Seminario Internazionale sul Romanzo (SIR)

Seminario Internazionale sul Romanzo (SIR)

La sindrome di Schwob
Finzione e documento nel romanzo

(…) Una domanda sembra essere al centro di questo momento estetico: perché l’arte per essere tale ha sempre più bisogno di «realtà»? Perché il «documento» concorre in misura così invasiva alla creazione? Un tempo non molto lontano il romanzo inglobava il saggio. Oggi, sembra avvenire il contrario. Mi chiedo: ciò dipende dal fatto che la nostra percezione fantastica del mondo si sta sempre più indebolendo, o meglio, è sempre più oppressa e sterilizzata dalla percezione documentaria dei fatti, delle informazioni, tanto che non riusciamo più a concepire un romanzo come una finzione?

La serietà dei fatti ha vinto sulla non serietà dell’arte, sulla libertà e sullo spazio ludico, tanto che il romanzo non gioca più con il «documento», ma il «documento» sembra bastare a se stesso, riproducendo al massimo varianti del romanzo a tesi o del roman-enquête? Se le cosse stessero così, staremmo vivendo una tappa ulteriore di quella tradizione che Carlos Fuentes chiama di «Waterloo», realista, di costume, naturalista, concorrente del registro civile, che ha dato i suoi migliori frutti nel XIX secolo, la quale si contrappone alla tradizione della «Mancha» che, nata come «un contrattempo della modernità trionfante» con Cervantes e continuata nel XVIII secolo con Sterne e Diderot, è al contrario un invito al gioco, al sogno, al pensiero e alla celebrazione della finzione. Alcuni segnali potrebbero indurci a seguire questa pista. Se li seguissimo sino in fondo, potremo ritrovarci in piena crisi regressiva. E, soprattutto, senza complessi di sorta, avendo smesso da un pezzo di leggere Stendhal, Balzac e Flaubert. Bisognerebbe anche chiedersi se questa riduzione dell’arte a documento, del romanzo a cronaca e a «registrazione» dell’attualità, tipica di epoche di euforia scientifica e di entusiasmi storici, non sia invece la conseguenza del nostro estenuante relativismo e del nostro disincanto rispetto alla possibilità di dialogare con il passato antico e prossimo. Ma può essere che ci siano altre piste. Si potrebbe concepire, ad esempio, questo bisogno dell’arte di nutrirsi di realtà documentaria come una forma di «moralità», di «testimonianza», un desiderio di dimensione autenticamente tragica contro l’irresponsabilità degli effetti speciali di una cultura altamente disneyizzata. O come una nuova forma di engagement contro il romanzesco, il Kitsch, il feuilleton dilagante. O, ancora, come una forma di difesa contro l’esotismo letterario, inteso come malattia endemica del mondo globalizzato (…)
M.R.

Incontri 2007

Gio. 11 gennaio – seminario
15.00 – 17.00 (Francesco Forlani)

Gio. 18 Gennaio – seminario
15.00 – 17.00 (Antonio Moresco)

Gio. 25 gennaio – seminario
15.00 – 17.00 (Silvia Bortoli)

Gio. 8 febbraio – seminario
15.00 – 17.00 (Francesco Zambon)

Gio. 22 febbraio – seminario
15.00 – 17.00 (Gianni Celati)

Gio. 8 marzo – seminario
15.00 – 17.00 (Eraldo Affinati)

Gio. 22 marzo – seminario
15.00 – 17.00 (Gianluca Gigliozzi)

Gio. 5 aprile – seminario
15.00 – 17.00 (Ornela Vorpsi)

Gio. 19 aprile – seminario
15.00 – 17.00 (Giacomo Sartori)

Gio. 26 aprile – seminario
15.00 – 17.00 (Bozidar Stanisic)

Gio. 10 maggio – seminario
15.00 – 17.00 (Andrea Inglese)

Gio. 17 maggio – seminario
15.00 – 17.00 (Miguel Gallego Roca)

Gio. 31 maggio – seminario
15.00 – 17.00 (Ingo Schulze)

Gli incontri si terranno alla Facoltà di Lettere e Filosofia
Università di Trento
Via S. Croce, 65 38110 TRENTO

(Vedi: http://portale.unitn.it/lettere/)

Per informazioni:
Walter Nardon – Stefano Zangrando
Dipartimento di Studi letterari, linguistici e filologici
walter.nardon@lett.unitn.it – stefano.zangrando@lett.unitn.it

8 COMMENTS

  1. è il punto nodale, credo, di tutte le questioni – di quelle ‘eterne’ come le dispute e di quelle recenti come nella bellettristica mediatica – e il post si ferma qui? fa venire l’acquolina in bocca…

    VS il romanzo-inchiesta, dunque… ricordo un recente titolo-slogan di cortellessa: ‘l’avventura del romanzo’… perchè non contrapporre, meditando, una freddura opposta e speculare: non il romanzo-inchiesta, ma ‘l’inchiesta del romanzo’ ? (e qui sciascia ci starebbe bene). Se fatto bene, sconfina anche nel fantastico e nel visionario, gli avventurosi possono stare ben tranquilli.

    perchè non pubblicare il resto del post (o una sua parte più consistente), magari indicando qualche nome o qualche argomento delle conferenze in programma?

    saluti zdanoviani, f.

  2. Catastrofe dell’Occidente fu dimenticarsi cos’è e gli usi dell’immaginazione, come la decisione di tenersi ai margini delle questioni capitali. Ora si crede ai fatti senza che nessuna sa più cosa essi siano.

  3. Ma se ci hanno rotto e stracotto più che sensibilmente le tartacule con specchi della realtà visti in giallo o in noir quasi che questi fossero i sinceri, “veritieri” strumenti della lettura del mondo, ovvero:
    ora vi spiego io, o popolo bue dei lettori, quanto sono cattivi i potenti, i maffiosi, i camorristi.
    Eppure lo leggiamo tutti i giorni sulle news, sulla carta delle gazzette, non basta, no:
    bisogna sentirselo ripetere, pure enfatizzato, in romanzi e racconti, in pappuliate di ogni genere, basta che la moda vada, tiri, giri.
    Alla fin fine, pure essendo di sinistra, io ci ho una nausea estenuante di storie di crimine politico, che mi vien voglia di scrivere una favola di gnomi come berluschini, Campanellino come Andreotti e Capitanuncino come D’Alema.
    Io mi rimango, per dire, nel Deserto dei Tartari o al massimo col nostro agente all’Avana.

    MarioB.

  4. Oppure,il binomio finzione-documento potrebbe essere inteso come nuova forma tramite cui dare espressione ad una questione più volte esplorata dal romanzo: la necessità di considerare il legame inscindibile tra estetica ed esistenza…

  5. L’immaginazione, oggi assegnata alla sfera dell’inconscio e proscritta dalla conoscenza come rudimento acritico e infantile, è quella che, in realtà, stabilisce il rapporto con gli oggetti, in cui ha origine, per forza di cose, ogni giudizio e la sua – visione. Espulsa – implosa – l’immaginazione, è esorcizzato anche il giudizio e l’affabulazione della realtà. Ma la castrazione della percezione ad opera dell’istanza di controllo, che le vieta ogni anticipazione emotiva, la costringe ipso facto nello schema dell’impotente ripetizione del già noto e, l’immaginazione ridotta a fantasia, come magma caotico e fuorviante ribolle nel subconscio.
    Il divieto di vedere, nel senso proprio della parola, si traduce nel sacrificio dell’intelletto. Di qui una brevità intellettuale di respiro, che si realizza nella soppressione della dimensione storica della capacità della coscienza di leggere la realtà. Una volta cancellata l’ultima traccia emozionale, non resta, del pensiero, che l’assoluta tautologia, della quale, la narrativa contemporanea italiana ne è l’esempio più diffuso.

  6. Io controdomando – con terribile ritardo e probabilmente nessun effetto – da quanto tempo invece è la finzione a guidare la storia. Stiamo in un mondo in cui la finzione è materia prima per l’agire politico. La controstoria del romanzo e i suoi documenti fattuali sono forse ciò che vede l’Angelus Novus di Bnjamin voltandosi indietro?
    Bisogna chiedersi cos’è in potenza del romanzo. Descrivere l’uomo? L’anima? La storia? La politica? Incarnare metafore? Illustrare allegorie? Tutto insieme? Le pagine del Dies Irae di Genna che mi si sono conficcate di pèiù nella mente, per esempio, sono quelle sulla fine dell’industriale democristiano. Sapessi perché, forse potrei cominciare un’inchiesta sul romanzo e sulla sua potenza.

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