A Gamba Tesa /Ivan

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immagine di Ben

Per Nazione Indiana
di
Ivan
In politica, nella vita quotidiana o nella critica letteraria, il pessimista si deve sentire troppo spesso un bandito, oppure un idiota. Il disprezzo del pessimista, operato da un ottimismo demente e conformista ma non privo di forza, non vuole intendere ragioni: si nega al pessimista ogni competenza a pronunciarsi sulla contemporaneità, e per non replicare lo si dileggia.

E’ vezzoso, immaturo, cerca il compiacimento e si esibisce in visioni apocalittiche: dichiara lo stato di calamità per proporsi come gesucristo (oppure, in alternativa, si inabissa con il mondo in un mare di lapidi). Tutto già visto, concetti abbastanza familiari, persino banali. Ma la riprovazione e lo sfottò che si abbattono sul pessimista messianico spesso non risparmiano il pessimista ragionevole, trasformando la visione di un mondo desolato ma vero in
una comica vignetta. Sterilizzazione di massa: l’ottimismo demente rifiuta il significato, e si accontenta della superficie.

Sicché, se la politica italiana mi fa schifo, l’accusa di qualunquismo (o, immediatamente, quella di catastrofismo) abolisce il mio diritto di critica ben prima di accertare che il fatto di avere un’idea politica chiara e precisa possa risultare incompatibile con un sistema bipolare
“all’italiana” (come conviene chiamarlo); e, d’altra parte, un pessimismo conseguente sceglie di dire esattamente che “un’intera classe politica fa schifo”, a costo di esagerare, per non rischiare di transitare – nella pubblica comprensione – da una condanna con qualche eccezione a un “ego te absolvo” cosmopolitico, e di convertirsi nel suo opposto.

Costretto tra due malintesi , il pessimista non mente , né sceglie il male minore, ma si affida a una visione stilizzata del mondo per non diventare del tutto cieco. Il suo mestiere non è di risultare simpatico: è un eretico di malumore che vuole cambiare, riformare e
stravolgere tutto e a cui, per paradosso, si rimprovera un’ideologia ottusa e conservatrice. Lo si bolla come querulo rompiballe per non esserne molestati, e gli si rivolge quel genere di sorriso di
compassione che neutralizza ogni critica. E’ a suo modo una vittima, ma senza sanguinare non si mostra segno d’offesa, e per questo motivo si finisce per diventare persino più patetici di una vittima autentica.

A volte la società della cultura assume il pessimista per licenziarne l’indole:e questo è un segno, se non della presumibile estinzione di una stirpe,almeno della sua benevola castrazione. Il rompiballe non parla più.
L’ottimista si prende la rivincita con i fatti, che parlerebbero da soli:il progresso ci ha dato il benessere e tutti gli strumenti per la libertà,sicché la democrazia di diffonde a macchia d’olio, da sola. Possiamo alzare la voce, possiamo farci ascoltare, possiamo fare quello che ci pare: prima o poi, si dice, qualcuno lo farà.

9 COMMENTS

  1. È da inconsapevoli essere ottimisti.
    Io sono una pessimista, una pessimista rassegnata a non rassegnarsi, una pessimista che crede “ non ci sia impero che meriti che per esso venga rotta la bambola di un bambino. Non c’è ideale che meriti il sacrificio di un trenino di latta”.
    Sono rassegnata a sentire e rassegnata a pensare.
    Sono rassegnata ad essere sconfitta e trovare in questa rassegnazione la volontà e l’orgoglio di resistere all’irragionevolezza del mondo.
    Sono rassegnata a sentire questo urlo di rabbia che a volte mi prende allo stomaco, a sentire questa indignazione che mi sale come un fiume che vorrebbe tracimare e investire con rabbia questa vita così feroce, così ingiusta,così crudele, così assurda, così folle, così piena di dolore.
    Sono rassegnata a sentire dentro a volte questo sprezzo infinito per l’umanità che mi fa barbara .
    Sono rassegnata a sentire le mie paure, la mia spina al fianco, la spina al fianco di qualsiasi persona che ha la colpa di vivere dalla parte privilegiata del mondo.
    Sono rassegnata alla mia finitezza, rassegnata al dolore di sentire meno dolore alla notizia di una strage di persone, carne come la mia cazzo, sangue come il mio, in qualche cazzo di parte del mondo ,che alla morte del mio cane, o del mio gatto, o della mia piantina di maria, o a un mal di testa.
    Rassegnata a guardare l’immagine di un bambino senza una gamba perchè qualche padre di famiglia gli ha piazzato lì vicino il suo destino di dolore, cazzo, a un bimbo che potrebbe essere il mio di bimbo,rassegnata a vederlo così, nel mentre faccio gli addominali sul tappeto del salotto.
    I miei addominali sì, più importanti della gamba di quel bimbo, perchè gli addominali sono roba mia, la mia vita di carne; quel bambino non so.
    Rassegnata a prendere atto che non ho la capacità di contenere il dolore del mondo
    Rassegnata ad essere umana.
    Rassegnata a non capire, a non riuscire a capire PERCHE’.
    Per il resto faccio la mia parte,cerco solo di fare la mia parte.
    E poi vado in bicicletta, ballo, rido, canto, faccio l’amore, vivo insomma consapevole , spesso, ora, dei danni che faccio quando mi muovo.

    “L’ottimista pensa che questo sia il migliore dei mondi possibili; il pessimista sa che è vero”
    Quando incominci a chiederti il Perchè e senti che è una domanda senza risposta, quando di fronte al silenzio irragionevole del mondo prendi atto che il significato di questo nulla, lo puoi trovare solo qui, in una guerra in cui sei già vinto,
    ma il riscatto sta nella volontà , la nostra,
    non quella prepotente di volontà, chiamata istinto di conservazione,
    il riscatto degno sta nella volontà di sostenere il confronto col silenzio irragionevole del mondo,
    ecco, quando cominci a “sentire” così,allora, puoi, forse, definirti pessimista,
    allora sei sulla strada del “pessimismo”.
    Mantenere fede a sè stessi pur di fronte al niente.
    Sapersi mantenere su un cresta vertiginosa di dà dignità ed onestà.
    “l’assurdo è la ragione lucida che accetta i propri limiti”
    e, per assurdo, “l’assurdo non libera: vincola”
    L’assurdo, la percezione dell’assurdo, ci fa sentire che non abbiamo ragioni assolute per il nostro impegno ,ma una sola ragione relativa e decisiva:
    mantenere, scegliere di mantenere fede a noi stessi senza appellarci al cielo, ma con tutta l’umana potenza e fragilità ,di due mani piene di terra.

    Pessoa era un pessimista…e barcollo per i foschi cammini dell’insania, occhi vaghi di schianto, per l’orrore che la realtà ci sia e ci sia essere, ci sia il fatto della realtà.
    ma una “Pessimista” come la emili io non l’ho ancora trovata, ma lei ,mi dà più della gioia

    immagino, sogno, un mondo di “pessimisti” di “asociali” di “idioti” di “perdenti”
    i Pessimisti amano la vita, l’amano profondamente.
    baci pessimisti che aspirano ad essere “Pessimisti”
    la funambola
    (l’avevo scritto tempo)

  2. Finalmente (con una minima dose di tatto, si può dire che non si è mai vista una principessa meno regale:). Iv, svirgolettato e senza ottimismo alcuno: che piacere rileggerti.

  3. “I miei addominali sì, più importanti della gamba di quel bimbo, perchè gli addominali sono roba mia, la mia vita di carne; quel bambino non so.”

    La distanza tra il dolore che io provo e il dolore che tu provi è ciò in cui il dolore si “realizza” meglio (nella loro reciproca estraneità). “Tutto il dolore del mondo”, la somma dei dolori e il loro “non esser di nessuno” sono il sintomo dell’assurdo…Si soffre, ma nessun in particolare, oppure ciascuno per sé, ovvero in prima persona. Versione tragica: non posso essere te; posso, al limite, provarne il bisogno, e così un ennesimo dolore. Ma tra la mia coscienza e la tua coscienza c’è, appunto, il mondo che si contrae “a uovo”.

    Gina, sono qui…qui o da queste parti, adesso mi guardo intorno per vedere cosa sia cambiato.

  4. All’ottimista basta un biberon per essere felice. Succhia un goccio di latte e si nutre delle illusioni che reggono il mondo. Il suo mondo. Adoro i bambini paciosi. Sono rassicuranti.

  5. chi l’è cheschì, il roquentin? quello che ha il nome di battesimo di un soldato russo e il cognome di un formaggio francese?

  6. ..anch’io armì, a patto che non mi parli di letteratura, che non mi ammorbi col paesologo che è in te, che non fai il testimone di genova, che mi paghi la cena, che c’hai lettore cd in macchina che i cd li porto io e anche le cartine, che tiriamo giù i sedili e scopiamo come ricci e come dio comanda senza se e senza ma…
    …è che mi sono fidanzata col signor tash, lui non lo sa ma io so che è molto geloso.
    però una canzone te la voglio dedicare che tu mi sei molto caro.

    C’é un amore nella sabbia
    un amore che vorrei
    un amore che non cerco
    perche’ poi lo perderei

    C’e un amore alla finestra
    tra le stelle e il marciapiede
    non é in cerca di promesse
    e ti da quello che chiede

    Cose che dimentico
    cose che dimentico
    sono cose che dimentico

    C’e un amore che si incendia
    quando appena lo conosci
    un’ identica fortuna
    da gridare a due voci

    C’e un termometro del cuore
    che non rispettiamo mai
    un avviso di dolore
    un sentiero in mezzo ai guai

    Cose che dimentico
    sono cose che dimentico

    Qui nel reparto intoccabili
    dove la vita ci sembra enorme
    perché non cerca più e non chiede
    perché non crede più e non dorme

    Qui nel girone invisibili
    per un capriccio del cielo
    viviamo come destini
    e tutti ne sentiamo il gelo
    il gelo
    e tutti ne sentiamo il gelo

    C’e un amore che ci stringe
    e quando stringe ci fa male
    un amore avanti e indietro
    da una bolgia di ospedale

    Un amore che mi ha chiesto
    un dolore uguale al mio
    a un amore così intero
    non vorrei mai dire addio

    Cose che dimentico
    sono cose che dimentico.
    tè non dimenticarmi nè che io anche
    bacio
    la funambola

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017