo stesso.
    Certe credenze sono dure a morire ed anche se lo stato di Israele pare laico di fatto, molti politici israeliani purtroppo nominano il loro Dio ed il loro patto continuamente.
    Io sono un pacifista ad oltranza perchè so che violenza genera violenza:
    è quasi matematico.
    MarioB.

  104. “Benché la soluzione migliore sia l’eliminazione del regime sionista,
    a questo punto un immediato cessate il fuoco deve essere
    implementato”.
    (Mahmoud Ahmadinejad, 3 agosto)

  105. Il professore (ebreo) di scienze politiche Bertell Ollman così scrive nella sua lettera in cui si dimette dalla comunità ebraica:
    http://facpub.stjohns.edu/~ganterg/sjureview/vol3-1/07Resignation-Ollman.htm

    ….Like all nationalisms, Zionism is also based on an exaggerated sense of superiority as applied to members of the in-group and a feeling of indifference, bordering on contempt, for members of other groups. Jews entered world history with an extreme act of “chutzpah” (for which a new word had to be invented) in which they posed one just God who created everyone, and then, for reasons best known to him, “chose” the Jews to be his special people (why Christians and Moslems so happily accept their inferior status in this arrangement I’ll never understand). But what the Zionists have done is carry this original act of “chutzpah” over to God’s commandments. Where Jews once believed they were “chosen” to receive God’s laws for all humanity, Zionists seem to believe that they were “chosen” to break them whenever they interfere with the national interest. What room does this leave for a belief in the inherent equality of all human beings?
    …………..Admittedly, the ancient Hebrews not only received the Laws from God but also, supposedly, the promise of a particular piece of land. The latter, however, was always linked to the Jews obedience to these laws, of which the most important – given the number of times God refers to it – is the prohibition against idolatry. While the Jews have not built any idols of Jaweh, their record on idolatry – perhaps in part the result of the restraint shown in representing God – has probably been worse than that of their neighbors. For well over 3,000 years, Judaism has fought a largely losing fight against idolatry with the temple in Jerusalem, the scrolls of the Torah and the land of Israel coming to embody and gradually to replace the relations with God and the corresponding ethical precepts that they were supposed to represent. But only in Zionism, the current version of this land idolatry, have these precepts been sacrificed altogether. This modern version of the Golden Calf has saved Moses the trouble of smashing the Ten Commandments by doing it for him. That many of today’s Zionists don’t believe in the God of their fathers simply makes it easier for them to turn Eretz Israel into a new God. The idolatry stands. Only now God’s laws can be written by a committee without sullying their nationalist content with any universalist pretensions. If such extreme nationalism is normal – which makes Spinoza, Marx, Freud and Einstein thoroughly abnormal – then, I guess, Berlin finally got his normal people……

    The organic tie that Zionism – as is typical with nationalist movements – takes for granted between its people and their territory is also bathed in the kind of mysticism that renders any rational discussion of their situation impossible. This is as true for religious Zionists who actually believe that God made a real estate deal with their ancestors as it is for secular Zionists who conveniently forget the 2,000 years of the Jewish diaspora in staking their “legal” claim to the land (only to recall the Jews’ suffering in the diaspora when the discussion shifts to their moral claim to it). What room does this leave for dealing in a humane and rational way with the problems of life in the 21st century? With both morality and reason tailored to serve tribal needs first…and last, the chamber of horrors that Zionism has constructed for the Palestinian people was only a matter of time in coming. Could this be what the ancient Hebrew prophets had in mind when they predicted that the Jewish people would become “a light onto the nations”? Certainly not, nor was it something that Jews themselves could possibly have imagined during the period of the diaspora, when probably no people attached a greater value to human equality and human reason than the Jews. Einstein could even claim that the most important characteristic of Judaism was its commitment to “the democratic ideal of social justice, coupled with the ideal of mutual aid and tolerance among all men” without anyone laughing at him.3 Now, even God would have to laugh… or cry……..
    ………..But the same social and economic turmoil, with its new opportunities for advancement and – also – frightening rise in anti-Semitism, that led many Jews to exchange their prime identity in the tribe for one in the human species led other Jews to reject their evolving cosmopolitanism in favor of a renewed nationalist project. It is no coincidence that so many Jews became either socialists or Zionists at the end of the l9th and in the early part of the 20th century. Where no change in the condition of the Jewish people had seemed possible earlier, now two alternatives emerged and vied with each other for popular support. The one sought to do away with the oppression of Jews by doing away with all oppressions, and the other sought the same end by removing the Jews to a supposedly safe haven in Palestine. The same processes that gave rise to these two alternatives brought the gradual and then rapid disintegration of Diaspora Judaism. Though most Jews today live outside Israel in what is still called the “diaspora”, the great majority belong to either the socialist or, increasingly, Zionist camps (including the weak versions of each) and what remains will probably be drawn into one or the other of these two camps in the near future. Diaspora Judaism, as it existed for almost 2,000 years, has practically ceased to exist. It has divided along the lines of its major contradiction into a socialism that is concerned with the well being of humanity and a nationalism that is only interested in the well being of the Jewish people and their reconquest of Israel. Since Judaism has always tried to synthesize these irreconcilable projects, their definitive separation – forget the artfully packaged nostalgia that finds its way into the media – can be viewed as the end of Judaism itself. Perhaps all there is left are ex-Jews who call themselves socialists or communists and ex-Jews who call themselves Zionists (the secular/religious divide among the latter has little relevance for my purposes).
    If neither socialists who reject the nationalist and religious aspects of Diaspora Judaism nor Zionists who reject its universal and humanist dimensions (and often its religious aspects as well) are Jews, then the real debate is over which tradition has retained the best of their common Jewish heritage. Despite their constant chatter about Jews, I would maintain that it is Zionism that has least in common with Judaism. It is not by breaking the limbs of Palestinian youth that the Jewish sages of the past predicted our people would “become a light onto the nations”. In Israel today—where “tsadik” (righteous person) and “mensch” (decent one) apply only to a few who are spat on by the great majority of the population, and “chutzpah” has come to mean the defense of the indefensible, there is little to remind us of the moral core of a once noble tradition.
    When I was growing up, my Yiddish speaking mother would often try to correct some aberrant behavior on my part by warning that it was a “shandeh fur die goyim” (that I would be shaming not only me and my family but all Jews in front of the gentiles). What I want to cry out loudest in front of all the crimes of Zionism, and all those who try to defend them, is that what they are doing is a “shandeh fur die goyim”. They themselves, the big cheeses and the small fry, are all a “shandeh fur die goyim”. (Ma, I remember). Socialist and ex-Jew that I am, I guess I still have too much respect and love for the Jewish tradition I left behind to want the world to view it in the same way as they rightly view and condemn what the ex-Jews who call themselves Zionists are doing in its name. And if changing my status from ex-Jew (current) to non-Jew (projected) stirs even ten good people (God’s “minyan”) into action against the Zionist hijacking of the Jewish label, then this is a sacrifice I am ready to make.
    To those who wonder why the resignation of an atheistic communist from the Jewish people might bother some Jews, I would just point out that the greatest sin a Jew can commit – I was taught this from all sides – is to take leave of his people (usually by converting to another faith). A family will often respond by “sitting shivah” over the offending member (treating him or her as dead). The deep shame and anger that many Jews feel when this happens is hard to explain, but it probably has something to do with the intense quality of the social bond that unites all Jews, the result originally, no doubt, of being God’s chosen but also of sharing and surviving so many centuries of oppression. While a Christian relates to God as an individual, the Jew’s relation to God has always passed through his connection to the chosen people, a people that God also holds collectively responsible for the failures of each of its members. Operating with such an incentive, Jews could never allow themselves the luxury of indifference when it came to the life choices of their co-religionists. With a little Jewish education, this inner connection becomes so ingrained that even some atheist and communist Jews may experience the defection of a Jew from the people as losing a limb from their own body. Certainly, my continuing identification as a Jew, as some kind of a Jew, while lacking any of the attributes of a believer, helps explain why I felt an overpowering need to resign when “Jew” came to mean something I could not accept (or ignore). And the same organic tie may help explain why some Jews, including those of whom I am most critical and who might be expected to rejoice at my resignation, may get so upset by the form that my criticism has taken.
    Here I am almost at the end of my letter of resignation and I haven’t discussed the Holocaust. For many Zionists that would be enough to reject what I have to say. In my defense, I would like to share a story that Joe Murphy, the former Vice Chancellor of the City University of New York, used to tell about his Jewish mother. “Joe”, he has her saying, “there are two kinds of Jews. One kind has reacted to the unspeakable horror of the Holocaust by vowing that they will do anything to make sure it doesn’t happen to our people again. While the other kind of Jews took as their lesson from the same terrible event that they must do whatever they can to make sure it doesn’t happen again to any people anywhere. Joe”, she went on, “I want you to promise me that you will always be the second kind of Jew”. He did, and he was.
    The first kind of Jew, most of whom are Zionists and therefore in my language really “ex-Jews”, have gone so far as to unashamedly transform the Holocaust itself into a club with which to bash any critic who has the temerity to question what they are doing to the Palestinians, supposedly in self-defense. (See Norman Finkelstein’s THE HOLOCAUST INDUSTRY) Any criticism of Zionism, no matter how mild and justified, is equated with anti-Semitism, where anti-Semitism has become a short-hand for people who bear some responsibility for the Holocaust and are really hoping for another one. This is a heavy charge, and it has proved very effective in silencing many potential critics. It is no coincidence, therefore, that the striking revival of media interest in the Holocaust comes at a time when Zionism is in greatest need of such a protective cloak (shroud?). In the process, the worst human rights violation in history is being cynically misused to rationalize one of the worst human rights violations of our time. Joe Murphy’s mother would expect the second kind of Jews to be the first to point this out and condemn it………………………

  106. @A.Oz & D. Grossmann
    Cari amici pacifisti, come avete ragione. A fine luglio avete invitato il movimento pacifista israeliano a sostenere la guerra al Libano, avete giustamente detto che era solo una guerra difensiva contro chi voleva distruggere Israele, che non c’erano scopi territoriali. E ieri ho sentito alla radio che avete chiesto il cessate il fuoco, perchè questa guerra, moralmente e legalmente giustificata, come ben dite, ha creato una situazione d’emergenza in Libano. Che cuore che avete! Avete però precisato che molti obiettivi sono cmq stati raggiunti. Come avete ragione di nuovo: in Libano con oggi si contano più di 1000 morti, per lo più civili, e quasi il 20% della popolazione è ormai composto da profughi senza casa; sono stati bombardati luoghi di culto, centrali elettriche, scuole, porti, ponti (quanti ponti!) , palazzi con funzionari dell’ONU, case… sentivo l’altro ieri al tg che ormai ospedali e farmacie sono al collasso e che con l’impossibilità di avere dei trasporti funzionanti si rischia di non poter più soccorrere quasi nessuno, altro che corridoio umanitario: che ottimi obiettivi si son raggiunti!
    Poi oggi ho sentito alla radio da stasera ci sarà il coprifuoco nel Libao del sud occupato, e ho sentito anche che l’unico ponte che da Tiro permetteva i soccorsi della Croce rossa internazionale e di Medici senza frontiere è stato bombardato proprio oggi. Il portavoce di medici senza frontiere ha detto che quando oggi si sono messi in viaggio hanno presto visto dei missili lanciati a 100 metri da loro. Che umanità da parte dell’esercito israeliano! Pare che ormai tutto il Libano meridionale sia stato isolato, senza la possibilità di alcun soccorso per gli sfortunati che si salvano dalle stragi quotidiane, e ora i bombardamenti si son spostati sulle montagne, dove ci sono i cristiani drusi, e sul confine con la Siria, con il rischio, o con la speranza, di allargare il conflitto.
    Per ciò che riguarda Israele, credo ci siano quasi un centinaio di vittime tra i soldati, non so quanti tra i civili, credo decine, oltre alla distruzione di parte delle città del nord.
    Avete avuto proprio ragione a incitare i vostri e miei amici pacifisti a sostenere questa guerra. Grandi risultati sono stati raggiunti!
    E ora sicuramente il governo ascolterà la vostra nuova richiesta e oggi, o al più tardi domani, cesserà le ostilità, io non ne ho alcun dubbio!
    Mi aspetto che anche in futuro intellettuali come voi diano al governo israeliano e a noi pacificti le vostre illuminate dritte, senza le quali Israele e il Medioriente tutto rischierebbero di essere distrutti.
    Lorenz

  107. Sono perfettamente d’accordo con te, Lorenzo.

    Aggiungerei alla tua “lettera” a quei “grandi intellettuali” una richiesta/domanda: se possono spiegarci quali armi “sperimentali”, oltre a quelle chimiche, sono state usate, e vengono quotidianamente utilizzate, nei bombardamenti della popolazione civile.

    L’unica “consolazione” (misera e magra, ma è pur sempre qualcosa), di fronte a questo genocidio spacciato per difesa dei confini nazionali, è il sapere che la stragrande maggioranza dei pacifisti israeliani ha continuato a manifestare, sia pure in un clima di accerchiamento e di ostilità, fregandosene altamente di tutti gli appelli in senso contrario.

    p.s.

    Anticipo un’eventuale accusa di antisemitismo: io e la parte di sangue ebraico che mi scorre nelle vene ne abbiamo le palle piene di tutti i distinguo e gli alibi di comodo che ci costringono a fare da spettatori inerti e passivi di fronte all’orrore quotidiano che si materializza in quell’area sotto gli occhi rassegnati e complici dell’occidente. Il governo israeliano non è che l’esecutore, il braccio armato e il boia dei disegni imperiali americani in Medioriente. E il governo italiano che, sotto la presunta scure delle accuse di antisemitismo brandita dalla destra, oscena quante altre mai, non muove un dito né si dissocia in alcun modo, ne è a suo modo complice.

  108. @ugolino
    “Il governo israeliano non è che l’esecutore, il braccio armato e il boia dei disegni imperiali americani in Medioriente. ” Che finezza di analisi. Che tesina… L’ho riletta tre volte per quant’è acuta.

  109. E’ quello che succede a coloro che non hanno mai avuto l’onore di prendere lezioni dal cardinale caffarra; oppure a quelli che, di fronte al massacro quotidiano di civili inermi, in maggioranza bambini, sono nauseati dai distinguo pseudostoricizzanti di tanti intellettualini che si fanno le seghe sfogliando e leggendo articoli su articoli (per farci sapere, tra l’altro, che conoscono anche le lingue), alla ricerca del quid che ha innescato l’orrore, come se ciò bastasse a fermarlo.

    Non ti dico poi che finezza di analisi e che tesine vengono fuori quando il mancato allievo caffarriano e il nauseato sono la stessa persona. Soprattutto quando si imbattono in vere e proprie gemme come “dai ferrandiani a forza nuova”, i “bellaciao santoriani”… etc. etc. Ma quando si hanno quei maestri e “amici” che vedono i filmissimi di retequattro, è chiaro che il livello dell’analisi non teme confronti. Che dire di fronte a tanta doctrina…

    p.s.

    Sembra che il trippone che si abbevera e si ingozza alle sacre mense arcoriane stia cercando reclute. Il primo settembre si aprono le iscrizioni.

  110. Finalmente ho trovato qualcuno che c’entra i problemi senza perdersi in un’inutile ammasso di informazioni e pone in modo chiaro la questione sul da farsi – e da pacifista nonviolento mi sto interrogando.

    Da http://www.carmillaonline.com
    Libano: come togliere le castagne dal fuoco con le zampe del gatto
    di Paolo Chiocchetti

    La risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la decisione del governo italiano di partecipare con alcune migliaia di soldati alla forza internazionale di interposizione nel sud del Libano sembrano essere accolte favorevolmente da larga parte del mondo “pacifista”, secondo quanto riferito da Repubblica di oggi (“Stavolta i pacifisti danno l’ok”, p. 11). La tavola della pace ad esempio afferma in un appello sul proprio sito: “Dopo 30 lunghi giorni di stragi e devastazioni il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha finalmente approvato una risoluzione che chiede a tutte le parti l´immediato cessate il fuoco. Nonostante questa risoluzione giunga con grande e ingiustificabile ritardo essa segna un importante passo in avanti.

    Non è la fine della guerra ma può essere il primo passo concreto verso la sua conclusione. Le parole della Risoluzione dell´Onu devono diventare immediatamente realtà per le popolazioni di entrambi i paesi violentate dalla guerra. […] Il voto del Consiglio di Sicurezza dimostra ancora una volta che l´Onu è essenziale per la pace […]”.

    Ora, se certamente giustificate sono la gioia e il sollievo per l’interruzione dell’attacco israeliano contro il Libano, il cessate-il-fuoco e la probabile ritirata delle truppe di Tsahal all’interno dei propri confini, sia la risoluzione ONU che la partecipazione a una futura missione militare nel sud del Libano non possono non sollevare almeno due interrogativi.

    Il primo problema è dato dal significato di questa guerra e del suo cessate il fuoco. Quest’ultimo è l’esito di una netta sconfitta militare sul campo patita da Israele da parte della resistenza libanese e rappresenta la “via di uscita” onorevole predisposta da Stati Uniti e Francia per permettere ad Israele di ritirarsi senza dover ammettere il fallimento dei propri obiettivi di guerra. Il piano israeliano, che secondo le informazioni confidenziali raccolte da Seymour Hersh sul New Yorker del 21 agosto era stato preparato e concordato con l’amministrazione Bush prima di luglio (per essere sferrato al primo incidente) con l’intento di “alleviare le preoccupazioni per la sicurezza di Israele ed anche servire da preludio ad un potenziale attacco preventivo americano per distruggere le istallazioni nucleari iraniane”, è scattato utilizzando come “casus belli” il rapimento di due soldati israeliani da parte di Hezbollah il 12 luglio nei pressi del confine israelo-libanese. Sembra che il rapimento sia avvenuto in realtà all’interno dei confini libanesi, dato assolutamente nascosto dalla propaganda mediatica occidentale (vedi Trish Shuh, “Operation ‘Change of Location’?”, su Counterpunch, 15 agosto). Sta di fatto che la “risposta” di Israele è stato il lancio di un mese di bombardamenti violentissimi e indiscriminati sui villaggi e sulle infrastrutture di tutto il Libano (utilizzando, si sospetta, anche armi chimiche e altre armi non convenzionali) che hanno massacrato più di un migliaio di civili e colpito duramente la sua economia. Altro che “risposta sproporzionata”: si è trattato di una aggressione premeditata a uno stato sovrano, palesemente priva di relazioni con il rapimento del 12 luglio.
    L’attacco israeliano, composto principalmente da operazioni aeree e in maniera subordinata da un’avanzata di terra verso il fiume Litani, aveva come obiettivo principale di piegare la resistenza di Hezbollah nel sud del Libano, che dopo anni di guerriglia nel 2000 aveva costretto il premier Barak a ritirarsi unilateralmente da quasi tutti i territori libanesi che Israele occupava dal 1978 (la prima vittoria mai conquistata da truppe arabe contro Israele) e che continua a rappresentare una spina nel fianco per Israele. Collegati all’obiettivo militare esistevano anche obiettivi di “prestigio”, ovvero riaffermare la superiorità dell’esercito israeliano recentemente incrinata da alcuni smacchi simbolici e dimostrare la determinazione del nuovo governo di unità nazionale (in particolare del vergognoso Amir Peretz, leader del Partito Laburista e ministro della Difesa). In secondo luogo esso, sempre secondo Hersh, sarebbe servito da monito e da prova generale nel braccio di ferro ingaggiato da Stati Uniti ed Iran sul dossier nucleare. Ebbene, Israele si è scontrato con una resistenza molto più tenace del previsto e si è dimostrato incapace sia di distruggere il potenziale bellico di Hezbollah (i cui lanci di missili contro Israele sono continuati inalterati fino alla fine) sia di invadere il Libano in profondità a costi umani e in mezzi accettabili (subendo importanti perdite da parte di una guerriglia estremamente efficace e determinata).
    Come interpretare allora la prevista sostituzione dei soldati israeliani da parte di soldati internazionali e libanesi concordata in sede ONU? Il suo significato non è chiaro. E’ certo una vittoria politica di Hezbollah e del Libano, che sanziona il fallimento dell’invasione israeliana e assicura una protezione da interventi futuri di Israele. Ma la lettera della risoluzione ONU è piena di clausole stile “cavallo di troia”, che mirano (probabilmente in maniera velleitaria) a trasformare una sconfitta sul campo in una vittoria diplomatica per Israele. L’intenzione di Israele e degli Stati Uniti è infatti è chiara: utilizzare la forza multinazionale in una sorta di “guerra per interposta persona” per raggiungere esattamente quei due obiettivi che Israele non è riuscito a raggiungere con la forza delle armi. Ovvero:
    1. garantire la sicurezza del nord del proprio paese dalle azioni di rappresaglia di Hezbollah attraverso la costituzione di una fascia di sicurezza nel sud del Libano. Funzione ricoperta fino al 2000 dall’Esercito del Libano Meridionale, milizia cristiana fantoccio al soldo di Israele, e che ora verrebbe invece svolta dalla comunità internazionale a proprie spese. Questo permetterebbe inoltre a Tsahal di proseguire con più tranquillità la propria terribile guerra contro i territori palestinesi di Gaza e Cisgiordania (sulla quale è ormai calato il silenzio).
    2. disarmare Hezbollah, che rappresenta la punta di diamante della resistenza libanese contro l’occupazione israeliana e l’unico vero deterrente contro reinvasioni o ricatti futuri.
    Dalle parole di tutti i potenziali partecipanti alla forza multinazionale di interposizione traspare il desiderio di giungere, assieme all’esercito libanese, al disarmo di Hezbollah. Le possibilità che questo accada realmente sono molto ridotte. Sta di fatto che le truppe ONU, tra cui quelle italiane, potrebbero essere impiegate di fatto per proseguire la guerra contro Hezbollah sotto un mantello internazionale.

    Il secondo problema è dato dal testo della risoluzione 1701 che, pur apprezzando il cessate-il-fuoco, andrebbe condannato duramente per quello che è: una palese falsificazione della realtà, una giustificazione ex-post dell’attacco israeliano e una risposta debole e ipocrita. In essa le Nazioni Unite attribuiscono implicitamente la responsabilità della guerra a Hezbollah, esprimendo “la propria viva preoccupazione per la continua intensificazione delle ostilità in Libano e in Israele a partire dall’attacco di Hezbollah contro Israele del 12 luglio 2006”, quando è probabile che l’incidente pretesto per la guerra sia avvenuto in territorio libanese, nel contesto di una persistente interferenza israeliana nella zona (occupazione delle fattorie di Shebaa, infiltrazioni di uomini, prigionieri…), ed è palese che Israele abbia lanciato un’operazione priva di qualsiasi relazione con tale incidente. Non condannano le azioni di Israele, non chiedono l’immediato ritiro delle sue truppe né il risarcimento dei danni inflitti al Libano. Infine, pur menzionando le richieste diplomatiche arabe (fattorie di Shebaa, questione dei prigionieri, integrità territoriale del Libano, necessità di una pace regionale complessiva basata sul rispetto delle risoluzioni ONU sui territori occupati nel 1967) – ed è un successo – le uniche clausole direttamente esecutive sono quelle contro Hezbollah: tutti gli stati dell’ONU si impegnano a non rifornire a gruppi o individui libanesi armi e assistenza militare (art. 15); le truppe ONU assisteranno l’esercito libanese nel creare tra il confine e il fiume Litani un’area libera da personale armato (art. 11e 8) e nel prevenire l’ingresso del materiale non autorizzato citato (art. 11 e 14); l’accordo di pace finale dovrà comprendere lo smantellamento di tutti i gruppi armati in Libano (art. 8). Lo stesso cessate il fuoco è intollerabilmente precario ed asimmetrico: mentre Hezbollah è tenuto a cessare immediatamente tutti gli attacchi, Israele è tenuto a cessare immediatamente le sole operazioni militari offensive (lasciando la porta aperta alle azioni più varie, purché intese come difesa preventiva).

    Tra i giornalisti e i politici europei, compresi quelli della sinistra radicale, è possibile notare distintamente una sorta di sollievo, oltre che per la sospensione delle ostilità (di cui mi rallegro anch’io), anche per l’insperato “risveglio” dell’ONU. Finita l’epoca dell’unilateralismo, si dice, si torna alle missioni militari multilaterali dei “caschi blu” sanzionate dal Consiglio di Sicurezza – per definizione pacifiche, umanitarie, quasi nonviolente. Ma il giudizio politico su un’operazione militare non può dipendere dal colore del baschetto dei suoi combattenti, deve dipendere dai suoi obiettivi. Quali sono gli obiettivi fondamentali della missione in Libano? Garantire la sicurezza di Israele e indebolire, possibilmente sciogliere, Hezbollah. Le possibilità concrete di realizzarli sono deboli, a meno che i partecipanti non vogliano fare di questa missione una nuova Somalia, e la missione potrebbe quindi risultare in ultima analisi relativamente innocua. Ma i suoi obiettivi sono profondamente partigiani, sbagliati e non condivisibili. Stupisce che il movimento pacifista, invece di fornire alle grandi potenze occidentali (che stanno alla radice di tutti i problemi mediorientali, a partire dalla politica coloniale e dalle persecuzioni e sterminio degli ebrei europei fino ad arrivare agli attuali giochi di influenza sulla pelle delle masse arabe) un credito che non meritano, non si mobiliti per la fine delle ingerenze imperialistiche in tutto il Medio Oriente, una pace giusta e duratura a livello regionale ed in particolare in Palestina/Israele e per una reale alternativa di società a livello globale.

  111. sono in linea con il tuo articolo…continua così…e speriamo che la smettano i sionisti e che gli israeliani aprano gli occhi su cosa per loro è davvero nocivo, il sionismo. il loro più grande nemico/pericolo che giorno dopo giorno alimenta l’astio contro il popolo ebraico…un saluto libertario

Comments are closed.

articoli correlati

“STAFFETTA PARTIGIANA” concorso letterario

Nazione Indiana promuove un concorso per racconti e scritture brevi inedite sulla Resistenza e la Liberazione.

Il ginkgo di Tienanmen

di Romano A. Fiocchi Da sedici anni ((test nota)) me ne sto buono buono sul davanzale di una finestra in...

Partigiani d’Italia

E' online e consultabile dal 15 dicembre 2020 lo schedario delle commissioni per il riconoscimento degli uomini e delle...

Intellettuali in fuga dal fascismo

Patrizia Guarnieri, storica, ha ricostruito la vicenda dell'emigrazione forzata a causa del fascismo di intellettuali e scienziati, soprattutto ebrei:...

Mots-clés__

di Ornella Tajani Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore...

Mots-clés__S.P.Q.R.

S.P.Q.R. di Luigi Di Cicco This Heat, S.P.Q.R. -> play ___ ___ James Joyce - Lettera al fratello Stanislaus (25 settembre 1906. Da Lettere, a cura di...
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.