Dismenteat scurdat

di
Eugenio Tescione

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o pulzella, dorlean più bella
per te per me
che diletto riafferrare il mare
profilare il respiro del primo parlare
nel mio divaricar di lingue

rubato, il rubato alle parole
che evanescenti e salde
«ora solide e puntute
ora acque mosse dal vento»

discorrere slegato, disancorato
liberamente navigante per il profondo
nell’ancòra antico obliquo
racconto dei miei marlow
o che all’approdo giungo-
no, così come tutto il punto-
mondo

o memoria, «me morìa» che diletto!
che con meco t’intrometti
o metti metti il punto
al rubato

l’estorto, il collo dolente
volto al mondo, forza vivente
del vivere e dei viveri, crollo che nutre
la parola nascente

e «se senza zarima mascrivo
che stima che stima m’avranno
di me? meglio morirmene» che dialetto
che sberleffo

scrivo «ma» e «me»
double mumble
senza semplice dire che
ma che complice dice a

che conforto! me ne ricorderò
(per ritagliare il mare al fine,
per ritornare dalla panna degli anni)

quando l’approdo è come
quando l’apporto del rubato
sedimentato, il livello graffiato

di quei tetti tranquilli
tanti fogli su cui porto me
a te che sei voluto andare
che chiudesti la porta per
non più aprire il margine,
fu chiuso, per sempre
ma si è sempre poi aperto,
sempre

la mer, la mer, toujours
ricomincia incessante l’onda e
fulmina di splendori l’oro
nella miniera del rimembrante

che tu hai aperto, mai aperto
nella tua immagine di morte
che preme e pressa all’approdo
il tuo cedimento all’oltre

indica così pieno di doloroso sguardo
così fuso simbiotico allora,
in quel momento dov’era il dolore
nel mio o nel tuo essermi fatto
assente

se quando vacilla la mente
viaggiando verso l’approdo
ti trovo, non è niente

distratto viaggiare
o disinvolto
che ritorna come caso, oblio
ricchezza e tesoro colto
per afferrare il volo il soffio
distratto disinvolto
piantato dentro il respiro
come la forma nel dolore

meglio per la vita
o il sopravvivere
l’oblio,
unica vera forma vera
che vorrei fosse il caso
vera forma d’energia

il caso dei percuotenti colpi
naviganti tra le mura
di un mare familiare
nostre onde ritornanti,
identità di noi rimembranti

quante le voci di fuori
che costringono e stringono
e stridori e risa estranee,
come si salva l’id
entità di fondo,
fondale fermo, strato naufragale

attraverso fogli depositati
o continuamente spostati,
toccati come essenze cartacee
ricordanze di stelle vaghe
messe a navigare sul fondo,
fondale

e il tocco le frange,
infranger di stracci di carte
pregni d’acque

capillari batuffoli che tengono
volando verso il buio del fondo
tutto quello che rimane
della perdente voglia di dire
la madeleine diletta voglia di dire

e dire, dirlo come
come dire ciò che sappiamo
tutto l’amore e il suo dolore

come, ma dirlo, dillo!

si, che folla che foglio
che vola, che voglio
è l’acqua dintorno
che navigo, che rigo

disinvolto o storto nel diletto
tra assorbenti rumori
che fossero onde, vorrei
che fossero onde

quale forma o labirinto
ritrovato uguale e nuovo
come gioco involontario
emergere del perduto

rilievo della forma
combattuta contro il finto
distogliere dal posseduto

e come niente fosse
vorrei che fosse onda
o vago aleggiare di tranci
trame e tracce,
o rinnovato vigore di tempi
di anni

di colpi, di colpi
ricevuti dal volteggiare di facce
di oggetti come nuovi
ritrovamenti nell’oscurità
di volti

colti da noi naviganti, galleggianti
leggeri come turaccioli
dentro ciò che vorrei
che fosse onda

ma memorale mare d’acque
che navigo e viaggio
cospargo di cibi metaboliti
tra tanti rumori, tanti

lascio così la rotta al caso
giungo all’oblio, o dei canti
di onde uguali mangio

lasciate che giungano
aleggianti all’oblio
di noi rimembranti per caso i corpi
di lune piene mancanti
nell’in panne degli anni

tra nebbie e ruberie
le ammalianti citazioni
che pongono non allarmate
nozioni poggiate a fondale

memorale mare navigante
nelle mie membra,
noi rimembranti del come dirlo
il dolore e il suo amore

il suo dolore
o del cuore dolente, alto come un cirro

come dirlo:
se quando vacilla la mente
navigando infilo l’approdo
non è niente

ma m’invoglio
e sembro ancora di nuovo
sempre colto da me

di nuovo e sempre
come fosse un dolce colpo
sorprendente

mi ritrovo
seguo onirico il viaggio
onnivoro di vita
che volge al nuovo giorno
al breve mio mangiar ricordo

mi risveglio, mi rincuoro
in superficie sull’acque
vedendo oscuro il fondo

lì, è lì che muoio
affondando nell’approdo
è lì che vivo, che rigo

da dove riparto rimembrante
navigante
e non importa poi che sia io
perché di nuovo e sempre non sarà poi niente
sarà oblio

[1995]

6 COMMENTS

  1. a me piace molto. E mi trasporta.
    Grazie effeffuzzo che non ti smentisci mai, ma perché dismenteat scurdat?
    Ciao

  2. @ Antonello

    in una nota Eugenio mi scriveva più o meno così:
    “Penso di averla scritta nel 1995 e contiene innanzitutto la memoria della lingua ascoltata da bambino, ovvero dei due dialetti,
    il friulano e il napoletano, che parlava mio padre. ”

    Per me Eugenio fa parte con Giuliano Mesa, Biagio Cepollaro di quegli autori che potrei definire del buen retiro. Grandissimi poeti, autori che senza alcun senso tattico hanno percorso e percorrono il paesaggio letterario con un’idea e un fare poetico che reputo, per me, esemplari.

    Per questo quando leggo un commento come il primo del thread, mi pento di aver chiesto un testo ad un amico che se ne sta in disparte. Chiedo allora all’autore del primo commento di autorizzarmi a levarlo. Me ne vergogno un pò se resta.
    effeffe

  3. Notevolissimo.
    Mi piacerebbe conoscere altro, effeffe. Non potresti dare qualche ragguaglio bibliografico?

  4. Carissimo Cato questo è il suo ultimo libro pubblicato. Mi sta per arrivare. Alcune sue poesie sono anche su Baldus (nuova edizione) che è in corso di ristampa presso Maledizioni. Eugenio è stato insieme a Toni Servillo (la loro comune impresa di ricerca teatrale si chiamava Teatro Studio)un vero riferimento per una certa scrittura. Comunque spero di proporre a breve altre sue cose.

    * Titolo: Architettura della mente. Brani scelti di letteratura psicoanalitica
    * Autore: Tescione Eugenio
    * Editore: Testo & Immagine
    * Data di Pubblicazione: 2003
    * Collana: Universale di architettura

    effeffe

  5. Architettura della mente!

    ma è semplicemente meraviglioso!

    ogni forma di architettura è nata per creare, fonderci, innalzarci!

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017