I sogni della guerra

di Vincenzo Della Mea

I
Sapevamo che stavano arrivando
ma non il come:
solo riassunti di puntate precedenti.
La paura era di sabbia
di vischio nel letto, la notte
attendendo il segnale dell’uomo di guardia.
E l’inaspettato sono stati i missili
da guerra chirurgica, i fischi
i traccianti lisergici per la ricerca;
la fuga in piazza sdraiati per terra
ridotta l’altezza alla dimensione
che l’ordigno intelligente disdegna.
Solo che uno è in piedi
e il radar lo vede e a nulla vale l’avviso e

l’esplosione della suoneria.
Ma il lutto rimane
quasi come a svegliarsi col radiogiornale.

II
I dischi volanti
erano dischi e volavano
vedevano bene
ma meno tra rami ed arbusti
così correvamo sulle colline di Attimis
seguendo le tracce dei caprioli
sbocciando fiori rossi sui rovi
comunque meglio dei mucchietti di carbone
fumanti sulla strada aperta.
Ed il brutto era che non si capiva
il perché, né la lingua,
né che fare dopo la fuga,
né se era la nostra fine
o la fine di tutto.

III
Dopo l’esplosione
la fuga era una gita in montagna con gli amici
a caccia di grotte
di fortini della prima guerra mondiale
(posti dove stendere brande,
accendere fuochi poco visibili).
La scelta non era originale:
stessi libri stessi film stesse idee geniali
così c’erano file come d’estate a Lignano
quando esistevano gli ombrelloni.
Era solo l’inizio
l’emergenza rimaneva gioco
e allora scambi di grappe e cioccolata
per poi vedere un po’ più in là;
nessuno faceva ancora cenno
al coltello nella tasca laterale dello zaino,
alla pistola
mai usata ma che non si sa mai.

IV
La notte contavamo le scatolette;
del giorno rimaneva una pioggia di bombe
la paura senza rimedio degli anziani
alle scosse, alle luci intermittenti
e più niente da fare
aspettare l’appiglio di un altro disastro

(episodi finti, lo so: zapping
tra I sopravvissuti ed un film di sottomarini).

V
Io comunque sopravviverò
nel mio rifugio antiatomico
sepolto al primo piano di un condominio
l’aria pulita del condizionatore
dietro i doppi vetri che filtrano
l’occhio nemico del kamikaze.
Alla tele solo effetti speciali
magnificati dall’home theatre:
brontolii cupi e scariche lontane
come un’afa immobile carica di fuoco
che passerà, ne sono certo.
Ma a Udine,
d’estate, può durare
settimane.

(Questi testi sono apparsi su “Nuovi Argomenti”, giugno 2006)

16 COMMENTS

  1. la seconda e la quarta in chiusa, bellissime.
    nella seconda apri uno scenario di ampio respiro, come se allargassi improvvisamente il pugno sudato e lo asciugassi all’aria. e mi ha davvero colpito. non importa se ci sono i dischi volanti. potrebbe esserci anche dio, o un buco nero che detta legge… ma le tracce dei caprioli… i fiori hanno tutta la calma del meno peggio, che è già qualcosa.
    nello stesso tempo è una scacciata dal “paradiso” e qui di nuovo l’ostacolo, il brutto, la lingua incomprensibile,
    parte il pensiero che l’uomo si piega, si adatti, si sopravviva al lato morto, non tutti, qualcuno- come adamo, come eva, che seppur scacciati popolano la terra. quella è la speranza.
    sopravvivere continuamente ai propri lati morti, fino alla fine-
    nella quarta c’è in qualche modo la rispettosa traduzione di una memoria raccontata, letta, ascritta a se, posseduta
    per sentita narrata. ho questa sensazione
    se mi permetti il resto non lo sento e lui non sente me, per certo. sarà che è difficile sentire le esplosioni delle bombe se non ti sono esplose veramente in testa, e difficile per questo trasmetterlo al lettore in questo caso lettrice, in questo caso a me.
    una cosa così.
    un saluto.
    paola

  2. per ovviare a un eventuale considerazione polemica di quanto ho scritto sopra e qui sotto che riporto:

    “se mi permetti il resto non lo sento e lui non sente me, per certo. sarà che è difficile sentire le esplosioni delle bombe se non ti sono esplose veramente in testa, e difficile per questo trasmetterlo al lettore in questo caso lettrice, in questo caso a me”

    capovolgo gli attori:
    lettrice
    poeta
    preciso che la lettrice in questione cioè io, non ha mai sentito una bomba esplodere. è anche per questo che non sempre riesce a far degenerare in emozioni acute le situazioni di guerra come da te descritte in poesia.
    dopo questo:
    Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
    Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
    Dai solchi bagnati di servo sudor,
    Un volgo disperso repente si desta;
    Intende l’orecchio, solleva la testa
    Percosso da novo crescente romor.
    e
    Han carca la fronte de’ pesti cimieri,
    Han poste le selle sui bruni corsieri,
    Volaron sul ponte che cupo sonò.
    A torme, di terra passarono in terra,
    Cantando giulive canzoni di guerra,
    Ma i dolci castelli pensando nel cor

    le scene di guerra preferisco leggerle in prosa.
    con un testo di prosa è diverso, non so perchè.
    la sottile linea rossa. magnifico.

  3. Carapolvere, non ho percepito assolutamente intenzioni polemiche: anch’io non ho mai sentito una bomba esplodere, ed è questo un nucleo dei sogni della guerra (dichiarato esplicitamente nella quarta). La genesi dei testi è un po’ particolare: in periodi di guerra più intensa, o comunque quando è più comunicata, io faccio sogni angoscianti e che però non sono veri incubi: ma il bacino di immagini in cui pescano è una miscela di notizie e fiction, tutto mediato, col vero (?) che diventa finto e viceversa. Per esempio, nel primo sogno c’è la guerra chirurgica (con la sua bellezza da fuoco artificiale) che ci è stata illustrata dai media ai tempi della prima guerra nel golfo.
    Sono convinto che questa non sia la guerra.
    Per il resto: che una lettrice (lettore) apprezzi due poesie su cinque, è cosa ottima per chi è dedito all’apprendistato della poesia; grazie per la tua lettura.

  4. mi limito a confermare quel che già pensavo. belle, secche, asciutte, quasi tutte. direi che quella che mi piace di meno è la seconda, a me proprio l’immagine dei dischi volanti fa venire in mente solo goldrake e poi caprioli e colline non mi fanno un buon effetto, la fine mi ricorda uno stilema luziano, per quanto paradossale, ma è così. quindi non sto a scusarmi, che in fondo ne apprezzo 4 su 5. ciao fanciullo!

  5. “che in fondo ne apprezzo 4 su 5.”

    non credo sia solo questione di numeri.
    ma tant’è.
    mi chiedo se ci si debba abituare a questi commenti da discount.
    mi rispondo che si e lo scrivo, facendolo in silenzio.
    paola

  6. cara paola hai ragione. il tuo argomento è invincibile. ora vado a far la spesa, appunto, al discount e lascio la poesia e i giudizi su di essa a chi se ne intende davvero.

  7. Trattiamoci bene. Penso sia colpa mia che per deformazione professionale ho fatto per primo una questione di numeri della difficoltà di far sentire, e di rendersene conto.
    I dischi volanti comunque vengono da UFO e Spazio 1999…

  8. @Mary.
    io non m’intendo per davvero di niente e, perfortuna nemmeno di discount.
    preferisco i negozi piccoli
    non intendo qui polemizzare davvero
    su chi si intenda di poesia e chi no.

    @Vincenzo.
    i numeri erano messi in due contesti diversi.
    un saluto.
    paola

  9. cara polvere non sei solo saccente, altezzosa, ma anche presuntuosa di essere l’unica a poter dire la prorpia, perfortuna la poesia è tutt’altro.
    la poesia è diversa, non guarda in faccia a chi legge, non cerca di farsi capire, non vuole fasi analizzare, la poesia vuole essere letta, senza giudici, senza parole inutili, anche senza di te

  10. [OT]
    @ signor o signora o signorina o altro LC
    grazie del tempo che ha dedicato al pensiero che mi riguarda e che lessi sovrascritto.
    un saluto
    paola

    (ma perchè non venire a scrivere sul mio blog , evitando così
    invasioni senza senso tra l’altro in casa d’altri? mah. con me casca male. non ho tempo di fare litigarella.)

    ps: e mi scuso con Vincenzo Della Mea per gli interventi OT

  11. son fuggitiva, ma volevo ancora ringraziarti per ieri. (notte insonne con celan, purtroppo senza grandi effetti). ora scappo a lavorare. bacio
    mb

  12. Io che ho vissuto la guerra dal vero in queste poesie mi ci ritrovo e penso che questo sia riconoscimento non da poco per chi, come si dice Vincenzo, l’ha solo fruita tramite piccolo schermo. Concordo: poesia diretta, asciutta, volutamente ‘grottesca’ in certe immagini. Consiglio di prenderele tutte in blocco, come fossero un insieme, così da gustarne la continuità e gl’innesti.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.