Chi l’ha detto?
Caro Sanguineti,
la sua Composizione non mi piace, benché mostri capacità mimetiche quasi prodigiose. Al tema eliotiano di “poesia della stanchezza e dell’indigestione culturale” lei ha sostituito un tono di “indigestione eliotiana”, con che viene a perdersi quel senso di smarrita scoperta e balbettamento digestivo proprio di Eliot. Questa non è poesia, e nemmeno stile: sono giochi di prestigio. Aggiunga che la vertiginosa difficoltà testuale delle sue pagine, sentendosi benissimo che non scopre terreno nuovo ma ripete un tono, non invoglia allo sforzo di tensione necessaria per farsi capire. C’é poi una grave sproporzione fra l’atteggiamento sibillino di rivelatore di misteri e la materia che traspare sotto le parole: semplici esitazioni e perplessità dell’adolescenza.
So che i consigli non servono a nulla, ma al suo posto io cercherei di ridurre quella qualunque ispirazione che si sente in corpo a un sommesso ed elementare liguaggio da nursery, da tiritera rimata (non scherzo): si vedrà così che cosa ne rimane. O meglio ancora a un lucido discorso prosastico, un’analisi e constatazione…Darne cioè l’equivalente critico- è un ottimo esercizio.
Cordialmente
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Eccolo, il linguaggio da nursery-tiritera (?!)
Tu sei una schiena
che finisce con una luna piena
tagliata per metà
tu sei un petto
protetto come un parco nazionale
sei la mia mano scema
che neanche per dispetto
riesce a farti male
sei il sonno santo
il sonno maledetto
che ti rapisce appena
son distratto
sei di mattina presto
la luce in cui mi desto
cesare pavese.
hovintoqualchecosa?
La tv ha invaso l’immaginario dei poeti
non so di chi è la tiritera
però è bella
vera
Così cattivo potrebbe essere Fortini.
Ma non so.
Pavese, Pavese.
Dandy Roll deve essere un suo discendente. O forse lo sono io.
dandy roll è un genio, e spero che abbia voglia di fermarsi.
per me è Toni Negri
dandy roll? *quel* dandy roll? Allora il gioco è già finito. La soluzione è ‘Pavese’.
giulio mozzi?
è Ferlinghetti!
Baricco, un pò pavese.
Sono Tatti: Sanguineti come tutti.
nemmeno pavese che scrive in inglese può arrivare a tanto!
a XXXXXX quel che è di XXXXXX
Pavese! Lo sapevo anch’io! Uffa, arrivo sempre tardi!:-(
mi pare che si cominci a raschiare il fondo del barile, qui.
quando NI 2.0 morirà, sarà non per scissione come fu per la prima, ma per implosione, per condivisa perdita di senso, per una sequenza prolungata e micidiale di post burocratico-liceali, iper acculturati e sganciati ormai da ogni realtà, in un intrecciarsi finale di ciao se semo visti, magari torno e comunque statemi bbene, eh?
e se queste fossero le prime avvisaglie?
@tashtego
e anche se fosse?
nascerà qualcos’altro e ci si ritroverà lì.
digerito male, tash? anche questa può essere un’avvisaglia, vedi tu di cosa
beh tashtego, se non ti piace che uno ti saluti con un stammi bene, puoi sempre chiedere ai tuoi interlocutori di mandarti a fun cool dopo ogni commento. contento tu…
Mi spiace, eh. Non è nessuno di costoro. E’ di un mio amico che ha pubblicato (a sue spese) solo un librino… Che bello però essere tra voi.
franzisko puoi inserire la poesia di cui parli? magari in commento?
@andro-pus
è che noto un rinsecchimento monotematico, un ripiegamento che diresti disciplinare se non fosse così fru fru, soprattutto nei commenti…
but forgheddabaudidda, che tanto non ci arrivi.
ivi.
@ tash-pus
ti terrò informato sugli sviluppi quando verrà il mio momento, poi facciamo un confronto sugli esiti…
visto che per (tua) fortuna ti piace il cool giàzz, divertiti almeno con quello, ne vale sempre la pena.
fun fun.
il tuo momento?
avrai un momento?
resto in attesa.
@ tash-pausa
vuoi continuare? non ti accorgi che seguitando a rispondermi dai anche tu il tuo bel contributo di commenti fru-fru? che finisci con contraddire la tua tash-logica?
io mi ritiro, sei troppo forte. se prima non c’era niente da fare con te, da quando sei diventato andro-tash, col tuo primo commento alle h 17.00, ogni confronto è impossibile ormai…
continua pure ad aspettare. e spera.
il plaid sulle gambe, mi raccomando, che sta cambiando la stagione…
Magari Calvino
quando viveva a Torino,
Sanguineti stava lì
e rompeva tutto il dì
MarioB.
Impressiona, tutta questa infelicità.
“plaid sulle gambe”.
bene, prendo nota.
@ temperanza
già.
Sciolto e legato, accompagnato e solo
gridando cheto il fiero stuol confondo:
folle all’occhio mortal del basso mondo,
saggio al senno divin dell’altro polo.
Con vanni in terra oppressi al ciel men volo,
in mesta carne d’animo giocondo;
e, se talor m’abbassa il grave pondo,
l’ale pur m’alzan sopra il duro suolo.
La dubbia guerra fa le virtù conte.
Breve è verso l’eterno ogn’altro tempo,
e nulla è più leggier ch’un grato peso.
Porto dell’amor mio l’imago in fronte,
sicuro d’arrivar lieto per tempo
ov’io senza parlar sia sempre inteso.
@iglesia
sussurrato in modo che non si senta.
La lettera che Pavese scrive al giovanissimo Sanguineti è contenuta nel libro, Vita attraverso le lettere, Einaudi. Non si fa riferimento, in quell’edizione, al testo da cui muove la critica in questione.
Quello che mi ha colpito, leggendola, era la straordinaria lungimiranza di Pavese che, a mio modestissimo parere, prevede in qualche modo il percorso e la produzione poetica di Sanguineti. Certo, ognuno la pensa come vuole, sulla Poesia e sul potere della Poesia. Io la penso come Pavese con la sola differenza che di quella produzione (parlo di Sanguineti) ne sono stato lettore e testimone.
un abraziio
effeffe
ps
spero solo che non ci abbiano sentito
posso timidamente chiederti di pubblicare qui almeno il testo di sanguineti su cui pavese eserita le sua capacità critiche et lungi-miranti?
oppure non è stato mai pubblicato?
esercita
Se il testo postato è di Pavese vorrei leggere questa benedetta “Composizione” di Sanguineti, doveva essere notevole per ottenere una risposta, visto che non aveva nemmeno vent’anni.
Scusate, non avevo letto tutti i commenti, peccato, mi ero incuriosita del testo di Sanguineti bambino.
Questo però vuol dire che più della cultura può il karma:–)
Sanguineti.
Sono senza parole, e anche così scrivo meglio di lui.
Mah.
Sanguineti non mi sta simpatico e la sua poesia non mi entusiasma particolarmente.
Mi sembra tuttavia difficile dubitare dell’“importanza” di Sanguineti o del rilievo della sua vicenda poetica (all’interno del Gruppo ‘63 e più in generale nella poesia italiana della seconda metà del novecento).
Semmai mi colpiscono la supponenza e la ferocia della lettera di Pavese.
Non mi sembrano diverse dalla supponenza e dalla ferocia di molto Sanguineti.
Avrà imparato da Pavese.
Vorrei però dire una cosa, questa che adesso sembra ferocia, era un abito abbastanza usuale nei rapporti interpersonali, quando si parlava di valori artistici.
I “miti” erano pochi, e anche quelli che dicevano le cose mitemente (che l’educazione formale era un poco più diffusa) nella sostanza però colpivano duro.
Sarà per questo che si dice sempre non c’è più Tizio, non c’è più Sempronio?
Forse Tizio e Sempronio erano frutto di questa cura da cavallo.
Non credo proprio che possa definirsi ferocia quella di Pavese, proprio no,
è stato duro e chiaro,
bon,
hai voglia la ferocia cos’è…..!!
MarioB.
@Temp e cf05103025
Ho letto di nuovo la lettera.
Continuo a trovarci qualcosa che va oltre il parlar franco e senza peli sulla lingua.
La lettera è una forma di letteratura (se non lo è subito comunque lo diventa) che invita alla curiosità e al gioco di tipo psicologico.
Si cerca la notizia o la testimonianza, ma si cerca anche di capire cosa passa per la testa di chi scrive, quali sono i suoi sentimenti, le sue intenzioni non confessate, ecc.
Insomma.
Non mi sembra di avere preclusioni verso la franchezza o la durezza dei giudizi.
Ho dubbi sulla bontà “formativa” di parole che possono essere o apparire espressione gratuita di un qualche potere (in questo caso il potere dell’intellettuale, del letterato e dell’editore di prestigio; il potere dell’esperienza e della maturità…).
E poi la “lungimiranza” di cui parla effeffe potrebbe essere legittimamente rovesciata, con il senno di poi di qualche sanguinetiano di ferro, in una grave forma di “non lungimiranza”.
Certo Emma
tanto più che i tempi “poetici” che viviamo sembrano dare ragione a Sanguineti. Tra le due poetiche è quella di Sanguineti la dominante, mi sembra. E credo che scritti come questi siano necessari ora che il dibattito poetico sembra fissato ( nel senso patologico) su tradizione e sperimentalismo. In tempi, i nostri, in cui, probabilmente, bisognerebbe, forse, leggere e rileggere quelle di Pavese.
effeffe
ps
esiste a proposito una versione di leo Ferrè che porta, l’inesatto titolo l’uomo solo e che potrete trovare qui nelle due versioni
http://perso.orange.fr/scl/luomosolo.htm
effeffe
Per la poesia, ma la lettera fa pensare a più testi , bisognerebbe chiedere a Sanguineti.
effeffe
grazie franzisko; non avevo afferrato…
Pavese da un giudizio duro a un poeta giovanissimo. Puo’ far riflettere la durezza del giudizio, ma fa riflettere anche il fatto che Pavese si degnasse di prendere carta e penna e rispondere a un Sanguineti allora sconosciuto.
Da tempo rispondere a giovanissimi poeti da parte di poeti affermati non è più di moda. Alcuni dicono che è un problema di quantità.
@Emma
Eppure, se analizzi ogni singola frase, quella ferocia non c’è. Manca invece qualcosa, ed è quello che manca a farla sembrare feroce. Manca forse quella specie di “maternage” al quale ci si è abituati negli ultimi trent’anni.
E infatti tu parli di “bontà formativa”. La formazione è una cosa piuttosto recente, allora c’era la selezione. Lo so perché io ho fatto in tempo ad assaggiarla. (Discutibili privilegi dell’età:–)) E soprattutto Pavese non era un “formatore”, perché avrebbe dovuto?
Era il guardiano della porta. E Sanguineti voleva entrare. E poi ci è entrato, magari da un ingresso diverso e molto strepitando.
Sulla lungimiranza ti do pienamente ragione, ma vale per qualsiasi giudizio, anche modulato con maggiore riguardo.
Non dico questo perché sono una laudatrice della ferocia, cerco solo di leggere quelle parole, scritte prima o entro il 1950, inquadrandole nel contesto di quegli anni, un contesto non solo culturale, la guerra era finita da poco, e credo che anche questo determinasse in qualche modo i linguaggi.
Comunque Sanguineti non ne ha risentito. Mi chiedo se c’è stato qualcuno più fragile che si è sentito dire le stesse cose e ha smesso di scrivere. E’ possibile.
in poesia, pavese non era né tantomeno è nessuno. sanguineti, nato il 9 dicembre 1930, avrà avuto forse 19 anni. ma dopo 3, avrebbe fatto una gran tesi su Dante con Getto. mondi infinitamente distanti, come cage da bacchelli. fortini aveva orecchio, inimmaginabile una lettera così. bisognerebbe leggere le lettere velenose di pavese contro gli azionisti che stavano facendo la resistenza. magari il tono è lo stesso, acido, vomitevole.
Bene, ecco un ammiratore di sanguineti e un odiatore di pavese.
Ho appena visto un servizio sull’India.
Anche lì molti odiatori.
Tutti maschi.
Non capisco se è perché nessuno intervista le donne o perchè le donne hanno pulsioni più deboli. O meno muscoli.
Questo commento di db non so contro chi è, a parte pavese, ma è senza dubbio contro.
non attribuirei alla lettera tutto ‘sto gravame di affetti personali. a me sembra invece una perfetta sentenza oracolare, che trascende perfino la natura critica delle obiezioni.
il male (in questo caso la cospicua affettazione del verso sanguinetiano) è ripulsivo finché vi si allude soltanto. ma l’assoluta esattezza con cui pavese lo circoscrive e lo denuncia al suo interlocutore produce (come in ogni oracolo) un effetto di rifrazione che lo complica, lo oscura, quasi lo erotizza, facendogli aleggiare intorno il fantasma di quelle ambigue virtù che, pur non essendone il correttivo ma la condizione stessa, è tuttavia irresistibile per l’interessato tentare di conservare.
come non pretendere di sbarazzarsi dell’affettazione senza rinunciare a “capacità mimetiche quasi prodigiose” o alla “vertiginosa difficoltà testuale” della propria pagina? come non credere alla divisibilità del male?
a tal punto che da allora, nonostante il giudizio debba avergli certo procurato qualche turbamento, è come se sanguineti avesse cercato incessantemente e suo malgrado di corrispondervi. cioè, in qualche modo, di inverarlo.
col senno di poi, direi che ci è riuscito abbastanza.
@ Emma,
capisco cosa intendi, il gruppo 63…
ma non è nemmeno tanto Eco, che almeno come semiologo non è affatto stupido… anche se… leggendo “Prima della poesia” di Siciliano, libro di critica proprio sulle neoavanguardie (e non solo) capisco il senso di vacuità di quel gruppo…
ma Sanguineti, capace di dire che Pasolini (e non intendo difende questi che si difende benissimo da sè) è quanto di peggio abbia mai avuto le lettere italiane!
mentre due sono stati i poeti italiani nel senso più completo, assoluto, nel 900, Montale nella prima metà e Pasolini nella seconda.
ciao a tutti
ma come scrivi a Sortino!!!!
e c’hai ragione pure te… che te devo di’… ?!
alla prossima andrà meglio (?)…
@ dandy roll
Non ci avevo pensato, hai ragione, chi ha conservato la lettera?
@dandy roll
tu sei uno da cui posso imparare qualcosa, non cambiare nick, ti prego.
non sono né odiatore di Pavese né ammiratore di Sanguineti: ho altri miti e altri riti. Se dico “nessuno in poesia”, do un giudizio pacato, certo opinabile, sul posto che Pavese occuperebbe in un’antologia poetica seria del Novecento (o mettiamola così: chi avrebbe il coraggio di mettere Pavese tra i primi 10 anzi 20 o forse 30 poeti italiani del ‘900?). Quando dico gran tesi su Dante, non ammiro, dico un lavoro assai serio, Intepretazione di Malebolge, e lo dico per far vedere da dove viene Sanguineti (siamo sicuri che il riferimento a Eliot è pertinente? e perché il postante non fa il suo dovere aggiungendo elementi oggettivi utili? la data della lettera, la Composizione di Sanguineti ecc…). Se la tiritera di S. è quella postata da neribelcredi, il rimando non è a Eliot, ma casomai a Gozzano, su cui il giovane S scrive un libro dedicato al suo prof. di liceo. e via andare. se il dibattito si fa serio, con tanto di documenti, lo seguirò con interesse.
a proposito di odiatore: io ho definito la lettera “acida” (e vomitevole in senso inesatto: intendevo che l’estensore deve avere avuto acidità di stomaco + conati di vomito), mentre temp. “feroce”… fate vobis, fratelle e sorelle!
@ db
Non voglio grane, i diritti d’autore per “ferocia” vanno a @emma.
A te quelli per “acido” e “vomitevole”.
Io sono la mamma solo del “cattivo” a prop. di Fortini. poco originale, lo ammetto.
Se il dibattito si fa serio e con documenti ti avvertiamo.
@db
ovvero c’à posta per te
“bisognerebbe leggere le lettere velenose di pavese contro gli azionisti che stavano facendo la resistenza. magari il tono è lo stesso, acido, vomitevole”
carissimo Dario, Pavese ha pagato abbastanza certi errori, credo per cui infilare qui tra un commento e un altro l’ingiuria: vigliacco, mi sembra fuori luogo.Tanto più che nei fatti (penso soprattutto alla sua impostazione all’Einaudi) Pavese fece in puro spirito azionista cose assai importanti.
Per quanto riguarda il contesto, ovvero datare la lettera e contetsualizzarla (la poesia a cui fa riferimento non ce l’abbiamo e l’unico che potrà rispondere al tuo quesito à lo stesso Sanguineti) lo avrei rivelato a quesito risolto, tra l’altro brillantemente da altri.
Ti rispetto molto Dario anche nella tua follia però permettimi di dire che su Pavese poeta hai detto una serie di xxxxxxx, tra cui, la più eco insostenibile è:
in poesia, pavese non era né tantomeno è nessuno
per quanto riguarda poi la magnifica ventina cui fai riferimento (o mettiamola così: chi avrebbe il coraggio di mettere Pavese tra i primi 10 anzi 20 o forse 30 poeti italiani del ‘900?, hai scritto tu) ti dirò che per me Pavese anche in una top five, ci starebbe bene. Poi possiamo discuterlo con documenti alla mano, le poesie naturalmente, la loro ricezione nel mondo, il loro persistere nonostante tutto nella potenza originaria.
finisco col dire che come Temp sono rimasto estremamente affascinato da dandy roll e dai suoi propositi. L’unica domanda è quale Sanguineti invera la profeszia? Il compilatore, il performer, l’accademico, il traduttore?
effeffe
Roll sta per rock and roll o per Rolls Royce?
e se db e dandy roll fossero la stessa persona?
@effeffe
Se db e dandy roll sono la stessa persona l’ammaestramento che ne traggo è che il vecchio detto – l’abito fa il monaco – è sì vecchio, ma anche buono:–))
Un paio d’anni fa con Sanguineti e numerosi altri (ma non tanti da farmi velo), ho passato una serata. Mi è sembrato un tipo ilare, battutista, di buonissimo umore, molto contento di sé, soddisfatto e sicuro. Per cui direi che la profezia si è inverata nel performer.
S è nato a Genova il 9/12/1930. Figlio unico di Giovanni, impiegato di banca, e di Giuseppina Cocchi, si trasferì al’età di 4 anni a Torino, città nella quale il padre aveva trovato un nuovo impiego come amministratore cassiere presso la tipografia Doyen & Marchisio. Era ancora bambino quando, durante una normale visita di controllo, gli venne diagnosticata una grave malattia cardiaca. A Torino abita uno zio, Luigi Cocchi, musicista e musicologo, che aveva conosciuto Gobetti e Gramsci e aveva collaborato a L’Ordine Nuovo e che sarà il primo punto di riferimento per la formazione del giovane. A Bordighera, dove trascorre le vacanze estive, S frequenta il cugino Angelo Cervetto che gli trasmette la passione per il jazz. Nel frattempo, in seguito alla pertosse che aveva contratto a 16 anni, viene visitato da uno specialista che individua l’errore diagnostico. S è sanissimo e da quel momento deve fare intensi esercizi fisici per recuperare il tono muscolare (ma intanto il sogno di dedicarsi alla danza era sfumato). Al Liceo Classico D’Azeglio ha come insegnante di italiano Luigi Vigliani: a lui dedicherà il saggio su Gozzano e farà leggere alcune poesie che confluiranno poi in Laborintus. In III liceo ha come docente di storia e filosofia Albino Galvano, pittore, critico, storico d’arte, filosofo amante della psicanalisi e interessato alle avanguardie. In questi anni S frequenta il mondo “culturale” torinese, si reca a mostre e ascolta concerti, e conosce Carol Rama, il filologo classico Vincenzo Ciaffi, il germanista Vittorio Amoretti e il romanziere Seborga (al secolo Guido Hess) che frequentava anche a Bordighera e che lo indirizzerà alla lettura di Artaud. Nel 1951 S inizia a scrivere l’opera che si chiamerà Laborintus (in Santi Anarchici scrive: “Eravamo in cinque. E i miei quattro lettori erano una ragazza, un aspirante filologo classico e due altri studenti, uno di farmacia e l’altro di medicina”). Conosce Enrico Baj che crea il manifesto della pittura nucleare, dando vita al Nuclearismo. Il 1953 è l’anno della morte della madre ma anche quello dell’incontro con Luciana che sposerà nel 1954. Sempre nel 1954, in occasione della recensione di Sanguineti sulla rivista torinese “Galleria” dell’Antologia critica del Novecento, conosce Luciano Anceschi che legge Laborintus e decide di pubblicarlo nel 1956 presso una casina editrice di Magenta. Alcune poesie di Laborintus erano intanto apparse su “Numero”, una rivista fiorentina diretta da Fiamma Vigo, alla quale era stato invitato a collaborare da Gianni Bertini, un pittore pisano incontrato nello studio di Galvano.
Sesto Empirico S E Sanguineti Edoardo
nuovo inveramento
l’avevo detto che dandy roll è un genio. sono mesi che chiedo a quel fetentone pigro di partecipare a NI.
ps x francesco e temp
non è db
La discussione ha senso se per prove ed errori si arriva a qualche risultato: gli errori però vanno riconosciuti, ammessi, perdonati, cancellati, sì da ripartire da un livello più alto. Ho ammesso l’errore lessicale sul “vomitevole”. Vomito = atto del rigettare dalla bocca le materie contenute nello stomaco. Dunque, volevo dire: Pavese in quel preciso momento aveva una tale acidità di stomaco (= iperacidiità del succo gastrico che provoca i cosiddetti fortori), da rigettare dalla bocca quelle parole di condanna. Ora, quale fu quel preciso momento? quando fu scritta la lettera? possiamo/dobbiamo o no contestualizzarla? Il mio accenno alle lettere sugli azionisti è per dire che Pavese non è nuovo a questi attacchi di vomito: non sto parlando da politico, casomai da internista.
Ammetto volentieri un altro errore, sul “feroce”, che è di Emma e non di temp., la quale aveva scritto: *Così cattivo potrebbe essere Fortini.* L’errore di attribuzione è evidente, non ci piove. ma temp scrive: “Così cattivo”, che svolto dà: “Così cattivo, che potrebbe essere…”. Talmente cattivo… in una parola: cattivissimo.
Mentre perciò io ho sostenuto (e sosterrò fino a prova contraria i.e. fino a che il furlén non esibisce qualcosa) che in quel momento Pavese era nauseato, aveva così nausea (= 1. malessere caratterizzato da propensione al vomito 2. nell’esistenzialismo, reazione dell’individuo di fronte all’insuperabile disagio causato dall’estraneità e dall’assurdità del mondo || immer Devoto/Oli), da scaricarsi sul primo (o/e) l’ultimo venuto – temp. invece sostiene (o sosteneva?) che in quel momento P era cattivo ( = disposto al male, al malvolere, specialmente nella vita di relazione), ed anzi cattivissimo.
Insomma, se la lettera si replicasse in tram, io in P vedrei uno che sta così male da vomitarmi addosso (e lo soccorrerei), temp uno così malvagio da tirarle proditoriamente un cartone (e magari lo denuncerebbe). Fatine vobis.
No, non oserei mai inverarmi in ES (casomai in Io, o in Superio): sarebbe in ogni caso un infalsarmi. Più semplicemente ed empiricamente, fui il sesto lettore di ES (al tempo ero un fuoricorso di veterinaria).
‘ora che il dibattito poetico sembra fissato ( nel senso patologico) su tradizione e sperimentalismo’.(@forlani)
l’idea che si possa dividere, certo non in senso binario, ma schematico, la produzione poetica e letteraria di ieri o di oggi fra ‘tradizione’ e ‘sperimentalismi’ è, forse, proprio l’origine e la causa principale dello stallo patologico, cronico, di certi dibattiti (o della cultura tutta, oggi?).
il discorso a mio parere non è riconducibile in questi termini, ma: sanguineti e pavese, all’alba dei ’50 per l’uno, al tramonto per l’altro, entrambi ricorrono alle tradizioni (‘non scopre terreno nuovo ma ripete un tono’, dice infatti pavese): ciò che si ha alle spalle, storicamente, a seconda della mobilità dello sguardo e delle verifiche metapoetiche e culturali che s’intende o si ha la possibilità, il talento o il genio, di mettere in atto. il primo ‘900, gozzano, le avanguardie storiche e gli irregolari come lucini, pound che credo scalzi eliot come filtro per il recupero dantesco, e delle origini, per l’uno (ma questo più in là, pavese non ha potuto leggere oltre); i moduli narrativi, descrittivi e gnomici, biblici e prosastici per il linguaggio poetico, così come dalle tradizioni che dal romanticismo anglosassone dell’800 arrivano a whitman, passando per la nostra letteratura, per l’altro. semplificando.
il punto, allora, è l’uso che si fa, o si farà, delle tradizioni poetiche assimilate via via, prossime e vicine (ma poi tutto questo discorso sulle ‘tradizioni’ si fa terribilmente chiaro se si pensa alle riflessioni sanguinetiane sulla musealizzazione dell’arte d’avanguardia data per inevitabile….). il punto è che ogni tradizione sarebbe da storicizzare, è insieme barbarie e civiltà – e quasi sempre, nei migliori dei casi, il ‘rileggere’ o ‘riscrivere’ criticamente la tradizione è punto di partenza per l’uso ‘sperimentale’ delle forme…; il punto è il ‘metodo’ che si usa per sperimentare o rinnovare il ‘già noto’.
il punto, poi, divagando, in tutto questo baillame celebrativo del settantenne, è la schizofrenia, mi pare di poter dire, che certo non è in pavese: tra il pavese della casa in collina, quello del mestiere di vivere e quello che attacca, o si difende, a livello inconscio, dagli ‘azionisti’; ma è, forse, una schizofrenia tra il neoavanguardista non immemore, appunto, delle tradizioni; il neocrepuscolare ludico degli anni recenti; il grande, affabile e stimolante estensore multimediale di una seducente kulturkritik: tra tutto questo e soprattutto tra il suo presentarsi, ancora l’altro ieri, e l’essere celebrato come intellettuale ‘marxista’ e la sua poesia, la testualità, i risultati, la lettera della poesia di sanguineti (quella di ieri e quella di oggi).. ma questo dato brutale, rozzo, grezzo, semplicistico, quasi come una ‘falsa coscienza’ ante litteram, mai viene detto, mi pare, non viene mai assunto neanche come dato di partenza da cui avviare interpretazioni e letture o bilanci.
Purtroppo devo andare a guadagnarmi la pagnotta. Vi seguirò di sguincio. Dal mio punto vista personale e molto terra terra che è questo:
Un eccesso di interpretazione (soprattutto testuale) dà senza dubbio soddisfazione all’interprete (parlo per esperienza personale, sia pure antica), ma rischia molto seriamente di soffocare la poesia e di separare senza pietà il lettore dallo specialista. Il che mi pare sia già avvenuto, non senza conseguenze sui poeti.
Li ha spinti a essere consapevoli dei loro strumenti, e questo è un bene, ma temo che li stia spingendo anche a essere timorosi, criticamente corretti, inquadrati, trattenuti. Certo, il cuore-amore è rimasto ai più ingenui, ma non vedo la differenza con l’altra cattiva abitudine, la parola enucleata (se posso dire sinteticamente così) che fa correre pochi rischi e non mette in imbarazzo.
Io ho una propensione naturale per il fatto linguistico e per di più non leggo Pavese da quando avevo quindici-sedici anni, ma allora con passione, e anche emozione, poesie comprese. Ora questo fenomeno molto provato e poco indagato, l’emozione, ha cominciato a diventare una cosa un po’ vergognosa, ammessa solo se è estetica, o filosofica, o atta a trovar posto in uno scaffale critico. In nome di questa vergogna si può mettere al bando Pavese. Non va bene. I gradini della poesia sono molti e tutti fanno la scala.
Un eccesso di letteratura secondaria è causa di morte per molti pioppi, sia pure da allevamento, dunque il fatto che qui non si faccia uso di carta è consolante, resta che, se non trovo una via praticabile per arrivare alla poesia anche senza un eccesso di commento, la poesia è destinata a diventare sempre di più irrilevante.
Commentate pure, miei prodi, ma a forza di commentare non fatevi sfuggire l’oggetto.
@ temp e effeffe
grazie per la fiducia e per le belle parole (francesco, db non sono io: le mie iniziali sono fd).
@ sergio
piantala! tanto non ti pago. :-)
mi pare che la lettera risalga agli ultimi mesi di vita di pavese (1950, quindi).
mi piace questa cosa dei primicinque poeti der secondo novecento.
allora anche dei primidieci e primiquindici e primiventi.
(scommetti che mio padre a tuo padre gli fa una faccia così?)
si comprende il bisogno di stabilire scale e valori (scale di) e però andiamo, su.
io manco me li ricordo 15 (quindici) poeti italiani del novecento secondo.
ricordo solo quelli che mi piascevano e per motivi diversi e mi sembravano non-paragonabili e a nessuno avrei conferito il gp della montagna.
meno liceo, meno museo, please.
io manco me li ricordo 15 (quindici) poeti italiani del novecento secondo, ecc.. : prìsciatene.
si elenchino sull’unghia 15 poeti del secondonovecento, in meno di un minuto.
si faccia poi una classifica, dal più bravuccio alla più sega.
(dove piazzeremo sanguineti? diranno i miei piccoli lettori).
si torni poi a casa, stanchi ma felici.
a parte gli ‘elenchi’, che andrebbero sempre tenuti a mente come crestomanzie utili per infarinare i miei bravi studentelli o come bignami utili per conquistar e impupazzare pulzelle (e viceversa) o per sapere chi e cosa leggere (talvolta); le ‘classifiche’ valgono non solo come predilezioni personali (e come se no?: tutte le vacche grigie?) – questo anche per un architetto cui si chieda di ‘tirarli fuori’, sempre in meno di un minuto, ‘sti nomi…; ma potrebbero servire anche per capire un po’ di più su come funzionano ‘sti meccanismi della percezione e della ricezione, se oggi si dà per buona una idea, o un’altra, di letteratura. ma anche di architettura.
Quando Sanguineti stava iniziando a costituire quello che poi sarebbe divenuto Laborintus mandò alcuni suoi testi a Pavese, il quale gli rispose che erano più adatti alla “Settimana Enigmistica”, perché più che poesie sembravano cruciverba. Sanguineti non si arrese e verso la fine degli anni ’50 fece leggere alcune sue poesie a Zanzotto, che gli disse che erano delle trascrizioni in parole di un mal di testa, o comunque di un grave esaurimento nervoso. La risposta altrettanto celebre di Sanguineti a Zanzotto fu che si trattava sì di un mal di testa o di un esaurimento nervoso, ma non suo, bensì sociale, diffuso a tutta la realtà.
che la top five fosse una boutade andava da sè o tashtego…
Ma allora perchè questa lettera di Pavese? Ora?
fm ha ripreso in parte quanto mi piacerebbe discutere.
In questo momento, ma da sempre, il paesaggio della poesia italiana (uno tra i tanti ovvero quello che frequento di più) è attraversato dalla diatriba “freddi e distanti” da una parte e ” caldi e addosso” dall’altra. la dicotomia per altri è costituita dagli sperimentali da una parte e dei lirici dall’altra. Dei testuali, quelli secondo cui va dato massimo risalto ai testi, ai performativi per cui “tutto è testo”.
In realtà la questione meriterebbe cento post, e in tal senso un’iniziativa come quella avviata da Biagio cepollaro e andrea inglese, di cui si da notizia in home page, è più che benvenuta. Ma perchè Pavese.
Perchè restano i testi, dice temperanza, appunto e Sanguineti. Ha diciannove anni quando incontra Pavese. Non possiamo dire, e qui ha ragione db se la poesia del nostro sia cambiata da allora, però quello che mi ha colpito del giudizio di pavese era la sua applicabilità alla poetica sangunetiana, su quello che sarebbe stato come poeta nei decenni successivi. E la mia critica non è certo rivolta al gruppo 63, ai nuovissimi, alla neoavanguardia, gruppo 93 et cetera et cetera, ci mancherebbe altro.
Bisognerebbe anche dire che le cose in poesia, come nella vita, sono molto più complesse di quanto si credano. Prendiamo il gruppo 63. Sarebbe una follia oggi credere che esistesse ed esista un blocco monolitico di quell’esperienza. Un’estetica valida per tutti.
Personalmente amo molto la poesia di Balestrini mentre quasi tutta la produzione di Sanguineti mi è estranea, non mi dice nulla. A questo punto è lecito da parte di chiunque obiettare:
1) Furlen non ha “gli strumenti” per poter capire sanguineti al che ribatto che secondo me poesia è proprio quello che si rivolge a tutti, senza distinzione di sorta tra addetti e non addetti
2)Furlen non ha letto Sanguineti. Al che rispondo che oggi per chiunque voglia fare poesia, e quindi anche (non necessariamente) partecipare a dei festival, dibattiti, performance, non ci si può permettere di non leggerlo. E di incontrarlo, cenarci insieme discutere, e in più confermo quanto detto da temp, è un vero affabulatore, brillante conversatore, simpatico. Perchè S è ovunque. Per quanto mi riguarda l’ho incontrato due volte. Una a Metz, e l’altra recentemente aaaa Asti, dove duettava con Bergonzoni (appunto, giocoliere delle parole…)e la gente dormiva sulle sedie e io avrei voluto alzarmi e dire perchè e invece non ho detto un cazzo e sono andato via, con una bella ragazza, a farmi spettinare i capelli (quelli che restano) dall’alcol e dal vento
effeffe
ps
giusto per i non iniziati, e per ricapitolare, vd “http://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_63”
i componenti del gruppo 63 furono Elio Pagliarani, Edoardo Sanguineti, Antonio Porta, Nanni Balestrini, Angelo Guglielmi, Luciano Anceschi, Umberto Eco
PPss
@db, Pavese non sarebbe mai salito su quel palco, aaaaaAstti insieme a Bergonzoni
@ tutti
Dobbiamo per forza scegliere, Calvino o Pasolini? E pavese?
Gruppo 63 o Cassola
Letteratura sperimentale e sfigata figa o letteratura popolare(di genere) e gettonata scema.
E se invece bastasse solo fare un pò di silenzio e ascoltare?
Carol Rama (1918 –): “Se soffri da bambino, poi cresci meglio, all’angoscia rispondi con ironia”. L’amicizia con Casorati e quella molto chiacchierata con Sanguineti, i ritrovi pomeridiani nel suo salotto con molti scrittori, tra cui Calvino e Pavese. E poi Andy Warhol e Man Ray… e quella volta che Orson Welles le mostrò il Castello e successe il patatrak!
Nel maggio scorso a Firenze, stazione Leopolda, hanno dato di Berio Laborintus II per voci, strumenti e nastro magnetico su testo di Sanguineti (1965), un collage dantesco ma con molto altro (Eliot, Pound, lo stesso Sanguineti). Una vocalità puntuta e “strumentale” fa esplodere il testo in scintille sillabiche, sound corposo e jazzistico che si fa via via più diafano, stellare. Fino alla conclusione, lasciata alle parole del Convivio (“la Musica è tutta relativa”) e a Sanguineti (una visione di bimbi che dormono e sognano). Prima del concerto, Sanguineti aveva tenuto la lezione introduttiva “Dante 1965”.
Elisabetta Torselli
Diamo qualche riferimento bibliografico. Ricopio le parole di un amico:
“Lettera di Pavese a Sanguineti, s.d., datata congetturalmente (dal
destinatario) al febbraio 1950.
Sanguineti dice di essere andato a trovare Pavese in ufficio, portandogli in
lettura alcune sue poesie. Non si sa bene quali. S. aveva vent’anni. Le
prime poesie di Laborintus sono datate 1951 e usciranno in volume solo nel ’56. Non so se e cosa S. pubblicasse allora in rivista. Che io sappia non
esiste una sua bibliografia.
La lettera è in C.P., Lettere 1945-1950, a cura di Italo Calvino, Einaudi,
Torino 1966, p. 479.”
tenkiu, operosu miku. ergo Sanguy aveva all’epoca 19,2 anni.
*Al tema eliotiano di “poesia della stanchezza e dell’indigestione culturale” lei ha sostituito un tono di “indigestione eliotiana”, con che viene a perdersi quel senso di smarrita scoperta e balbettamento digestivo proprio di Eliot.*
Questa è l’unica traccia perseguibile: c’è nel pastiche-Laborintus qualche pagina di scoperta ascendenza eliotiana? P qui da’ un giudizio su Eliot, e in seconda battuta su S. Le virgolette, essendo ripetute a proposito di S, non richiamano un giudizio altrui, ma autovirgolettano. stanchezza passi, ma cos’è ‘sta indigestione culturale riferita a uno che digeriva anche i sassi (cuturali)? In rete ho trovato che nel 1948 Eliot prende il Nobel e pubblica “To Robert De La mere” in un volume collettivo sul famoso poeta per bambini. L’omaggio (33 versi) richiama esplicitamente “Funeral”, poesiola di Bob che narra di una compagnia di ragazzini che, tornati da un funerale, vanno nella nursery a bere il tè, parlano di fantasmi e vengono salvati dalla poesia. Eliot, che decenni prima aveva dileggiato Bob, qui lo omaggia caldamente riprendendone il tono stesso di filastrocca/cantilena (e la rima, e la nursery).
VERRA’ LA MARTA E AVRA’ I TUOI ACCA
QUESTA MARTA CHE CI AH CAMPAGNA
DA MATTANA ALLA SARA, INSONNE,
SARDA…
Se la poesia non supera in qualche modo la soglia degli schieramenti e delle polemiche letterarie, non vale la pena leggerla a meno di non essere uno che la legge per professione e la deve conoscere per forza.
Vale per tutto, posso ascoltare con interesse berio e poi preferire l’ascolto di nono che è più vicino per vie misteriose alla mia sensibilità naturale e formata. Mi allontano un po’ nel tempo per farla più semplice. Io ho una cultura musicale da asino. E preferisco schubert a beethoven. Anni fa ho seguito per circa un anno le lezioni di de grada sui quartetti di beethoven e la forma sonata, dopo averlo seguito ho finalmente “sentito” beethoven, è stata una rivelazione, gliene sono ancora profondamente grata.
Continuo però a preferire schubert sul quale non ho seguito lezioni di sorta. E che mi porto sempre dietro assieme ai pink floyd e a wilson pickett.
Dunque gli strumenti, per quanto ancora grezzi, mi hanno permesso di ascoltare beethoven in modo più consapevole di schubert, ma non mi hanno cambiata.
Perché?
Ho scelto apposta due musicisti e lontani nel tempo per dare ragione a @effeffe
è tutto molto più complicato e misterioso di quanto sembri, anche in poesia.
Capisco anche che su questo c’è probabilmente poco da dire, forse potrebbero dirmi qualcosa le neuroscienze. O il karma. E forse Sanguineti negli anni non è arrivato da nessuna parte, ha solo raggiunto se stesso.
Le parole esatte di Zanzotto furono “trascrizione di un esaurimento nervoso”.
è bello ciò che piace
su questo non ci piove
chi ci piace la guerra chi la pace
chi satanin chi 9
temp., applicati!
Applicatevi voi–))
Mi aspettavo che un buon tempone pensasse che mi sto rammollendo il cervello, ho cominciato, sì, ma ancora molto lentamente.
Quello che volevo dire oltre al sacrosanto “è bello ciò che piace”, vero inno alla libertà che sottoscrivo in pieno nonostante gli chiamazzi anche futuri, è un po’ più complicato e non so se posso farlo tutto sinteticamente qua, ci provo.
Riguarda il discorso che si dipana tra poesia da un lato e critica dall’altro. Ma così, rilassatamente.
Poesia e critica hanno una serie di reciproche autonomie che si esaltano e si appannano in base numerose variabili.
Una di queste riguarda anche l’intelligenza, dea della mia giovinezza, della quale ora mi faccio un solennissimo baffo e della quale un giorno si dovrebbe pur parlare a fondo, e che è una caratteristica, anzi un presupposto della critica, non però necessariamente della poesia.
Siccome qui sono tutti “intelligenti” so di non dover spiegare che cosa intendo per “intelligenza” e spero anche che mi sia risparmiato lo sfoggio degli strumenti (da parte mia, ovviamente) perchè vorrei dire qualcosa di più interno e meno sbarluccicante.
La critica, come ammetterà ogni critico onesto, non serve realmente alla poesia, se ne serve, questo si, e per una parte della strada si aiutano a vicenda come il cieco e lo zoppo. Ma vogliono andare ognuna per la sua strada. Io considero la critica una forma letteraria a sé e solo gli ipocriti pensano che sia un servizio alla comprensione, illuminamento, diffusione della poesia. Si mette in colloquio, certamente. Ma come ogni forma vivente tende a prevalere o comunque, se parliamo di autonomia, ad allargare la propria.
La cosa davvero singolare del novecento, e che continua a dominare e a volte crea qualche problema ai poeti (è per loro che parlo, non per gli intelligentoni:–)) è la grande contiguità che si è venuta a creare tra i due linguaggi, le maglie del discorso si sono fatte strette, non c’è quasi critico di poesia che non sia anche poeta, e non c’è poeta “sorgivo” va’, chiamiamolo così, che non senta un senso di vergogna se non è interessato e dunque non sa utilizzare gli strumenti della critica “in un certo modo” (parlo di giovane poeta immaturo, che se uno sa quel che fa non gliene importa un fico secco).
Vi darò anche un altro dettaglio personale, tanto non credo che vi servirà a molto (questo per db:–)), Sanguineti lo ho incontrato per caso, di Zanzotto invece sono amica da circa trent’anni e ogni estate quando passo dalle sue parti vado a trovarlo. Sanguineti lo definisce poeta agreste o rurale (su questo ci vorrebbe un commento a parte) e in effetti zanzotto ha lasciato una porta non solo aperta, ma spalancata ai suoi vecchi amici locali, che parlano in dialetto e soprattutto “lo scrivono” tipi bizzarri, eccentrici, amici suoi dall’infanzia (e molto più interessanti dei professori universitari che ho visto spasimare intorno a sanguineti), con i quali Zanzotto, poeta al quale so che nessuno di voi negherà sapienza e intelligenza critica, è in contatto poetico e umano proprio perché non permette che l’intelligenza annienti quella corsia preferenziale al proprio nucleo che è lo stupore.
Sanguineti non sa neppure cosa sia, la città glielo ha tolto, l’intelligenza glielo ha tolto, anzi lo toglie di mezzo sempre, lo rende persino bizzarro, una cosa che apparenta chi lo prova all’idiota di dostojevskiana memoria.
Mi sono chiesta se è la casualità dell’infanzia a Torino che ha costretto sanguineti a essere un poeta industriale (se lui chiama rurale zanzotto io potrò chiamare industriale lui, o no?) e la casualità che ha fatto nascere zanzotto nel paesaggio veneto a farne quel poeta rurale (mi viene da ridere a chiamarlo così, un poeta che si è abbeverato a Hölderlin, ma andiamo, rurale!) ma non credo, non solo, le tradizioni si scelgono anche, no?
Sanguineti ha scelto la chiamata dell’intelligenza (sempre tra virgolette) che è connaturata alla grande città. E così facendo ha scelto la critica, ha scelto di essere parzialmente sordo, minor poeta, abile, questo sì, abile, ma mai preso di stupore, mai claudicante, mai perplesso, sempre invece vincente, normativo, potente circondato di potenti, di intelligenze a vapore, come magli.
Era così anche a vent’anni, e si è perfezionato. E’ bello ciò che piace:–)) e io devo andare a fare la spesa.
Signore e signori,
il furlen alias effeffe è molto lieto di annuncire che ancra una volta è Miku ad aver vinto. Se mi scrive francesco.forlani@wanadoo.fr le invio un bellissimo regalo.
effeffe
ps
@ temp
senza alcuno strumento critico o storico o altro, questa estate l’ho passata ascoltando Glenn Gould, le Variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach.
@ effeffe
appunto:–) sto dalla tua, anche se con dispiacere devo dire che la maggior parte di noi non ha stumenti perché è italiano. Siamo capre, musicalmente parlando.
cos’ha vinto miku?
Praise be to Nero’s Neptune
The Titanic sails at dawn
And everybody’s shouting
“Which Side Are You On?”
And Ezra Pound and T. S. Eliot
Fighting in the captain’s tower
While calypso singers laugh at them
And fishermen hold flowers
Between the windows of the sea
Where lovely mermaids flow
And nobody has to think too much
About Desolation Row
(from “Labyrinthitis II”, 1965)
è bello ciò che piace
su questo non ci piove
chi piace siti chi versace
chi sattanik chi 9
Shall I say, I have gone at dusk through narrow streets
And watched the smoke that rises from the pipes
Of lonely men in shirt-sleeves, leaning out of windows? . . .
I have heard the mermaids singing, each to each.
I do not think that they will sing to me.
I have seen them riding seaward on the waves
Combing the white hair of the waves blown back
When the wind blows the water white and black.
We have lingered in the chambers of the sea
By sea-girls wreathed with seaweed red and brown
Till human voices wake us, and we drown.
(from “The Love Song of Alfred Hitchrock”, 1911)
The art of losing isn’t hard to master;
so many things seem filled with the intent
to be lost that their loss is no disaster.
Lose something every day. Accept the fluster
of lost door keys, the hour badly spent.
The art of losing isn’t hard to master.
Then practice losing farther, losing faster:
places, and names, and where it was you meant
to travel. None of these will bring disaster.
…
da “One art”
C’è anche lei.
O non c’è?
e poi magari c’è anche lui:
Sunday Morning
Complacencies of the peignoir, and late
Coffee and oranges in a sunny chair,
And the green freedom of a cockatoo
Upon a rug mingle to dissipate
The holy hush of ancient sacrifice.
She dreams a little, and she feels the dark
Encroachment of that old catastrophe,
As a calm darkens among water-lights
…
Dylan in “Desolation Row”, appena dopo aver nominato Eliot, introduce fishermen/pescatori che hold flowers between the windows. Nel “Love Song”, ambientata in riva al mare, Eliot aveva parlato di lonely men in shirt-sleeves, leaning out of windows (con le maniche corte, non in doppiopetto): questi pescatori fumano la pipe e Eliot osserva lo smoke uscirne – in Dylan il fumo acquista forma di fiore (invece dei soliti anelli).
Dylan parla di lovely mermaids che flow nel sea e di calypso singers che laugh of them (di Eliot&Pound); Eliot aveva parlato di mermaids singing, ma non to me, e di sea-girls wreathed with seaweed red and brown (NB Calipso, prima che un ballo, era un’Oceanina, e viveva in una grotta incantata, tappezzata da zolle erbose, con fiori d’acqua e ninfee.)
Insomma, è quello che si dice un calco, da Eliot (per non parlare del tono desolato, che è lo stesso). Dylan lo fece nel ’65, S nel ’50, a stare al giudizio di Pavese, per il quale il testo letto *non scopre terreno nuovo ma ripete un tono* eliottiano appunto.
@ temp. ho qui sottomano Nico Stringa, CAMPETO, Solagna 2003, con una lettera prefatoria di Zanzotto che attacca: *Caro NS, anche nel tuo caso non è certo uno “scherzo” l’uscire dal proprio terreno di studioso, presentando una raccolta di versi in dialetto. Ma ciò diventa in te comprensibile se si pensa che tu ne sei un parlante fedele”. Potrei trascriverne una (son tutti sonetti), ma non è copiaincolla, e perciò lo farò volentieri solo sotto esplicita richiesta.
@ db
Io ho ricopiato Stevens e la Bishop (neppure il mio era un copia-incolla e perciò sono stata avara) solo per dire che a volte seguiamo solo le vie più trafficate. Ero coerente con me, non con il thread.
Tu fai un discorso più articolato e IT. Vuoi dirci che sanguineti era non solo precoce ma anche un lettore precocissimo. E ci mostri le tracce. O che pavese vedeva calchi eliotiani (sia pure capovolti e indigesti) senza chiedersi se era sensato attribuirli a un ragazzo. E’ così?
Non so, copiaci Nico Stringa se vale molto la pena. Zanzotto è anche una persona d’animo a volte esageratamente gentile.
Magari con glossario. Io non ho niente contro la poesia in dialetto, salvo il fatto che non lo capisco.
Che stronza, me lo dico da sola prima che lo pensi tu. Crede nella pratica della poesia e nella poesia diffusa.
DYLAN CRITICO DI SE STESSO (nota di copertina di Highway 61 Rivisited, 1965 – Bob ha 24 anni esatti -, che contiene l’eliottiana Desolation Row)
Autunno, con due zeri sul naso a disquisire che il sole scuro su Bach è famoso quanto la sua confusione & che lei stessa – non Orfeo – è il poeta logico “ Sono il poeta logico!” grida “La primavera? La primavera è solo l’inizio!” – non è estremamente grassa ma piuttosto progressivamente infelice… i cento Inevitabili nascondono le loro predizioni & vanno nei bar & bevono & s’ubriacano nella loro specialissima maniera consapevole &… Rosa Selvaggia & Fissabile stanno coraggiosamente mandando baci a Esagramma Di Giada-Carnaby Street & a tutti i govani misteriosi e il Giudice Crema sta scrivendo un libro sul vero significato di una pera – … quando il Crema incontrò Rosa Selvaggia & Fissabile, venne presentato niente meno che da Senzavita – Senzavita è il Grande Nemico & porta sempre una fondina in vita – è molto fondinainvita… Appare il Clown – imbavaglia Autunno & dice “ci sono due tipi di persone – quelle semplici & quelle normali” questo di solito fa ridere di gusto la cava di sabbia & Cumulo Bianco starnutisce – esce & strappa via il bavaglio di Autunno & dice “Cosa vuoi dire tu sei Autunno e senza di te tu non ci saresti! che ne pensi di questa???.” poi Rosa Selvaggia & Fissabile vanno accanto & gli danno un calcio nelle cervella & lo colorano di rosa perchè è un filosofo fasullo – poi il Clown grida “Tu filosofo fasullo!” & gli salta sulla testa –Paul Sergente passa ancora di lì vestito da arbitro & un certo collegiale che ha letto tutto su Nietzche passa di lì e dice “Nietzche non ha mai indossato una divisa da arbitro” & Paul dice “Vuoi comprare dei vestiti, ragazzo?” & allora escono dal bar & se ne stanno andando ad Harlem… oggi stiamo cantando della GANG SPAZZAVIATUTTO – la GANG SPAZZAVIATUTTO compra, possiede & fa funzionare l’Industria Della Follia – se non sai dove si trova l’Industria Della Follia, dovresti fare due passi verso destra qui vicino, dipingerti i denti & andare a dormire… le canzoni in questo disco in particolare non sono propriamente canzoni ma piuttosto esercizi di controllo del respiro tonale… l’oggetto – per significativo che sia – ha qualcosa a che fare con gli splendidi stranieri… gli splendidi stranieri, la giacca verde di Vivaldi & il santo treno lento hai ragione john cohen – quasimodo aveva ragione – mozart aveva ragione… non posso più pronunciare la parola occhio… quando pronuncio questa parola occhio, è come se stessi parlando dell’occhio di qualcuno che ricordo vagamente… non c’è nessun occhio – c’è solo una serie di bocche – lunga vita alle bocche – il tuo tetto – se già non lo sai – è stato demolito… occhio è il plasma & e tu hai ragione anche su questo – sei fortunato – non devi pensare a cose come occhi & tetti & quasimodo.
Poi sarebbe bello andare a vedere, pour boucler la boucle, cosa Pasolini dicesse di Pavese. E sono sicura che anche di Pasolini qualche mito letterario dell’epoca dicesse che non sa scrivere, qualcosa come ” scrivi come se Montale non fosse mai nato”.
VARRA’ LA MARTA? E AVRA’ I TUOI ACCA
QUESTA MARTA CHE… CIA’, CAMPAGNA
DA MATTANA, ALLA SARA INSANA,
SARDA!
Un giornalista compie un’inchiesta fra le cinque finaliste del concorso di Miss Italia per conoscere i motivi della loro partecipazione. Una delle cinque ragazze uscirà di strada con l’auto per far morire con sé un losco figuro, causa della sua rovina e apportatore di miseria per un’altra candidata a lei cara.
Sanguy: * La poesia è un abilità umana; se non fosse tale, non sarebbe più poesia*.
Pavy: *Quel tono giusto di parlare a se stesso che è il segreto della grande poesia*.
Il 28 agosto 1950 Fortini scrive sull’Avanti! l’articolo “Pavese si è ucciso”. Il 29 è a Londra, dove ha modo di conoscere Eliot.
va bene, 100.
Ho insegnato ai miei figli
che mio padre è stato un uomo straordinario:
(potranno raccontarlo,
cosi’,
a qualcuno,
volendo,
nel tempo):
e poi, che tutti gli uomini sono straordinari:
e che di un uomo sopravvivono,
non so,
ma dieci frasi,
forse (mettendo tutto insieme: i tic, i detti memorabili,
i lapsus):
e questi sono i casi fortunati.
… Col tuo arrivo, caro Nico, un nuovo ramoscello vitale si affaccia, col suo colore che sta benissimo fra i tremila esaltati dal Noventa, al di là e non contro gli italici tre colori.
Tremila, cavolo, credevo meno, se si sommano a quelli degli italici colori fa spavento.
Per chi fosse interessato a cure dimagrelli/dimagranti,
http://www.poetastri.com
(dove Inglese è uno dei pochissimi alimenti consentiti dalla dieta)
Mi chiedo quanti saranno quelli col brevetto nautico.
bianco, rosso e verde
el coòre dée 3 merde
C. Pavese, Taccuino segreto 1942-43, “La Stampa” dell’8 agosto 1990
C. Dionisotti, Per un taccuino di Pavese, “Belfagor” XLVI 1991, pp. 1-10
Lo storico Ventura in “Sulla crisi del regime fascista 1938-43”, Venezia 1998, riporta un giudizio generale di Jemolo sulla diffusa “acidità, il non voler ammettere che ci sono dei coraggiosi, dei puri che non si limitano ad arrovellarsi, ma agiscono” – e lo applica al Pavese del taccuino: “Sono giudizi che trasudano astio e sprezzante incomprensione nei confronti dell’antifascismo, nei quali par di avvertire ancora vivo il risentimento del letterato estraneo alla politica, coinvolto accidentalmente per un equivoco della polizia nella repressione del nucleo torinese di GL, e perciò mandato nel 1933 per un anno al confino… Le sue note di esplicito apprezzamento per il fascismo, la simpatia e la fiducia manifestate dopo l’8 settembre nei confronti della RSI e del suo programma formulato nella Carta di Verona, sono indizio di quanto profondamente l’ideologia fascista fosse penetrata tra gli intellettuali della giovane generazione. Anche in uno scrittore raffinato e colto, aperto alle più vive esperienze della letteratura americana, e che pure operava nell’ambiente antifascista della Einaudi”, pp. 383-4.
Dalla lettera si possono ricavare diverse cose:
1- Pavese qui non è il romanziere/poeta/traduttore, ma un critico letterario.
2- Il testo criticato è uno solo, e di esso sappiamo almeno il titolo: “Composizione”.
3- “non mi piace, benché mostri capacità mimetiche quasi prodigiose”: i.e. non mi piace nel suo insieme – mi piace per un aspetto, la mimesi quasi prodigiosa.
4- La mimesi prodigiosa però “non è poesia, e nemmeno stile: sono giochi di prestigio”/prodigio.
Pavese pone a scalare/degradare: 1- poesia, 2- stile, 3- prestidigitazione. Capiamo già a occhio cosa intenda: la poesia vera/genio, lo stile/talento, prestidigitazione/istrione. Il triplice livello era stato ben formulato da Goethe nel 1789 (W la Révolution! – PPP coonosceva bene il saggio già nel 1944), con termini diversi e più appropriati, a salire/progredire: 1- imitazione, 2- maniera, 3- stile (ma, a differenza di P, “questi tre diversi modi di produrre opere d’arte sono strettamente legati e possono trascorrere insensibilmente l’uno nell’altro”). Lo stile è autonomo, la maniera è l’imitazione di uno stile (alla maniera di…), l’imitazione è l’imitazione di una maniera (imitazione di un’imitazione).
5- nella fattispecie, Eliot è la maniera e Sanguy l’imitazione. Ma chi è lo stile?
Phaves su Lajolu, mortu dae bindighi dies, ismentigheit sas boghes de sos corbos marinos, e sas undas de s’altu mare, su profetu e sa perdua. Una currente sutamare l’ispurpeit sos ossos in murmutos. Comente afundaiat e pigaiat, passaiat sas istajones de sa betzesa e sa pitzinnia inghiriende in su mulinu. Gentile o Ebreu, o tue chi giras sa roda e abbaidas contrabentu, pensa a Phaves, chi unu tempus fit altu e bellu che a tie.
e Ezra Pound e Thomas Eliot
fanno a pugni nella torre di comando
i suonatori di calipso ridono di loro
mentre il cielo si sta allontanando
e affacciati alle loro finestre nel mare
tutti pescano mimose e lillà
e nessuno deve più preoccuparsi
di via della Povertà.
(trad. it. De André/De Gregori: perdono le sirene e altro – gli inglesi dicono più a meno –, ma cannano il verso finale della strofa finale traducendo al contrario | potevano almeno chiedere a Mal dei Primitives)
Ma cos’è questo litigio tra Pound e Eliot? Gli è che Pound intervenne pesantemente sul capolavoro di Eliot, The Wast Land, pubblicato nel 1922, modificando e soprattutto tagliando (alla fine Eliot glielo dedicherà: “al miglior fabbro” con un imprestito dantesco). Se la strofa è un calco dal Love Song di Eliot, la canzone intera richiama fortissimamente TWL, sin dal titolo: Desolation Row. Praz tradusse una parte di TWL già nel 1928, come “La terra desolata”: non sarebbe correttissimo (Caproni: Il paese guasto), ma Eliot stesso si affezionò a quel “desolate” (era amico di Praz)
http://www.la-poesia.it/stranieri/inglesi/americani/eliot/TSE_indice.htm
t.wikipedia.org/wiki/La_terra_desolata
Ora, da un certo punto di vista, TWL è un coacervo di riferimenti espliciti e impliciti (da Dante all’Ulysses appena uscito, dal buddismo orientale al Graal ecc.), un minestrone che potrebbe risultare indigesto (le note apposte nella seconda ed. fanno da alka-seltzer), esattamente come Desolation Row (10 strofone per un tot. di 11 minuti – pezzo finale di Higway 61, unico acustico di tutto l’LP). A proposito, l’anno scorso Dylan ha pubblicato sul giornale un articolo-appello invitando tutte le persone che lo hanno frequentato in quegli anni a ricordargli come mai scrisse Desolation Row, perché per diversi motivi oggi l’ha dimenticato e invece vorrebbe parlarne nella sua autobiografia. Che caos! Altro che cosmos!
BD ’78: “L’occasione nella quale sono arrivato più vicino all’espressione del suono che sentivo nella mia mente è stata quella dell’interpretazione delle tracce soliste su Blonde on Blonde. Era quel suono mercuriale selvaggio e preciso. E’ oro metallico e sfavillante, con tutto che concorre a renderlo perfetto. Quello è il mio caratteristico sound. Non sempre ho avuto successo, quando ho cercato di ottenerlo. C’era anche nel precedente Highway 61 revisited. Anche in Bringing it all back home. Quello è il suono che ho sempre sentito.” BonB (primo LP doppio della storia) uscì a inizio ’66, Highway in autunno ’65, Bringing in primavera ’65. Dalle note di copertina di BD a Bringing: “le canzoni sono scritte con un timpano in mente/un tocco d’ansioso colore…io accetto il caos, non sono sicuro che lui accetti me…la mia poesia è scritta su un ritmo di distorsione impoetica…con una linea melodica che fa le fusa in vacuità descrittive…c’è chi dice che io sia un poeta”.
PAVESI TUOI
“Sanguineti ha scelto la chiamata dell’intelligenza (sempre tra virgolette) che è connaturata alla grande città. E così facendo ha scelto la critica, ha scelto di essere parzialmente sordo, minor poeta, abile, questo sì, abile, ma mai preso di stupore, mai claudicante, mai perplesso, sempre invece vincente, normativo, potente circondato di potenti, di intelligenze a vapore, come magli.”
bello, temp.
esatto.
Il diario è interessante ma anche pieno di cose insopportabili, e ne emerge un’immaturità etica e psicologica da sbalordire. C’è in Pavese un decadentismo malgré lui. O meglio, un estetismo che gli impediva di arrivare al nocciolo delle questioni. C’è lo sforzo di chi vuole crearsi un mito dall’esterno, per motivi letterari, culturali, tutto da solo: il mito delle Langhe, delle colline, dell’America. Pavese aveva della propria opera un’opinione altissima, come si può vedere nel diario. Ma è proprio questa idea esagerata di se stesso che in parte ne ha provocato la morte. Pavese non è riuscito a creare il mito nella pagina; e il suo suicidio va interpretato come un tentativo di crearlo nella vita.
Boden und blut – si dice così? Questa gente ha saputo trovare la vera espressione. Perché nel ’40 ti sei messo a studiare il tedesco? Quella voglia ti pareva solo commerciale, era l’impulso del subcosciente a entrare in una nuova realtà. Un destino, Amor Fati.
Tutte queste storie di atrocità naziste che spaventano i borghesi, che cosa sono di diverso dalle storie sulla rivoluzione franc., che pure ebbe la ragione dalla sua? Se anche fossero vere, la storia non va coi guanti. Forse il difetto di noi italiani è che non sappiamo essere atroci.
INFARTO IN TRATTORIA
Verrà la morte, e
avrà i tuoi gnocchi.
Tra il Love Song (1917) e il Waste Land (1922), Eliot aveva dichiarato la propria estetica in “Tradizione e talento individuale” (1919), ora disponibile in “Il bosco sacro”, Milano 1999. In 2 parole: il talento assorbe il corpus della tradizione, così che da un lato lui si oggettiva e dall’altro la tradizione si soggettiva, i.e. non sarà più la stessa. Dal punto di vista tecnico/poetico, si apre uno spazio immenso alla citazione, all’imprestito, al plagio: Eliot stesso lo definisce “metodo mitico”; la Kristeva ad es. parla di “alter-giunzioni discorsive” dove “i testi si costruiscono assorbendo e distruggendo nel medesimo tempo gli altri testi dello spazio intertestuale”. Io direi che il metodo mitico è essenzialmente mimetico, nei confronti appunto della tradizione. Così è piuttosto difficile classificare Eliot con le categorie di Goethe. Di sicuro c’è molta maniera (il plagio è la maniera perfetta), anzi tutto è così manierato/manieristico, che diviene stile.
P esprime un giudizio su un testo di S che non conosciamo, ma per far questo esprime un giudizio su Eliot che conosciamo: “poesia della stanchezza e dell’indigestione culturale … senso di smarrita scoperta e balbettamento digestivo”. Per P dunque Eliot non è stile, bensì maniera, e NB maniera carente/scadente: mentre infatti il manierista medio digerisce il manierato, a Eliot Dante&company restano sul gozzo. O, sempre con le sue parole: mentre uno scopritore è felice, Eliot è smarrito; mentre uno bravo prima digerisce e poi parla, Eliot resta col boccone in bocca e perciò balbetta.
Insomma, nel ’48 hanno dato il Nobel a un deficiente. e noi italiani stupidi a farci scrupolo per Dario Fo!
S. Rete mi ha insufflato:
1- la prima pubblicazione di Sanguy sedicenne risale al 1917: la recensione sulla pagina torinese dell’Avanti! di un film musicale sovietico.
2- la stesura di Laborintus inizia il 6 gennaio 1951, e per un po’ si avvale di generi diversi (diario, racconto, aforisma), abbandonati poi per la sola poesia (come abbandonato sarà il titolo e il protagonista: Laszso Varga).
3- la tesi su Dante col Getto (1952) è un tentativo filologico sulla scorta di Eliot&Pound vs Croce: il labirinto è la versione contemp. della selva oscura.
d) il “suono mercuriale” di BonB deriva dal fatto che BD smette di pensare per chitarra&armonica: ciò soprattutto nei tracks 2, 7, 9 e 13 di BonB (da ascoltare ad alto volume), i cui refrains, nell’ordine, potrebbero costituire un dialoghetto ideale tra un maschio e una femmina (ad es. db e temp.)
M– I’m pledging my time to you, hopin’ you’ll come through, too.
F – ?!
M– Well, I see you got your brand new leopard-skin pill-box hat…
F – MOST LIKELY YOU GO YOUR WAY AND I’LL GO MINE!
M– 15 jugglers + 5 believers, all dressed like me: tell yo’ mama not to worry because they’re just my friends.
@db
“NB maniera carente/scadente”
perché scadente? per la dispepsia? per il fatto che non possiede una coscienza *felice*? ma la coscienza manierista è costitutivamente infelice (quanto meno quella del primo manierismo): coscienza dell’alienazione, dello sradicamento, della sopraggiunta estraneità, della coazione a operare non più linguisticamente ma sempre e soltanto metalinguisticamente.
tutto ciò non è scadente. lo smarrimento e il balbettio di chi, in carestia di cose, ha fatto indigestione di forme – non sono scadenti.
il rimprovero che pavese muove invece a sanguineti è proprio quello di adottare non la maniera, ma la maniera della maniera; di mimare l’indigestione senza l’abbuffata; di evocare le cause (cioè una certa condizione storica, un certo clima) senza averle patite. cioè di creare soltanto l’*illusione* delle cause attraverso la mera (anodina, e a quel punto oziosa) riproduzione degli effetti.
un trucco retroattivo. un gioco di prestigio, appunto.
non mi pare che qui si svaluti lo zoppo (eliot): si svaluta semmai il suo accompagnatore (sanguineti), che ha *imparato* a zoppicare.
x il quiz: volete sapere le parole esatte, o basta a occhio? Perché l’ultima lettera di Pavese vivo, del 26 agosto 1950, è al direttore cattocomunista di “Cultura e realtà”, e gli dice: “Caro Motta, per Fortini pubblica pure, non ho nessuna intenzione di rispondere. Chi è ‘tornata’? l’americana? Ho altro da pensare. ciao”. In rete ho visto che Pavese aveva scritto sul mito in quella rivista
http://www.classicitaliani.it/pavese/pavese_mito.htm
e Fortini l’ha contestato con un intervento che Pavese dice: pubblicalo pure, tanto… L’intervento di Fortini non c’è in rete, ma a occhio la risposta alla domanda di Forlani è: a Eliot ha detto non bene.
@dandy: hai ragione, una scoperta può essere anche spiacevole, infelice, sfortunata. “scoperta smarrita” invece è più un ossimoro, poiché Dante docet lo smarrimento è il contrario dello scoprire (uno è infatti inconcluso, l’altro invece sì). Ugualmente ossimorica è l’indigestione culturale, poiché cultura è appunto assimilazione/digestione. se uno mi dice: hai fatto un’indigestione culturale, non lo prenderei come un complimento: hai ingerito così tanti libri, che non li digerisci più e balbetti – puzzi d’imparaticcio. Per tagliare la testa al toro, bisognerebbe sapere se in altra sede P si è espresso su Eliot. Io so solo che diceva peste e corna di Joyce (saccheggiato e digerito da Eliot ancora caldo, nel ’22), e che nel diario, 2 mesi prima della lettera a S, aveva scritto: “Condanna generale di tutta l’arte d’avanguardia”. Ne sai qualcosa di più?
PS 2 lapsus nel mio commento precedente: leggi 1947 e non 1917, e dressed like men e non me. I believers-jugglers per BD vestono normale, da uomini (come i cavalieri della fede in Timore e tremore di Kierkegaard, che girava negli anni ’60 in East Coast – v. Salinger che lo cita più volte). considerati canonicamente, questi due lapsus mi svelerebbero come leninista-egotista o egoleninista. mah…
Tira le fila, db.
(please)
@db
no, giudizi espliciti non me ne vengono in mente. però, stando alla lettera, sembrerebbe che alla poesia di eliot qualche valore euristico lo si riconosca, nel senso dello scoprire “terreno nuovo”, valore evidentemente negato alla poesia di sanguineti, che si limita a ripetere un tono.
tu dici l’ossimoro… be’, ma funziona. voglio dire, i due termini mica si elidono, anzi, son messi lì per fare scintille.
l’unico difetto dell’ossimoro, semmai, è il suo ottimismo romantico, prematrimoniale, che sottovaluta la reciproca narcosi di certe relazioni prolungate, l’implacabile radicamento di certe connivenze.
all’inizio grandi scopate fra i due, poi magari, alla lunga, te li ritrovi adagiati in un tranquillo ménage, lei in cucina, lui in soggiorno, davanti alla tv…
e allora (ma solo allora) è tutta una serena disperazione… è la notte dei morti viventi…
da BD. Chronicles, I 3
nel ’68 va a trovare MacLeish, il poeta delle pietre notturne e della viva terra, che aveva avuto successo con J.B., pièce su GioBbe. Vorrebbe la musica per Scratch (rogna)
M- Pound e Eeliot erano troppo scolastici, non è vero?
B- Di Pound so che ha simpatizzato per i nazisti, non l’ho mai letto. Mi piace Eliot. Lui sì che vale la pena di leggerlo.
M- Li conoscevo tutti e due. Uomini difficili. Ma la capisco, quando dice che stanno lottando nella torretta del capitano. Ha letto Villon?
B- Sì.
M- Ecco, mi pareva. E i suoi eroi da piccolo?
B- Robin Hood e san Giorgio l’uccisore dei draghi.
M- Certo è meglio non averli come nemici.
Scratch era un’opera cupa, che condannava a morte la società, con l’umanità a faccia in giù nel proprio sangue. Andava oltre il messaggio stesso dell’apocalisse, come se la distruzione della terra fosse dopotutto la missione dell’uomo. La cosa non faceva per me.
Chronicles, I 5
BD dedica pagine e pagine all’Opera da 3 soldi, senza la quale dice non avrebbe mai composto le sue canzoni. La ascoltò a NY nel ’60 con Suze, la sua italoamericanina. Blonde on Blond è l’acronimo di Bob, ma lui disse che è riferito allo spettacolo Brecht on Brecht.
Tra le schede di lettura del povero Bianciardi trovo
IL MESTIERE DI VIVERE: cambiar mestiere.
All’inizio P concede a S “capacità mimetiche quasi prodigiose”: S è un mimo/enfant prodige. Del suo testo, conosciamo almeno il titolo. “Composizione” sarà allora da intendere come altergiunzione alla Eliot. S dunque ha mimato Eliot che aveva mimato/altergiunto una miriade di autori. In effetti, il successivo Laborintus starà su questa linea. Solo che in Eliot si vede stanchezza, smarrimento, balbettamento, mentre in S rimane solo il “gioco di prestigio”. P lo dice criticamente, ponendo l’accento sul prestigio, da praestringere = far stringere gli occhi, abbagliare. Ma intanto, a denti stretti, ha detto anche “gioco”, ludus, ironia. Quindi se non c’è stanchezza ecc., non è detto che non ci sia nient’altro: resta qualcosa, un qualcosa che produce il niente, ossia che nega/distrugge. e nega/distrugge cosa? la stessa identica realtà che a un altro produce stanchezza, e a un altro ancora vis suicida. Quest’ultimo altro non lo sopporta, e urla: si vergogni di fare il buffone/illusionista, di ridere e far ridere quando c’è solo da piangere e da far piangere! Dà sui nervi che mentre la vita ha riservato a uno un fardello insopportabile, l’altro saltelli come uno spiritello. Ma siccome c’è giustizia a questo mondo, il ragazzino pagherà il vantaggio con la superficialità: gli manca infatti la materia del poetare. Perciò P dà un consiglio che però sa già che l’altro non seguirà: raschi raschi, e vedrà che non troverà niente. E l’altro ha ben ragione a non seguirlo, perché è un consiglio malevolo, e sadico anziché no.
Ma davvero chi ironizza, la mette in vacca ecc. è vacuo? Kierkegaard nei suoi diari giovanili (ma andava verso i 30) scriveva: anche stasera ho fatto il pagliaccio in società, e ora vorrei tirarmi un colpo di pistola…
nella mia vita ho già visto le giacche, i coleotteri, un inferno stravolto da un Doré,
il colera, i colori, il mare, i marmi: e una piazza di Oslo, e il
Grand Hotel
des Palmes, le buste, i busti:
ho già visto il settemmezzo, gli anagrammi, gli etto-
grammi, i panettoni, i corsari, i casini, i monumenti a Mazzini, i
pulcini, i bambini, Ridolini:
ho già visto i fucilati del 3 maggio (ma riprodotti appena in
bianco
e nero) i torturati di giugno, i massacrati di settembre, gli
impiccati di marzo,
di dicembre: e il sesso di mia madre e di mio padre: e il vuoto, e il
vero e il verme inerme, e le terme:
ho già visto il neutrino, il neutrone, con il fotone, con l’elettrone (in rappresentazione grafica, schematica): con il
pentamerone, con l’esamerone: e il sole,
e il sale e il cancro, e Patty Pravo: e Venere, e la cenere: con il
mascarpone (o
mascherpone), con il mezzocannone: e il mascarpio (lat.) a
*manuscarpere:
ma adesso che ti ho visto, vita mia, spegnimi gli occhi con
[due dita, e basta:
perché io sogno di sprofondarmi a testa prima,
ormai, dentro un assoluto anonimato (oggi, che ho perduto tutto, o quasi): (e
questo significa, credo, nel profondo, che io sogno assolutamente di morire,
questa volta, lo sai):
oggi il mio stile è non avere stile:
Itaalia luule suur erak Zanzotto nimetas Laborintust omal ajal “närvivapustuse siiraks ülestähenduseks”. Sanguineti vastas kriitikale, et tegu pigem aruandega ajaloolisest vapustusest või ammendumisest. (Itaalia keeles on närvivapustus esaurimento nervoso; samas tähendab esaurimento ka ammendumist või otsalõppemist.)
CHI DI NERVI FERISCE, DI NERVI PATISCE?
*Nel 1984 si acutizzò la depressione di cui soffriva da tempo, tanto da costringerlo a farsi ricoverare. Tra aprile e maggio provò a scrivere una serie di haiku in un finto petèl inglese che sottotitolò For a season, i mesi appunto dell’esaurimento nervoso.*
@temp. Si sa che Zanzy si sottopose a trattamento psicanalitico, ma ti risulta che il terapeuta fu Lacan? Non a titolo di merito, ma come dato di fatto, Sanguy non è mai ricorso finora a uno psicologo (e sì che Laborintus è sotto il segno evidente di Jung).
Inoltre: tu temp., che a me novizio del blog insegnasti che nel buco dei commenti possono confluire fiumi di parole e m’invitasti perciò consequentialiter a non cercare a tutti i costi la concisione, proprio tu ora m’inviti a stringere? non vorrai mica la mia circoncisione!
@ db
Non era un invito a stringere, ma a tirare le fila, ho dei problemi tecnici, poi mi spiego meglio.
Quanto al resto… per me il corpo è sacro e inviolabile.
Da L. Mondo, Il ragazzo antico, Milano 2006, si deduce che Moby, dopo la sbandata nazinicciana del ’43 (che lo avrebbe portato dritto a imbracciare un cavallo), passò in collina il ’44. Due sono i dati biografici essenziali:
1- l’avvicinamento alla religione cattolica con tanto di sacramenti mediante contatti quotidiani col parroco.
2- la frequentazione quotidiana di un nobilotto decaduto del posto che tirava vagonate di coca.
Ora, il quiz è:
1- è il prete ad averlo allontanato dalla coca?
2- è la coca ad averlo avvicinato al prete?
Composte terre in strutturali complessioni sono Palus
[Putredinis
riposa tenue Ellie e tu mio corpo tu infatti tenue Ellie eri il
[mio corpo
immaginoso quasi conclusione di una estatica dialettica
[spirituale
noi che riceviamo la qualità dai tempi
tu e tu mio spazioso corpo
di flogisto che ti alzi e ti materializzi nell’idea del nuoto
sistematica costruzione in ferro filamentoso lamentoso
lacuna lievitata in compagnia di una tenace tematica
composta terra delle distensioni dialogiche insistenze
[intemperanti
le condizioni esterne è evidente esistono realmente queste
[condizioni
esistevano prima di noi ed esisteranno dopo di noi qui è il
[dibattimento
liberazioni frequenza e forza e agitazione potenziata e altro
aliquot lineae desiderantur
dove dormi cuore ritagliato
e incollato e illustrato con documentazioni viscerali dove
[soprattutto
vedete igienicamente nell’acqua antifermentativa ma fissati
[adesso
quelli i nani extratemporali i nani insomma o Ellie
nell’aria inquinata
in un costante cratere anatomico ellittico
perché ulteriormente diremo che non possono crescere
tu sempre la mia natura e rasserenata tu canzone metodologica
periferica introspezione dell’introversione forza centrifuga
[delimitata
Ellie tenue corpo di peccaminose escrescenze
che possiamo roteare
e rivolgere e odorare e adorare nel tempo
desiderantur (essi)
analizzatori e analizzatrici desiderantur (essi) personaggi
[anche
ed erotici e sofisticati
desiderantur desiderantur
@db
Ti dicevo “tira le fila” non per farti stringere, ma perché tu sei molto generoso di informazioni e citazioni critiche, e questo è bello, ma poco di comunicazione, anzi, direi che più informazioni dai, più scavi la tana.
Qual’è il tuo pensiero?
Sembra che tu guidi un manipolo di allievi verso la meta, mostrando i segni ma lasciando a loro una scoperta che prima o poi verrà, purché i segni siano letti nel modo giusto.
Ma per questo tipo di comunicazione ci vogliono, io credo, delle precondizioni: lo spazio – e non so se sia questo che stiamo praticando – , la volontà di comunicare in questo modo – e anche qui non sono certa che ci sia da parte di tutti – e un reciproco riconoscimento, tra maestro e allievi.
Se mentre il maestro mostra i segni a poco a poco gli allievi tacciono, qualcosa nella comunicazione non va. Oppure anche, gli allievi non si riconoscono in quanto allievi (e con questo non intendo dire che tu voglia fare il maestro, sento che non è così, ma che forse sei abituato prevalentemente a quel discorso, che non sempre ha bisogno, o non sempre si nutre, di interazione).
Io non so chi siano Esaurimento Befana e Testamento. Certo non sono i due o tre commentatori con cui di solito comunico qui. Dove sono finiti? Leggono in silenzio o hanno lasciato la stanza? Se hanno lasciato la stanza non si potrebbe cercare una modalità diversa?
Che per zanzy il terapeuta fosse lacan tenderei a escluderlo, lui è un uomo di paese, in questo sanguy ha ragione. E certo lacan non è andato a Pieve.
Ma se anche lo sapessimo, sarebbe davvero interessante?
E’ la comunicazione quella che prevalentemente si tesse qui, mi pare, un incontro non casuale di esseri umani sbucati da chissà dove. E anche piuttosto paritario, visto che il primo passante può dirmi cosa pensa di me e anche bruscamente, senza chiedersi se altrove ho magari qualche merito. Questo mi piace qui ed è per questo che ci vengo. Sarei curiosa di sapere cosa ne pensano gli altri, se ancora ci sono, e tu per primo.
“Crackers dei paesi tuoi”
Se insegnare significa sedurre e insieme corrompere i giovani, stimolandoli all’uscita dall’eden dell’innocenza e dell’ignoranza, per indurli alfine al procreare, allora E.Sanguy ha sempre dato prova di efficacissime e affinatissime arti suasorie e maieutiche. Egli stesso veniva a scrivere, in tema di didattica letteraria, sotto forma di primo enunciato assiomatico e paradossale di una sorta di lungo decalogo: «insegnare è impossibile, imparare no». Chiariva nelle successive degnità, enumerando le caratteristiche del buon docente, perfetto seduttore, artefice della «gravidanza» della mente, ora e finalmente non più «casta»: a ricezione deve incanalarsi nella produzione, l’«eros
disciplinare» convertirsi in quello «produttivo». La realizzazione della produzione, tradotta in termini accademici, si costituiva come la stesura di un testo scritto, in gergo studentesco nominato volgarmente “tesina”, modesta concretizzazione dell’utopia di riforma scolastica più volte teorizzata, e caldamente consigliata dallo stesso Sanguy: ovvero l’assimilazione dell’intera scuola a una grande, grandissima I elementare.
A parte un corso salernitano su Boccaccio, le lezioni di Sanguy non sono
state finora pubblicate, compreso il corso tenutosi nell’a. a. 1988-89 iin un’auletta scalcinata dell’ateneo genovese, di cui ora verrò a parlare. Il corso verteva sul tema della lode nella letteratura delle origini, ma in realtà dopo alcune lezioni iniziali sulla lirica di Guinizzelli, si concentrò sulla Vita nuova…
http://www.disp.let.uniroma1.it/fileservices/ filesDISP/261-267_TUFANO.pdf
@chtung temp! son io che parlo a job, perciò respect!*
e rispondendo ho parlato da un turbine:
sono entrato
nel profondo del mare:
hai camminato nell’abisso dell’abisso?
Guarda, c’è il terrore, in giro, intorno ai suoi denti:
ecco, assorbirà un fiume, tranquillamente:
ma chi racconterà
quello che dico?
ho dato un abito alla nuvola:
tu non sapevi che dovevi nascere:
ho deposto sapienza
nelle viscere dell’uomo: al gallo, ho dato intelligenza:
ho immesso il nitrito nel collo del cavallo:
rispondi, tu,
che ti interrogherò:
consolida la sua coda come un cedro,
i nervi dei suoi testicoli stanno intrecciati:
io l’ho fatto:
e ho fatto te, io, insieme:
chi può resistere alla mia faccia?
della sua faccia chi aprirà le porte?
la sua virtù
è nell’ombelico del suo ventre:
non aggiungere niente, se parli:
*e usa bene il pc: copincolla un verso su google, e vedrai di chi è (e prima di ricopiare a mano, fa lo stesso col primo verso di Stevens, Bishop ecc: tutto tempo risparmiato)
da un’intervista al SecoloXIX del 6 gennaio 2006
– A che fu dovuta la sua labirintite eliotiana?
– Il grande rilievo di Eliot era la sua utilizzabilità in rapporto alla tradizione culturale italiana: rappresentava infatti colui che mediava Dante nei confronti della modernità. Egli restituiva a una tradizione culturale che l’aveva perduta la grande libertà di scrittura offerta da Dante.
– Ha realizzato almeno in parte le sue aspettative?
– Mi sognavo simile a un Hoffmann in delirio, e sono quasi il sosia di un mediocre comico inglese.
– E come mai è così in salute?
– Mi faccio ogni giorno la passeggiata di nervi.
Grazie @Job
ma qui sulla terra usano ancora i diritti d’autore e ci tocca copiare.
x il quiz: chi l’ha fatto
il nobilotto l’ha avvicinato alla coca
la coca l’ha avvicinato al prete
il prete l’ha avvicinato ai sacramenti
i sacramenti l’hanno avvicinato al nobilotto
il nobilotto l’ha avvicinato alla coca
(è il gioco della coca, introdotto in paese dal prete per frenare il gioco della mora, detto anche dell’otto o americana)
nei thread non mi preoccupa se ognuno va per la sua strada: mi preoccupa piuttosto se si va in circolo, come in Sale, o peggio ancora se si va per nessuna strada, come in Mallarmé (se fossi Sparzani, a veder tanto squallore mi sparzerei).
P incontra il suo destino nel ‘29, al penultimo anno di università: “la donna dalla voce rauca” si chiama Tina, è un’insegnante di matematica iscritta al PC clandestino, il suo ex-fidanzato è A. Spinelli. Ha un carattere duro e deciso. P se ne innamora. A lei dedica poesie di struggente, epica bellezza: “L’ho creata dal fondo di tutte le cose / che mi sono più care, e non riesco a comprenderla.” Non la comprenderà mai. Nel ‘30 si laurea in lettere con una tesi su Whitman, inizia a lavorare persso la G. Einaudi, si prepara al concorso a cattedre per italiano e latino; ma proprio allora, il 13/5/’35, la polizia irrompe in casa sua e trova lettere che Spinelli dal carcere aveva scritto a Tina; per farle un piacere, P aveva accettato di riceverle a proprio nome passandogliele poi senza aprirle. Tanto basta alla polizia fascista per mandarlo al confino a Brancaleone Calabro con una condanna a 3 anni (ne sconta poi meno di 1). Lì alterna momenti d’insofferenza per un destino incrociato per sbaglio a momenti in cui la sua altissima concezione della dignità personale gli impedisce di metter mano alla domanda di grazia (e non è solo per quello, se a un’amica di famiglia scrive: “La domanda che lei mi consiglia la farei senz’altro, perché non me ne importa un fico, ma se un uomo fa di queste cose la donna si vergogna di lui”. Tina, durante il confino, gli scrive qualche cartolina. Lui risponde: “Ti ringrazio di tutti i pensieri che hai avuto per me. Io per te ne ho uno solo e non cessa mai”. La tragedia amorosa infine si compie: ottenuta all’improvviso la grazia, nel marzo del ‘36 P prende il treno, arriva a Torino dove trova in stazione un amico cui chiede subito di lei: “Non ci pensare più – è la risposta – si è sposata ieri”. Un tonfo. La valigia cade a terra, P con essa (o viceversa). Per lui, in quel momento, è come se si fosse rivelata la cifra di un destino di solitudine, di impossibilità. Dopo quel tradimento le donne, tutte, saranno rappresentate da P come un frutto di carne da godere per un momento, o come l’indifferenza e l’infedeltà personificate: “È bella come una capra – scrive ne Il carcere, parlando di Elena – qualcosa tra la statua e la capra. Veniva dalla montagna ed era proprio una capra, pronta a tutti i caproni”. Era già iniziata la scoperta del mito.
“E’ solo per inconsapevole presunzione che non ci si vuole riconoscere onestamente come plagiari “ J. W. Goethe
“Il plagio: cos’è in fin dei conti se non conoscenza di sé? Che all’interessato manca quel che prende?” A. Schmidt
Phil Ochs, cantautore folk e amico di BD, disse all’epoca di Highway 61 che “BD è come l’LSD, ormai: è entrato nella psiche di troppa gente e l’America è un paese in cui molta gente non ha la psiche a posto. Ho paura per lui”. One account of BD’s first experience with hallucinogens places it in April of 1964; producer P. Rothchild told B. Spitz that he was present when BD took his first hit of LSD. Tra le due sedute di registrazione per Desoltation Row (14/6 e 4/8/’65), BD incontrò al Greenwich Warhol e Lou Reed, che stavano organizzando la prima uscita dei Velvet Underground in un cinema cadente di NY. Gli chiesero un testo per la locandina: BD era in acido, ergo lo scrisse al momento, su un tavolino (il testo è riportato in J. Malanga, Velvet Underground, Firenze 1999). “Mercuriale, selvaggio e preciso” è aggettivazione psichedelica par exellence (mercurio = argento vivo = Silver spoon = surrealistic Pillow). I 4 Quartets di BonB (2, 7, 9, 13) sono il primo esempio mondiale di acid rock. Così ognuno in fin dei conti è acido a modo suo: BD, Moby, Pavy…
Tu dura e dolcissima parola,
tu sei come una terra
che nessuno ha mai detto,
tu non dici parole,
sei un chiuso silenzio
che non cede, sei labbra
e occhi bui.
La parola non c’è
che ti può possedere
o fermare … e non dici parole
e nessuno ti parla.
Sempre vieni dal mare
e ne hai la voce roca,
sei riarsa come il mare.
Di salmastro e di terra
è il tuo sguardo,
hai viso di pietra scolpita,
sangue di terra dura.
Sei la vigna,
anche tu sei collina
e sentiero di sassi
e gioco nei canneti.
Sei la cantina chiusa
dal battuto di terra,
dov’è entrato una volta
ch’era scalzo il bambino,
e ci ripensa sempre.
E sei come le voci
della terra – l’urto
della secchia nel pozzo…
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue,
sei la terra e la morte,
sei soltanto dolore
ma non senti. Vivi
come vive una pietra,
come la terra dura.
E Cesare perduto nella pioggia
sta aspettando da sei ore
il suo amore, ballerina.
E rimane lì
a bagnarsi ancora un po’
e il tram di mezzanotte se ne va
ma tutto questo Sanguy non lo sa.
Ma io non ci sto più.
Scritto nei primi mesi del ‘46 a capitoli alterni da P e Bianca Garufi e rimasto incompiuto all’XI capitolo, fu pubblicato semipostumo nel ‘59 da Einaudi per volontà di Calvino. Il titolo scelto da P era “Viaggio nel sangue”, poi mutato in “Fuco Grande” dall’editore, prendendo spunto da una frase della serva Catina, che usa un modo di dire della parlata siculo-calabrese per indicare situazioni difficili. Ciascun capitolo mostra, alternativamente, il punto di vista di Giovanni e di Silvia, i due protagonisti di una vicenda assai cupa ed aspra. S riceve un telegramma e deve partire improvvisamente per la sua terra d’origine, Maratea. Nel viaggio si fa accompagnare da G, col quale ha una relazione. Motivo ufficiale è la grave malattia e poi la morte di Giustino, un ragazzo di 13 anni creduto da tutti suo fratellastro, nato dal II matrimonio della madre con un notabile locale. In realtà Giustino è figlio di S e del patrigno, è stato concepito quando lei aveva 13 anni (coincidenza) e le è stato poi strappato via dalla madre. S ha lasciato il paese subito dopo il fatto, è passata attraverso altre violenze e altre storie, e ora G si troverà gradualmente a scoprire questa realtà familiare oscura, un vero vespaio che ha cambiato radicalmente la vita e il carattere di S.
B. Garufi (Roma 1918) scrittrice d’origine siciliana, ha scritto il poema “La spirale e la pillola” e il romanzo “Il fossile”, continuazione di “Fuco grande”. Intensa la sua attività di traduttrice dal francese, importanti i suoi viaggi a Parigi, NY, Estremo Oriente. Dagli anni Settanta si è dedicata all’attività di psicoterapeuta junghiana.
@S.Garufi: la nonna ha lasciato qualche documento inedito di/su P?
caro db, mi spiace deluderti ma mia nonna paterna si chiamava maria, faceva la casalinga e non amava particolarmente i libri.
allora è come mia mamma!
vorrei cogliere l’occasione per dire a sergio che “nonostante molto” lo stimo, e ai redattori di NI che il valore insostituibile di un blog come questo (che secondo me potrebbe solo migliorare) è che i post per i lettori (o almeno per me) diventano stimoli incredibili alla riflessione e all’approfondimento. Insomma, frequentandovi imparo tantissimo – è come se spingeste la mia barchetta nel mare aperto della rete, da cui mi pare poi sempre di tornare con qualcosa. Questo qualcosa poi tenderei a depositarlo nei commenti. Temp. sostiene che così intaso: ma è vero?
Ho sfogliato in libreria ancora caldo di stamperia E. Russo, Laborintus di E. Sanguineti. Testo e commento, Manni ed. Lecce (davvero una miniera).
Vorrei guardare in biblioteca E. Perrella, Dittico: Pavese, Pasolini, Milano 1979. qualcuno ne sa qualcosa?
PPP, criticissimo nei confronti del gruppo 63, profetizzò: si salverà soltanto Sanguineti. Ma bastava che guardasse alle sue proprie iniziali, e avrebbe aggiunto: Pascali, Porta, Pagliarani. o no?
@db
“Temp. sostiene che così intaso: ma è vero?”
non è vero, non intasi. tu fai di peggio: scassi la minchia a tutti, sei un irrefrenabile logorroico, un commentatore ossessivo compulsivo, il più folle, simpatico, delirante e colto lettore di NI. la tua stima, ricambiata, mi onora.
Titulus est Laborintus quasi laborem habens intus.
Il camerata Esanguineti all’epoca mi chiese espressamente di usare titolo e sottotitolo dell’opera del mio avo Everardo, di cui ho tuttora i diritti. Io lo accontentai, anche perché così potevo contestare meglio la deriva laborista della sinistra, che nel frattempo aveva assoldato Pavese con una losca operazione di mobyng nei nostri confronti. Come noto, Pavese contrattaccò svelando ad es. che la Ellie Lamda del testicolo altri non era che la moglie Luciana raffigurata in adolescenziali pose domestiche da lambdada al lap, mentre il terzo incomodo era un certo Ruben compagno di scuola, famoso perché epitetava la Lucianona con : laborem habens intus orem. Ricordo anche che il titolo mi sembrava troppo laborioso, e avevo proposto, inascoltato, Fellatio (o come seconda scelta Phallintus – quasi phallum habens intus, e come terza, conoscendo bene Esanguineti, minus habens intus).
Eia Eia
@db
Dove ho detto che intasi?
Tu sai che cosa ho detto:–)
E secondo me mi hai dato anche un po’ ragione.
Pace?
INFARTO IN TRATTORIA
Verrà la morte,
e avrà i tuoi gnocchi…
E.Sanguineti, “Radicalismo e patologia”, Micromega 1995, n. 4.
per preparare una poesia, si prende “un piccolo fatto vero”… ………………………………………………………………………………………….. concludo che la poesia consiste, insomma, in questa specie di lavoro: mettere parole come in corsivo, e tra virgolette: e sforzarsi di farle memorabili, come tante battute argute e brevi: (che si stampano in testa, cosi, con qualche contorno di adeguati segnali socializzati): (come sono gli a capo, le allitterazioni, e, poniamo, le solite metafore): (che vengono a significare, poi, nell’insieme: attento, o tu che leggi, e manda a mente):