Un tentativo di evitare la balbuzie a proposito di eutanasia / #1
di Christian Raimo
Da tre mesi e passa – come chiunque credo in Italia – mi sono trovato chiamato a riflettere sull’eutanasia dall’appello che ha fatto Piergiorgio Welby a Napolitano. Per tutto questo tempo, anche se ho seguito la vicenda con interesse, emozioni contrastanti ovvio, anche se – come chiunque nel mondo – ho avuto altre mille ragioni per pensare alla morte, anche se nel frattempo Welby è morto nel modo in cui è morto, non sono riuscito a formulare sulla vicenda di Welby neanche nella mia testa un brano di discorso che non fosse contraddittorio, monco, una balbuzie.
Questa paralisi era dovuta a un motivo molto preciso, credo. Non tanto il pudore che scatta automaticamente, il bisogno forse legittimo di elaborare convinzioni e sentimenti in un tempo e in un modo diverso da quelli imposti alla vicenda dall’urgenza mediatica. Questo pudore è giusto (nei termini in cui i dibattiti oggi spesso si riducono a un sondaggio su repubblica.it), ma rischia di essere pilatesco. Il motivo reale è che io, nella mia vita, cerco di essere cristiano, e cerco di essere una persona di sinistra. E di fronte alla sofferenza e alla richiesta di Welby, sono rimasto a lungo in un doppio vicolo cieco.
Un paio di mesi fa ho comprato il suo libro, “Lasciatemi morire”. L’ho letto, e l’ho trovato il libro di una persona molto razionale, che scriveva – a prescindere dal ricatto emotivo del contenuto – delle poesie anche belle, che poteva parlare con franchezza alle volte spietata di qualunque cosa, vista la conoscenza diretta della sofferenza che ha avuto per trenta e passa anni. E, cosa non da poco, nel suo stato ha continuato ad essere, a presentarsi fino all’ultimo come una persona che ispirava simpatia, ironica, autoironica.
Mi ha colpito – e non era facile proprio per l’eccesso di rilevanza data alla sua storia, cosa che spesso produce l’effetto opposto, di esaurimento emotivo e razionale – la forza argomentativa del libro, la sua esattezza logica che cercava di rovesciare le retoriche che si oppongono in modo cieco all’eutanasia, nel momento, ad esempio, in cui descrive la “naturalezza” della lunghissima serie di operazioni compiute attraverso le macchine, o direttamente dalle macchine, per tenerlo in vita. E la pagina paradossalmente più toccante per me è stata quella in cui parlava del modo in cui si nutriva. Da anni ormai veniva nutrito attraverso un sondino infilato direttamente nell’apparato digerente alimentato con un cibo preconfezionato semiliquido, molto proteico, concepito apposta per casi come il suo. Ce ne sono due marche, spiega Welby, e a un certo punto del decorso della malattia, lui sviluppa un’allergia verso il Pulmocare, quello di qualità migliore (citando Chaplin dice: “la vita è una tragedia in primo piano, ma è una commedia in campo lungo”). E appunto, ciò che mi ha commosso nella sua banalità è questo: lla confessione, il tono arreso, nel momento in cui descriveva come, venendo alimentato per dodici ore consecutive in modo da permettere in un corpo così malato i processi digestivi, non provava più da anni né la sensazione della sazietà né la sensazione della fame.
Non so perché ma mi dicevo, prova a immaginarti di non avere più neanche il desiderio o sentire la mancanza del cibo, prova a pensarti senza neanche questo stimolo primario.
A un certo punto Welby è morto, perché un anestesista si è preso il compito di sedarlo e staccare la spina al respiratore artificiale. Non ha avuto funerali in chiesa. Perché il catechismo della Chiesa Cattolica dice, negli articoli che sono stati citati dal Vicariato di Roma per giustificare la mancata concessione dei funerali religiosi, questo:
2276 Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale.
2277 Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile.
Così un’azione oppure un’omissione che, da sé o intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce un’uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto del Dio vivente, suo Creatore. L’errore di giudizio, nel quale si può essere incorsi in buona fede, non muta la natura di quest’atto omicida, sempre da condannare e da escludere.
2278 L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico ». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.
2279 Anche se la morte è considerata imminente, le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. L’uso di analgesici per alleviare le sofferenze del moribondo, anche con il rischio di abbreviare i suoi giorni, può essere moralmente conforme alla dignità umana, se la morte non è voluta né come fine né come mezzo, ma è soltanto prevista e tollerata come inevitabile. Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata. A questo titolo devono essere incoraggiate.
2280 Ciascuno è responsabile della propria vita davanti a Dio che gliel’ha donata. Egli ne rimane il sovrano Padrone. Noi siamo tenuti a riceverla con riconoscenza e a preservarla per il suo onore e per la salvezza delle nostre anime. Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo.
2281 Il suicidio contraddice la naturale inclinazione dell’essere umano a conservare e a perpetuare la propria vita. Esso è gravemente contrario al giusto amore di sé. Al tempo stesso è un’offesa all’amore del prossimo, perché spezza ingiustamente i legami di solidarietà con la società familiare, nazionale e umana, nei confronti delle quali abbiamo degli obblighi. Il suicidio è contrario all’amore del Dio vivente.
2282 Se è commesso con l’intenzione che serva da esempio, soprattutto per i giovani, il suicidio si carica anche della gravità dello scandalo. La cooperazione volontaria al suicidio è contraria alla legge morale.
Gravi disturbi psichici, l’angoscia o il timore grave della prova, della sofferenza o della tortura possono attenuare la responsabilità del suicida.
2283 Non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita.
La Chiesa l’ha fatto per chiarezza, si è detto. Il funerale non è un sacramento, ma la Chiesa non può autoridursi a fungere da religione civile: la serietà di un rito va tutelata.
Negli stessi giorni della morte di Welby, moriva anche il generale Augusto Pinochet. E da cristiano moralista ottuso, la domanda che mi ponevo era questa: perché ad Augusto Pinochet i funerali sì, e a Piergiorgio Welby no? Se la questione sta nel dichiararsi deliberatamente fino in fondo contro la vita, non aveva forse Welby a un occhio umano, di buon senso, delle attenuanti nel desiderare la morte, la propria?E il generale Pinochet, che fino in fondo, non ha dato un cenno pubblico né di ammissione di colpa né di pentimento?
Mi manca qualcosa, mi dicevo, perché riesca a credere convintamene in una chiesa che non si muova per convenienze pubbliche. Cosa?
Dio guarda in fondo ai cuori. Se la Chiesa prega per l’anima di Welby come per quella di Pinochet, Dio decide chi salvare, perché non concedere a Welby i funerali pubblici? Ma questa domanda, ho capito dopo, era formulata male.
Ho seguito le varie infinite dirette radiofoniche su Radio Radicale, ho ascoltato i dibattiti in cui venivano contrapposte le visioni di una Rosy Bindi e di un Marco Cappato, e ho seguito la diretta dei funerali laici davanti alla chiesa di Don Bosco.
In tutto questo tempo, riflettevo, non sono mai riuscito a immedesimarmi fino in fondo nelle parole di un cristiano, interpellato in uno dei vari dibattiti. Questo è il punto per me dolente: perché? Nonostante trovi fastidiosa l’ideologia ricattatoria, coatta quasi, con la quale i radicali pongono i temi come quelli dell’eutanasia al centro del dibattito politico; nelle discussioni tra Bindi e Cappato, mi veniva da stare dalla parte di Cappato. Nel momento in cui Bindi diceva: “Quest’uomo ha bisogno di amore e di comprensione, non di un’eutanasia”, Cappato aveva buon gioco nel risponderle, facendo sue le parole di Welby stesso, che l’amore e la comprensione lui le trovava proprio nell’eutanasia, nel rendere meno fisicamente doloroso il momento del trapasso.
Il paradosso di Welby è ch’egli ha vissuto decenni della sua esistenza venendo vagliato, si potrebbe dire, per quanto riguarda la sofferenza, ha sperimentato proprio per tutta la sua esistenza quanto l’uomo non sia padrone della sua vita. Ha dovuto rendersi conto che anche un gesto così basico come respirare autonomamente non era scontato, era in qualche modo un dono, un accessorio al suo essere in vita. Lo scandalo per un cristiano è: perché un essere che è stato per gran parte della la vita un servo sofferente, non si è convertito? Perché non ha invocato Dio, invece dei Radicali e del Presidente della Repubblica?
Bindi, da cristiana, ha ragione su un punto. Leggendo il libro di Welby, fa male (sempre per un cristiano, ma forse per chiunque) sentire la mancanza della speranza in una dimensione trascendente che pervade il libro. Se una persona che vive più di metà della sua vita nella sofferenza, non trova un senso in quella sofferenza, come potrò io, essere umano con molta meno forza d’animo di Welby, riuscire a trovare un senso nelle piccole sofferenze della mia vita?
Tutto questo è vero. Ed è vero che se Welby ha trovato un senso, almeno parziale, consolatorio, negli ultimi anni che ha vissuto è stato quello della vicinanza degli “amici radicali”. Questo è innegabile. Marco Cappato e tanti militanti dei radicali sono stati vicini alla famiglia in maniera costante, capillare, militante appunto. Per strumentalizzare la battaglia politica? Anche, certo – come Welby stesso voleva. (Ha usato il suo corpo, inutilizzabile per qualunque altra cosa, come simbolo visibile di una battaglia politica).
La domanda per un cristiano, per me forse, allora è un’altra. Perché nessun cattolico mediaticamente rilevante non è andato a trovare Welby nella sua stanza d’agonia prima che morisse? Se la contrapposizione d’idee e di sentimenti diventa anche pubblica, mediatica appunto, e non riguarda solo, pudicamente, il segreto dei nostri cuori, perché un sacerdote conosciuto, un vescovo, una figura rappresentativa del cattolicesimo non si è spesa pubblicamente con un gesto, una lettera, un tentativo di dialogo. Perché nessuno ha cercato una vicinanza reale piuttosto che trattare Welby come un caso astratto? Perché nessuno si è impegnato non nel caso Welby ma con la persona Welby concretamente? Perché nessun cristiano è riuscito a dimostrargli – oltre che dichiararlo a parole – di volergli bene, di essergli vicino, di comprendere il suo dolore “indicibile”?
O qualcuno ci ha provato e mi è sfuggito?
Il problema dell’essere umano è che nessuno conosce, sperimenta, qual è la sofferenza altrui. Quando si dice che una persona accanto a noi prova un dolore “indicibile”, la nostra sofferenza raddoppia perché siamo scoperti nel vuoto di questa indicibilità. Possiamo solo provare a immaginarcelo il dolore di un altro. Possiamo avvicinarci al suo dolore solo “empatizzando” (etimologicamente appunto) con quella persona. Ma è difficile farlo in modo astratto.
La forza con cui negli ultimi anni del suo pontificato Giovanni Paolo II dava credibilità alla sua pastorale è consistita nell’accettare a diversi livelli anche le conseguenze visibili della sua infermità. Chiamare i cristiani di oggi, disabituati in molti casi a confrontarsi con il dolore, a un rapporto diretto, a un’empatia se possibile con il lungo decorso di una malattia sempre esposta.
Nel suo libro sulla “Storia della morte” Philippe Ariès confronta l’evoluzione dei rituali che si svolgono intorno al moribondo. A riti che prevedevano l’allettamento del moribondo, il congedo da tutti i familiari, le lunghe chiacchierate a ricordare i tempi della vita, insomma a tutto ciò che in un modo o nell’altro faceva sì che la malattia e la morte facessero parte del ciclo vitale, il Novecento ha risposto con l’ospedalizzazione del malato e con la medicalizzazione della malattia, la riduzione del malato a caso clinico.
Che cosa fare da credenti? Quanto della battaglia di Welby contro l’innaturalezza della medicalizzazione della sofferenza ci tocca da vicino? Quanto riusciamo a essere empatici?
(continua)
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Christian, anche se non ci conosciamo, posso avere, per cortesia, la tua mail? O devo per forza scrivere pubblicamente?
Valente Maria,
di mail ti do la mia: macosadici@hotmail.it
Quella del Christiano non la vale le pena, perché scrive lungo come fosse un vangelo.
Confonde e si confonde. Manca la maniera.
Non è poco e stupido quello che dico. E qui che manca l’editing, è qui che manca la redazione.
Da qui si vede il professionismo dal libero dilettantismo.
Buon anno a tutti, anche a quelli prolissi e senza stile.
Tanto all’eutanasia legalizzata in Italia, per cristiani o no, si arriverà per forza di cose come già avvene che il Vatic. abolì il divieto di cremazione.
Siamo in troppi su questa terra,
e troppi sono i vecchi, me compreso,
ma per ora non sono decrepito.
Ho visto tanti malati terminali, in ospedali, cliniche, case che invocavano la liberazione, cioè la morte.
Mio cugino urlava in corsia:
Ma fatemi un’iniezione grossa di morfina,
fatemi morireeeeee. voglio morireeee…..
Quell’ urlo terribile mi ha segnato,
ce l’ho dentro le vene.
Ora sono troppo indignato per tentare solo di comprendere le ragioni del Cattolicesimo ufficiale.
E’ una vergogna nazionale.
Per questa lugubre macabra “oganizzazione” dalla tripla morale
non esiste nessuna considerazione della sofferenza,
che non ha nessun valore in sè,
non esiste un valore della sofferenza:
è solo dolore e basta.
E molte, tante persone chiedono soltanto di finirla di soffrire,
andate a farvi un giro negli ospedali!
Si rimane poi così:
che chi ha i soldi si fa esportare in Svizzera per morire degnamente,
come ai tempi dell’aborto.
Tengo a far notare che per buona parte dei buddisti è lecito pure il suicidio…..
MarioB.
Tutto fa questo pezzo di Christian fuorchè confondere e confondersi, e non è lungo come un vangelo ma netto come una sua pagina.
Le osservazioni sull’editing mancante ed il presunto dilettantismo prolisso e senza stile, mi sembrano invece davvero osservazioni di maniera, senza peso.
Sicuramente un pezzo degno di grande attenzione, che fa riflettere,
e non è poco!
Capisco Maria, che vorrebbe approfondire…
anche se a volte, credo, un fondo di paura a chiarire certe cose rimane.
Un caro saluto
carla
e così anche raimo ha fatto outing.
questo era un blog di scrittori credenti, ma non si vedeva.
adesso si vede.
per esempio nella domanda, completamente senza senso, sul “significato” della sofferenza.
io sono abbastanza vecchio, ma voi credete davvero di potervi inoltrare nel futuro con quest’attrezzatura concettuale?
ho letto con vivo interesse il pezzo, e ti ringrazio anche per aver messo gli articoli del CCC, perchè un po’ per pigrizia, un po’ per paura – lo ammetto – non volevo andarli a cercare. anche io sono cristiana e anche io voto a sinistra, e specialmente in questo caso sento dentro di me le stesse forze opposte che descrivi tu. quello che mi sconcerta di più è proprio il fatto di percepire la totale assenza della dimensione divina nelle parole di welby, secondo la sua prosepttiva, voglio dire. voglio una risposta a tutti i costi e non la trovo, e ciò dimostra quanto sono infantile e quanto non comprendo i disegni di Dio. ti ringrazio per questa cosa che hai scritto, il mio atteggiamento è sempre quello di ficcare la testa sotto la sabbia, e meno male che invece poi c’è qualcuno che mi riporta ai fatti.
(ma continua dove?)
p.s.Tashtego:
Le domande…non sono mai senza senso!
e poi…chi è abbastanza vecchio non dovrebbe essere più saggio?
saluti
carla
No,no, nessuna paura ad approfondire, se volete leggere il mio stomaco ha già parlato ieri notte su Absolute, più o meno alla stessa ora (post: Controversi di Lello Voce), ma lì rispondevo ad un ipocrita, di cui ometto il nome, che parlava senza cognizione, mentre lo scritto di Raimo è d’un altro stampo e lo apprezzo e se ne può discutere,e anzi non capisco perché Raimo attiri tanta ostilità, volevo la sua mail per dirgli proprio questo, visto che non è stato possibile lo faccio qui e lo faccio Ot: in queste orribili giornate, mi è capitato tra le mani il tuo libro Latte, l’ho letto ieri tutto d’un fiato e volevo farti i miei complimenti, molto bello, non capisco perché trutti quei giudizi negativi su ibs, volevo solo ringraziarti e dirti che sono stata in ottima compagnia.Tutto qua. Va bene detto anche così, in fondo e gli altri mi scuseranno.
non sei la sola ad apprezzarlo, Maria! Scrive molto bene e soprattutto trasmette calma …
e poi….se il pezzo attira ostilità è perchè ha valore!
Ora vado a leggerti su absolute
un abbraccio
carla
Dopo vent’anni di lavoro a contatto con la sofferenza, anzi immersa nella sofferenza, io il significato della sofferenza proprio non riesco a trovarlo e nemmeno i pazienti gravissimi che ho curato. L’ultima persona che mi ha turbato profondamente si è scarnificata le gambe con un paio di forbici e ha provato a tagliarsi la gola. Troppo debole per la malattia il suo tentativo è andato a vuoto. Voi ci trovate un significato? E allora il senso ce lo chiediamo noi da sani, impotenti di fronte al dolore. Chi soffre non si fa domande, vuole porre termine a una non vita. Questi i fatti basati sulla mia esperienza professionale. Raimo si chiede quanto riusciamo a essere empatici. Spesso io vedo il fastidio nelle persone oppure un buonismo d’accatto, entrambi gli atteggiamenti velano la paura della morte, l’angoscia dell’impotenza. Credenti e non credenti. E’ faticoso vivere la pietas.
Ottimo questo post di Raimo.
Solo due appunti, prima di riportare il mio commento, presente già nel mio blog, su Welby:
-Welby era credente, a sentire l’intervista della moglie: ha perso la speranza (la fede? forse, la mogli dice di non sapere come sia cambiato il suo rapporto con Dio) al momento dell’applicazione dell’elettroventilatore-
-La Bindi è convinta che con l’amore delle persone care nessuno possa mai volere l’eutanasia (o la fine delle cure, che poi cure non sono): purtroppo lei lo crede in buonafede ma questa sua “fede” è frutto dell’ideologia cattolica, che poco ha a che fare con la fede (quella vera) cristiana. Si noti a questo riguardo il passo citato nel catechismo, assai contraddittorio, che dice che Dio è Padrone della vita che ci ha donato – poi corretto in “affidato”: non è quindi un vero dono ma un prestito, un affido: dato a chi, se noi senza la “nostra” (sua?) vita non siamo nulla?
Il caso Welby: i radicali insegnano la carità cristiana alle gerarchie cattoliche e ai cattolici in politica
Delle beghe giudiziarie che ci saranno a seguito della morte di Welby mi interessa solo per valutare eticamente ciò che è successo.
E il mio giudizio etico è che i radicali, e il medico Riccio in particolare, hanno compiuto un atto altamente morale, guidato dalla carità (cristiana e non solo), intesa nel senso più attivo del termine. E’ anche un atto di coraggio, visto il rischio che il medico corre di fronte alla giustizia.
Gli esponenti politici cattolici, a partire dalla Bindi (che io stimo), che ha sentito il dovere di esporsi, hanno parlato di pietà per Welby, di fatto escludendo la carità, che implica – a differenza della pietà – il compromettersi in prima persona per aiutare l’Altro. La Bindi ha condannato quanto fatto dai radicali dicendo (con un certo delirio di onnipotenza, indice della matrice ideologica del suo pensiero) che mai la legge lo consentirà.
Anche le gerarchie ecclesiali hanno dimenticato cosa sia la carità, negando le esequie religiose chieste dalla madre di Welby in nome di un principio (secondo il quale porre fine alla propria vita contrasta con la dottrina cattolica) che, se applicato alla lettera, se cioè si dovessero negare le esequie a chiunque agisce in contrasto con la dottrina, dovrebbe essere esteso a molte altre persone, direi quasi a ogni cattolico. Ma questo principio (che ormai non viene quasi più applicato neanche per i suicidi, si veda i molti suicidi “eccellenti” con funerali in chiesa, e non si vorrà dire che erano tutti incapaci di intendere e volere o angosciati ecc. tranne Welby) viene applicato al solo caso Welby per la natura ideologica che sta alla base delle scelte ecclesiali, che ormai riducono la dottrina cattolica all’opposizione a leggi su aborto, fecondazione artificiale, pacs, eutanasia.
Ancora una volta dobbiamo constatare con tristezza che Cristo oggi non sarebbe riconosciuto dalla maggioranza dei cattolici.
l’argomento è delicato, complesso. eppure, almeno un paio di questioni le ho chiare.
sono assolutamente convinto che la vita apaprtenga a me e non a Dio. sono sicuro che la sofferenza sia terribile e ne vedo la necessità solo fino ad un certo limite; quello funzionale alla rivelazione della bellezza e unicità della porpria vita. oltre quello, secondo me, è inutile.
onde evitare attributi di leggerezza e semplicità, dchiaro di aver conosciuta da vicino la sofferenza: personalmente e professionalmente
Uscire dalle solite domande, dai binari tracciati dalle credenze, e ammettere che dolore, vita, morte e quant’altro non hanno alcun significato assoluto, riconoscibile ed imponibile come tale.
Riconoscere la “sacralità” della persona, facendo piazza pulita di concetti come “sacralità della vita”, “vita dopo la morte”, “bene/male”, eccetera.
Riconoscere ad ogni persona la sua individualità e la sua storia, rispettarne la volontà, riconoscere ciascuno di noi come titolare assoluto della propria vita, rispettare la volontà di porvi termine in qualsiasi momento, facilitare su richiesta tale volontà, affinché avvenga senza dolore.
Accogliere quelli che per un motivo o per l’altro non desiderano più vivere e accompagnarli sulla soglia della morte con competenza, attenzione, affetto, evitandogli orribili traumi, agonie vergognose in letti d’ospedale, eccetera.
Chissà perché è tanto difficile arrivarci.
(domanda retorica)
Grande Tash,
sarebbe così facile.
E invece la speculazione filosofica (con tutte le sue ideologie e religioni) è la rovina dell’umanità!
Dopo anni in cui combattevo chi la pensava come Tash, sono arrivata alle sue conclusioni e al pensiero di Cristiano. Per questo motivo occorre una legge, anche per mettere fine alle eutanasie clandestine, non c’è bisogno di andare fino in Svizzera… è questa ipocrisia di merda che è stucchevole.
Com’è che un post su un argomento così viene affrontato sul piano dello stile? forse è la stessa ragione per cui un “problema”. (inconveniente direbbe Silvio), come quello di Welby viene affrontato in termini politici.
Subito mi verrebbe da dire che la questione era risolta tout court con l’articolo 2278, e che il resto è dibattito ideologico.
Io sono convinto che mentre la politica ha patente di legiferare sulla vita farebbe bene ad astenersi dal farlo sulla morte e lo stesso direi di una religione politicizzata che comunica solo più a slogan e articoli del codice.
Dei radicali, istintivamente, non mi fido mai, il “sacrificio” di Welby, che ha donato i suoi organi ancora legalmente vivi alla battaglia politica non lo posso certo giudicare, ma mi sembra che fronteggiare una suffragetta del dolore per tutti come la Bindi e un radicale, considerandoli i due poli del dibattito mi sembra inadeguato e fuorviante.
Mi sarebbe interessato di più sapere cosa ne pensano, ad esempio buddisti, hindu, protestanti, ortodossi, musulmani sciiti e sunniti, animisti del congo, persino i testimoni di geova, che sono una delle religioni più presenti sul territorio italiano e ricevono l’ottopermille.
Mettere a confronto le posizioni religiose diverse e non lasciare che come il solito la corte vaticana faccia la parte dell’unica religione vera o comunque in grado di affrontare un dibattito sul tema della morte in Italia, tanto più che la posizione “pubblica” di Welby li ha in qualche modo costretti a fronteggiare un problema politico e non usare quel poco di pietà che ancora potrebbero usare.
E sarebbe anche interessante che si strappasse di mano la fiaccola dell’eutanasia a chi vuole equiparare la morte procurata artificialmente all’interruzione di una vita prolungata artificialmente, ma non sarò io a fare uno sciopero della fame per questo, mi accontenterei del diritto di staccare la spina a suo tempo, avere un braccio libero e sfilare quel cazzo di cavo, anche senza anestesia.
la mia mail è fandzu@gmail.com,
è vero che in certi punti il pezzo era tirato via, editorialmente parlando, ma questo era dovuto a dei problemi che ho avuto col mio pc. e quindi ho fatto dei piccoli aggiustamenti. ma volevo che fosse anche un post da “diario aperto”, da pensieri ad alta voce, come dico nel titolo. proprio per la limitatezza che dichiaro.
buon anno, lo dico qui.
Se si separa la vita dalla morte, come fa la Chiesa Cattolica e il Pensiero Scientifico Moderno, perfettamente solidali in questo, è chiaro che si perviene a tutta questa serie di dilemmi molto ben descritti da Raimo.
Chiesa Cattolica e Scienza mostrano così lo stesso volto, quello della paura della morte, che entrambe combattono, sebbene con mezzi differenti. La Chiesa con la “sua” fede e la Scienza con “l’altra fede” (mostrare le origini di questa alleanza sarebbe epistemologia e storiografia).
Entrambe sono fondate con una pasta poco solida.
Altra cosa era la fede di Gesù. Un inciso. Dal punto di vista buddista rimane il problema dell’esser vigili, coscienti durante la morte.
Una volta che si scacci dalla propria mente l’idea perversa di separare la vita dalla morte, non c’è più ragione perché l’uomo, libero di intendere e volere, non giudichi e decida cosa fare delle proprie condizioni. La sua libertà di scelta è la sua massima moralità e il suo destino è il nesso misteriosamente necessario tra il suo carattere e gli eventi che gli si costellano incontro. In qualcuno plasma la speranza, in qualcun altro porta al suicidio. In entrambi casi non c’è scissione tra il bene e il male.
Il divieto dei funerali è aberrante. Non ci possono essere dubbi, per i preti intendo, se i preti credono davvero in un paradiso, che Welby l’ha ampiamente conquistato. La carità poi è ben altra cosa. E il rifiuto dei funerali e il pregare per chi attenta alla propria vita è religione civile (qualunque cosa significhi questa espressione priva del tutto di ogni senso)
a MarioB.
“Si rimane poi così:
che chi ha i soldi si fa esportare in Svizzera per morire degnamente,
come ai tempi dell’aborto.”
Mario, non servono tanti soldi.
ne servono molti di più per andare a farsi curare un tumore in america.
e in rapporto ne servono molti di più per andare solo a guardare in sardegna i cosidetti vip che fanno passerella-
taglio e incollo da un articolo preso in rete:
“bastano 25 franchi svizzeri, per un totale di diciassette euro,
un certificato medico che attesti l’irreversibilità della malattia o una invalidità insopportabile dopo di che seguono incontri e colloqui, nei quali si chiarisce la volontà del malato. Una volta decisa l’eutanasia, nessuno potrà opporsi al desiderio del “cliente” di recarsi al quarto piano e farsi somministrare una dose di barbiturico. Letale.”
un saluto
paola
costa più un funerale che morire.
paola
“Mi dispiace di morire ma son contento…”
(Ettore Petrolini)
cara polvere, le fonti, anche di rete, si citano sempre e in modo dettagliato.
giusto.
ecco dunque la fonte.
qui
@tashengo
è stato una svista.
hai ragione.
ma se mi avessi scritto perfavore sarebbe stato meglio.
paola
perfavore
“La peggiore corruzione morale dell’essere umano è senza dubbio aver cercato di giustificare la sofferenza come mezzo per guadagnarsi la benevolenza del principio creatore della vita, il padre.
Uno dei fondamenti comuni di tutte le religioni o filosofie che propongano la perfezione etica e morale dell’essere umano è la rinuncia e il sacrificio in funzione del valore superiore… in teoria.
Se è eticamente esemplare rinunciare alla bramosa schiavitù di alcuni sensi. Se è esemplare rinunciare al piacere che può darci qualsiasi bene materiale quando comporta la sofferenza, lo sfruttamento o l’abbrutimento altrui. Se la vita è un bene superiore, rinunciarvi volontariamente è un atto perlomeno degno di essere rispettato e tollerato da coloro che si proclamano difensori della vita. Rinunciare alla vita è il maggior sacrificio che possa compiere un essere umano. La vita non è banale. La sofferenza incurabile è alquanto superflua: un’umanità che la giustifichi con il pretesto dell’etica è moralmente corrotta. Una giustizia che si avvalga di ambiguità concettuali, linguistiche e formali per non rispondere alla richiesta di un diritto che la ragione considera universale segna la sconfitta della ragione stessa. La sconfitta della ragione è la sconfitta della giustizia. E la sconfitta della giustizia è l’inferno. ”
RAMON SAMPEDRO
http://www.exit-geneve.ch/index.html
“Esistono associazioni svizzere che richiedono solo un certificato di malattia incurabile e una dichiarazione di volontà da parte del paziente. L’avvocato Ludwig Minelli, presidente della “Dignitas” di Zurigo, non ha avuto difficoltà ad ammettere che riceve anche telefonate disperate di italiani che chiedono aiuto; che quando sarà il momento, loro saranno pronti ad aiutarli; che non comprende l’atteggiamento di associazioni che rifiutano stranieri; che è disumano, quando vedi un uomo soffrire, chiedergli se è svizzero o meno… Nel 2000 oltre cento svizzeri avrebbero fatto ricorso al suicidio assistito, così chiamato perché chi aiuta deve limitarsi a preparare il cocktail mortale o a inserire la sonda nella vena se il richiedente non può bere. Sta poi al suicida ingollare o girare la manopola …Tre minuti per addormentarsi, coma profondo, dopo mezz’ora non si esiste più…”.
http://web.radicalparty.org/pressreview/print_right.php?func=detail&par=687
l’altr’anno per un esame di routine mi sono sottoposto, per la prima volta nella mia vita, a sedazione.
già nell’istante successivo all’introduzione dell’ago in vena ero entrato nel nulla.
al risveglio ho pensato: perché non abbiamo il diritto – tutti – di *poter* morire così?
poi ho pensato: chi davvero si oppone a che ciascuno di noi possa esercitare il pieno diritto sulle propria vita?
qualcuno conosce la risposta?
Accidenti, qui tutti diventano credenti di punto in bianco, praticamente un miracolo così grande che manco dio l’aveva previsto.
Poi, di punto in bianco, tutti diventano comunisti. Altro miracolo.
I più speciali, illuminati, nascono cattocomunisti e disgrazia loro ci rimangono per tutta la vita tranne qualche sveltina a destra, in centro, ancora a destra e ancora a destra e ancora a destra…
E poi tutti, destra sinistra, sinistra destra, centro: tutti moralisti, impegnati.
Piergiorgio Welby è morto, ha chiesto di morire: è morto da uomo, con dignità da uomo.
Mentre qui vanno avanti le speculazioni, del tutto inutili, su una persona che ha affrontato la morte, per sua decisione, a testa alta.
L’unica voce bella, tra i commenti, bella perché giusta quella di Luminamenti.
E basta, per dio.
La Chiesa è vergognosa.
I partiti sono vergognosi.
Speculare con ingegno intellettualoide sulla morte è vergognoso.
Ci si impegni a speculare sulle mancanze gravissime della Chiesa: una Chiesa oscurantista, medievale, da piena inquisizione.
Una sola cosa: l’articolo di Raimo è confusionario. A rendermelo chiaro per fortuna Luminamenti. Altrimenti.
Giuseppe Iannozzi
@tashengo
grazie
qui la (non) legislazione svizzera
Quindi l’eutanasia funziona meglio delle iniezioni che si fanno in Texas o negli altri stati a regime di pena di morte.
A questo punto mi sembra assolutamente lecito che chiunque in qualunque momento buio della propria vita lo faccia.
E’ meglio che stia zitto, non sapendo come mi comporterei in caso di grave malattia a previsione di lunga e dolorosa degenza terminale.
Non sono cose di cui so parlare, non credo alle leggi, non credo alla maturità degli uomini, Sri Ramakrishna diceva che la sofferenza è l’affitto che l’anima paga al corpo, non vorrei mai essere il giudice che ne stabilisce l’equo canone.
Preparazione alla Morte.
Lascia che la grazia
si diffonda sulle cose
non serrare la porta.
Datti all’ora assolata
e al cielo cupo
senza riserva.
Fai del mare
il tuo acquario
e della notte
una coperta
per il tempo del riposo.
Sciogli nella bellezza
anche l’ultima fbra
e alla pura meraviglia
arrendi della mente
i labirinti
(Alberto Melucci)
Il grande Homannsthal dedicò una poesia, Erlebnis, all’oltretomba.
“…E quietamente sprofondavo in quel tramar/Di mari trasparenti, e abbandonai la vita./Che meraviglia i fiori ch’eran là/
Con cupi ardenti calici!…/ Nel tutto / Dilagante saliva dal
profondo/ Una musica che opprimeva il cuore. E questo, io lo sapevo/
Pur senza comprenderlo lo sapevo. / Questa è la morte.
Che si è fatta musica. / Fortemente nostalgica, dolce e scuro ardente,/
Prossima alla più profonda tristezza. Ma strano!/ Una nostalgia senza nome piangeva senza suono/ … Come quando uno piange quando su una grande nave / Con gigantesche vele gialle verso sera / Su acque blu cupo lungo la città/ Patria costeggiando passa. E ne vede / Le vie, ne sente gorgogliare le fontane, odora/ Il profumo dei glicini, se stesso vede/ Bambino, stare presso la riva, con occhi di fanciullo, / Che sono angosciati e vogliono piangere, vede/ Per la finestra aperta luce nella sua camera/
Ma la grande nave lo porta / Oltre, scivolando senza suono sull’acqua blu cupo(…)”.
raimo ci sta regalando da tempo delle splendide (perchè vere) riflessioni. grazie a te, christian.
tashtego:
“… riconoscere ciascuno di noi come titolare assoluto della propria vita…”
E’ proprio questo il punto, la titolarità assoluta della propria vita. Non credo che sia una questione di fede religiosa. Bisogna solo decidere se la vita ha un valore collettivo o individuale. In altri termini, bisogna stabilire se la nostra la nostra esistenza conta qualcosa per gli altri (i nostri famigliari, i nostri amici, le persone che a qualsiasi titolo interagiscono con noi) oppure no. A complicare la cosa c’è il discorso legato al dolore, che è sempre individuale. Il rapporto tra la sofferenza e la libertà di scelta è complicato proprio da questa intricata faccenda. Da ateo non so dare una risposta. La scienza propriamente detta non credo si occupi di queste problematiche.
Luminamenti:
“… Pensiero Scientifico Moderno…”
cos’è?
Non siano i giudici a decidere della morte, perchè una volta codificata la sofferenza come ragione sufficiente diverrà suscettibile di riforma, di estensione, di interpretazione.
Lascino la sofferenza a chi soffre e la morte alla vita, e si dedichino ad amministrare la sofferenza da infliggere, quella si la possono quantificare.
Per una volta la pusillanimità dei giudici italiani è lodevole, i ponzi pilati hanno mostrato la moglie pietosa nella loro incertezza e pigrizia, il caso è chiuso, passato di competenza alla rota, possono lavarsi le mani e tornare a splendere per resistenza resistenza resistenza.
Pigrizia!!!
La pigrizia non si accompagna mai alla sofferenza….
non credi?
la pigrizia è un piacere.
saluti
carla
scusa toporififi…avevo interpretato pigrizia riferito alla moglie, scusami ancora!
a volte le parole giocano brutti scherzi!!!
ciao
carla
A me invece il pensiero di Toporififi non piace per niente, come a dire che ognuno si pianga la sua croce, tante grazie e finisca pure in galera il matricida per disperazione…
Il Prodan dice che la scienza propriamente detta non si occupa di queste problematiche, e invece non è vero, interferisce fin troppo, perciò urge una tutela, sa che io credo che uno dei peggiori nemici dell’uomo in fin di vita, oltre al prete, sia proprio il pensiero scientifico moderno? Vige ancora quella cieca fiducia illuminista, quel delirio d’onnipotenza della medicina che non può ammettere la sconfitta e perciò non s’arrende e s’accanisce con tutti i suoi alambicchi e pozioncine pur di non ammettere il Game Over.
E’ proprio questo lo strazio, il medico che conduce la sua crociata personale anche quando è persa la battaglia e non fa che infierire su un corpo già disfatto senza lasciarlo andare.
Quanto al problema individuale/collettivo è un falso problema, è logico che la scelta sia individuale, dal momento che la sofferenza è individuale, quanto l’esistenza di altri possa interferire, sarò soltanto io a decidere, se vorrò e potrò tenerne conto, non certo gli altri che con tutta l’empatia di questo mondo non potranno mai davvero soffrire al posto mio.
Dell’art di Raimo mi fa una certa tenerezza quella parte in cui lui immagina la scena tuttintorno al malato a ricordare i vecchi tempi…un po’ da film tipo Invasioni Barbariche, ma nel film ciò era possibile perché una persona ancora abbastanza lucida, ancora parzialmente sofferente, fissava in tutta serenità la data ultima…una cosa del genere è impossibile che avvenga quando ti costringono ad attendere indebitamente un finale che tarda e che temi ti colga di sorpresa nel momento sbagliato, quando magari uno è appena andato in bagno e tu hai ilterrore di rimanere solo di non sapere come fare, e poi lo spasimo che non t’abbandona mai non ti lascia alcuna energia, io ho visto più di qualche persona cara morire e ti assicuro che nessuno, volesse o non volesse andarsene, nessuno aveva più alcuna voglia di ricordare.
maria (valente):
“… io credo che uno dei peggiori nemici dell’uomo in fin di vita, oltre al prete, sia proprio il pensiero scientifico moderno…”
“Vige ancora quella cieca fiducia illuminista, quel delirio d’onnipotenza della medicina che non può ammettere la sconfitta e perciò non s’arrende e s’accanisce con tutti i suoi alambicchi e pozioncine pur di non ammettere il Game Over.”
La medicina non è scienza. E’ un’attività sociale che, attraverso l’uso delle scoperte scientifiche e delle tecnologie, cerca di far sopravvivere il più a lungo possibile l’umanità nel miglior modo possibile. Sembra un bizantinismo, ma non lo è.
il punto è che “il più a lungo possibile” e “nel miglior modo possibile” spesso non coincidono, chissà perché nessuna esitazione a scegliere il più a lungo (nel peggior modo possibile)…stiamo sempre alla ricerca della pietra filosofale, l’elisir di lunga vita, l’immortalità…?
Per TashTego
Di grazia, potrebbe gentilmente dirmi quale prova debbo superare per avere autorizzazione a commentare sul Suo blog?:o)
Chiedo scusa per l’off-topico mio post….
Maria (Valente). Lei ha una paura ingiustificata. Il problema che si pone oggi il medico è semplicemente il seguente: come mi devo comportare per non andare al gabbio?
Questo glielo dico per esperienza…
E’ molto più facile che si subisca una denuncia per una mancanza di zelo, piuttosto che per un eccesso di zelo.
Questo spiega perché si fa firmare una carta al paziente, nel caso in cui questo rifiuti un ricovero e quindi si opponga al parere medico.
La sua idea è veramente un luogo comune, con tutto il rispetto.
Che poi il medico aspiri a sconfiggere ogni male, questo credo sia un impulso estremamente positivo. E’ questo stimolo interno ad aver alimentato le più grandi e rivoluzionarie scoperte in campo medico, che consentono a molti di noi di campare più lungo e, forse la cosa la sorprenderà, anche bene o persino meglio.
Per quanto concerne il suo discorso sul “miglior modo possibile”, le dico, ancora una volta per esperienza sul campo, che il miglior modo è estremamente variabile da persona a persona e che quindi i limiti della decenza sono soggettivi.
Di tutta questa storia, infatti, la cosa grave è proprio che Welby conosceva i suoi limiti, sapeva di averli ampiamente superati, c’era a disposizione chi voleva che si rispettasse la sua volontà, ma lo Stato, o la Chiesa, o chi altri, si sono interposti.
Che poi, come è successo, le soluzioni uno le trova da sé. Dobbiamo costringere le persone a fare da sé per difendere la propria dignità? Avallando le intromissioni su queste questioni personalissime di coscienza, non perdiamo forse noi tutti un po’ di decenza?
Tutto come dice lei, solo una precisazione: non da un luogo comune ma da un locus deperditus proveniva la mia considerazione…ma, ammetto, casi specifici non generalizzabili.
io pure in OT
@barbara
a causa delle incursioni continue di un troll dedito all’onanismo webbico, sono stato costretto a restringere i commenti solo agli iscritti a splinder.
quindi per commentare ti devi loggare (si dice così?) in splinder.
mi scuso per il disagio.
Due giorni fa un mio caro amico la sera è andato a dormire per non risvegliarsi più. Aveva più o meno l’età di Welby e non era malato. Ha lasciato tutti di stucco specie la moglie al risveglio che se l’è trovato così, senza vita. Ma è stato fortunato, questa è la morte migliore, ideale. Morire nel sonno senza soffrire, ma non a tutti capita così. Pescando dal mare magnum letterario, ai tempi del racconto Il Cavaliere e la Morte, quasi vent’anni fa, Sciascia era gravemente malato. Nel racconto l’investigatore Vice è malato di cancro e nell’aggravarsi del male l’indagine che compie in sé, sulla morte e la malattia si affianca a quella lavorativa. Per suo tramite lo scrittore mi sembra che sviluppi una lucida proposta per una buona morte “Non voglio morire coi religiosi conforti della scienza: che non solo sono religiosi quanto quegli altri, ma strazianti in di più. Se mai sentissi il bisogno di un conforto, ricorrerei a quello più antico.”
Per quanto riguarda il funerale, i riti servono a consolare quelli che rimangono, cioè i vivi. Se c’è un luogo per i giusti, dopo la morte, Welby sicuramente è lì.