Tira al camion!

1967_pietrocavallero.jpgdi Franz Krauspenhaar 

Pietro Cavallero, il bandito della Barriera di Torino, il compagno, quella specie di Pancho Villa motorizzato che tentava la rivoluzione con la pistola spianata davanti alle banche e agli uffici.

Voleva girare l’Italia a modo suo, dare ai poveri operai quel che a loro spettava di diritto; ma divenne uno spietato assassino d’innocenti, quello che, come testimoniarono in diversi,  “sparava ridendo”. Con lui, Sante Notarnicola, Danilo Crepaldi, Adriano Rovoletto (il bestione) e  il Donato Lopez, l’autista della banda, di soli anni 17. Dal 1963 al 1967, decine di colpi, fino alla corrida maledetta di Milano, del 25 settembre 1967, alla quale anch’io mi trovai ad assistere, per un lunghissimo attimo d’orrore.  Dal Pci torinese a quel macello di fuoco: entrano, i quattro, nella filiale del Banco di Napoli di Largo Zandonai, zona Fiera; il bottino ammonta a ben 98 milioni.

Lopez entra in gioco, nella banda, quando Crepaldi muore in un incidente aereo. Cavallero è il capo assoluto. Intelligenza superiore, spregiudicatezza. Non ha mai fatto l’operaio, come gli altri. Passano gli anni, qualche malcapitato ci lascia la pelle. Fino a quel 25 settembre del 67. Giornata tiepida. Come ogni pomeriggio, mia madre porta me e i miei due fratelli (uno nella carrozzina) ai giardini pubblici di Piazza Siena. Il giardinetto è  una o quasi perfetta al centro di una ampia rotonda; dentro quella o esterna di asfalto le auto sfrecciano spesso veloci, frequenti le brusche frenate, gli incidenti. Alle due e mezza i banditi sono in banca. Un impiegato dà l’allarme, accorrono 16 volanti, coordinate dal maresciallo Di Pietro, un mio lontano parente.
Sulla Fiat 1100 nera rubata i banditi lasciano un conto salato di morti: un ragazzo che esce dalla metropolitana, l’autista di un camion, in viale Pisa, (e altri due, e più di venti feriti.) “Tira al camion!”, aveva urlato Cavallero a un suo compagno. La faccia magra del “Piero” si dissolve e ne viene fuori, ora, nella mia mente, quella del grande Gianmaria Volontè in Banditi a Milano, di Carlo Lizzani: “Tira al camion!”. Viale Pisa confina con Piazza Siena. Che abbiano sparato all’autista prima di passare per la piazzetta? Credo di sì. Ricordo bene gli spari che mi avvolgono, mentre sto giocando appassionatamente con le macchinine Polistil sulla ghiaietta; sento urlare da tutte le parti: sono urli di mamme che strattonano i loro figli per la piazzetta, in preda al terrore. “Potrebbero rapire i nostri figli!” urla una signora. Mia madre  ci crede, è nel panico più totale: attraversiamo tutti e quattro la strada mentre un paio di auto sono costrette a frenare di colpo per non metterci sotto, con gran stridere e fumare di ferodi. Io li ho visti. Li ho visti bene, prima. La 1100 che esce curvando pericolosamente, e dando gas, su viale Pisa, immettendosi nella piazza. Ed ecco le Pantere verdi della Polizia, due, tre; e gli spari, che non si sa da dove vengono e dove vanno. Luccica qualcosa di metallico dal finestrino posteriore sinistro della 1100: è la cromatura di un’arma: vedo il pezzo di pelle di una mano che mi pare enorme, forse è di Notarnicola, balugina la canna di una pistola, spara, ecco, sì, spara. L’auto fugge lontano in pochissimi secondi, dietro le curvilinee, assatanate Pantere Alfa Romeo.
Rovoletto verrà arrestato presto. Notarnicola e Cavallero una settimana dopo, in un casello ferroviario abbandonato, sul Po.
Condannato all’ergastolo e rinchiuso a Porto Azzurro, Pietro Cavallero è morto nel 97.
Una vita sbagliata. Al processo non mostrerà alcun pentimento: anzi. “Vado in pensione a cura dello Stato”, dirà con sfrontatezza. Ma gli anni passano, e  le cose cambiano. Molte cose cambiano anche dentro Pietro Cavallero. Sarà un detenuto modello, e comincerà a cambiare a Porto Azzurro, dopo anni di carcere duro. Incontrerà il religioso Ernesto Olivero, fondatore del Sermig; così, otterrà la semilibertà.  Ma il passato non si cancella, lo dirà anche lui, con grande dignità. Grande nel bene e nel male, Pietro Cavallero, detto Piero. Nel 92 sarà totalmente libero, ma, in tutta coscienza, non potrà non dire:
“Il male che hai fatto non si cancella. Non basta una vita in carcere. Ma non mi piace chi si pente per chiedere qualcosa, per ottenere la libertà. Il pentimento vero, quello che non cerca sconti di pena è tutto lì: riconoscere di aver fatto male a qualcuno, di avere sbagliato. E dimostrare che hai cambiato vita, che non sei più quello”.

(Nella foto: a sinistra, uno spavaldo Pietro Cavallero subito dopo la cattura, il 3 ottobre 67)

7 COMMENTS

  1. Qualche mese fa, ho assistito in due occasioni differenti alla proiezione di un film di Maurizio Orlandi , Il bandito della Barriera, film documentario dedicato a Pietro Cavallero. L’ho visto in occasione di un festival, in una multisala, riempita all’inverosimile, di compagni e amici, ex partigiani, familiari, ma non tutta la gente del quartiere, barriera di Milano.

    La seconda volta era invece proprio in una sala di quel quartiere e questa volta c’erano tutti. Al film mancano molte cose,ma devo dire che le immagini di repertorio ricostruivano un contesto ed un’atmosfera addirittura inimmaginabile, agli occhi nostri. Di quella povertà, voglio dire e solidarietà cittadina. Eppure. Quello che ha reso il film per me indimenticabile era quanto succedeva tra gli spettatori, c’era chi chinava il capo, qualcuno, ma per età, dormiva, altri sbottavano, non potendosi trattenere dall’esternare il proprio non perdono. C’erano in quella sala persone degne, integre, e tra quelli conosciuti ricordo Franco Notarnicola. Il quartiere non riusciva a perdonare ai propri figli migliori, la deriva presa, di aver tradito la casa madre, all’occorrenza il PCI di Barriera di Milano, di cui, questo lo si dimentica, Piero Cavallero era segretario della FGC.
    Giusto a completamento, della tua splendida ricostruzione vorrei aggiungere una poesia di Sante Notarnicola.

    LA NOSTALGIA E LA MEMORIA

    Talvolta

    vorrei ripercorrere

    le strade del mio quartiere.

    E ritrovare vorrei

    quella generazione

    che si formò

    sul testamento

    di Julius Fucik,

    colui che sotto la forca

    scrisse a noi, per noi.

    La generazione

    che compatta correva

    da Papà Cervi, a consolarlo,

    a consolarsi.

    Quella generazione

    che, disarmata,

    raccolse la bandiera

    della Resistenza

    prima che la borghesia

    l’agitasse, oscena…

    Vorrei ritrovarmi

    con gli operai perseguitati

    da Scelba e da Valletta,

    quelli dell’officina Stella Rossa,

    i licenziati che seppero tenere,

    e ricordare qui vorrei,

    gli anni ’50.

    Tutti. Uno per uno.

    Giorno dopo giorno.

    Ricordare gli affanni

    Ricordare la fame

    Ricordare il freddo,

    il carbone

    comprato a 5 chili per volta,

    e il baracchino

    con la pasta scotta

    e null’altro.

    Poi gli scontri:

    luglio ’60

    e gli struggenti ragazzotti

    di Piazza Statuto,

    col selciato tra le mani.

    Ripercorrere vorrei

    tutta via Cuneo,

    attraversare la Stura, la Dora

    e tutto il quartiere mio.

    Guardare vorrei

    per una volta ancora

    la vecchia casa

    col cesso sul ballatoio,

    ritrovare per un momento solo

    i vent’anni miei,

    colui che per primo

    mi chiamò terrone

    e m’insegnò poi

    che fare il crumiro

    era il crimine più grande.

    In ultimo vorrei chinarmi

    assorto

    sull’elenco angoscioso

    di chi non c’è più

    e nascondermi vorrei

    in via Chiusella

    la più brutta delle strade

    del quartiere mio.

    Ricordare anche l’addio,

    violento, feroce. L’ira…

    Ma pure

    ritrovare le radici

    in questo quartiere,

    piatto come l’anima,

    vasto come l’orgoglio,

    amato e vissuto

    da quella generazione,

    la più infelice

    la più dura

    la più cara.

    Cuneo 28 agosto 1985

    da LA NOSTALGIA E LA MEMORIA

    un abbraccio. effeffe

  2. Grazie mille per il tuo post, Effeffe. Ho proprio contattato, oggi, Maurizio Orlandi, per un contributo che arriverà presto. (Io non ho mai visto il suo film, purtroppo.)

  3. Mio nonno l’aveva conosciuto quando già lavorava al sermig, la storia cancella tanti orrori e anche il cambiamento di una persona.
    Invece io ricordo due quadri a olio, ingenui e approssimativi, nella pizzeria di Biagio in via Vincenzo monti a milano.
    Un clown che piange di profilo e una strada in agosto lungo un campo di papaveri e una ragazza seduta sul ciglio.
    Due quadri da pizzeria, non li avrei guardati così a lungo se non avessi letto la firma, Luciano Lutring, il solista del mitra.
    Grazie del ricordo Franz e grazie effeffe per la poesia che hai postato.

  4. Non credo, Mario. So che ogni tanto alcuni commenti del tutto innocui vanno in moderazione da soli.
    E questo non va affatto bene.
    Me ne scuso.

  5. Un gran ricordo per uno come me che, a quei tempi, bambino già grandicello, seguiva le vicende di Lutring tramite la TV sfrigolante in b/n. Onda lunga, per alcuni della banda, di una Resistenza continuata, contro uno Stato che, seppur divenuto repubblicano e democratico, del fascismo perdurava a mantenere quadri, poliziotti, magistrati, politici… (e ciò sta a dimostrare come l’Italia mai abbia fatto, fino in fondo, i conti con la sua storia… col suo passato… non abbiamo avuto una Norimberga, così come l’aver voltato giacca ci ha sdoganato dal dover subire un processo sui crimini che anche noi abbiamo compiuto).
    A seguito, Cavallero diventò anche ‘mito’ per alcuni brigastisti. Ad esempio Franceschini spesso lo ha tirato in ballo, analizzando quel fenomeno come una sorta di anticipazione di un malessere sociale e di ‘devianza’ politica che, a sinistra, coinvolgendo l’operaiato e il sottoproletariato, avrebbe poi contribuito a dar vita alle BR.
    Non scordiamoci che fino ai primi anni del decennio precedente la Volante Rossa aveva impazzato per le stesse strade lombarde, bassopiemontesi, piacentine, continuando a mietere vittime tra ‘padroni’, servi dei padroni ed ex fascisti.
    Da non dimenticare (tanto per restare in ‘devianze’ che dal politico sfociarono, apertamente, nel criminale) il film, seppur, a mio avviso, non riuscito, Gangsters, di Guglielmi, con Sbragia, Fantastichini, Marescotti, Cederna, Scarpati… se non ricordo male uscito in sala nei primi anni ’90.
    Ottimo ricordo, fk, e ben scritto… a momenti sfiora un certo Cacucci della “Banda Bonnot”, libro che amo, seppure non prenda in toto lo scrivere di Pino (ma è pur autore che sa ricreare certe ‘epopee’… certe atmosfere quel tanto ‘mitiche’, quel tanto esaltantemente letterarie).
    Grazie per questa pagina.

  6. Grazie a te per il tuo contributo, Gian Ruggero. A proposito, spero di avere un tuo nuovo pezzo, su quello che ti pare, che tanto cosa scrivi scrivi è sempre bello e interessante.
    “Gangsters” in effetti non è granché, ne ho “brutti” ricordi.
    Prossimamente pubblicherò una mia intervista a Maurizio Orlandi (del quale c’è un pezzo, più sopra) , il regista del documentario su Cavallero “Il bandito della Barriera”.

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