Lo squalo e la torpedine
Diego Zucca
Essere linguaggio discorso – Aristotele filosofo dell’ordinario
Mimesis Edizioni, 2006
euro 29, pagg.391
Se è vero che nella sua svolta linguistica la filosofia contemporanea ha ricondotto con forza la realtà e l’esperienza della realtà al linguaggio, giungendo talora a tassonomie altamente specializzate, scientifiche, dimenticando però che il punto di partenza è sempre la “vulgaere Verstaendnis” – così pare suggerire Luigi Ruggiu nella prefazione -, allora recuperare Aristotele e comprenderne passo passo categorie, punti di omologia o collisione con i contemporanei e i predecessori (Socrate, Platone, i monisti, i sofisti) potrebbe non essere un’operazione anacronistica o gratuita.
Per definire un Aristotele “filosofo dell’ordinario” Zucca ha quindi provato a ripercorrere con rigore filologico e coraggio sinottico il metodo dialettico aristotelico, evidenziandone l’importante ricaduta non solo sul linguaggio ordinario ma anche sul discorso scientifico. Superata una volta per tutte la considerazione che il linguaggio di cui si parla nei testi analizzati sia il greco e non un’altra lingua e che questo non inficia la possibilità di estendere il metodo dialettico ad altre lingue e quindi al “linguaggio”, evidenziando come in Aristotele già a partire dal linguaggio di una comunità di parlanti, sia possibile esercitare l’attività dialettica procedendo da un “discorso come langue al discorso come parole”, Zucca mostra innanzitutto come in Aristotele due qualsiasi parlanti nel loro discorrere quotidiano abbiano la possibilità di giungere a risultati veritativi e successivamente, sciolto il nodo dell’essenza aristotelica, questi primi risultati siano un punto d’avvio del processo conoscitivo in quanto naturalmente assai prossimi al sapere ontologico. La verità scientifica risulta così “predeterminata” dalle verità del linguaggio ordinario, ne rappresenta una specializzazione che non può mai considerarsi avulsa dalla sua origine linguistica e di primitiva ricerca: l’indagine linguistica è il primo strumento di indagine quando si inizia a scandagliare il significato dei nomi delle cose e arriva a chiedersi dell’essenza delle cose stesse. Non si può insomma andare in giro pretendendo di potere fare a meno del linguaggio, come Cratilo che ritenendolo fallace rinunciò a parlare e prese a indicare gli oggetti con il dito, bensì a partire dal linguaggio stesso si può crescere in conoscenza. In questo processo l’ontologia viene ricostruita, più che dedotta, perché i passaggi interni al linguaggio ordinario sono gli stessi di ogni linguaggio “superiore” e con essi si passa da una “conoscenza opaca a una trasparente”. Parlare di sostanza, tempo, dire come una cosa sia, cosa sia, quando sia, e poi perché, sono determinazioni e categorizzazioni del cosiddetto “senso comune”, articolazioni più specifiche della (socratica) domanda primaria in qualsiasi indagine (ti estì, “che cosa è…”) tramite cui dai concetti ordinari e a partire al terreno d’indagine dell’ordinario per Aristotele si giunge a una ridefinizione dell’opinione comune: la communis opinio, “l’esperienza prefilosofica e condivisa del mondo è un’attitudine consueta per Aristotele, attitudine che possiede una rilevanza metodologica”.
Se per Platone la dialettica è un confronto successivo tra essenze, e non tra opinioni (èndoxa), in sé fallaci, per Aristotele l’apprensione dell’essenza può darsi in quell’insieme di argomentazioni che partendo dagli èndoxa, le opinioni, i giudizi primi sui fenomeni e i fenomeni stessi accerchiano per gradi l’essenza; negli “squali” Platone e Aristotele una serie di cerchi concentrici definiscono successivamente le cose fino all’evidenza finale, quella ontologica, dell’essenza e dell’identità; laddove Socrate invece fa la torpedine, facendo scattare “la coerenza reciproca di più credenze” confutando direttamente o indirettamente le incoerenze. Ma a ben vedere anche Aristotele recupera il sistema della confutazione, per quanto spurgato dalle scorrettezze dei sofisti; soltanto lo riabilita al linguaggio, fa dei suoi termini una tecnica (la dialettica, la sua dialettica) che non è un sapere detenuto da pochi come in Platone, ma è un’arte universalmente esercitata e che ha come oggetto i luoghi comuni dell’ordinario.
In una sorta di liberazione o, come dice Zucca, nella “esplicitazione” delle essenze a partire dal linguaggio, l’ottimismo linguistico-comunicativo e ontologico di Aristotele appare evidente. E insieme a questo, il successo del linguaggio quale fenomeno dell’ordinario e ad esso intimamente legato in quanto tecnica rivelatrice, strumento di conoscenza, oltre che discriminante zoologica dell’uomo in quanto animale bipede parlante (prima che politico). Almeno finché ci sarà qualcuno capace di enunciare “Socrate” “è” “un” “uomo” , sottendendo princìpi cardine quali l’identità, o anche che sappia riconoscere fra tutte le determinazioni possibili quelle accidentali e quelle perduranti di sostanza ed essenza, e sappia quindi compiere linguisticamente gesti quali il riconoscimento della propria caffettiera “così come ogni mattina da qualche anno ho quotidianamente a che fare con la stessa caffettiera, seppure essa sia visivamente cangiante, perda colore, migliori le sue qualità o prestazioni con l’uso, abbia subito la sostituzione del manico e del filtro: l’identità numerica è qualcosa di primitivo e originario nel nostro mondo ordinario e nel linguaggio che ne parla. È qualcosa che spiega più che dover essere da altro spiegata”.
(pubblicato su Stilos del 20/3/2007 in versione ridotta)
[Diego Zucca (nella foto), Ph.D., è nato nel 1976. Ha studiato filosofia antica all’Università Ca’ Foscari di Venezia, Sorbonne Paris IV, e Humboldt Universitaet di Berlino. Attualmente si occupa di problemi relativi al rapporto tra percezione, inferenza e azione presso l’Università di Edimburgo, cercando di stabilire nessi teoretici tra filosofia antica e contemporanea]
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Aristotele: filosofo dell’ordinario o mistico dell’ordinarietà?
una certa somiglianza c’è….
Carla sono lusingato….
Alessandro, forse volevi dire “mistificatore” dell’ordinarieta’, piu’ che mistico. Il problema e’ grosso, e non si puo’ liquidare in due sentenze. Molti critici della cosiddetta “filosofia del linguaggio ordinario” ne hanno enfatizzato un elemento intrinsecamente conservatore. L’esempio piu’ noto e’ Gellner, “Words and Things” (da non confondere col capolavoro di Quine, “Word and Thing”), ma anche lo stesso Marcuse e altri. Beh, secondo me sbagliano di grosso. Perche’ non si tratta di difesa dell’esistente in senso politico, non c’entra proprio nulla. Altrimenti qualunque tentativo di “descrivere” la realta’ sarebbe sospetto e conservatore e mistificatore dell’esistente solo perche’ descrive anziche’ trasformare. Questa e’ una mistificazione del concetto di mistificazione. Non continuo perche’ forse non ha a che fare con cio’ che intendevi, e parlarsi addosso non e’ elegante. Ma son sempre interattivo. Ciao.
nei tratti decisi…
nel riccio, a truciolo….
Diego, ti rispondo come posso In fondo la mia voleva essere solo una battuta senza senso.
Penso ancora che “reale” sia solo ciò che resiste alla simbolizzazione. Abbiamo forse davvero qualche possibilità di raggiungere il reale attraverso la rappresentazione? C’è sempre una coincidenza irriducibile fra significante e significato? Forse Lacan aveva ragione quando sosteneva che il linguaggio non riesce a esprimere adeguatamente la verità del reale che resta sempre al di là delle parole.
Quando scrivo, con impulso libidico, cerco di far perdere senso alle parole, per creare uno spaesamento che sommerga con un bagliore improvviso quel che il principio di realtà vi costruisce come mondo esterno.
Sostituire “mistificatore” con “mistico” era un giochino linguistico che doveva creare un corto circuito nella comunicazione, caricandola di valenza metaforica. Forse Aristotele era troppo attaccato all’ordinario da fondarne quasi il mito. Un mito ormai deteriore, se penso che oggi viviamo nella mistica dell’ordinarietà, intesa però nell’accezione di mediocrità seriale. Se si può piegare la parola a questo significato. Grossolano. Non credo di averne l’autorità.
“Non credo di averne l’autorità”
ma tutti ne abbiamo facoltà e autorità, perdio!
ma la filosofia compete ai filosofi?
ma che roba è una roba solo per pochi eletti?
e poi, da femmina mi chiedo: come posso fidarmi della filosofia, del pensatoio prevalentemente maschile, come posso fidarmi di un’architettura unidimensionale?
eccccheducoioni sta riverenza sempre per il fallo!
il mondo disegnato a misura del fallo, che usa supporti teologici e filosofici e scientifici per giustificarsi.
se la “conoscenza” passa attraverso la fica per la femmina, e la “stessa” dovrebbe passare attraverso il cazzo per il maschio, il maschio evoluto, perchè noi donne non siamo capaci di un pensiero nostro che non vada a rimorchio di quello del genere maschile, perchè non osiamo per esempio dire che l’orgasmo vaginale è un’invenzione del maschio, per appagare le insicurezze del maschio.
e questa prima “confessione”, a noi stesse prima di tutto, che ce lo dobbiamo cazzo, non è mica roba da poco nè, perchè è da lì che nascono gli equivoci, le mistificazioni, le incomprensioni, le bugie, l’incomunicabilità, i rancori.
vabbè, non c’entrerà na mazza ma stasera mia figlia mi ha ripetuto hegel e io le ho detto, bimba mia, ma mandaloaffanculo uno che scrive una puttanata dietro l’altra per giustificare la guerra, ma chiudi il libro, mettiti su una bella musica e balla, balla, balla, balla figlia mia.
alessandro morgillo, concordo con lei.
baci tera tera.
la funambola
Ma chi è quello con tutti quei peli vicino ad Aristotele?
ah… si chiama Aristotele quello vicino a Diego Zucca… grazie di avermelo detto, Tash…
quello è senza dubbio aristotele.
certo diego zucca sembra uno ammanicato.
voglio dire che ha amicizie importanti.
Lo conosco io quello li’, non fatevi ingannare, sotto le spoglie tranquillizzanti dell’ordinario, si nasconde un metafisico duro e puro. Diego dal linguaggio ordinario, l’ontologia e’ decotta!( anche nel senso che il linguaggio è il grande spazio delle supercazzole dell’homo sapiens sapiens)( mi scuso con funambola per ‘homo’, ma la supercazzola occidentale include anche linneo tra i fautori dell’orgasmo vaginale).
Ricordatevi che siamo tutti come seduti sulle foglie d’autunno: kolkulobagnato
non sapevo che socrate facesse la “torpedine”, sempre che si sappia cosa vuol dire fare la “torpedine” e si possa citare almeno un altro esempio comprovato di individuo che faccia, o in altra occasione abbia fatto, la “torpedine”.
@morgillo
Come registrato da Jameson almeno un ventennio fa, la scissione lacaniana tra significante e significato è all’origine di tante guaste convinzioni/credenze postmoderne. Non sarebbe ora di ripensare alcune di queste categorie teoretiche?
Nel frattempo, la mia lettura preferita da un paio di settimane a questa parte – in questo che la redazione stessa definisce uno dei migliori blog culturali italiani -, resta mrs. Funambola. Superiore.
@ The O.C.
Mrs. Funambola è così postmoderna! Non stento a credere che leggerla ti dia un certo piacere… Superiore.
Senza nulla togliere alla cara funambola… Mi eccitano le architetture decostruite di Frank O. Gehry, soprattutto perchè vanno al di là del decostruttivismo.
Il postmodernismo mi sta stretto
postmoderna?
no dai, io mi sparo senza pudore delle seghe e, ad una sega non si può chiedere di essere pulita, ordinata, discreta,”razionale”, per bene, istruita, politicamente corretta, che sega sarebbe? :)))
le seghe te le spari per bisogno, per necessità, d’impulso, d’acchito, la sega urge a tutte le latitudini.
le seghe se ne impippano del decostruttivismo.
però, chevvordì postmderna? è un’offesa? :)
se così fosse, postmoderna, tassoarate! :))))
un mio amico mi disse una volta – lo disse socrate , lo confermò paltone che dopo la pisciata ci vuole lo scrollone! quanta verità in queste volgari parole.
a me zucca mi ricorda branduardi…e venne il gatto…
C’è un sipario che s’alza e un sipario che cala
si consuma la corda e la tela
se per noi vecchi attori e vecchie attrici
i ricordi si fan cicatrici
non è il senno di poi che ci aiuta a correggere
con il tempo ogni errore che nel tempo si fa
mentre ancora chi guarda nel silenzio allibito
già sussurra “L’artista è impazzito”
come i gatti di notte sotto stelle sbiadite
crede forse di aver sette vite
quando invece col dito indicare la luna
vuole dir non averne nessuna.
C’è una sedia da sempre nella fila davanti
riservata per noi commedianti
perchè mai la fortuna ch’è distratta e furtiva
ha avvertito la sera che arriva
nella cinta se mai altri buchi da stringere
e allargare un sorriso se è così che si fa
con la lluce che scende col sipario che cala
si consuma la corda e la tela
si divide d’un tratto da chi ha solo assistito
chi indicava la luna col dito
e ogni volta lo sciocco che di vite ne ha una
guarda il dito e non guarda la luna
tanti baci
la funambola
paltone: chi era costui?
cara la fu…
a me zucca ricorda un cugino di campagna…
@morgillo
anch’io avevo pensato subito ad un cugino di campagna, ma non avevo osato dirlo per timore di apparire troppo rozzo in questo contesto metafisico, dove socrate fa la torpedine e dove per via della “scissione lacaniana tra significante e significato” sono ormai cazzi amari per tutti e non basta a redimerci il miracolo quotidiano della caffettiera che ogni giorno non ostante tutto resta se stessa e io posso considerarla sempre una, utilizzando la profondità cosmica et primigenia dell’UNO, e farmici persino UN caffè.
ciao, Tashtegone!
quel – non ostante – l’ho già letto
da qualche parte….
io credo nel miracolo quotidiano.
L’innocenza del linguaggio, la sua capacità di rivelare l’essere: nessuno come l’apparentemente tedioso Aristotele, il professore Aristotele, ha esaltato contro Platone la luce di verità che promana dalla parola poetica, ma anche dall’umile partecipazione del linguaggio ordinario al senso comune.
Ad Aristotele e al suo realismo dovrebbe tornare la filosofia oggi, dal delirio dei post in cui si è avvitata.
Credo ci siano diversi stadi di riconoscimento dell’identità e dei processi mentali fondati su essa, quali l’analogia o l’attribuzione di qualità agli oggetti che sono parte del processo di riconoscimento degli stessi.
Da un bambino di tre anni cui si chieda cosa fa la mucca ci si può aspettare una risposta come “muuu”, solo se adeguatamente insegnata e dopo diverse prove.
A un bambino delle elementari si può chiedere, alzando il tiro, cosa faccia il cervo e quello ci potrà rispondere, superando il naturale e infantile affetto per le onomatopee, che bramisce.
A uno un po’ più grande, che abbia già superato la fase sarcastica e tuttavia necessaria del “ma non mi dire, davvero??”, in calce ad ogni affermazione di coetanei, professori, genitori, anche nelle versioni “stica”, “mecojoni!” o simili e a cui si chieda cosa faccia la torpedine, si può rispondere che la torpedine dà la scossa. In senso dialettico, la scossa è tra ciò che già si sa, la chiusura del circuito è il dubbio, e ciò che non si sa.
Che il “non noto” sia un errore, una formula priva di valore, o sempre un riempimento del “già noto” è un altro problema.
La “torpedine Socrate” non è espressione di mia invenzione, ma deriva da Platone (Menone), quando Menone si lagna con Socrate che tutto questo mostrare le aporie di ogni affermazione lo ha intorpidito: tu fai come la torpedine! gli dice Menone. Socrate ribatte che sì, forse fa proprio così, ma che è lui il primo a far scattare in sé la scossa dell’incongruenza. Zucca cita la torpedine a pag. 158 quando afferma che “come già la torpedine Socrate faceva” la dialettica aristotelica sottopone a un test di coerenza le credenze degli interlocutori, facendo saltare allo scoperto quello tra i due che è il “portatore di un sistema di credenze non autoconsistente”.
Mi scuso per la mancanza di chiarezza nella citazione del passo e del metapasso e ringrazio l’autore per il suo intervento.
@ valter b
siamo molti di più, abbiamo tanto più tempo, abbiamo tutti una tastiera, siamo sommersi dai libri, cerchiamo di capirli, non puoi essere così radicale, (ancora non ho letto il post)
@ Alcor
Non capisco perchè mi dici questo
Adesso ho letto anche il post, cos’è che vi rode?
@ valter
per questo che dici
“L’innocenza del linguaggio, la sua capacità di rivelare l’essere: nessuno come l’apparentemente tedioso Aristotele, il professore Aristotele, ha esaltato contro Platone la luce di verità che promana dalla parola poetica, ma anche dall’umile partecipazione del linguaggio ordinario al senso comune.
Ad Aristotele e al suo realismo dovrebbe tornare la filosofia oggi, dal delirio dei post in cui si è avvitata.”
Mi sembra di vederci un’esigenza di “semplicità” ormai non più praticabile e non dipendente dal singolo essere umano/studioso.
Che cos’è innocenza del linguaggio oggi, che cos’è il linguaggio ordinario?
Al complesso, e anche all’avvitato su se stesso, come si risponde, anche poeticamente parlando?
@ Alcor
E’ un po’ OT su questo post ma, insomma, all’autoreferenzialità del linguaggio filosofico attuale io, tendenzialmente filosofo, rispondo con il romanzo.
ciao alcor.
Son d’accordo con Valter. Ecco.
Vorrei chiedere una cosa alla Funambola. Ben venga il femminismo e le lotte contro il carattere fallocentrico della cultura occidentale. Io sono con te. Ma perche’ tirare fuori a ogni pie’ sospinto questa cosa, perchè sessualizzare qualunque discussione a tutti i costi? Dici “perchè dovrei fidarmi della filosofia, che eè….maschile?” Cosa intendi? La filosofia la puoi fare anche tu! Non ha sessualità di sorta. Se dici che il fatto che sia stata storicamente un’appanaggio del genere maschile l’abbia influenzata, bene, senz’altro, ma la filosofia è essenzialmente fatta di argomenti, problemi, soluzioni a problemi. Ci sono buoni cattivi argomenti, non ci sono argomenti maschili e argomenti femminili. Se voglio capire cosa sia la causalità, cosa è un oggetto o una proprietà, cosa è la mente, che rapporto c’è fra mentale e fisico, cosa sia il significato, cosa sia il linguaggio, cosa rende scientifica una teoria, etc.., non ha la minima rilevanza se io sono un uomo o una donna. La filosofia è una cosa seria. Perchè non ci si lamenta che Newton era un maschio e che se fosse stata una donna avremmo un’altra teoria della gravitazione e bla bla bla..? Perchè non avrebbe alcun senso, come non ne ha con la filosofia. Inoltre, la pratica filosofica oggi è molto oltre queste lamentele, visto che è fatta da un sacco di filosofi che sono donne. Il sesso è irrilevante, ciò che è rilevante sono i problemi, le argomentazioni, il rigore degli argomenti, le soluzioni. Nient’altro. Ecco cosa penso, Funambola. Poi il tuo sfogo è comunque bello e giusto.
Valter. Se posso chiederti (non è una domanda retorica nè provocatoria): cosa intendi con “autoreferenzialità del linguaggio filosofico attuale”? Perchè non ci si lamenta con la autoreferenzialità del linguaggio scientifico attuale? Perchè non si squalifica la matematica per via della “autoreferenzialità” del suo linguaggio? Per me c’e’ un grande equivoco, presente nel senso comune e non solo: si crede che la filosofia non sia una disciplina TECNICA, con un suo metodo e un suo linguaggio e delle acquisizioni che si devono conoscere per entrare in un dibattito. La filosofia non è espressione di sentimenti personali (non solo). Ha sempre avuto un linguaggio “autoreferenziale”, come tutte le discipline, come l’architettura, la scienza, la matematica: non capisco perchè uno pensa di aprire un saggio di filosofia e di capire tutto senza avere mai saputo nulla di filosofia, e si lamenta per la presunta “oscurità”, ma se apre un libro di fisica e non sa capire le equazioni della termodinamica o qualche teorema matematico o simili, allora è ovvio…ma perchè?
Ogni ricerca, conoscenza o disciplina “seria” ha un certo tasso di “autoreferenzialità”. Ciao.
@ Diego Zucca
Intanto vivi complimenti per il tuo lavoro, che mi riprometto di leggere.
La direzione in cui ti muovi è precisamente quella che sceglierei se facessi ricerca in questo momento, forse più in direzione dell’etica (McIntyre) che dell’ermeneutica. Invece sono professore di liceo e scrittore di romanzi, e il problema della comunicazione filosofica lo sto vedendo da un’altra angolazione.
Certo, hai ragione: un linguaggio tecnico non implica autoreferenzialità, nella misura in cui serve a capire la complessità delle cose. Però
1) deve essere possibile rivolgersi al senso comune, come faceva Platone nei dialoghi, diversamente dal livello “esoterico” della comunicazione riservato agli iniziati alla complessa dottrina delle Idee-Numero. Questo sforzo oggi non lo vedo da parte dei filosofi, e le possibilità dialettiche della doxa sono tutte per le tautologie di Alberoni o l’illuminismo d’accatto di Odifreddi.
2) l’autoreferinzialità comincia quando anzichè parlare di cose si comincia a parlare di parole, e la filosofia si avvita sulla propria storia, rimane irretita dalla consunzione del linguaggio scientista e storicista, incapace di riportarsi là dove tutto ha origine, cioè l’Esserci che si fa Parola, come per l’ultima volta ha provato a fare Heidegger, subito sommerso dalle chiose illeggibili dei suoi epigoni e decostruttori.
Non farmi citare nomi cognomi e correnti, che tengo famiglia.
@Diego Zucca
un po’ trasecolo, perché dici di essere d’accordo con valter, se poi scrivi il commento delle 16:31?
@valter
e perchè manifesti vivi complimenti a Diego Zucca, se Diego Zucca, vedi commento delle 16:31, sostiene che la filosofia:
“Ha sempre avuto un linguaggio “autoreferenziale”, come tutte le discipline, come l’architettura, la scienza, la matematica: non capisco perchè uno pensa di aprire un saggio di filosofia e di capire tutto senza avere mai saputo nulla di filosofia, e si lamenta per la presunta “oscurità”, ma se apre un libro di fisica e non sa capire le equazioni della termodinamica o qualche teorema matematico o simili, allora è ovvio…ma perchè?
Ogni ricerca, conoscenza o disciplina “seria” ha un certo tasso di “autoreferenzialità”?
E il tuo commento delle 17:12 non cambia le cose.
Vi trovo vagamente incoerenti entrambi.
Forse sono entrambi alla ricerca di un senso comune. Sarà un nuovo concilio ecumenico.
Valter. Credo di essere d’accordo con te. (Alcor, non siamo incoerenti,credo).
Sono d’accordo nel senso che la specializzazione dei settori e la relativa, inevitabile tecnicizzazione dei linguaggi, ha reso la filosofia una cosa un pò esoterica. NON nel senso che lo specialismo e la tecnicità dei linguaggio sia un male in sè (io credo che sia un bene), ma che, per cosi’ dire: 1) manca una interfaccia, e lo spazio e’ spesso lasciato a pessimi divulgatori (io non tengo famiglia, non faccio nomi perchè, dovessi essere equo, non avrei lo spazio succifiente). 2) spesso enucleare problemi specifici fa dimenticare la vocazione originaria della filosofia, e la filosofia diventa una specie di enigmistica ad altissimo livello, tipo soluzione di “puzzles” senza…insomma senz’anima, detto un po’ retoricamente.
Detto questo, io amo la filosofia analitica, per chiarezza e rigore e intelligibilità (UNA VOLTA che si entra in quel minim di vocabolario tecnico). Parli dell’ “Esserci che si fa Parola di Heidegger”: cosa c’e’ di piu’ TECNICO ed esoterico di una formula del genere? Se qualcuno dicesse che Heidegger è incomprensibile (e molti filosofi analitici, manifestando la loro ignoranza di tutto ciò che non è dentro la loro “scuola”) cosa diresti? io gli direi: LEGGITELO, anzitutto, poi il vocabolario, forse, diventerà meno esoterico, entrerai entro i rimandi fra un concetto e l’altro, entrerai entro quella costellazione di pensiero. Allora potrai giudicarne.
Penso tu sia d’accordo.
Che la filosofia debba rivolgersi al senso comune, è una mia convinzioe ferrea, che ispira anche l’interpretazione di Aristotele che ho cercato di proporre. Son di nuovo d’accordo.
Alessandro, sei proprio un tipo spiritoso.
A proposito
Il giochetto linguistico di sostituire “mistificatore” a “mistico” era una applicazione del principio di carità..per dare senso a una espressione che, come era. ne ne aveva proprio nessuno. Come del resto tu stesso hai detto dopo. Non frequentando blog, non avevo ancora intuito lo spirito tarallucci e vino, pensando che magari si poteva anche avere qualche scambio sulla “cosa stessa”. Ma mi adeguo volentieri
Non insisto.
Diego, grazie per aver risposto che qui mi cagano poco ma sono però molto simpatici.
E grazie per la delicatezza, e grazie che non mi mortifichi con cinquantamila paroloni.
È che io sono una persona semplice e mi piace farla semplice.
Maria Zambrano, per esempio è una donna semplice ,
che si fa capire
che
vuole
farsi
capire
e il suo sentire si avvicina al mio.
Maria Zambrano è una filosofa poco nota mi pare ma quella che ha “capito” di più , a mio parere ovviamente, e per questo non si è affermata nel pensatoio filosofico che ha connotazione prevalentemente maschile, perchè il pensiero dominante e che domina e disegna il mondo è di impronta maschile e viene rappresentato giocoforza da un pensiero forte che è il pensiero di chi non crea, non partorisce.
È la filosofia senza umiltà.
La filosofia della zambrano è poesia, è amore, è l’essenziale appunto e questo è il motivo della sua forza e della sua debolezza, perchè ritiene che il filosofo che pensa per gli altri sia un tranello.
La sua filosofia è la vita, la sua di vita.
La filosofia della zambrano è tonda.
In un’intervista, alla domanda – qual è stata la sua grande libertà-
risponde-
-l’obbedienza-
E tutta la sua filosofia è riassunta in questa risposta: l’obbedienza
l’obbedienza a se stessi, a quel grande imperativo che abbiamo dentro, tutti.
Riconoscerci dignità di esseri, investirci di “Autorità”
La sua filosofia, che poi è anche la mia, non prescinde dalla vita è la vita nel momento stesso che la vivi e non può che essere continuo allenamento all’obbedienza, l’obbedienza a esserci fedeli.
Ecco, la più alta forma di trasgressione, la più grande disubbidienza alla quale possiamo aspirare è l’Obbedienza.
Abbiamo capovolto tutti i significati e non ce ne siamo accorti.
E nel mentre chiamiamo le cose con un nome, la loro “rappresentazione” è già una caricatura del significato originario.
Abbiamo chiamato trasgressione la nostra incapacità di provarci in modo autentico.
E abbiamo chiamato -obbedienza- la forma, l’espressione più alta di libertà cui possiamo aspirare:
l’obbedienza a te, a te stesso.
Abbiamo chiamato -obbedienza- l’atto più rivoluzionario e trasgressivo che solo un uomo pare sia stato capace di compiere.
Le sirene della trasgressione sono solo la brutta controfigura di noi stessi.
Viviamo in un mondo trasgressivo,
Un mondo obbediente potrebbe essere molto più “eccitante”.
Non è bello trasgredire è bello obbedire.
Senti cosa dice questa donna
“Bisogna fare come i bambini.
Il bambino gioca e lo fa con serietà e concentrazione.
A un certo punto però, interrompe ,astraendosi da se stesso, cadendo in quei vuoti in cui appare come imbambolato.
Che cosa starà pensando in quei momenti? Lo sa lui?.
No, non lo sa, non lo sa perchè sta semplicemente sentendo, sentendo se stesso, sentendo il puro fatto di esistere”
sublime, tutto qui, tutto qui.
E anche questo è un bello sfogo, è che io vado via così, io vado via di cuore, tutto il resto, corollario.
Un bacio grato
la funambola
l
Non insisto.
@ Alcor
Io e Diego davamo due accezioni diverse al termine autoreferenzialità. Lui intendeva essere tecnici, io intendevo essere sterili. Io credo che in effetti la pensiamo allo stesso modo su molte cose.
questa incapacità di riportarsi là dove tutto ha origine, cioè l’Esserci che si fa Parola, dà un po’ sui nervi anche a me, Valter.
sarebbe veramente ora di cambiare musica, eh?
Quando il sentimento si fa parola la carne diventa verbo.
@tashtego
E’ perchè vuoi vederci un riferimento metafisico che poi ti disturba.
In realtà, nonostante le maiuscole, è un riferimento alla concreta analisi dell’esistenza umana a monte delle interpretazioni scientiste e filosofiche, provando a svelare il senso dell’esistenza a partire dal suo manifestarsi nel linguaggio ordinario. E’ cosa che, in modo diverso, Asristotele e Heidegger hanno provato a fare. E’ anche il motivo per cui, anche se ideologicamente molto distante da te, io amo la tua scrittura. Perchè nel nostro dire c’è molto di più di quanto c’è nelle nostre rappresentazioni ideologiche della vita.