Oltre le nebbie

di Helena Janeczek

Questa che per me è la lingua della pietà,
di parole che posso dimenticarmi o dire,
perché anche se mi passano di bocca,
come scivola di mano una bottiglia
e si spacca, che io raccatto e pulisco,
pulisco e perdo, qualcuno mi perdona

 

Segrate
 

Questa vera nebbia
che raccoglie lo stagno ornamentale
e si addensa sul vetro senza finestre,
perché non c’è una finestra
o una porta o un muro, niente dentro
che qui potrebbe lasciarsi chiudere o aprire,
perché il muro è di vetro
che la nebbia fuori ricopre.
 

Pareti di carta e di aria che
scoperchia le teste fino alle spalle,
e in basso i piedi vanno via separati,
mentre dritto, fra parete e parete,
lungo il corridoio e il vetro,
si siede fermi quasi invisibili.
 

Ma le nostre voci sono illimitate, non sono
di nessuna sede, sono ascoltabili,
sono da ascoltare.
 

Nelle altre voci
si siede sempre più fermi. Nella propria
si rinuncia.
 

Per questo un’altra voce
mi raccoglie e copre come la nebbia.
 

Contro la nebbia e lo stagno
che dentro la nebbia imbianca il muro,
contro il vetro di muro e l’aria di parete di carta,
l’aria dai buchi del soffitto
e la luce bianca di sotto i buchi
che riduce in brace di polvere l’aria,
contro le altre ascoltabili voci
che sono di altri.
 

Quella voce non è di qui.
 

Ha imparato a parlare fra muri di pietra,
d’estate, quando le imposte nella luce
sono accostate e aperte le finestre a mezzogiorno,
e non sapeva rimanere ferma nel letto
per quelle strisce sul pavimento
che vengono da fuori, come l’olio nell’aria
e forse il sale, come le voci.
 

Dietro la porta chiusa, nella grata
di ombra e di luce, dal pavimento di pietra
ha afferrato le voci che cadono fra le barre.

 

 

Forlanini-Ortica
 

Lungo i binari rientra
una riga sbriciolata di città
insieme all’autobus dal lavoro,
rimane non visibile di fronte
l’erba sulla strada all’aeroporto,
– l’erba frontiera, campo della pista d’atterraggio-
sotto gli stessi blocchi abitati,
lasciati in deposito di là del ponte
che incrocia in due il grande traffico.
 

A destra l’edificio
della via Arcangelo Corelli che non contiene più
gli immigrati, e le croci piccole in ferro
dentro le aiuole di un marciapiede
con i nomi e le date di chi cadde
dall’ultima guerra
per le ferrovie,
chi nei capannoni morti finalmente
o da impalcature per restauro e demolizione,
e chi negli ambienti estranei d’aria degli uffici
che immobile continua a vivere.
 

Città limitare, sparpaglia la nostra paura,
il nostro sforzo nelle tue ossa,
lapida piano
con i mattoni aperti nel muro
e nei fianchi delle ultime vecchie case
del tuo quartiere dal nome di ortica
che finiscono nel maggese
di qualche cantiere o nel cemento armato
che accerchia dipinto gli stabilimenti,
dividi con noi
perché la luce del sole
per una volta oggi splende soltanto,
non esce e scalda e svapora,
perché i magazzini e le fabbriche
dalle finestre chiuse o anche spaccate
le slaccia così come se crescessero,
non continuassero a lavorare.

 

 

Rivoltana, ore 18.15
 

“vanno i giusti, cadono i malvagi”
canzone yiddish
 

 

I.
 

Intorno è tutto aperto:
la porta sul retro dell’ambulanza,
la giacca, la scarpa, la scarpa sola.
 

Una scarpa da sola, da spaiata,
non è aperta neanche se è slacciata.
Hanno i buchi in alto, senza i piedi.
 

Cerchi bianchi- per non farli muovere-
intorno al grigio e al nero di una giacca,
di un mocassino. Sì, sono da uomo.
 

 

II.
 

Dall’autobus cercano un colpevole
lungo il camion tutto intero
per qualche minuto e metro.
 

Dall’autobus si vede tutto dall’alto.
Un telo spiegato, penso per terra.
Dall’alto non si vede più niente da vedere.
 

Vorrei uccidere qualcuno per qualcuno,
ma come faccio ora, se per minuti e metri
rimane indietro un corpo.
 

Telo di plastica e il cielo sopra,
davanti, dietro, e forse dentro il motorino.
Perché tutto era di quel colore?
 

Potrei uccidere, forse uccidere
ad occhi chiusi, con un pensiero
tutto intero cattivo, in soccorso.
 

[Pubblicato su “Nuovi Argomenti”, N.34, Aprile-Giugno 2006]

30 COMMENTS

  1. Oggi soltanto queste poesie si sono mosse intorno a me. E mi hanno chiamato. Sono molto belle, Helena.

    “Ando um pouco acima do chão
    Nesse lugar onde costumam ser atingidos
    Os pássaros
    Um pouco acima dos pássaros
    No lugar onde costumam inclinar-se
    Para o voo

    Tenho medo do peso morto
    Porque é um ninho desfeito

    Estou ligeiramente acima do que morre
    Nessa encosta onde a palavra é como pão
    Um pouco na palma da mão que divide
    E não separo como o silêncio em meio do que escrevo

    Ando ligeiro acima do que digo
    E verto o sangue para dentro das palavras
    Ando um pouco acima da transfusão do poema

    Ando humildemente nos arredores do verbo
    Passageiro num degrau invisível sobre a terra
    Nesse lugar das árvores com fruto e das árvores
    No meio de incêndios
    Estou um pouco no interior do que arde
    Apagando-me devagar e tendo sede
    Porque ando acima da força a saciar quem vive
    E esmago o coração para o que desce sobre mim

    E bebe”

    Daniel Faria (transl. in poetryinternational.org)

  2. Molto sentita, bei passaggi “per questo un’altra voce mi raccoglie e copre come la nebbia”. Ci abito a Forlanini-Ortica. Si “respira” calore nelle solitudini di quelle finestre.

  3. Helena sei una grande poetessa. E questi versi ti riportano con violenza, anzi ti costringono al tuo grande talento….scassa tutto!!!

  4. poesia di spazi e di oggetti.
    l’unico modo di dire quello che siamo forse è nel dire il mondo che ci siamo costruiti attorno.

  5. cara Helena, mi insinuo in questa tua carta liminare (perché ai bordi non c’è solo Forlanini, mi pare, ma c’è la tua stessa voce che si traccia sui contorni puri degli spazi) per dire che sabato noi saremo davanti all’edificio di via Arcangelo Corelli (già, hai fatto bene a notarlo, il caso del nome), a manifestare, a manifestarci contro l’invisibilità di quell’edificio chiamato CPT, e l’embrione vocale de Les Anarchistes ci metterà pure il canto. L’appuntamento è per le 15 in piazza San Gerolamo, all’inizio del cavalcavia Buccari.

  6. @P.R.
    tutt’altro che ‘straordinario’ il commento di Tash, anzi, direi del tutto ordinario, visto il suo mestiere… roba da deformazione professionale…

  7. Sorella cara, queste tue sono molto belle e d’accordo con wrangler, aggiungo che la tua capacità di cogliere particolari di luoghi che ci appartengono è notevole: non rinunciare mai alla tua voce e continua a dar voce ai silenti.

  8. “Una scarpa da sola, da spaiata,
    non è aperta neanche se è slacciata.
    Hanno i buchi in alto, senza i piedi”

    poi

    questo desiderio di uccidere qualcuno mentre le finestre (es)vanno in polvere e ci ornano i bulpi appiedati di conflitti interiori come se piovesse ruggine.
    questo desiderio di uccidere qualcuno è così’ normale da farci assomigliare agli dei.
    ma a qualche poeta è concesso riabbottonare anche l’istinto omicida,
    non osarlo nè usarlo pur potendo ma accuratamente ristarlo al caldo, come fosse un buon investimento poetico, sotto la canottiera.
    e lì diventa vecchio e mediocre.

    pensieri appena letti, voci saltate, questioni salvate apparentemente nel mondo che ci siamo costruiti apparentemente?
    no. non è quella la poesia a meno che quel mondo non sia il proprio parassita e viceversa.
    almeno in questo tempo, fino a ieri non so.

    se si ha paura delle parole è inutile slanciarsi così, come perle di un filo rotto.

    un saluto
    paola

  9. l’uomo lancia la rete e non divide l’acqua
    il povero allunga la mano e non divide il regno

    è tempo di raccolta e non ho messe
    né un piccolo germoglio di olivo

  10. Helena hai lasciato fuori questo tuo testo, apparso in un commento… ricordi?

    “Morto vincenzo cardella
    caporale dei carabinieri
    in missione a kabul,
    pugile dilettante, anni 24,
    di San Prisco.

    La notizia, quando si digita,
    diventa un epitaffio
    e ogni beep stimola e irride
    le fitte al cuore che simula
    o no, ce lo trasmette
    e c’è più amore
    in questo messaggio breve
    che in quelli con io e tu.

    Pieghiamo,
    pieghiamo le nostre armi,
    pieghiamo le nostre armi di pacifica comunicazione,
    pieghiamoci
    in maniera innaturale,
    ma pieghiamoci veramente
    verso i vinti.”

  11. Soffia il vento urla la bufera
    scarpe rotte eppur bisogna andar
    a conquistare la nostra primavera
    dove sorge il sol dell’avvenir.

  12. Helena le tue poesie fanno davvero cagare, scrivi che fai schifo!

    SCHERZETTO!!!!!!! :-)))))))

    (lo sai che sei la mia scrittice preferita, vero? E che sei proprio brava, cazzo!)

  13. Helena lo sai che sei la mia scrittice preferita, vero? E che sei proprio brava, cazzo!

    SCHERZETTO!!!!!!! :-)))))))

    (le tue poesie fanno davvero cagare, scrivi che fai schifo!)

  14. giovanissimo ultraquarantenne militeassolto ed esente, automunito, scambia volentieri quattro chiacchiere ore pasti con filosofo pazzo web-addicted, solo skype o msn messenger, astenersi zoccole, finocchi, romanzieri e poeti. solo filosofi veneti iniziali db patente nautica ros49076867.

  15. E’ così bello buttare giù due righe.
    Tra un semaforo e l’altro furtiva
    la parola prende corpo sino al
    semaforo successivo in cui si
    completa nel discorso che non
    ho in mente ma che sta in piedi
    barcollando visione di me ubriaco,
    fradicio nell’incompiutezza della parte.

  16. Cara H. questi:
    “Questa vera nebbia
    che raccoglie lo stagno ornamentale
    e si addensa sul vetro senza finestre,”
    mi risuonano almeno Mallarmé, e per me è dir molto assai.
    Ho vissuto più di vent’anni da quelle parti, le parti della banda dell’ortica, e sono molto colpito dalle risonanze che ancora trovo nel come dici quei posti.
    Grazie e ancora. Ciao Antonello

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