Blu
di Monica Viola
Le mani con le dita aperte a corolla, le punte ricurve, appoggiate alla porta; il collo avvitato nelle spalle incassate. Un altro giro di chiave per essere sicura che non sarebbe entrato.
Mezz’ora prima qualcuno aveva aperto la porta blindata lasciando che sbattesse contro il telaio: doveva essere tornato a casa. Era rimasta in attesa, chiusa a chiave nella sua stanza, con lo straccetto dell’argenteria appallottolato tra le mani, in attesa di suoni sgradevoli. Urla, vetri spaccati, tonfi, unghie rotte. I primi minuti era stata tra il letto e l’armadio, in piedi in uno spazio piccolo e basso come lei; nascosta inutilmente, la porta tanto era chiusa a chiave.
Poi l’assenza di suoni si era fatta fredda, stanandola, e lei si era appoggiata alla porta, per ascoltare.
La Signora era tornata alle sette e un quarto, come al solito. La galleria chiudeva alle sette, a meno che non ci fosse un vernissage, e da Ripetta per via Tacito le bastava attraversare Ponte Cavour. La porta blindata sembrava tesa da un elastico quando ad aprirla era lei, agile, veloce, senza sbavature, elegante. La Signora era una bella donna, sorrideva molto e dormiva poco, ma nessuno lo sapeva. Sorrideva per due, per sé e per la sua bambina silenziosa, Caterina.
Stava consumando lo straccetto sulla zuccheriera del salotto quando la Signora aveva aperto la porta chiamando “Violeta?” mentre appoggiava la borsa sulla consolle d’ingresso. “Sono qui Signora”. Era entrata e aveva percorso il corridoio con le scarpe col tacco che suonavano doppio sul pavimento di marmo. “Novità?”
Lo straccetto aveva una macchia bluastra, e mentre rispondeva alla Signora, per tutto il tempo che spiegava, si chiedeva con gli occhi bassi sullo straccetto di cos’era quella macchia blu, a contatto di cosa si era formata, di quel colore così strano. Mentre raccontava alla Signora che forse avrebbe dovuto parlare prima, ma non era stata tanto sicura. Si era insospettita da certe cose, la porta del bagno chiusa a chiave quando il Signore faceva il bagno alla bambina, le volte che la Signora di sera non c’era. La bambina con gli occhi così stralunati, dopo, e lui così arrabbiato ma senza urlare. La bambina che non voleva essere vestita, che si metteva nel lettino da sola, nuda, e se lei provava a metterle il pigiamino smaniava.
Era uno strano blu, quella macchiolina, peccato non poterci pensare adesso a dove si era sporcato quello straccetto, adesso doveva dire tutto alla Signora, che la guardava strana, gelida. Che stamattina il Signore era nel bagno con la bimba quando lei era tornata dal mercato. Aveva la carta igienica in cima alla busta della spesa che le faceva cadere il pacco, e allora l’aveva tolta appena entrata a casa, per metterla nell’armadietto del bagno. La porta era aperta e dentro c’erano loro due. Caterina era seduta sul bordo della vasca, le gambe penzolavano giù, un piede più indentro dell’altro, e lui le teneva una mano sulla spalla. La bambina si era girata verso di lei, con due grossi peli neri e ricci appiccicati sul mento, gli occhi che sembravano pazzi. Il Signore le aveva urlato Stronza non sai bussare e dopo 5 minuti era uscito.
Aveva alzato gli occhi dallo straccetto, dalla macchietta blu, e la Signora era lì che la guardava con gli occhi freddi. “Mi dispiace Signora, dovevo dire prima”. “Va bene Violeta non preoccuparti”.
Accostata alla porta non sentiva nessun suono, era passata quasi un’ora. Allora aveva girato la chiave, abbassato piano la maniglia, e dischiuso la porta. Sentiva le voci dei coniugi venire dalla cucina. Non capiva la situazione, e nemmeno le frasi. Aveva sentito lui che diceva ‘estate’ ‘Francia’ e ‘Gualtiero’ e lei che rispondeva ‘barca’ ‘3000 euro’ ‘vacanze’. E poi, poi era quasi certa che avessero riso.
Aveva chiuso la porta, si era preparata per la notte e si era messa a dormire, senza cenare. La mattina tutti l’avevano salutata con molta cortesia. Il Signore le aveva fatto il caffé, la Signora gliel’aveva zuccherato. Il Signore era uscito e poco dopo anche la Signora, con Caterina per mano, per l’asilo.
Era tornata sorridente verso le nove, con due cornetti alla crema “Violeta non dirmi che sei a dieta, va bene?” erano sedute in cucina, Violeta sul bordo della sedia, il cornetto che sapeva di cartone unto. La Signora le aveva chiesto della sua famiglia, ma quanti anni aveva la sua bambina adesso? E il maschietto? Con il nonno a Manila, vero? Sua sorella invece a Milano vero? Poi si era alzata di scatto ed era andata in bagno, mentre Violeta toglieva le briciole, scavata.
Aveva sentito che si preparava, apriva e chiudeva la zip della borsa, cambiava cappotto, cercava nel cassettino le chiavi, poi le sue scarpe col tacco l’avevano portata di nuovo in cucina “Ah, Violeta, volevo dirti di non preoccuparti, è stato un malinteso, capisci? Un malinteso, cioè, non hai capito bene la situazione, non devo spiegarti vero?” ed era uscita.
Aveva iniziato a fare le pulizie cominciando dalla stanza di Caterina. Era una camera ordinata, sembrava pronta per l’arrivo di qualcuno, ma ancora disabitata. Anche il letto sembrava intonso, con giusto la conchetta della sua testa sul cuscino. Solo il tavolo portava segni di attività: c’erano dei fogli dipinti ad acquerello dalla bambina, figure blu con dei punti gialli; occhi, forse. Eccolo il blu, era questo il colore che aveva macchiato lo straccetto.
All’una andò a prendere Caterina all’asilo. La tenne per mano fino a casa dove mangiarono insieme in silenzio. Poi la bambina andò in camera sua e tornò con un acquerello, lo diede a Violeta dicendo “questo è per te, è un mostro blu”.
Alle sette e un quarto la porta si aprì. Violeta aspettava in piedi la Signora “Ah sei qui Violeta, stai uscendo? Manca qualcosa per cena?”
“No Signora, la cena è pronta. Scendo solo un momento”.
Per strada stava iniziando a piovere. Pazienza, c’erano solo due isolati alla stazione dei Carabinieri.
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Racconto crudele e bellissimo. Complimenti.
Monica Viola riesce a trovare per questi racconti, che sono d’accordo si tratta di racconti crudeli e molto belli, un linguaggio perfetto.
Lascia in bocca un senso di amara realtà.
il finale mi ha commosso.
Bello.
Grande Monica. Tutta Vibrisselibri è con lei. E anche http://www.informationguerrilla.org, se per questo, oltre a tutta http://www.monicaviola.it :- )
Una storia dura come una roccia, e questa narratrice che la spacca con un solo colpo di martello in miriadi di sassolini levigati.
La vibrazione del colpo, la forza d’urto, mi sono arrivate allo stomaco.
Straordinaria, Monica, complimenti.
E’ proprio così che vengono trattati spesso i bambini dal mondo adulto. Anche quando subiscono, implicitamente sono loro i colpevoli. Sono “macchie” da disintegrare. E l’infanzia invece che il luogo più meraviglioso diventa quello più disabitato.
Brava, Monica che in una breve prosa lancinante condensi tutto questo, insieme alla speranza, che esistano ancora persone sensate.
Ho appena scoperto il suo sito: il titolo del libro è splendido.
E grazie a Franz per averla postata.
Che pugno allo stomaco..
Molto bello, però…
Palla di sego, di Maupassant, dove lo sguardo della vittima e protagonosta è attento e compassionevole. Qui lo sguardo della giovane donna, eroica, sembra verso se stessa. L’innocenza di fronte al male, a causa del punto d’osservazione che si è scelto, è diminuita dai peli sul mento, particolare superfluo, dove invece potevano solo i disegni.
Nulla di più impietoso e di più intenso delle parole di Monica, una telecamera ad alta definizione che non nasconde niente. Non ci sono immagini rielaborate al computer che cancellano le macchie. Bravissima, Monica. Mi associo a quanto dichiarato da Lucio: siamo tutti con te. Personalmente sono felice e fiera di poter dire che lo sono da sempre.
Basta parlare di bambini violati per scrivere un bel racconto? Dov’è la tensione narrativa? E poi i luoghi comuni: la ricchezza che fa vendere l’anima, la domestica straniera igenua ma retta, la bambina violata che nel disegno rivela il suo dramma, un elemento ricorrente e quasi elementare da cui prendere spunto per il titolo. Tutto già letto e visto. E poi non aveva già dato sul tema in quella specie di romanzo?
Quanto è facile giocare con temi come questo per farsi approvare dalla voglia di sentirsi sensibili della gente. Tutta roba che con la letteratura non c’entra nulla.
Tutto già letto tutto già visto…Secondo lei Phoebe si dovrebbe smettere
di leggere e narrare ritorni perché é stata scritta l’odissea. Basta parlare
di bambini per scrivere un bel racconto? No. Questo racconto é scritto
bene? Secondo me si, molto bene.
Marino, se le storie si sono esaurite con Omero e i tragediografi greci è anche vero che i modi di raccontarle sono i più diversi e questo è fondamentale perché ogni volta siano un’altra storia. Il fatto è che questo racconto è uguale a decine di altri, e scritto male allo stesso modo.
Sono parole dure, taglienti come un ghiacciolo, affilate come una pagina di un libro antico, quelle di Monica. Parole che fanno male, parole che colpiscono, parole che abbattono ogni pregiudizio. Bellissima l’immagine di lei, ma anche lui emerge in tutto il suo orrore. E che dire di Violeta? Che dire della crudeltà che traspare in ogni riga, che trasuda. Si esce frastornati, poche righe che ti cambiano, ti uccidono l’anima, ti svuotano. Il bambino violato ha una forza dirompente, che lo fa personaggio letterario, le parole che usa Monica sono calibrate, precise, chirurgiche. Come nel libro “Viola”, d’altra parte. Monica, noi tutti siamo con te, ti amiamo e adoriamo. Ti auguriamo la migliore carta, perché la meriti.
@ phoebe: il tema del romanzo è molto più ampio; anche se c’è una violazione infantile anche in quello, ma è solo una parte della storia.
il tema di “blu” pur non avendo nulla di autobiografico è una storia vera, che ho voluto raccontare per cercare di dare dignità a un torto inaudito, a modo mio.
spiacente se la mia scrittura non ti piace, non so fare molto meglio di così quindi cancella pure il mio nome dalla tua facciata per sempre.
grazie agli altri :-)
Infatti, i temi del romanzo sono vari e molteplici e ciascuno affrontato con precisione chirurgica, come una telecamera (da chirurgo) che non nasconde nessun particolare. Tutto è rivelato con grande precisione, con parole taglienti e affilate. Una scrittura che trasuda umanità, spessore. Monica Viola merita la migliore carta e un servizio di D’Orrico sul magazine: “Viola, Piperno e Colombati: le penne che hanno salvato la letteratura italiana”. Nulla nella Viola è rielaborato al computer, nessuna macchia, tutto è spontaneo, esce dalla penna e va dritto sulla carta, è un occhio spietato sulla società, uno sguardo postmoderno che non lascia spazio a sentimentalismi, ombelichismi.
Editori cartacei, sveglia! Dov’è mister Adelphi?
ehm.. la migliore carta è l’ecocarta secondo gli standard di greenpeace.. :-)
Cara Monica infatti ti ho obliato, ma leggere gli osanna di gente che evidentemente non capisce nulla di letteratura è irritante: quanti incontinenti/incompetenti. Adelphi??? Ah.
Kaplani returns.
Cara Phoebe,
oh..quanta ragione tu hai !
Dopo aver letto i tuoi commenti, sono qui che anelo ad essere illuminata da te su tutto quel che riguarda la letteratura.
Ed inoltre, sono così mortificata di averti irritata con il mio insulso e banale commento.
Potrai mai perdonarmi ???
Tu che, cara agli dei, hai avuto il dono di capirci di letteratura, e sembra pure tanto, da come ti esprimi, dacci allora qualche consiglio su come saper riconoscere il ‘vero ‘testo, l’autentico capolavoro.
Sempre che non ti sia di disturbo, e tu ritenga di poter generosamente scendere al nostro vergognoso livello, aiuta noi, incontinenti/incompetenti e voglio strafare: pure ignoranti, guarda !
Te ne prego, tu che puoi, facci vedere la luceeee !
Ti ringrazioe sentitamente per quanto andrai a fare per tutti noi..
Con sincera ed imperitura gratitudine !
P.S. Potresti anche concederci la gioia di farci leggere un tuo scritto, anche due frasi, un breve estratto, giusto per farci vedere l’abissale differenza di chi sa scrivere, e di chi fa schifo.
P.S. Certo che il tuo nick, però, non fa pensare a grandi profondità d’animo, perchè a me ricorda quella ‘grande’ attrice-meteora Phoebe Kates degli anni passati….mah…
Può darsi che sia la dolce Phoebe di Salinger, la sorellina di Holden(?)
Barbara: evidentemente pensi di essere sensibile, competente e pure ironica. Non voglio essere io a disilluderti.
Noto però che non s’è ben capito perché io che non ho per nulla apprezzato questo racconto e nemmeno quello che viene spacciato per un romanzo, abbia torto rispetto a voi che siete qui a tesserne lodi sperticate per giunta non argomentate al di là di frasette da recensioni pret a porter, buone per tutto e niente.
Comunque, prima di lasciarvi alle vostre chiacchiere, Phoebe è la luna di Saturno e in mitologia è la figlia di Urano e Gaia.
Phoebe, posso darti del tu? con quel voi mi sento coinvolto.
Io non ho detto che tu abbia torto, ho espresso il mio apprezzamento dicendo che secondo me questo racconto é scritto molto bene.
Ne ho letto un altro, della stessa autrice. Un racconto africano, altrettanto bello che mi ha ricordato certe pagine di Mauro Curradi.
Avevo nove anni quando i miei mi hanno mandata a fare la cameriera nell’albergo di un cugino di mio padre.
Ero piccola ma sveglia,brava e intelligente.
Durante l’anno frequenatvo la scuola con ottimi risultati;
sono sempre stata molto brava a cercare l’amore e la mia strategia per farmi amare era quella di fare la brava bambina e dare tante soddisfazioni ai miei genitori, persone semplici ma dignitose, gente di montagna, gente abituata al sacrifico.
Certo mi sarebbe piaciuto fare come tutti i miei coetanei milanesi che venivano a soggiornare nel mio piccolo paese di montagna durante il periodo estivo, ma è andata così per parecchi anni, per parecchie estati e indietro non si torna.
Sono quello che ho vissuto e nonostante ogni tanto affiori la rabbia per la mia adolescenza rubata, mi consolo pensando che ogni male non vien solo per nuocere, visto i risultati, sulla mia persona.
I miei non avevano bisogno di quei pochi soldi che mi pagavano ma mio padre considerava che il lavoro ci temprasse, dico ci in quanto la stessa sorte è toccata ai mie fratelli e sorelle.
E inoltre avevamo una macelleria e io servivo a tener buono il cliente, una specie di scambio insomma.
Il cugino di mio padre era un brav’uomo, sulla quarantina, padre di quattro figli.
Aveva lavorato sodo per metter su quel ristorante.
La moglie, Palmina, una donna mite ed anche molto bella.
Io lavavo i piatti e aiutavo a sistemare le camere occupate dai villeggianti;
ogni tanto mi facevano servire in tavola.
Mi piaceva, mi sentivo importante, mi sentivo considerata.
Un giorno sono scesa in cantina, non ricordo più a far cosa e qui non ho immagini ma solo sensazioni e paura.
Lui era giù che mi aspettava, mi ha preso in braccio. Io non capivo ma lasciavo fare.
Ricordo solo dolore, vergogna, stupore.
Sentivo la sua paura, sentivo che non erano carezze amorevoli, sentivo che stava facendo una cosa sporca, imploravo che mi lasciasse andare.
La cosa si è ripetuta per una decina di volte e il bravo padre di famiglia mi ha risparmiata, avrebbe potuto rovinarmi. Si è limitato a toccarmi lì, a farmi male lì.
Non ho mai detto nulla ai mie genitori, sapevo che non avrebbero potuto aiutarmi e difendermi, lo sapevo già all’età di nove anni.
Piangevo però ogni volta che dovevo recarmi al “lavoro”
A distanza di anni mi sono confrontata con mia sorella che mi ha confidato di aver subito lo stesso tipo di “trattamento” dal fratello del cugino di mio padre.
Un vizio di famiglia insomma.
Quando è morto non sono andata al suo funerale, non se lo meritava, ma l’ho perdonato.
Questo episodio non mi ha traumatizzata e ho vissuto e vivo la sessualità con grande e incredibile e sublime consapevolezza.
Alla mia amica è andata peggio, lei andava a letto con suo padre e le piaceva, era piccola e suo padre “l’amava”.
Anche suo padre è morto e lei lo ha accudito fino alla fine piangendolo e disperandosi.
Io davanti alla sua salma ho provato l’irresistibile bisogno di sputargli in faccia.
Lui è stato seppellito con tutti gli onori del partito: era un funzionario comunista, molto rispettato.
I mostri hanno le facce dei nostri migliori amici e parenti.
E le donne, le madri, dove sono?
La funambola
Phoebe, questo è un racconto che ti taglia in due l’anima con un coltello, che affonda la sua telecamera nel vissuto di ognuno di noi, sconvolgendo l’esistenza, ecco cos’è. La penna di Monica Viola è chirurgica, precisa, non si presta a sottointerpretazioni teoriche ma va dritta all’organo cuore, precisa e affilata come un machete. Io non vedo poststrutturalismo, né idealismi marxismi, solo una grande storia e una grande narratrice che sa cogliere il reale, rivoltare le coscienze, svuotare la pagina, e sventolare alta la bandiera della letteratura, quella vera. Un’autrice che, nel desolante panorama delle lettere moderni, emerge in tutto il suo splendore chirurgico, elevandosi a paladina della parola, a salvatrice in terra della letteratura italiana. (come l’ho detto?)
Quello che racconti è come sempre sconvolgente, per me, a prescindere da quante statistiche io possa conoscere, da quanta consapevolezza io possa avere della diffusione del “fenomeno” erroneamente denominato pedofilia. Non c’è nessun amore per un bambino o una bambina nel desiderio sessuale che se ne prova. C’è solo desiderio e bisogno di sopraffazione, bisogno di sentirsi potenti, tenere in pugno, rubare, violare. Non ci sono bambini consenzienti, ci sono bambini manipolati. I bambini possono avere spinte sessuali molto forti, e anche avere una sessualità appagata, ma difficilmente con adulti. Gli adulti possono approfittarsene per operare una seduzione sui bambini, ma anche se il bambino può sentire una pulsione sessuale, non ha ancora gli strumenti per gestirla emotivamente. Per questo motivo di solito la risposta del bambino è sempre quella di sentirsi in colpa, sentirsi che se l’è meritato: è talmente sconvolgente per un bambino che un adulto lo sfrutti sessualmente che preferisce dare al colpa a se stesso piuttosto che accettare che l’adulto “sbagli”, perché questo compromette il suo senso di euqilibrio di ruoli nel mondo (= adulto protettivo / bambino protetto). Tutto ciò si eleva al cubo (almeno) quando la violazione è all’interno della famiglia.
Credo che la tua domanda sia pertinente: dove sono le donne, le madri, in tutto questo? È pertinente prima di tutto perché la violazione sul bambino è più spesso una violazione compiuta da uomini piuttosto che donne, e poi lo è perché spesso le madri fanno finta di non sapere/vedere. Credo che i motivi siano molteplici, spesso legati a un certo vissuto personale (spesso sono anche loro state vittime di abusi, a volte continuano ad esserlo), ma anche a una sottile e deviata forma di sottomissione inconscia. E poi ci sono anche le madri che non se ne accorgono affatto, non è una forma di rimozione.
Quello che dico è una cosa del tutto parziale, inesperta, empirica e senza alcuna pretesa scientifica, solo basata su molte letture e esperienze personali, ma ho pensato di condividerla qui perché credo che l’unico modo di proteggere l’integrità del bambini dall’abuso sessuale sia quello di parlarne e creare consapevolezza nelle persone, facendola una buona volta finita con la “pedofilia” che fa business e clamore sui giornali e mettersi in testa che, come quasi sempre succede, “la barbarie comincia a casa”, parafrasando gli Smiths, e se non sono i familiari, sono gli amici di famiglia. Quindi allerta, tutti quanti….
due isolati alla stazione dei carabinieri
due grossi peli neri e ricci
due genitori
una sola piccola bambina
una sola sottile cameriera.
se i numeri potessero tracciare i diagrammi di forza e di flusso dei personaggi sarebbero amici dei narratori.
e invece solo qualche volta inclinant.
perché in due ci si accorda o ci si fa compagnia e in uno si protesta o si tenta di porre rimedio.
ma qui la signora ride per due ed è tragico dunque che rida pure col marito.
era quasi sicura che avessero riso.
era quasi sicura che avessero riso.
era quasi sicura che avessero riso.
che la violenza sia una macchia di colore è vero.
che la violenza sia per sempre blu come un livido appena fatto altrettanto.
che monica viola abbia trovato una rete di sillabe tra colori e parole per insaccarci speranzosamente in questa storia ispida va a suo merito.
tutti gli uomini che recitano un verso di shakespeare sono shakespeare. (borges)
tutte le donne per le quali la stazione dei carabinieri è solo a due isolati sono violeta. insaccarci speranzosamente è un bel gesto di letteratura. qualsiasi forma abbia, reportage, racconto, poesia, saggio, elenco del telefono, spot luminoso.
e questo è secondo me
chi
tra colori e numeri…
(perdonate la fretta nel submit comment :o)
Lo sai qual’è il problema, cara Phoebe ?
Che tu non hai saputo dire semplicemente che il racconto non ti era piaciuto, ma hai dovuto rincarare la dose dicendo che, chi lo aveva invece lodato, era incontinente/incompetente.
Quindi, il torto è tuo, e totale, semplicemente perchè non sei riuscita a limitarti al giudizio sul racconto, ma hai voluto congiuntamente offendere chi la pensava diversamente.
Tutto qui.
P.S. meglio l’ironia che l’acidità, eh ?
Citrosodina dopo i pasti, suggerirei..
Quella Phoebe lì ha un’evidente testa a forma di glande.
Quella Phoebe lì ha un’evidente testa a forma di glande.
saran cazzi suoi no! :))))
Sono “costretto” a dare ragione a Barbara. Meno spocchia e più rispetto per chi la pensa diversamente.
franz? sei quello bello intrigante e tenebroso della foto in bianco e nero?
ma chi ti “costringe”?:))
io penso che siamo le nostre parole , io penso che tutto parli di noi.
personalmente aborro qualsiasi forma di censura e mi infastidiscono i richiami all’ordine o all'”educazione”.
io sono per l’autodeterminazione, sempre.
ognuno si prenda carico delle proprie di parole e se son parole spocchiose, se son parole arroganti, se son parole saccenti, non posso che prenderne atto e fermarmi a rispondere se ritengo che valga la pena rispondere, oppure posso ignorare, oppure posso argomentare, oppure posso aspettare, oppure posso sfanculare.
tutto parla di noi.
io anche, pur condividendo gli apprezzamenti di phoebe, provo fastidio per come si è posta , ma, sono appunto, cazzi suoi, in tutti i sensi.
un bacio libero nè
la funambola
ma cosa ritrae di preciso, quel blu nella foto???
Concordo con Franz. Più rispetto per il mio pensiero:- )
@La funambola: racconti la tua storia in modo lucido ed atroce. Cosa che non riesce a tante donne che “perdonano”. Evidentemente tu hai perdonato davvero, imparando ad accettare quello che ti era successo come parte di te. Molte donne, che poi tacciono, “perdonano” perché si sentono in colpa per quello che è successo. E’ una cosa così radicata nella donna, da così troppo tempo, che è difficile da cambiare nonostante la parità dei diritti e l’emancipazione che sono un po’ (e non molto) più tangibili solo da trent’anni. In questo donne e bambini si assomigliano: nella colpa. Il bambino rielabora spesso quello che nel mondo degli adulti non va bene come una sua colpa, lo fa nello stesso modo in cui considera il mondo l’emanazione di se stesso. Il bambino è sempre tragicamente e meravigliosamente dentro le cose. Le stesse cose che crescendo s’imparano ad osservare e ascoltare, o, più spesso, a soffocare. Quando io ero piccola i miei genitori litigavano continuamente e ferocemente. Non erano proprio la coppia ideale. Mentre le cose peggioravano e mio padre rovinava se stesso e noi con i debiti di gioco iniziai a dire a mia nonna che la colpa era mia. Così, senza motivo apparente, la colpa del pessimo matrimonio dei miei era mia. Mia nonna non gradì. Lo disse a mia madre. Mia madre mi parlò, cercò di tranquillizzarmi e decise che era ora di chiudere con mio padre. Lei ne aveva il potere, essendo la più forte dei due. Per smuoverla a fare quello di cui aveva bisogno le ci volle la sua bambina che si sentiva in colpa.
A volte le nonne e le madri ci sono. Siamo sempre più forti degli uomini, il problema vero è che spesso questa forza la dirigiamo contro noi stesse per ammutolirci. Con lo stesso feroce silenzio dei bambini.
Ma dove sarebbe questa foto di Franz bello intrigante e tenebroso??? Ma sei proprio sicura, sicura?
Poi si monta la testa!
Mi è venuto in mente anche Un cuore semplice, di Flaubert – mi pare.
Un filo sterile infilare critiche sul filo del disgusto da deja vù, lecito, certo, perchè siamo bombardati da miliardi particelle di informazione che fatalmente ripercorrono standard e meccanismi ciclici.
Il punto è altrove. Monica Viola adotta una scrittura scoperchiata, impudica (mi riferisco anche a Tana, uscito per Vibrisse ) che può infastidire per il ricorso a feticci di uso comune. Penso, ad esempio, alle prime mestruazioni. Avevo sentito troppe volte in varie forme, la descrizione di questo evento. Un po’ come quando i giovani scrittori maschi raccontano che la più bella della classe non se li filava mai, per dare corda a tipi più rozzi e ignoranti. Calciatori, per lo più, mentre loro erano sensibili e inadeguati.
Il punto è che Monica Viola poi sa creare dei punti di vertigine che sono “Lettaratura”. Buona letteratura, non diaristica catartica. Sono capoversi, manciate di righe, periodi, che escono miracolosamente per mestiere, o per un sano istinto e ne fanno una scrittrice matura che un po’ ci prende per il culo scandalizzando e un po’ gioca con il dolore che scava ferite dell’anima e che non si disperde mai completamente. Sedimenta, si riorganizza in negatività e attacca da qualche parte, quando meno te lo aspetti. Queste “presenze oscure” fanno da trama occulta e perdoniamo cose che ci sono piaciute meno, perchè ci rendiamo conto che l’affresco ha bisogno anche dei cipressi sullo sfondo e che questi alberi non sviliscono il soggetto- oggetto, ne sono parte integrante.
SERVONO PER PRENDERE FIATO, perchè l’autrice ci costringe a uno stress emozionale estenuante, è incontinente, gioca con la carne viva in un quadro borghese di scheletri nell’armadio che vale la pena di continuare a considerare, a sezionare, per nulla obsoleto.
mah… Monica Viola ha il grosso pregio di essere la presidente del gruppo dei quindici, e così di essersi fatta un bel giro di conoscenze, che non è nulla di illecito, però l’aiuta molto in questo mondo difficile dell’editoria perchè onestamente ha una scrittura piatta che non dice nulla
Per precisare, le mie citazioni sono per un bel confronto coi modelli del passato. Una mia impressione è però che una descrizione in più o in meno sfiora l’abisso della pornografia.
cara Ophelia
La prendo un po’ larga e mi metto in sottofondo la canzone di fossati, c’è tempo, fossati, un poeta prestato alla musica, la metto per addolcirmi che son piena di rabbia oggi e questo mi fa donnetta, perchè la rabbia non porta da nessuna parte, la rabbia è sconfitta ed io voglio cadere senza serbare rancore.
Me ne fotte un cazzo della letteratura, di quella letteratura che non produce cambiamento, che non ti arriva come un pugno allo stomaco senza cadere nel pulp, di quella letteratura che si compiace e che si consola, di quella letteratura impotente e che dichiara la sua impotenza, di quella letteratura senza necessità, perchè dobbiamo scrivere solo per necessità senza pensare a chi ci leggerà, senza pensare ad un pubblico che questo pensiero ci confonde e ci fa usare artifici e ci fa schiacciare l’occhiolino al nostro “possibile” interlocutore, che ci fa compiacenti, che ci fa indulgere su quello che gli altri si aspettano da noi, che ci fa vanitosi, della letteratura che dichiara la sua sconfitta, me ne fotto di questa letteratura ed è per questo che per anni non mi sono più avvicinata ai libri, ed ho provato a vivere quello che i libri mi facevano sublimare.
Che cazzo mi scrivete mi dicevo, che cazzo mi dite, perchè fingete, perchè non vi fate capire, che cazzo avete da dirmi, e se non avete un cazzo da dire, se non avete capito un cazzo, se non mim parlate di quello che siete, perchè vi ostinate a dirlo.
Ho ricominciato a leggere e ho ricominciato da pavese, un uomo “onesto”.
Ora faccio zapping e sono velocissima a cambiare canali.
Non possiamo che parlare di quello che sappiamo, non possiamo che raccontare di noi senza alibi, senza fronzoli, senza artifici, senza forzare.
Dobbiamo riconoscerci dignità, dobbiamo riconoscerci “umiltà”.
Ho raccontato di me con parole semplici e le parole semplici, innocenti ,sono feroci e disarmanti e non consolano perchè la realtà non è mai accompagnata da sottofondo musicale, da presagi, da colori, perchè il male è stupido e raccontare la stupidità edulcorandola è ancora più stupido e non ci fa onore.
C’è una retorica del dolore che non sopporto , come c’è una retorica della gioia che non sopporto.
Siamo circondati di retorica.
Nessuno può ferirmi, calpestarmi, farmi sentire in colpa, se io dentro mi riconosco dignità, nessuno può farmi male, il male morale intendo, che quello fisico certo che lo possono, se io mi riconosco “regina”, nessuno può calpestarmi se io non mi calpesto.
Perdona loro perchè non sanno quello che fanno
Sono parole sublimi, non sono facili da adottare;
ma allora che cazzo ci diciamo, che cazzo ci parliamo, che cazzo approviamo delle belle frasi, se poi non siamo capaci di agirle le parole, a che cazzo servono le parole, meglio restare muti, meglio restare “ignoranti”.
Quello che è capitato a me è nulla al confronto di quello che capita a milioni di uomini e donne e bambini su questo bel pianeta.
Io sono stata fortunata perchè il male, l’inconsapevolezza di quel pover’uomo non ha infierito in modo atroce su di me, e avrebbe potuto farlo, e sono stata fortunata perchè ho elaborato senza fatica un’episodio che nella sua brutalità mi ha insegnato, per esempio, a prestare “attenzione”a mia figlia, ad “ascoltarle” anche “il sospiro” , mi ha insegnato che il male è trasversale, mi ha insegnato a guardare il male dentro di me, mi ha insegnato a prendere in mano la mia vita e a non aspettare un “salvatore”, mi ha insegnato a “vedere” e a “sentire” al di là delle “rappresentazioni”
Mi ha insegnato questo: “anche il massimo che possiamo fare per i nostri cari è poco , e dobbiamo farlo a volo, o tutta le nostre cose sono già volate via”
ti ringrazio per la curiosità che ti ha avvicinata a me
bacio
la funambola
Queste mie parole esulano completamente dal testo postato da viola e non vogliono essere un giudizio sul suo scritto, che il giudizio è una gabbia dalla quale sto imparando ad uscire.
Veramente mi meraviglio che questo racconto sia pubblicato qui. Come degli altri d’altronde. è pieno di cliché. Perché sempre queste narrazioni quotidiane, questi luoghi comuni, questo giocare con temi forti come a pretendere di essere ‘scrittori’ solo perché si parla di argomenti forti?
Dove sono finiti Calvino e Buzzati e Rodari e tutto l’insegnamento del realismo fantastico di Cortazar e Bioy Casares? Perché non far implodere il reale invece disguazzarci dentro fino al collo?
Ma che senso ha questa ricerca così autoreferenziale e autocelebrativa? Ci permette di conoscere e comprendere meglio il mondo?
questa scrittura non ha alcuna ambizione estetica (non possiamo prescindere ad esempio dal Parise de I Sillabari se davvero vogliamo scrivere), non dice niente di nuovo, non muta in nulla né la nostra comprensione dell’uomo, né la forma racconto, né il nostro impulso di morte.
Ovunque vado nei blog, trovo postati racconti così. e come se non bastasse, una marea di giudizi entusiastici.
Sono sconcertato.
ecco, si, è il tipico racconto da blog
E no, perché poi ci fanno anche i libri. Spacciando queste operazioni commerciali come fossero i nuovi laboratori, richiamando, in maniera sciagurata, il Gruppo ’63 o gli Under 25 curati da Tondelli. E ovunque leggi lodi sperticate da parte dei presunti critici. Dico presunti perché poi scopri che lavorano per, che non sono liberi di. E via dicendo
Scerbanenko,
ma du’ commenti alla gente che legge e basta, che non scrive nè professione nè per hobby, che non è un critico manco pè gnente, che non è addetta ai lavori, glieli lasciamo fare o no ??
Siamo arrivati quasi al paradosso della stroncatura a priori, e se uno invece commenta positivamente si deve quasi sentire in colpa…mah…
Lo volete capire, un pò tutti, che chi commenta può essere anche persona semplice, non acculturata, e non snob, soprattutto ?
Che legge andando a sensazioni, a pelle ?
Qui nessuno fa lo snob. non io almeno. e non sono un >, sono un LETTORE. Se il tuo gusto letterario è questo, mi dispiace per te: ti perdi un sacco di cose bellissime che manco t’immagini. non ‘difficili’, o ‘culturali’ nel senso di barbose (dio ne scampi e liberi dagli intellettuali: su questo hai ragione) ma, dicevo, ti perdi un mucchio di cose semplicemente BELLE. E questo che mi fa rabbia.
Perché poi questa cecità non riguarda solo i commenti dei ‘semplici’ come li chiami tu, ma gli stessi addetti ai lavori. che tengono basso il livello per farci consumare i libri come merce con la data di scadenza.
Fossi in te m’incazzerei, piuttosto.
Non so te, ma io per dar retta a qualcuno ho buttato anche dei soldi per comprare libri improbabili. e ok, non è questo il problema. Il problema è che qui ormai tutti si considerano scrittori.
Da lettore mi ribello.
Da LETTORE, capito?
– e non sono “un addetto ai lavori””, c’era scritto…
quello che invece sconcerta me è la capacità di passare mirabilmente e in due battute canoniche dalla discussione sulla scrittura a quella sullo scrittore. chi è. chi rappresenta. cosa fa nella vita. mangia carne?
intabarrarsi dietro qualsiasi etichetta, fosse pure quella degna e auspicabile di lettore, è limitante.
io sono io e basta, vestita di bleu o di rosso o di criticismo kantiano e aggettivi vari, nuda come un germoglio o addetto ai lavori. che importa chi è monica viola, che importa desumere o dire che la storia raccontata sia vera. esiste perché è scritta e questo basta. e se è scritta sta più o meno ritta alle folate del vento del gusto degli altri. o esistono assoluti? o la semplicità è un valore in sé?
comunque mi rendo conto che questo intervento è perfettamente in indirizzo. d’altronde per non esserlo bisognerebbe contraddire godel.
e non è facile.
buona giornata fanciulli
Scerbanenko,
scusami, ma io ho solo detto che mi era piaciuto un racconto.
Tutto qui !
Da qui ad aver capito i miei gusti letterari e addirittura dispiacersene
mi sembra proprio un’esagerazione…:o)…ma dai…
E poi:
i libri si comprano e possono più o meno piacere in base al libero arbitrio.
Nessuno, nè qui nè altrove, sta con la pistola puntata alla nostra tempia per farceli comprare.
Possiamo, sì, essere invogliati a farlo in base a recensioni o suggerimenti.
Ma se poi un libro si rivela una ciofeca, amen, a chi vuoi dar la colpa, scusami ?
Ciao !
Scusate ma pensavo che il mio commento potesse servire all’autrice, e tuttora lo penso. Mi sono accorto che si finisce col guardare altre cose che non hanno nulla a che fare col testo che si vuole commentare; si guarda spesso dentro se stessi, c’è molta invidia e molta rabbia. Io un suggerimento lo valuterei come buono, senza pensare in negativo. C’è un testo, mi può piacere o non piacere, comunque quello che si dice attorno a questo testo non può che far bene al testo stesso e soprattutto è utile in futuro per ciò che l’autrice scriverà. Insomma, un consiglio è sempre buono, sepreché non si abbia diffidenza verso qualcosa di indefinito, e sempreché si possa cogliere dove è invidia e gelosia e dove inutile remar contro per rabbia e chissà cosa. Spero che i miei commenti siano stati quantomeno costruttivi, considerato che l’ironia quando si scrive è secondo molti un buon viatico.
@ c.r.
Hai perfettamente ragione: ma qui il punto è un altro, senza togliere niente a Monica Viola, mi spiegate perché il suo racconto è stato postato su Nazione Indiana?
Per la sua oggettiva qualità?
Non scherziamo.
Io misuro solo che la rete, i blog, anche quelli più autorevoli, stanno contribuendo a loro modo ad abbassare la qualità della scrittura e non so più capire quale sia il criterio secondo il quale una cosa viene ‘pubblicata’ e un’altra no.
Non vorrei che come in tutti i settori, di fondo ci siano motivi legati alle conoscenze, ai rapporti interpersonali, etc, etc.
E non me la sto prendendo con Monica Viola, ribadisco, a lei anzi auguro ogni bene: se è davvero brava, lo dimostrerà con il tempo. è parecchio ‘sensibile’ questo indubbiamente si sente.
A me ha fatto piacere leggere questo racconto e mi ha dato modo di pensare. Immagino che il racconto sia stato pubblicato perché ogni cosa anche la più umile ha qualcosa da dire agli altri e può essere uno spunto di riflessione, in fondo chi commenta immagino abbia a sua volta la voglia di scrivere. Come me, ad esempio; allora ogni occasione può far riflettere.
Rileggendolo si può pensare che si poteva aggiustare un pochino meglio; la forma, se così si può dire, non ha la forza che dovrebbe avere visto l’argomento di cui tratta. A pensarci bene sembra che manchi di verità, poiché il modo di scrivere, nonostante l’apparenza, è un poco esteriore e un poco ingenuo; uno su tutti il cornetto che sa di cartone. A ben considerare, dunque, a mio avviso, si poteva fare meglio. Spostare ad esempio il particolare dei due grossi peli, trasferendo un altro elemento, forte e negativo, sulla figura del genitore. Ben tratteggiata sembra invece, in prima lettura, la moglie e madre (più moglie che madre – si evince dal testo). Peccato per il punto di osservazione che sembra tenere più in conto il coraggio della giovane, che la piccola. Così pare.
Al di là di un dato oggettivo, che accomuni tutti i lettori, c’è la mia interpretazione di singolo lettore.