Gomorra e dintorni: Antonio Menna
Giada e Gomorra
di
Antonio Menna
“Me lo presti questo libro?”. Giada è in piedi davanti alla mia scrivania, con la sua solita borsa larga, color crema, a tracolla e un paio di stivaletti corti e mosci, come si portano adesso, e il puntino di brillante conficcato nella narice sinistra, e i capelli tinti di rosso fiamma, e l’orologio sul polsino della maglia in pile quechua comprata da Decathlon Giugliano a nove euro e novanta, e un cinturone di cuoio nero con medaglione a forma di piramide, e un jeans chiaro con una catena luccicante d’argento che scende dalla tasca destra e si allunga sulla coscia.
Giada ha gli occhi blu disegnati da Walt Disney. Li ha prelevati, via dna, dalla mamma, Laura, che conosco da 34 anni, da quando io avevo 4 anni, e lei pure. Laura è stata la sorella che non ho mai avuto (non che l’abbia mai desiderata); mi sono turbato, intorno ai dieci anni, quando le ho visto spuntare due piccole dune sotto la canotta; mi sono disturbato quando ho visto comparire sotto alle sue ascelle una peluria nera e morbida; mi sono contratto quando ho sentito che era una femmina. Mi sono amareggiato quando l’ho vista fuori della scuola abbracciata a uno della quinta. Mi sono inorgoglito quando mi ha fatto una furiosa scenata di gelosia dopo aver saputo che uscivo con Paola.
Mi sono commosso quando è stata una notte intera nella mia stanza, dopo la morte del padre, a piangere, a ridere, a stare zitti, a ricordare, a vedere l’alba, la prima alba senza il padre, a fare una colazione pigra, stanchissima, come dopo i veglioni. Mi sono tremate le gambe, molli, quando a 18 anni, io e lei insieme, abbiamo fatto per la prima volta in assoluto l’amore. Continuando a farlo per mesi senza dirci nulla e senza mai “metterci” come ci si metteva e ci si lasciava a quell’età. Mi è mancata molto quando ha deciso che non dovevamo vederci più perché la cosa la mandava in confusione. Mi si è strozzato il respiro nel lungo tempo senza di lei. Mi è sembrato un secolo quando, anni dopo, con vite formate, tutto sommato definite, è ricomparsa e mi ha sorriso. Mi ha fatto felice quando ha voluto che fossi io a portarla all’altare, per sposare Giuseppe. Ed ero lì, quando aveva appena partorito Giada, con quegli occhi blu che stamattina mi sgrana davanti e mi chiede di prestarle un libro, quel libro.
Giada vuole Gomorra. La sua richiesta mi lascia di sasso. Giada ha 14 anni, fa la prima al liceo scientifico Segrè di Marano; Marano è un bel paesone in provincia di Napoli: 60mila abitanti stretti stretti tra la collina borghese e guardinga di Vomero-Arenella-Camaldoli e la pianura plebea e rumorosa di Chiaiano-Piscinola-Scampia. Giada ha perso un anno. In questi casi si dice che zoppica. Ha un po’ di problemi a scuola, la mamma è preoccupata e mi ha chiesto di aiutarla. Io le do ripetizioni di qualcosa ma lei mi prende poco sul serio. In realtà mi incanto nei suoi occhi blu e penso a come sarebbe stato avere una figlia così. E sposare Laura.
Chiedo a Giada perché vuole Gomorra. E lei mi risponde: “per leggerlo”. Già.
Ma mi chiedo perché Giada vuole leggere; perché vuole leggere un libro; perché vuole leggere Gomorra.
Giada è una di quelle ragazze che a Marano girano sul motorino, in tre (lei è quasi sempre quella di mezzo), senza casco, il sabato pomeriggio; una di quelle ragazze che a Marano stazionano fuori della pompa di benzina di Corso Europa oppure sulle panchine della via principale o sul muretto della scuola, fumando marlboro light. Quando non passa il tempo così, Giada va al centro commerciale con le amiche. Ci arriva in motorino. Prima andava alla galleria Auchan di Mugnano, che prim’ancora si chiamava Città mercato. Prendeva un supplì, un pezzo di pizza da spizzico e camminava tra Carpisa e Pezzuto. Da quando hanno aperto l’iperAuchan di Giugliano, Giada va lì e passeggia nell’enorme corridoio tra le casse e i negozi, fa le vasche e struscia avanti e indietro.
Non ho mai visto Giada leggere un libro. L’anno scorso le proposi “tre metri sopra il cielo” di Federico Moccia; speravo di conquistarla alle parole. Lei mi fulminò dicendo che se a scuola avessero scoperto che stava leggendo un libro (così) l’avrebbero sfottuta per almeno sei anni (quanto mancava al diploma, secondo i suoi realistici calcoli).
Oggi, però, di fronte alla mia scrivania, Giada mi chiede Gomorra. “Che ne sai di questo libro?”, le chiedo. “Lo conoscono tutti”, mi risponde fulminea.
Mi ricordo improvvisamente che Giada, quasi due anni fa, aveva sul desktop del suo cellulare la foto di Cosimino Di Lauro in manette. Cosimino Di Lauro è il figlio di Ciruzzo ‘o milionario, il boss di Scampia e Secondigliano. L’erede al trono. Cosimino è quello che ha scatenato la guerra contro gli scissionisti. Fu arrestato di notte, nel Terzo mondo, un quartiere di Secondigliano. Fu portato al Comando provinciale dei Carabinieri di piazza Carità. Nel cortile della caserma si radunarono circa 400 persone per salutarlo. Quando uscì in manette era l’alba. Stretto tra i carabinieri in pettorina blu, scese i gradini con flemma e a petto in fuori. Con i capelli lunghi e lisci tenuti da una coda di cavallo, con un cappotto nero di pelle e un dolcevita di lana, sempre nero, guardò dritto negli obiettivi. Un fotografo fissò gli occhi di ghiaccio di Cosimino, la sua bocca serrata, la sua smorfia di potere. Quello scatto finì sui giornali. E su internet. E comparve sui cellulari dei ragazzi di Napoli, e di Marano. Perché? Perché Cosimino era “tuost”. Lo disse anche Giada. “Cosimino è tuost, ed è pure bono”, aggiunse. Un rampollo di camorra, un boss sanguinario che a 25 anni ordina una carneficina, dicendo (espressione raccolta da una intercettazione) di voler scatenate la guerra mondiale contro i traditori (gli scissionisti); un capo banda finisce sugli schermi dei cellulari degli adolescenti. Come un poster, come la foto di Simon Le Bon ai miei tempi. Un idolo. Un bono irraggiungibile. Un tuost, uno tosto. Un camorrista.
Oggi Giada mi chiede Gomorra. E io provo a capire cosa le interessa. “I guaglioni lo stanno leggendo tutti – mi dice -; a scuola se lo passano”. Prendo il libro, lo sfoglio rapidamente facendo suonare le pagine. Mi chiedo che cosa di quel grosso grumo di sangue possa colpire la fantasia di una ragazzina. “Ma lo sai di che parla questo libro?”, le chiedo. “E come non lo so”, risponde. Me lo toglie di mano e va a cercare una zona precisa del libro. Fatica a trovarla. Poi la vede. Legge. Ride. Sono i soprannomi dei camorristi di Secondigliano, di Miano, del Terzo Mondo, del Don Guanella, di Scampia, di Piscinola, anche di Marano. I soprannomi di morti e vivi che hanno fatto la guerra e che a un certo punto, morti o vivi, si sono placati. “S’mor, s’mor”, dice, ridendo, Giada, con involontaria, agghiacciante ambiguità. Si muore, si muore…si muore dal ridere. “Me lo presti, ià”, ripete Giada, implorandomi con gli occhi blu sgranati, proprio quelli della mamma.
Chiamo Raffaele, vicepreside di liceo, insegnante di lettere, amico di infanzia, compagno di letture, collega di cronache giornalistiche e di timidissime esplorazioni anticonformiste abortite in postifissi-mogliagiate-amantipèrete. Gli chiedo di Gomorra. “Eccezionale”, dice. “Lo so”, replico, “ma non è questo che mi interessa”. Gli chiedo se gli risulta che il libro va molto tra i ragazzi, tra gli adolescenti di Marano. Lui mi dice di sì. Senza alcuna titubanza. “A questi ragazzi, la camorra li prende nella testa, nei nervi; la camorra gli piace”, mi dice Raffaele, “ne parlano con gli occhi che luccicano. Questi, a 14, a 15 anni, non comprano il Corriere dello Sport o il Guerin Sportivo, come facevamo noi; questi comprano Cronache di Napoli e stanno ore a guardare le capuzzelle”.
Le capuzzelle, nel gergo dei cronisti di nera (io e Raffaele abbiamo scritto, in due, almeno seicento pezzi di nera per Il Mattino tra il 1988 e il ’93) sono le foto tessera dei morti ammazzati e degli arrestati che i giornali pubblicano a margine dei pezzi. Un tempo, in cronaca, si mettevano in un angolo della pagina, non troppo in vista e mai troppe insieme. “Sennò sembra un cimitero”, ci ammoniva Franco, il caposervizio che faceva il menabò, la gabbia grafica della pagina, all’epoca disegnata con matita e righello. Oggi, Cronache di Napoli, un quotidiano di quasi tutta nera, che vende migliaia di copie tra Napoli e la provincia, pubblica ogni giorno, in apertura di prima pagina, decine e decine di capuzzelle. Un mattinale di morti, arresti, denunce tutti corredati di foto tessera messe una accanto all’altro con i nomi, l’età, il soprannome. “I ragazzi guardano le capuzzelle – mi dice Raffaele – e provano a riconoscere le persone; si fanno vanto di conoscere il cugino di tizio, il fratello del cognato di caio, o addirittura uno di questi in persona. Ne seguono ammirati le avventure. Recitano a memoria il codice penale; per loro l’associazione è il 416 bis, l’articolo del codice penale del concorso in associazione mafiosa. A volte penso che se la Panini facesse l’album con le capuzzelle dei camorristi, dalle nostre parti, farebbe soldi a palate”.
Resto al telefono in silenzio. Il silenzio al telefono è impossibile. Un apparecchio fatto per parlare e per ascoltare non consente pause, non tollera i silenzi. E infatti sento Raffaele che, dopo qualche secondo, dice: “pronto? Pronto? Ci sei?”. Lo rassicuro e gli dico che tutto questo non smette di sconcertarmi. Lui ne sorride. “Ma non ti ricordi della suoneria del camorrista?”
Il camorrista è un film di Giuseppe Tornatore, con Leo Gullotta che fa il commissario di polizia e il grugno feroce e grottesco di Ben Gazzara che fa Raffaele Cutolo. Tornatore girò il film sulla base di un libro di Joe Marrazzo, grande cronista di nera, padre dell’attuale presidente della Regione Lazio; una biografia del camorrista di Ottaviano che, negli anni Settanta e Ottanta scatenò una delle più feroci guerre di camorra che si ricordino.
Questo film – bello teso nero – è stato girato nel 1986. Giada non era ancora nata. E io facevo ancora l’amore con la mamma. Il film, al cinema, non ebbe grande successo ma divenne, improvvisamente, un cult per le televisioni private napoletane che lo mandano in onda, ancora oggi, in continuazione.
Io l’avrò beccato almeno duecento volte.
La colonna sonora del film è una musica che sale nei timpani e che scandisce, come un battito, “tatatà-tatàtatàtatà”. Questa musica è diventata, qualche anno fa, una delle suonerie più diffuse sui cellulari dei ragazzi di Napoli e provincia. “Non ti dico le risate che si facevano in classe – dice Raffaele – qualcuno aveva messo in coda alla suoneria anche la voce di Gazzara che urlava ‘io sono il professore di vesuviano’ oppure ‘o malommo è nu guapp e carton’ “
La suoneria del professore di vesuviano. Me ne ero scordato. Un film tragico e nervoso sulla camorra, sulla morte, sulla follia, sull’appartenenza, dentro un paradossale rovesciamento, diventa un simbolo del mondo stesso che intendeva aggredire, mostrandolo nella sue crudezza.
E proprio la crudezza diventa icona pop, epopea.
Che giostra incredibile quella dove sali per girare verso destra e che, centrifugando, ti porta improvvisamente nelle direzione opposta.
Del resto, ce lo racconta Gomorra stesso che i guaglioni hanno il mito di Scarface, di tony montana, della villa imperiale, del naso che schiatta di cocaina, di strafighe strafatte. E la voce roca di Marlon Brando? Quante tempo, noi, sui giornali, abbiamo chiamato i boss di camorra, padrini?
“Questi fanno come con le pigne; sfogliano, sfogliano, lasciano cadere quello che non gli interessa e si prendono il cuore, i pinoli”. Raffaele è caustico nel ricordarmi di come tutto, qui, viene macinato e disperso. Film, canzoni, notizie. La denuncia costruisce miti, la narrazione fabbrica gli idoli, il bestseller moltiplica la celebrità e l’allume di ombelico del mondo; l’insieme produce gli stili, echeggia i linguaggi, affresca i passi quotidiani, parla di noi.
Di loro e quindi di noi.
Gomorra è finito sulla giostra. I ragazzi che gli si illuminano gli occhi quando parlano di camorra se lo passano come fanno con Cronache di Napoli con le capuzzelle, come si mandavano via mms la foto di Cosimino con il cappotto di pelle nera, come si schiattano di risa quando trilla la suoneria del professore di vesuviano. Gomorra è lo specchio della loro identità di gruppo, identità di zona. Esistono, se ne è accorta tutta Italia.
Come si fa coi poster: li attacchi al muro e segni la distanza tra quello che sei e quello che potresti essere, e misuri quanto ti manca, guardi l’orizzonte, con la vertigine del bordo. Un passo e ci sei dentro ma rimani di qua. O forse no. Una linea sottile che mette ansia o che rassicura.
Giada mi chiede Gomorra e io glielo presto.
Comments are closed.
è assolutamente vero, a napoli Gomorra è diventato un logo;
le minacce a Roberto, sono state generate da un impegno costante che viene da lontano, molto oltre il libro. chi è citato in Gomorra, oggi, se ne vanta.
Al carcere di Poggioreale ne girano decine e decine di copie autografate, e non dall’autore.
piccola correzione:
O’malacarne è nù guappo e’ cartone.
“Napolinotte”
bravo Menna a Saviano questo post lo manderà in vsibilio,purtroppo è cosi’,la camorra fà cultura in certi posti il presidente della regione il sindaco di Napoi dovrebbero vergognarsi quale cultura anticamorra hanno fatto passare a Napoli?michele natale
Bello e sconsolatamente vero.
Ancora una volta la realtà si impone sul vocio, anche scomposto, che ci arriva dai tanti inutiuli dibattiti che si sprecano sul tema.
Quella Giada non è una eccezione e la sconfitta, almeno per i nostri tempi, è definitiva.
Bello Antonio. Bello. Giada è vera, come la tua Marano e la sua mamma. Gomorra però non è solo un logo. Va oltre. Non salverà mai i boss, ma potrebbe illuminare gli occhi di Giada quando leggerà di Annalisa e del suo destino segnato. Potrebbe salvare i Pippotto che sparano, un una rapina, ammazzano e si giocano la vita. Potrebbe salvare i ragazzi che vedono la strada della camorra illuminata di successo.
Gomorra è anche un grido straziante di dolore. E io sono felice che si sia accesa una luce sul genio di Saviano. Gomorra è un urlo. E io ho più paura del silenzio, degli appalusi sul rinascimento napoletano.
Fra gli innumerevovoli meriti di Saviano c’è anche quello di aver invitato alla lettura “persone insospettabili”.
Il libro di Roberto è l’unico che mio cognato abbia mai letto in tutta la sua vita. E come mio cognato diverse decine di migliaia di napoletani e non.
Ieri ero a Roma alla Fiera della piccola editoria e ho parlato con molte persone. Tutti mi chiedevano di Gomorra e quasi tutti erano intenzionati ad acquistarlo e, hai visto mai, a leggerlo pure.
Quella cosa delle copie che girano a Poggioreale con l’autografo dell’autore mi ha fatto sorridere. Ho immaginato Roberto che dedicava una copia a Ciruzzo ‘o milionario o a Loigino ‘o rre.
Complimenti per la fantasia.
bruno sei grande
tragico
Con l’unica eccezione di mihele che non ha colto (nè coglierà) il senso di questo post, credo tutti abbiano per il momento espresso qualcosa di simile a quello che ho provato quando ho letto l’articolo mandato in redazione e da me pubblicato.
In particolare mi ha fatto capire la matrice veramente pasoliniana del talento di roberto. Ma non ne è il talento che secondo me fa di gomorra e del suo autore un punto di forza della nostra cultura, ma lo slancio etico politico, il desiderio di frequentare le zone d’ombra di una realtà che prima di tutto , prima di essere qualsiasi altra cosa, società civile, città, agglomerato urbano, territorio, sistema, è un’umanità. E quando l’autore di Gomorra scende agli inferi sicuramente si mette su quel piano, attraverso la molteplicità degli sguardi che lo guidano,come Pasolini cantava dei “Ragazzi” di borgata e non liquida la faccenda con la separazione manichea del noi e loro .
Allora potremo dire che di assassini e carnefici resti una qualche umanità? Che quello non è il male assoluto? IL male radicale? Forse dovremmo addirittura augurarcelo.
Tutti ricorderanno la famosa scena del giorno della civetta, con il giovane capitano dei carabinieri e il boss mafioso che discettano di umanità su una terrazza assolata. Allora sciascia era un colluso? Ovvero uno che media tra la condanna assoluta e la mediazione impossibile con il nemico?
Non mi meraviglia che le copie di Gomorra girino a poggioreale, ed è cosa risaputa, come non mi sorprende che dei pregiudicati, nagari citati nel libro, la regalino con tanto di dedica.
In fin dei conti, come l’eccellente giornalista Rosaria Capacchione potrebbe confermarlo, i camorristi si ritagliavanogli articoli che li riguardavano come una foto ricordo. E non si poteva certo tacciare i giornalisti di fare il gioco degli assassini. Roberto non fa nessun gioco, mi sembra, e mi stanno parecchio sui coglioni quanti – recentemente qui ( http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/11/la_napoli_che_l.html)ho visto sfilare opinioni come ad un funerale del buon senso- mossi da sentimenti di livore e astio ingiustificato si sono accaniti contro l’autore inventandosi storie che non stavano nè in cielo nè in terra.
L’articolo in questione solleva invece una serie di problematiche cui dobbiamo tentare di dare una risposta. Una di queste è Che fare?, tanto per riprendere Lenin… e augurarsi ora più che mai che roberto possa tornare a Napoli per raccontarla, come prima di Gomorra, fino a quando quel male non sparisca, per sempre.
effeffe
Il mio docuracconto aveva due obiettivi: il primo era offrire un punto di vista da qui, di come Gomorra si sta infilando nella cultura popolare di questi territori, del ruolo che sta avendo, di quello che si sta definendo intorno a quest’opera, per quello che dice ma anche – particolare non secondario nella moltiplicazione dell’audience e quindi dell’esistere – per il successo straordinario che sta avendo.
Il secondo era provare a fare – insieme – una riflessione sulla capacità del “sistema” di riportare tutto a sé, di scomporre perfino l’intenzione drammaturgica e farne epopea. In questo senso, accorgersi che i ragazzi trasformano Gomorra in una sorta di album panini degli scissionisti e dei camorristi e dei soprannomi e delle famiglie e dei luoghi e dei riti e dei miti e vi cercano facce note, e ci ridono sopra, e ne portano vanto di “saperli a quelli”, dà un senso di sgomento.
E’ la sensazione, che molti di noi hanno, che da queste parti non c’è un dentro e un fuori.
Siamo tutti nel blob sistemico della camorra.
Perfino (e perchè no?) Gomorra, come gli articoli di nera, come i film, come le fotocronache, è diventato umore e probabilmente non salverà nessuno. E non salverà nemmeno se stesso.
Ma – lo dicevo in una conversazione privata – si può chiedere a un libro di salvarci e, oltretutto, di salvarsi?
innanzituttp ringrazio Antonio per averci imviato l’articolo. sille sue considerazioniperò ho proprio voglia di dire la mia.
Il primo e il terzo argomento (più o meno annunciato nel secondo) non solo non li condivido ma se posso li combatto. E perchè? Perchè più o meno consapevolmente li ritrovo nella campagna di delegittimazione e in qualche caso di denigrazione che da più parti è stata messa in atto contro Gomorra. In che modo? Semplice no, parlando di marketing editoriale, di operazione editoriale, di malafede dell’autore, di esagerato consenso, di non verità e quant’altro. Ora tutto questo non solo non mi interessa ma dirò di più lascia intravedere quella che a Napoli si potrebbe definire sindrome di Masaniello (da intendersi qui come uso, consumo e distruzione di un qualce mito di salvazione e riscatto e non come ruolo che si attribuirebbe roberto). Non so da dove provenga ma ne ho già parlatocon Marino Niola, straordinario studioso del mito nelle nostre terre, perchè ci dica proprio qui su NI qualcosa a riguardo.
Certo un libro non ci salverà- non c’è riuscito quello scritto da dio, la bibbia, figuriamoci uno redatto da un uomo- però una nuova cultura si. Una nuova cultura che in realtà non ha mai smesso di vivere, e lottare resistere anche durante gli ultimi trent’anni, in piena epoca Cutolo, e che oggi forse si dà qualche chance in più.
La seconda argomentazione, descritta bene con l’assenza di un limite, valico, che determini un dentro e un fuori, che mi era parsa più importante, mi ha spinto ad accogliere questa tua proposta. Torno a dire. Che fare?
effeffe
Grazie Antonio, grazie perchè riesci sempre a farmi riflettere, a tradurre in parole una realtà che vivo quotidianamente e che mi sfibra nel tentativo di svincolarmici.
una triste, vera analisi antropo-sociologica che dovrebbe far pensare coloro che si vantano di aver messo in atto una cultura anticamorra fittizia e di facciata.
@effeeffe
E’ possibile che io risenta della disillusione un po’ fatalista un po’ paracula di queste zone; è possibile anche che questa scomposizione di qualunque punto di riferimento sia funzionale al mantenimento, infine, dell’esistente. E’ possibile che tutto questo avvenga dentro un capitombolo culturalgenetico (Niola, abbi pietà di noi).
Io sono convinto che combattere la sindrome di Masaniello sia cosa buone e giusta; sono anche convinto, come te e come leggevo qui da qualche parte, che servono più parole che fatti.
Tuttavia non smetto di s-concertarmi quando vedo la gelatina che s’ingrossa e ingloba.
Mi dispiace dover puntualizzare che non mi unisco ad alcun coro denigratorio. Conosco le vicende raccontate da Roberto e so cosa c’è dentro. Il suo libro mi ha attraversato e il suo successo non mi ha turbato. Al contrario. Non credo neppure che l’audience sia disdicevole. Al contrario. Piuttosto mi disturba, tanto quanto i cori denigratrori, anche la controsindrome del nessuno-tocchi-gomorra.
Credo che se ne possa parlare. O no?
Ma forse, più che parlare del libro bisognerebbe spingere perché alla scuola, (non il solo, ma forse il più grande problema) venissero dati mezzi economici straordinari, eccezionali, e ricchezze umane strardinarie, e intendo quelle che già ci sono a Napoli e che senza mezzi fanno quello che possono, non solo per combattere l’analfabetismo (ho visto alla tv il processo per la morte della ragazzina, la Durante, mi pare, in cui tutti sostenevamo di non sapere leggere, e anche se fosse solo una scusa per tacere è stata considerata una scusa pausibile). E con la scuola tutto quello che non si limita a essere lezione in classe e doposcuola, ma ricchezza informativa, spazi, capacità di attrazione.
O si fa uno sforzo eccezionale o Napoli, e con Napoli tutto il paese, perché Napoli è l’avanguardia in questo momento, dei mali del paese, oltre che la sua vetrina, diventerà una discarica delle nostre speranze del futuro, oltre che del presente.
Sono stata molto colpita, ma non sorpresa, da questo pezzo.
E’ sulle isituzioni che bisogna premere effeffe, assediare Bassolino, la Jervolino, Prodi, sedendosi sotto casa loro, inviando loro libri, documentari, dvd, tutto quello che su Napoli esiste in modo da intasare le poste, spedire a casa loro cento, mille lettere al giorno, a casa loro, non al comune, impedire a questi cittadini che non sono certo camorristi di credere che con un ministro senza portafoglio, un commissario nuovo, una nuova commissione, ci si possa convincere di aver fatto quelle che andava fatto. Ricoprire ogni centimetro quadrato del pavimento del Madre ci lettere, riversare sul nuovo monumento in Piazza Plebiscito quintalate di lettere scritte a mano. Fare gesti simbolici e fastidiosi e civili come questi, perché un libro non basta e i discorsi neppure.
Anche se la “disillusione un po’ fatalista un po’ paracula” di cui parla Antonio Menna e il fatto che per operazioni continue costanti e quotidiane di questo genere prevedono una coscienza civica e una determinazione continua che non abita a Napoli se non in pochi. Perciò di un’idea semplice come l’assedio civile si sorriderà come di un’idea balzana venuta a una che non è di lì e non sa, poveretta.
Gli va data l’ansia.
Refusi a sfare, scusate, neppure li segnalo.
– la controsindrome del nessuno-tocchi-gomorra
E’ una cosa particolare. Un po’ come toccare Israele, un po’ come la critica al sionismo che diventa automaticamente antisemitismo. Certo forse non è proprio la stessa cosa. Ma Gomorra poteva essere un interessante punto di partenza, mentre s’è irrigidita in simbolo di tuosteria per chi ci sta dentro e guida turistica per chi ci sta (o crede di esserne) fuori, andando a discapito – presumibilmente – degli intenti dell’autore.
Ma sono i media, bellezza. E noi non possiamo farci niente.
Per esempio: giovedì 11 maggio 2006 ho visto per la prima volta, a Napoli, Gomorra in libreria. L’uscita era prevista per marzo. Qualche giorno dopo, meno di una settimana, l’ho comprato. Letto la sera stessa. Bello. L’ho fatto girare. Però. Ero coinvolto in quel periodo in un progetto di formazione per dei ragazzi di Monterusciello, il quartiere dove all’inizio degli anni ’80 furono deportati gli abitanti del Rione Terra di Pozzuoli. Avevo a che fare quindi con “impiegati di settore” potenzialmente interessati all’argomento del libro appena uscito. Ne parlai ad un mio tutor “c’è un ragazzo, ha la mia età ed è delle mie parti, fra poco esce un suo libro, ho avuto modo di leggerne dei pezzi, è grandioso, farà il botto”. Sai quale fu la sua reazione? “Tutti si sentono autorizzati a parlare di cose che non conoscono…”.
Ebbene, a Napoli ancora fino a Giugno la reazione standard era questa (almeno quella che ho “percepito” io). Poi cambia tutto: cambia perchè – a qualità invariata del romanzo – la corazzata Mondadori interviene massicciamente sfruttando tutti i suoi canali – e giustamente. Da questo punto quella stessa gente compra Gomorra, legge (forse) Gomorra, e apprezza il fatto che si diffonda la percezione della vita ostile, della difficoltà dell’esistenza che fa degli abitanti di Napoli Nord degli eroi per il solo fatto di riuscire a sopravvivere, stoicamente, coinvolti o meno, in un ambiente simile. Gomorra permette che si sappia, fuori da Napoli, che chi viene da lì puo’ mettersi “a’copp” automaticamente, non so se mi spiego. Gomorra viene utilizzato come una difesa, un “adesso potete immaginare” (mai “capire”) gridato all’esterno per dire all’universo “tu non puoi capire” la vita ai tempi del declino dello stato. Gomorra accelera la presunzione dei napoletani di appartenere ad un’elité della sofferenza, dell’esperienza della sofferenza, di stare al vertice della scala dei cazzi in culo e di sfruttarne la portata difensiva. L’exemplum di Pasquale il sarto resta tale, una scena, uno spettacolo inevitabile. A che vale la fatica? E da fuori invece, Gomorra prepara le “vacanze esotiche” sotto casa. Conosco chi lavora allo sportello turistico di Napoli Centrale. Le domande dei turisti sono “Quali sono i quartieri pericolosi?” “Come si arriva alla Sanità?”. Quando m’hanno detto questa cosa sono rimasto piacevolmente colpito: potrebbe essere interessante esportare questo tipo di intrattenimento. Poi ci ho pensato un po’. Non credo sia proprio quello che i nostri ragazzi vorrebbero. Non tutti almeno, e penso a chi realmente deve pensare a sopravvivere – come quelli del mio corso, adesso stagisti presso ristoranti e laboratori di pasticceria, che ogni mattina si alzano, prendono il mezzo, si mettono la divisa e faticano come e più dei dipendenti. Immaginando che non servirà a niente, perchè non sono stupidi, perchè i famosi “progetti” non garantiscono mai un seguito. Ma conoscono il sacrificio, e lavorano. Senza un lamento.
sottoscrivo quanto detto da alcor e come scritto qui speriamo veramente che NI si faccia portavoce di concrete iniziative sul territorio- e ribadisco che credo fermamente che la vera rivoluzione deve essere culturale, scolastica, istituzionale, agendo veramente sui ragazzi fosse null’altro che per mostrare un altro mondo possibile, un’altra vita.
carissimo antonio approfitto della tua considerazione sul “nessuno tocchi gomorra” per dirti che non solo proprio da noi si è dato spazio a critiche o commenti (a condizione che fossero argomentati) ma come hai visto il tuo pezzo mi è piaciuto nonostante si palesino riserve sul libro, riserve che io non ho.
Per quanto riguardo Marino Niola, ringraziamo iddio che ci siano persone come lui, o sergio Piro, alberto abbruzzese, a dirci delle cose che spesso non sappiamo,o fingiamo di non sapere.
Quello che invece mi indispone ma proprio assai(si direbbe dalle ns/vs parti), è questa attitudine tutta napoletana di vedere sempre con sospetto il “successo” di qualcuno, o di un’opera. Tradizione che comincia da prima di masaniello e che passa per Maradona fino ad arrivare a Erri de Luca. Si proprio lui. Avete notato come ultimamente ci sia un fuoco di fila da parte del mondo delle lettere e non solo, verso uno dei maggiori scrittori napoletani? A me questa sindrome fa paura – e anche un pò pena, diciamolo. Qualcosa di troppo simile al fuoco amico. qualcosa di troppo vicino al risentimento -vd poi il modo in cui si coniughi attraverso attacchi personali, demistificazioni striscianti, calunnie e quant’altro. ma questo è un altro capitolo. per il momento credo ci si debba concentrare su che cosa produrrà Gomorra presso giovani non-lettori. Ci farai sapere cosa ti dirà Giada?
effeffe
alla fine ho deciso di leggere gomorra. fino a quel momento me lo aveva impedito la strategia editoriale – per me evidente sin dalle prime battute – di vendere saviano come personaggio più che come scrittore, strategia alla quale lo stesso saviano mi pareva avesse fatto poco per sottrarsi. il libero è bellissimo. ma mi pare, e questo racconto di menna lo dimostra splendidamente, che la sua stessa natura non sia stata compresa. per qualsiasi napoletano che non vive in una cupola di vetro le cose che dice saviano sono quasi tutte risapute. è del tutto fuori luogo allora definirlo un libro-inchiesta, un tentativo di mettere in luce aspetti nascosti della criminalità organizzata. a napoli la criminalità organizzata vive e prosera sotto la luce del sole. piuttosto gomorra è in tutti i sensi un’opera morale. un trattato sulla fascinazione per il male, una fiera di tutte le ambiguità che chiunque è cresciuto e vissuto a napoli ha covato nel suo organismo. può sembrare assurdo, ma a me a ha ricordato il mimetismo perverso di ellis in american psycho, più che le inchieste civili, le mani sulla città, il santorismo. in quest’ottica è del tutto normale che ragazze come giada leggano gomorra. la grandezza del libro sta proprio in questa possibilità di equivocare il suo contenuto morale, in quanto è proprio su quest’equivoco che la vita scorre a napoli. non è giornalismo, è letteratura.
Cito testualmente da 2 commenti
1) “Poi cambia tutto: cambia perchè – a qualità invariata del romanzo – la corazzata Mondadori interviene massicciamente sfruttando tutti i suoi canali – e giustamente.”
2) “alla fine ho deciso di leggere gomorra. fino a quel momento me lo aveva impedito la strategia editoriale – per me evidente sin dalle prime battute – di vendere saviano come personaggio più che come scrittore.e, strategia alla quale lo stesso saviano mi pareva avesse fatto poco per sottrarsi”
Sono il responsabile della collana nella quale è uscito Gomorra e ho troppo rispetto per Nazione Indiana, per i suoi collaboratori e lettori, Roberto e il suo libro, e – last but not least – il lavoro che faccio per tacere di fronte a queste – diciamo – spensierate affermazioni del tutto prive di fondamento nella realtà delle cose (sempre che a questa si attribuisca ancora un qualche valore).
La corazzata che si muove?
Le strategie?
Linguaggi militari, paranoie personali, sogni infantili di complotti e bassezze presunte.
Abbiamo pubblicato un libro bellissimo di un autore straordinario. E’ stato uno di quei rari momenti in cui hai la sensazione esaltante che il tuo lavoro abbia un significato. Non abbiamo avuto nessuna strategia: un libro come Gomorra parla da solo e molto ma molto bene, direi.
A giugno la corazzata Mondadori si dondolava nelle non pulitissime acque del vicino Idroscalo, i suoi stanchi marinai oppressi dall’afa milanese si dedicavano alla nobile arte del sudare copiosamente. Quali canali avremmo sfruttato di grazia? Avremmo fatto delle pressioni su qualche malavitoso perché minacciasse Roberto? Forse non è vero – come dicono in molti – che la science fiction è morta: purtroppo si evince che essa è viva e lotta insieme a noi…
Mi scuso per un intervento molto personale e poco attinente con una discussione così interessante, ma ormai sono diventato insofferente a questo genere di spensieratezze. Il lavoro che faccio insieme a un sacco di altre persone animate da una grandissima professionalità e da una forte passione civile è lontano le proverbiali 1000 miglia dalle grandiose (a essere cortesi) costruzioni paranoiche soprariferite.
Mi scuso ancora per l’OT
Caro Edoardo,
sono il tenutario dei “linguaggi militari, paranoie personali, sogni infantili di complotti e bassezze presunte” che mi accrediti, avendo io scritto la prima citazione che apre il tuo anatema.
Se hai letto tutto quello che ho scritto, noterai che
a) non c’è da parte mia nessuna critica all’autore, che reputo persona formidabile, se non per cose che esulano completamente dal suo lavoro o dal libro e di cui non ho parlato né parlerò
b) non c’è da parte mia nessuna critica al libro, al contenuto del libro. Potrei fare un appunto sul fatto che la questione “docufiction” non sia mai stata disambiguata, cosa che va a tutto vantaggio vostro e non dell’autore, ma questo fa parte di una mia personalissima convinzione (quella che vorrebbe separare la divulgazione-intrattenimento dall’informazione) alla quale non ho fatto alcun riferimento qui
c) ho parlato di “canali” che non sono occulti, e non fanno parte di teorie cospirative: Mondadori è il principale editore italiano, credo basti questo per comprendere che abbia a disposizione mezzi differenti dalla “voce di Puccianiello”. Se ti riferisci alle “guide turistiche” di cui parlavo nell’altro post, hai a disposizione dei dati giustapposti ad illustrare un quadro quantomeno “singolare”. Ho detto che la corazzata Mondadori ha usato “giustamente” i suoi canali: la Mondadori non pubblica per beneficienza così come tu non lavori per beneficienza né io.
“Il lavoro che fai insieme a un sacco di altre persone animate da una grandissima professionalità e da una forte passione civile” non è diverso da quello che faccio io, probabilmente. Eppure con tutta la “passione civile” che posso metterci dentro, so che serve a ben poco, soprattutto a Napoli, dove qualsiasi intervento nel sociale, fatto in un ambiente che dissipa capitali ad organizzare “convegni” e a non pagare dipendenti, si riduce a pubblicità da sfruttare per coinvolgere ulteriori capitali da devolvere in campagne elettorali.
Le “spensieratezze” vengono da qualcuno che ogni mattina si fa il suo bel tratto di asse mediano e tangenziale e viceversa per “sopravvivere” dignitosamente all’incrocio tra Giugliano, Melito, Casandrino e S. Antimo cercando di non avere alcun rapporto con la criminalità organizzata. Cosa non facilissima, ma neanche impossibile.
Saluti
“benficenza”, ovviamente (!). perdo colpi.
Per merito di Forlani e di Menna questa poteva essere una bella occasione per discutere, con un insider come Edoardo, sui meccanismi di fruizione di un testo, sulla lettura (Giada) e sulle ambiguità della scrittura (la docufiction). Un modo per condividere le insidie che circondano ogni pubblicazione, oltre alla (sacrosanta) soddisfazione verso un lavoro che riesce, che prende, che vende. Invece il responsabile di Mondadori se la cava con l’OT, col ‘rispetto’ furbetto per gli utenti di NI, e riduce tutto a “spensieratezze”, costipazioni, dispettuzzi piccini così. Sconsolante epilogo di una difesa d’ufficio che era iniziata con quel “abbiamo pubblicato un libro bellissimo di un autore straordinario”, che verrebbe voglia di sentire che ne pensa Giada, per avere un giudizio magari un po’ più articolato sul libro e le vicende successive. Resta solo un altro appunto: quando leggiamo che Mondadori non avrebbe avuto “nessuna strategia”, Edoardo si sta riferendo anche alla quarta di copertina e al paratesto? Perché, in questo caso, si sbaglia. A meno che il marketing mix non rientri anch’esso nel fumus conspirationis che sembra avvolgere, prima di altri, lui stesso. Insomma, grazie assai, Edoardo.
Cordialità
Roberto
@menna
Li hai visti i film di Piva e un capolavoro trash come “L’ariamara”? L’effetto che hanno avuto sul pubblico fetuso, recluso e colluso, è lo stesso: fare epopea dei morti ammazzati, tra una pistolettata pop e una risata colle cozz’.
E poi perchè mai il compito di un libro dovrebbe essere quello di salvare qualcosa o qualcuno ? Ci sono libri che sono scritti per un bisogno dell’autore e magari cambiano la storia, e spero e credo che questo sia proprio il caso di Gomorra. Ma nessuno scrive per salvare nessuno, penso.
E la sindrome del nessuno-tocchi-Gomorra è solo un invenzione di chi è invidioso del successo altrui. Non vedo altra spiegazione.
Come non ho visto alcuna strategia di marketing nella divulgazione del libro di Roberto. Non ho sentito alcun stacchetto pubblicitario in radio e televisione, nessuna pubblicità sui giornali. Mondadori non ha speso una lira per vendere Gomorra che sarebbe comunque arrivato dove sta adesso anche senza le minacce camorristiche.
Chi, come me, è di Napoli sa di quale passaparola sia oggetto questo libro. Io l’ho letteralmente imposto a diversi amici e parenti i quali, tutti soddisfatti, sono venuti a dirmi “l’ho letto” come se avessero svolto un compito a casa. E a loro volta lo stanno divulgando ininterrottamente.
Perchè è un gran libro, perchè è uno scritto coraggioso, perchè fa discutere, perchè fa pensare, perchè, soprattutto, si fa leggere.
Anche “La voce di Puccianiello” usa delle strategie di marketing.
@effeffe
Hai fatto cenno qui ad un articolo apparso su vibrisse che ha avuto numerosi commenti (84) di diverso segno (http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/11/la_napoli_che_l.html). Poiché ho chiesto io alla intervistatrice Francesca Ferrara di passarmi una serie di servizi sulla criminalità presente a Napoli mi sento un po’ responsabile per quanto scrivi e vorrei precisare.
I tre scrittori intervistati, tra cui Antonella Cilento, hanno toccato anche il libro si Saviano, e tanto alcuni di essi quanto alcuni commentatori hanno espresso dei punti di vista su Gomorra che vedo affiorare anche qui. Che lo abbiano fatto con maggior foga, poco importa. Personalmente dò a Saviano il merito di aver riportato l’attenzione di tutti a quanto accade – meglio, continua ad accadere – a Napoli. Se alcuni interventi si sono espressi in forma critica, formulando alcune riserve, su Gomorra, ciò non significa che il lavoro della giornalista sia al negativo. Si tratta di una intervista che fa parte di un’inchiesta che ho voluto far conoscere anche ai lettori di vibrisse per il mio tramite. Sono sicuro di fare una cosa utile per Napoli, città che amo, come amo tutto il sud, come tu ben sai.
Alla prima intervista è seguita quella ad alcuni autori di satira che utilizzano questo strumento per combattere la criminalità, in questo caso non solo napoletana (http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/12/contro_le_mafie_1.html ).
Seguirà nei prossimi giorni un’altra itervista legata alla editoria. E forse un’altra ancora, per dare un quadro su ciò che il mondo dell’arte fa per combattere questo flagello.
Sono anch’io convinto, come qui qualcuno ha già scritto, che l’arte può fare molto, ma senza il contributo convinto e massiccio delle istituzioni, tutto può andare disperso. Alle istituzioni, dunque, dò la maggiore responsabilità (per mancanza di coraggio) di ciò che accade a Napoli. L’arte può contribuire a maturare nella gente il convincimento che non si può restare passivi e che si deve pretendere che ciascuno faccia il proprio dovere. Ma il primo esempio deve venire dalle istituzioni.
Il contributo che Francesca Ferrara offre con le sue interviste mi pare che vada nella giusta direzione.
Domani, Francesco, sono a Milano, alla libreria Feltrinelli (per vibrisselibri) Via Manzoni 12, alle ore 18.
Potrebbe essere un’occasione per conoscerci. E se venisse anche Franz? E Gianni? E Piero Sorrentino? E se venisse anche Sergio?
Sergio li conosce e perciò glieli nomino. Domani ci saranno, fra gli altri: Damiano Zerneri, Lucio Angelini, Luca Tassinari e – udite udite! – Maria Strofa.
Spero di vedere qualcuno di voi.
Sono riuscito a leggere solo parzialmente le interviste. Perchè non hanno intervistato pure Gigi D’Alessio ? Magari riusciva a dire cose più interessanti.
Beh, non tutti sono così fortunati. Un po’ di rispetto per i meno dotati non guasterebbe…
Ecco, rispetto, La parola giusta per chi legge.
Non voglio fare polemica, sig. Di Monaco, ma davvero ritiene che quell’intervista sintetizzi, anche solo parzialmente, il dramma di una fetta così importante di occidente ? Quelle risposte sono le stesse alle domande di trent’anni fa con la differenza che trent’anni fa, anche venti, la situazione era completamente diversa. Forse in questo Saviano ha fallito. La sua descrizione delle “cinetiche d’estrazione” è così precisa e così tecnica che, probabilmente, ai più è passata come opera di fantasia. E non si è ben compreso il livello di infiltrazione e di assuefazione al fenomeno criminale. Se lei stesso mi parla di responsabilità delle istituzioni mi fa capire che dovrebbe rileggere Gomorra con maggiore attenzione. Le istituzioni, in molti casi, cercano alleanza con la faccia pulita della camorra, non so se questo è passato dal testo del racconto di Saviano. Le istituzioni a Napoli non esistono più, almeno come le intende lei, non hanno più il controllo sul territorio, non riescono nemmeno a far funzionare un plotoncino di vigli urbani svogliati e demotivati, figurarsi se riescono a combattere un potente e militarmente organizzato esercito. L’assuefazione al fenomeno criminale è vicino al punto di non ritorno e sono in pochissimi ad essersene accorti.
Le interviste che ho avuto modo di leggere sono una ripetizione di argomenti già sentiti migliaia di volte e nessuna di esse ha valore per lo stato attuale delle cose. Perchè la percezione del fenomeno lo si ha solo vivendolo dal di dentro, come ha fatto Roberto da giornalista o come fa chiunque operi in un contesto in cui ci siano affari, interessi, denaro. Lo scrittore impegnato a guardare la sua realtà, partendo da una base che ritiene ancora valida ( povertà, diseguaglianza, sottosviluppo, scolarità, ecc. ) commette l’errore di riferirsi a soluzioni totalmente fuori tempo e inadeguate. La svolta di Saviano è proprio questa, il suo merito è di aver capito in tempo che le cose sono cambiate, che le ragioni sociologiche e politiche di un tempo non valgono più. Per capire i nuovi meccanismi bisogna calarsi in un inferno da quale se ne può uscire anche contaminati. Bisogna sporcarsi le mani e non d’inchiostro.
ho fatto la stessa cosa anche io
ho “costretto”diverse persone a leggere Gomorra, tra cui i miei che non leggevano un libro credo da almeno, bah, 30 anni?
tutti devono sapere per poi poter agire
Scusami, ma possiamo darci del tu? Spero di sì.
Io non vivo a Napoli, ma a Lucca, i miei genitori erano di San Prisco, un paese a due passi da Caserta: tra Caserta e Santa Maria Capua Vetere. Vi trascorrevo solo le vacanze estive. Quindi, sebbene ami il Sud, non sono titolato a parlarne, almeno con competenza.
L’intervistatrice vive a Napoli, e così anche gli scrittori che ha intervistato. Mi pare che tutti concordino sul fatto che la piaga della criminalità affligge Napoli da sempre; nulla in sostanza è cambiato. Anzi, il male s’incancrenisce. Parlano anche del libro di Saviano e alcuni di loro dicono che Saviano non scopre cose nuove. E’ vero, non è vero? Non sono io quello che può rispondere. Starei però attento a denigrare gli intervistati. Non conosco gli altri due, ma di Antonella Cilento mi sono occupato in vibrisse (http://www.vibrissebollettino.net/archives/2006/02/antonella_cilen.html) e mi pare persona che conosce la sua città. Il rispetto le è dovuto, non solo da parte mia. Mai mi permetterei (visto che ho conosciuto i loro libri o i loro testi) di sottovalutare, ad esempio, le cose che scrivessero Franz Krauspenhaar, Gianni Biondillo, Francesco Forlani, Sergio Garufi, per citare l’impegno di alcuni indiani. Dire che gli scrittori intervistati abusano del lettore, ossia non lo rispettano perché essi dicono delle stupidaggini (così mi pare si debba interpretare il tuo pensiero) significa in primo luogo offenderli e delegittimare il loro pensiero. Si può non essere d’accordo e lo spazio dei commenti è lì apposta.
Sulle Istituzioni, negli scambi che ho avuti con Francesca Ferrara, abbiamo messo l’accento su questo problema. Io insistevo a chiedere che cosa facessero le Istituzioni, e che erano esse che dovevano muoversi in primis, ma Francesca mi rispondeva come te, ossia che non si può contare sulle Istituzioni, degenerate e forse perfino colluse.
Anche sulla difficoltà di vedere il popolo napoletano reagire alla criminalità, Francesca mi ha messo in guardia dal nutrire troppe speranze. E allora, che fare?
Io mi provo a trasmettere su vibrisse il punto di vista che Francesca raccoglie nei vari settori della cultura napoletana con un lavoro che mi pare (è un mio giudizio) interessante e che è qualcosa che può accompagnare l’attenzione che Saviano ha indirizzato su Napoli con il suo romanzo. Far conoscere anche altri artisti che stanno combattendo con le loro opere la criminalità, credo che sia un merito che va riconosciuto a Francesca Ferrara. Tutto si può discutere, si può dissentire su tutto, ma delegittimare il pensiero altrui è una cosa pericolosa, e bisogna anche cominciare da qui per trovarsi uniti a combattere la criminalità.
Quanto sopra è diretto a Bruno Esposito in particolare. Scusate.
Va bene.
Mi dispiace dover dire certe cose ma nasconderle non serve a nessuno. Antonella è una simpatica ragazza e mi invita spesso alle sue iniziative. Stessa cosa faccio io con le mie, povere cose al suo confronto. Ma due settimane fa, lei e Treccagnoli, hanno toppato di brutto.
Il fatto : una biblioteca incendiata da teppisti a Piscinola, quartiere ghetto di Napoli, sotto il dominio incontrastato della camorra. La biblioteca appartiene a un plesso scolastico che vorrebbe essere all’avanguardia nel recupero del territorio e nella presenza accanto ai giovani. Nello stesso plesso l’attore Renato Carpentieri dirige un piccolo teatro con scuola di recitazione. L’atto teppistico, gravissimo in sè, mirava alla riaffermazione del potere dei clan, che vedono quella presenza dello stato con evidente fastidio.
Bene, arriva lì il Mattino, il più importante quotidiano locale, e fa un piccolo elenco delle copie bruciate : biografie di uomini illustri, libri importanti e… “Sul mare luccica” di antonella Cilento. Un libro uscito da meno di un mese, guardacaso, elencato da Treccagnoli fra le importanti pubblicazioni bruciate.
300 libri in fumo ma l’unico autore citato nell’articolo è la Cilento.
Non bastava però.
In un riquadro una mano regge una copia del libro della Cilento con delle bruciature, per evidenziare il sacrilegio.
Non bastava ancora.
Il giorno dopo sul Mattino un articolo della Cilento che deplorava ( e vorrei ben vedere… ) l’incendio della biblioteca e parlava del suo “Sul mare luccica”.
Bartolomeo, tu questo come lo chiami ? Io lo so ma per rispetto ( perchè il rispetto lo conosco, io )a te e, tutto sommato, ad Antonella non lo dico. Ma a te, ad Antonella e a Treccagnoli dico che certe strumentalizzazioni si potrebbero e dovrebbero evitare. La lotta all’imbarbarimento della società napoletana dovuto all’inarrrestabile espansione delle metastasi camorristiche merita ben altro che una buona occasione per pubblicizzare un libro di un’autrice che, piaccia o meno, brava o meno, non mi pare ne abbia bisogno assoluto.
Senza rancore.
Condivido, Esposito. Si tratta di cosa davvero sgradevole. Mi dispiace che la Cilento sia incorsa in questo infortunio.
Grazie della chiacchierata. Rancore? E perché? Ci scambiamo delle opinioni.
Anche a rischio di inventarmi un dialetto che non mi appartiene… Ma ne vale la pena e sento il bisogno di testimoniarglielo, di doverglielo:
@ Bruno Esposito
GUAGLIO’, TIEN’ ‘E PALL’!!! NUN T’ F’RMA’!!!
brugnatelli.net
http://www.brugnatelli.net
Miii!
Ma non è che Saviano è diventato l’ultimo sceriffo in circolazione?
No, perché parrebbe esser diventato più grande del sole per un libro che ha scritto, e che è metà di fatti risaputi e metà di fatti inventati.
E il grosso culo che gli e l’ha pubblicato Mondadori, altrimenti a quest’ora, al massimo, con un altro editore avrebbe guadagnato una ruota di scorta e l’ultima raccolta di Nino D’Angelo se gli diceva bene.
Invece d’attaccare la Cilento, perché non attaccate Saviano e quelle belle cazzo di copertine sull’Espresso che sono non un pugno in un occhio ma due pugni in tutt’e due gl’occhi?
Franz Krauspenhaar, Gianni Biondillo: loro fanno fiction, qualcuno ha poi gli attacchi di depressione. Finita lì. Fanno fiction, niente di male. Ma fanno fiction, come l’Asfidanken del Gianfranco D’Angelo al Drive-In.
Saviano invece è in copertina a sparare. Spara così tanto ma così tanto ma così tanto… Insomma: se io fossi a Napoli, mi sarei già rotte le palle d’uno come lui. Ma non come Napoletano. Ma non come Italiano. Ma proprio come uomo me le sarei rotte di brutto.
Parliamo di altre strumentalizzazioni, per tirature di migliaia di copie, se proprio dobbiamo.
Altrimenti meglio tacere, invece di tenere dura la parte dei perbenisti che s’alzano con il ditino mignolo del piedino sinistro slogato e allora giù male per tutta la giornata a cercare imputati da mettere alla sbarra e poi condannare, innalzando impossibili babeliche torri al primo di turno perché sotto l’egida de L’Espresso e di Mondadori.
Per quanto mi riguarda: a ‘sto punto è più pericoloso Dan Brown che non un Saviano, perché se non altro la fiction di Dan Brown mette in discussione tutto il mondo dei cattolici.
Amen.
Miri al bersaglio piccolo. Se vuoi delegittimare qualcuno devi farti più furbo. Prendi esempio da quello che scrissero del terrorista Peppino Impastato o del prete donnaiolo don Peppino Diana. Quelli sì che ci sapevano fare, tu sei un dilettante. Ma puoi migliorare.
Dire che sei ridicolo è un’offesa alla ridicolaggine…
Scusa, Esposito, il riferimento era al pirla che ti precede.
Sarò pure un pirla, ma era ben ora che qualcuno dicesse le cose per come stanno. Se volete farvi il vostro idoletto da sostituire alla madonnina, fate pure, ma non chiagnete. Perché qui si leggono solo lacrime di bigotti perbenisti che si piangono addosso e che sgranano gli occhi per il gusto di far vedere che occhioni grandi che c’hanno pure coi lucciconi appena spremuti, di fresco.
E poi: Lazzaro Visconti Pera? Ma chi diavolo sei? Uno che sta qui su NI. E basta. Uno dei tanti coraggiosi che nella fondina della pistola c’hanno mille nicknames. Ma non famme ride. Anzi, famme ride.
Statte bene.
Senti, cicciobello, se vuoi parlare con me, innanzitutto fa un corso accelerato di scrittura, memorizza le strutture minime della grammatica e della sintassi e poi si vedrà. Perché l’unica cosa comprensibile dei tuoi due pseudocommenti è unicamente la funzione coprolalica del tuo eloquio. Vuoi che ti traduca? Dài, uno sforzo e ci arrivi anche tu, non deprimerti. Vuoi un aiutino? Sì? Bene: hai sparso solo merda.
Oh, la Venier ci mancava: l’aiutino. :-) Mo’ me si che me la rido della grossa.
Quis custodiet ipsos custodes?
‘Notte.
credo sia opportuno reintervenire,ilpezzo è molto bello.I napoletani che sanno scrivere ,evidentemente, sono molti. Menna ci descrive, con passione, una parte della realtà di Napoli,quella zona grigia che non è camorra,ma che in qualche modo e inevitalbimente assiste’ vede la tragedia di Napoli,della Campania e di Napoli,ma’anch’essa vittima, rimane abbagliata dalla spregiudicatezza, dal potere,dal coraggio,dal disprezzo per la morte dei camorristi,Il cosidettovalore aggiunto,bravo e geniale Saviano.E tutto ciò è frutto di una assenza totale delle istituzioni,un assenza “Sospetta”.Menna ripeto ,per me è bravo come Saviano,egli ci descrve quest0 aspetto ambiguo,di una parte della realtà di Napoli .In questo caso,ambiguità fra il bene e il male fra la pace e la guerra,fra vita e morte che è proprio della umanità intera.Ha detto di recente Saviano che in certe situazioni, di guerra, di tragedie umane,c’è una sospensione dlla dignità umana ,dei diritti, della ragione.E Napoli è zona di GUERRA.A Napoli, in Campania ma in Italia la guerra alle istituzioni alla democrazia sembra la stia vincendo la cultura della camorra dell’Illegalità,ma non è cosi.Menna Saviano Cilento e tanti altri intellettualisoprattutto napoletani con il loro lavoro,”a rischio”, descrivendo la realtà cosi come essa è, con tutta la sua ambiguità , drammaticità,fatta da un impasto macabro di vita e di morte,dimostrano che la camorra non ha ancora definitivamente vinto e che la letteratura il cinema la fotografia il teatro la musica nel raccontare possono e devono risvegliare le coscienze di tutti NAPOLETANI,ma soprattutto tutti gli ITLIANI.Bravo Menna, bravo Roberto Saviano continuate a Raccontare,abbiamo bisogno di voi del vostro lavoro.E in ultimo chi è andato sulla piazza di Casal di Principe,e conoscendoa fondo i Casalesi perchè ha vissuto lì e sa qual’è la cultura di quella gente, con passione e soprattutto rabbia ha sfidato i boss,è uno scrittore di razza e non cerca il facile successo.Scusatemi.Mihele
scusate se sono stato assente ma vagavo per alberi-non scherzo- come un eroe calviniano (italo) per cause nobili, lavoro.
Rapidamente dalla libreria Voyelles di Torino via san massimo 9 – questa è una pubblicità subliminale pagata con l’edizione completa di guy debord e la collezione incompleta di hara Kiri- e grazie a Gabriella vorrei puntualizzare tre cose:
Uno, grazie a Edoardo per il suo intervento per aver detto ciò che penso e ho pensato nal momento di mettere su questo pezzo che ci è stato inviato in redazione e che io ho pubblicato facendomi pagare – ma lui non lo sa- da menna una cena alla bersagliera perchè ho fatto la nunziatella
Due
bart ti voglio bene ma la mediocrità sfugge agli occhi dei più sensibili talvolta. Non sarò a milano perchè sarò a Belgrado – per gli alberi
tre
Per gli affetti da sindrome di masaniello come Iannozzi, mi sembra, e certi altri, raccomando di fare esercizio di quella che Nietzsche chiamava solidarierà nella gioia
4. Consiglio a tutti.
Stiamo vicini a Roberto, perchè solo così si comporta una vera comunità delle lettere
effeffe
Non sono abituata a rispondere a post che mi riguardino e non ne ho piacere, ma poichè Francesca Ferrara ci tiene ad aggiornarmi sui dibattiti seguiti all’intervista e su quanto ha detto Bruno Esposito riguardo i fatti di Piscinola pubblicati sul Mattino, dove si parla per quanto mi riguarda di “increscioso incidente” tengo a una rettifica: immagino che chi legge, incluso il signor Esposito, abbia cognizione dei meccanismi giornalistici si cui spesso tutti, incluso Roberto Saviano, siamo oggetto. Quando è stata bruciata la biblioteca è stata iniziativa, certamente da me non richiesta (la copertina di un mio libro bruciata mi fa grattare e prendere in mano cuorni piuttosto che rallegrarmi) di fotografare la copertina del libro a causa del titolo, così facilmente strumetalizzabile. Napoli sul mare luccica bruciacchiato è uno “strillo” giornalistico. Mi hanno poi chiamato chidendomi: hai visto che è successo? E io, che quella mattina non avevo ancora comperato il giornale, sono rimasta piuttosto basita. Dopo di che mi hanno chiesto se volevo scrivere due righe di sostegno alla Biblioteca e ci mancava che no… Queste occasioni, certamente non chieste, poichè faccio l’autrice non perchè sono una “simpatica ragazza” (riduzione tipicamente maschile) ma perchè è il mio mestiere da quattordici anni e la vocazione autentica di un’intera vita, sono parte del meccanismo (senz’altro deviato) della stampa. Non ne hanno particolare colpa i cronisti, e tanto meno Pietro Treccagnoli, nè gli autori, cui le chiacchiere e le strumentalizzazioni ( e i post dei siti) passano spesso sopra la testa.
Vi ringrazio dell’attenzione
Antonella Cilento
è assolutamente piacevole scambiarsi opinioni e contraddire qualche volta serve, ma arrivare a battibecchi perdendo di vista l’oggetto principale della questione mi appare alquanto controproducente e illusorio
organizziamoci invece di fare il contrario…
impariamo invece di fare vuota retorica…
saluti cordiali a tutti voi
Nietzsche, Effeffe caro, è morto pazzo, a 40anni o a 50? Io direi a 40: perché per 10 anni interi in un manicomio a mangiare i suoi stessi escrementi. Dormiva 30 minuti al giorno, con la testa ciondoloni sulla scrivania; e avrà scopato una volta in tutto, che gl’è dovuta bastare per tutta la sua filosofia. Che fine di merda, il povero Friedrich. Eppure gli voglio bene. Però mi guardo dal seguire alla lettera i consigli che dava.
Adesso chiamo Jacko: gli chiedo se mi dà il numero di telefono di quello che gli ha fatto le statue di sé da spargere per tutto il mondo. Chissà: potremmo fare anche noi così per Saviano, proprio come una vera comunità delle lettere.
Ma esiste una comunità delle lettere? e da quando? Io pensavo che esisteva solo “Il circolo Dante”, peraltro davvero brutto come thriller. Scontato.
Tu ce l’hai o no la camicia con “i baffi”?
g.
Io invece mi limito ad un applauso alla sensibilità di Antonio Menna, che resta per me un giornalista stimato, ed un modello da seguire.
Sig.na Cilento ( visto che mi dà del lei e del sig. ) sono dispiaciuto di aver dovuto scrivere di quell’articolo del Mattino e sono anche parzialmente convinto che lei fosse all’oscuro di tutto. Però fossi in lei avviserei Treccagnoli che a volte l’eccesso di zelo danneggia.
Sappia comunque che quando ho fatto la battuta su D’Alessio da intervistare non mi riferivo a lei ma all’altro intervistato, autore di banalità sconcertanti. Poi Bartolomeo l’ha citata e io ho risposto quanto sentivo di rispondere e di confermare. Quell’articolo di Treccagnoli la danneggia non poco, mi creda.
Saluti cordiali.
l’episodio del libro tirato fuori a caso (ma quanto a caso) dall’incendio è stato veramente deplorevole soprattutto perchè, almeno dalla foto, non sembrava affatto che il libro fosse bruciato anzi … un po’ di fuliggine sopra e clik lo scatto, questa era l’impressione che dava, voglio sperare che l’autrice non c’entrasse nulla, ma è stato deplorevole ugualmente e anche controproducente, forse l’autrice avrebbe dovuto rifiutarsi di scrivere un articolo in tale occasione dopo la pubblicazione di tale foto.
geo
Ho scritto i primi pezzi di “nera” sul quotidiano di cui parla Antonio; negli stessi anni frequentavo il liceo di Marano. Conosco bene quella realta’. E confermo tutto. La camorra ha un potere enorme sulle menti dei ragazzi. Basta farsi un giro nei bar di via Falcone, proprio fuori il liceo scientifico “Segre’”: gli argomenti preferiti restano la camorra e i camorristi. E i ragazzi si abbeverano a quelle fonti, ieri come oggi.
Come non essere d’accordo con Antonella Cilento quando parla “dei meccanismi giornalistici si cui spesso tutti, incluso Roberto Saviano, siamo oggetto”.
Un beau geste da parte sua sarebbe, mi si permetta l’umilissimo consiglio, di ri-donare alla biblioteca i propri libri. Ma non quelli scritti dall’autrice, quanto dei classici, stile Dickens, Stevenson, Jules Verne, e perchè no Salgari. Libri che farebbero, come classici, certamente di più di quanto non possano i nostri, così contemporanei, e a volte, così inutili.
effeffe
ps
Salgari per permettere ai nostri ragazzi di gridare “impostore” a uno che “osa” chiamarsi Sandokan
la trovo una idea geniale :-)
Punizione dantesca: per farsi perdonare una pubblicità indebita e vergognosa, invece dei soliti ave, pater e gloria, o degli scaramantici e narcisistici cuorni, regalare alla biblioteca l’opera completa di salgari e di dickens
Veramente geniale :-)
geo
Contrappasso dantesco a parte, l’idea di regalare dei libri l’ho avuta anche io ma pare che la scuola non possa accettarli e bisogna passare per l’assessorato. Mi sto informando meglio perchè, proprio stamattina, il Mattino ha pubblicato un appello degli operatori della biblioteca i quali stanno ancora aspettando l’inizio dei lavori di ristrutturazione e i nuovi libri. La notizia buona è che il teatro ora funziona. Renato Carpentieri, la cui grandezza come attore compete con la sua sensibilità di uomo, ha messo mano alla tasca e ha fatto riparare i danni. Un esempio per tutti, scrittori e non.
Penso sia straordinaria l’affermazione di Antonio che “dalle nostre parti non ci sia un dentro e un fuori” è anche un pò di più che una sensazione, almeno per ciò che mi riguarda, ed il fatto di chiederselo e di parlarne non corrisponde a riconoscerne l’ineluttabilità.
La raccolta di figurine si potrebbe organizzare, lancio l’idea facendo mia la provocazione di Antonio. Il “blob ( o il glob?) sistemico della camorra” potrebbe, in qualche maniera tornare utile a qualcuno od a qualcosa.
Ho letto Gomorra prima dell’estate, prima di vedere Roberto Saviano minacciato, prima di vedere decine di persone che ogni ora acquistano il libro da Guida.
Poco dopo l’assalto mediatico mi sono detto “ora non leggerei mai questo libro che è vittima del mercimonio”. Sbagliavo.
Perchè non prendere il libro per quello che è e leggerlo senza le grida e le immagini che lo hanno accompagnato?
Perchè non regalarlo nelle scuole? magari tra i 100 che lo leggono per conformismo qualcuno ne sarà colpito e se fosse anche uno solo, Gomorra avrà già fatto molto di più delle NON-ISTITUZIONI che ci governano; tantopiù che non potrebbe acutizzare il sentimento filo-camorrista dei ragazzi.
PS
un saluto ad Antonella Cilento, e al suo riavulone che mi accompagnano nella ricerca di un altro paradiso (ma c’è?)
Gomorra fa rima con camorra
la cavallina storna che poi più non ritorna
il libro vende bene
ci hai massacrato il pene
ma ti vogliamo bene
e poi c’è Garrone
prepara il polpettone
assieme a tanti amici
tanti di questi giorni felici
mi sento un pò scontento
nessuna cosa io vendo
mi sembra un lungo inverno
ma non amo San Pietro a Patierno
mi piace la puchiacca
del resto
non ci capisco un’acca
è ora che mi fermi
mi gioco un paio di terni
Saviano,Brusciano,Qualiano,Mantovano,Napoletano,Spartano,Flaviano,
Zavattiniano,Californiano,Pianpiano,Navigano,Damiano,Belano,Amano.
Preventivano
Ho aperto il libro a ottobre. Il libro, mi prende con un’aria carica di mistero e quotidianità, mi porta in un viaggio imprevedibile nella provincia di Napoli. Mi lascia amaro in bocca, rabbia, desiderio di verità e giustizia. Alla fine mi accorgo di aver letto tre libri in uno: un romanzo corale ed epico, un saggio giornalistico martellante, la storia di un ragazzo che si contorce per diventare uomo.
Nei giorni successivi i luoghi del mio quotidiano, Pozzuoli, Quarto, Bacoli mi appaiono diversi.
Certo è un libro che lascia qualcosa, dentro.
Sono un insegnante. Mi sembra di avere tra le mani uno strumento per scacciare la noia apatica che a volte sento nelle classi. Voglio allora invitare gli alunni a leggerlo in classe. A leggerlo, ad assaggiarlo partendo dalle pagine che elenco qui sotto.
http://www.itispozzuoli.it/docenti/piacere_leggere/gomorra/index_gomorra.htm
IL cammorista di Marrazo lo hanno letto nella classe di una collega l’anno scorso. La docente era un po’ pentita perchè vedeva un certo tifo per Don Raffaele. quest’anno tre di quegli alunni per la prima volta partecipano convinti alla manifestazione anticamorra. Insegnare significa avere pazienza e continuare a seguire gli studenti. allora i libri possono comincare a trasformare la realtà.
il racconto lo conservo. lo farò leggere .
Giacomo mille grazie per questo tuo intervento.
visitato il sito e ti faccio tutti i miei complimenti (se valgono qualcosa)
effeffe