@ Primo Levi

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immagine da:
I Torinesi in coda al Cinema Massimo per ricordare Primo Levi

di
Francesco Forlani
e Montgolfier

Ieri sono andato ad una serata dedicata a Primo Levi,al Cinema Massimo, dove Moni Ovadia e Walter Barberis leggevano ”I sommersi e i salvati”. A parlare era soprattutto il testo, in uno, attraverso la voce dello storico, dell’interprete, nell’altro, Moni Ovadia, quella dell’autore, perchè “ascoltare, così come guardare o contemplare, è toccare l’opera in ogni parte – oppure essere toccati da lei, il che è lo stesso. ” . (Jean Luc Nancy)

Ascoltare- con mano, verrebbe da dire- uno ad uno i temi di un’opera tanto necessaria quanto insostenibile, in una composizione sobria di dialogo tra autore e lettore, entrambi testimoni- attraverso il testo- dell’assurda, “banale” tragedia, è stata una vera e propria esperienza, collettiva e dunque condivisa con i tantissimi spettatori accorsi.

Per dirla senpre con Jean Luc Nancy, eravamo parte di un ascoltare come ” essere tesi verso un senso possibile, e quindi non immediatamente accessibile”.

Facendo alcune ricerche mi sono di nuovo imbattuto in un universo ,quello di http://www.flickr.com, vero e proprio blog collettivo ed internazionale interamente dedicato al mondo della fotografia. Uno di loro,Montgolfier, era stato al Massimo. Oltre all’immagine, da me usata per questo post, c’era un testo, a firma del fotografo,e che vi ripropongo .

I Torinesi in coda al Cinema Massimo per ricordare Primo Levi

Vent’anni fa Primo Levi è saltato nel vuoto, e ci ha lasciato. Ieri sera, al Cinema Massimo, la città gli ha reso omaggio. Moni Ovadia ha letto brani da I sommersi e i salvati. Una scelta a mio parere molto giusta. Come ha detto Ovadia, in quel testo Levi salda la testimonianza e il pensiero, e segue la via della conoscenza aggirandosi in una materia dove parlare è difficilissimo.

Ascoltare la prosa di Levi è sempre un’esperienza. È pura, essenziale, del tutto aderente al suo scopo, senza fronzoli né compiacimenti, assolutamente precisa. Eppure, non è per nulla fredda, intrisa com’è di un’umanità e di una pietas toccanti.

Aggirandosi nella zona grigia, affondando le mani nella palude tra la vittima e il colpevole, I sommersi e i salvati in fondo non analizza soltanto la psicologia e l’esperienza del Lager, ma parla anche a noi, alle nostre debolezza.

In questo senso, leggerlo dovrebbe essere una necessità periodica.

13 COMMENTS

  1. Ascoltare- con mano, verrebbe da dire- uno ad uno i temi di un’opera tanto necessaria quanto insostenibile….

    non riesco a scrivere nulla che non sia
    il mio abbaraccio aperto e proteso……..

  2. a proposito di Primo Levi

    ho partecipato alla serata al cinema Massimo.
    Non c’erano spigoli arrotondati nel ricordare quanto l’uomo sia stato e possa essere crudele verso i propri simili e verso se stesso. Una parte di noi deve sempre vigilare sulle soglie della tolleranza che, troppo spesso, ci concediamo.

  3. Con I sommersi e i salvati e, Primo Levi ha, detto cose definitive sul male di cui siamo capaci e sulla estrema difficoltà di riconoscerlo pienamente quando non ci abbia colpito direttamte.

    I suoi libri sono straordinari e hanno messo la Shoah al riparo di qualsiasi riduzionismo storico, soltanto la letteratura può preservare intatti i grandi e tragici eventi della storia, essi diventano “per sempre” soltanto allora.

    Maria

  4. Per effeffe,

    Bello, bello Torino. La foto mi incanta.
    Primo Levi è un grande. Ho letto “Si c’est un homme”, “les rescapés et les naufragés”et des nouvelles. Quando leggi “Si c’est un homme”, tu sei cambiato per la vita, come quando scopri il fumetto Maus o quando vedi il film : “le choix de Sophie” ” Nuit et brouillard”: non ho potuto vederlo per intero perché mi ha resa ammalata.

  5. a volte ci si chiede quale identità avremmo, senza i Levi, i Fenoglio, le Ginzburg.
    La risposta non c’è, è un’impossibilità.

  6. il post ha per ora tutte le responsabilità della deriva emotiva, agiografica, superficiale, dei commenti e del senso comune semplificante che qui (e altrove) circonda lo scrittore e i problemi-valori che sono inscritti nella sua scrittura (memoria e oblio; testimonianza, storia e letteratura; modernità e shoah, male assoluto o storico eccetera). c’è un bel pamphlet di enzo traverso dedicato a questi temi: il passato. istruzioni per l’uso. storia, memoria, politica, ombre corte (bruttino il titolo). si parla di come, in realtà, il vero problema nelle società occidentali non sia l’insidioso venir meno della memoria, piuttosto la sua ipertrofia (la “religione” della memoria, mausolei, films, polemiche mediatiche eccetera). di questo levi, per chi non lo sapesse, era cosciente, col suo solito atteggiamento intellettuale vigile ed equilibrato: non solo avvertiva i rischi del “controllo dell’oblio”, per dirla con fortini (le minacce dei revisionismi e dei negazionismi, ecc.); ma soprattutto rifletteva sui rischi degli “eccessi” e della conseguente “cristalizzazione” della memoria (la fabulizzazione della storia in fiction, fino all’americanizzazione della Shoah, eccetera eccetera). Se proprio bisognava ricordarlo, effefefef o chi per lui poteva sforzarsi un po’ di più. Visto che ce l’avete qualche conoscenza, come degli amici che ‘tenzonano’ e fanno cultura (non gruppuscoli di potere, ci mancherebbe), potevate interpellare qualcuno di serio (raffaeli, bidussa, belpoliti, che avrebbero bontà loro qualcosa di nuovo e di approfondito da dire). Guarda che è morto vonnegut. potete postare un altro bel santino. buone esequie.

  7. @fm
    sentire vs ascoltare

    se l’hai sentito così, questo post
    non posso che dirti:pazienza!

    Testimoniare o far testimoniare l’opera, come non essere d’accordo, ma francamente ravvisare in questo post qualcosa di simile al “celebrativo” monumentalizzante- qualcosa di simile a “imbiancare” , significa non aver colto, dunque ascoltato. Ci sono esperienze che non è possibile approfondire, e men che meno ri-dire, qualcosa di simile a quello che Nietzsche proponeva con l’immagine dello scalatore che resta sospeso alla parete, nell’impossibilità- non nell’incapacità- sia di continuare l’ascesa che di ritornare sui propri passi.
    Nel post facevo riferimento all’esperienza dell’ascolto dell’opera. Nella speranza che chi quel libro non lo avesse letto lo facesse, proprio per far risuonare dentro di sè, la voce tra le voci, di Primo Levi.

    Lo so, è poco. Troppo poco, per me, il tempo dedicato a Primo Levi.
    Varrebbe la pena senza scomodare gli “esperti” produrre riflessioni sull’opera dello scrittore e magari pubblicarle/postarle, anche qui, come se questo mio articolo non fosse che un “breve”, brevissimo “incipit”.
    Possiamo comiciare da te…

    effeffe

  8. FM, certo il mio commento è superficiale ma non possiedo le sottigliezze della lingua italiana per approfondire la riflessione. Mi piace dialogare con spontaneità su NI, in questo modo faccio condividere le mie emozioni: deriva emotiva? E’ una maniera di fare amicizia.

    Effeffe: bella risposta.

  9. Sfoglio le “Storie naturali” di Primo Levi e vi trovo uno sguardo nuovo su ogni cosa raccontata:
    – Versamina: se il dolore fosse piacere, la fine dell’essere umano!
    – La composizione poetica di una Tenia!
    – il rapporto uomo-macchina (il versificatore! Il duplicatore e come liberarsi della copia della propria moglie… mi fa venire in mente l’espediente di McEwan in “Geometria solida”! Il misuratore di bellezza! E la proto-realtà virtuale in “trattamento di quiescienza”)
    – una ragazza ibernata costretta a subire le sevizie del suo “liberatore”
    – l’utilizzo profetico degli insetti (adesso e’ normalita’ si pensi ai concimi-bio ma non solo): il patto con le libellule!
    – e il celebre centauro…

    Ma anche tutti gli altri racconti: la centralità del tema del lavoro (quello di chimico, quello di scrittore) e del linguaggio…TUTTO ho letto di Primo Levi TUTTO perche’ e’ un grande scrittore senza etichette (e da grande quale era ha ANCHE parlato dell’orrore che ha subito).

    Non e’ morto, ci sono le sue pagine.

    Idem per Vonnegut, leggete qui:

    “Alla Cornell University mi diplomai in chimica perché quello era il campo in cui si era fatto strada tanto bene mio fratello. I critici pensano sempre che uno non possa essere un artista serio se ha fatto degli studi tecnici, come nel mio caso. So che in genere all’università, nelle facoltà di lettere, senza grossa cognizione di causa si insegna a guardare con orrore alle facoltà di ingegneria, di fisica, di chimica. E questa stessa paura, secondo me, si trasferisce anche nell’ambito della critica letteraria. Gran parte dei nostri critici vengono dagli studi umanistici, e guardano con sospetto chiunque si interessi di tecnologia. Insomma, come stavo dicendo, io mi sono diplomato in chimica ma finisco continuamente a insegnare nelle facoltà di lettere, e così ho avuto modo di offrire il contributo del pensiero scientifico alla letteratura. Ma non mi è stata mai dimostrata grande riconoscenza per questo.
    Sono diventato un cosiddetto scrittore di fantascienza quando qualcuno ha stabilito che ero uno scrittore di fantascienza. Non ci tenevo affatto a essere etichettato in quel modo, e mi chiedevo cosa avevo fatto di male per non vedermi riconosciuto come uno scrittore serio. Alla fine ho deciso che la mia colpa era quella di parlare di tecnologia nei miei libri, mentre la stragrande maggioranza dei migliori scrittori americani di tecnologia non ne sa un bel niente. […]” finite di leggere a pag. 21 di “Un uomo senza patria” ne vale la pena.
    (esilarante anche la descrizione su assi cartesiani di Cenerentola o di una storia di Kafka! Pag. 27-38)

    E come non ricordare la più dissacrante descrizione – mai scritta prima di allora in assoluto – del terzo principio della dinamica in “mattatoio n. 5”???

    Non sei morto se ti leggiamo.
    Lunga vita alla lettura (e alla vita).

    Francesca E. Magni
    (sono intervenuta come “Fra” anche un’altra volta, in “Complementarietà e dintorni” ma ho visto che c’è un altro Fra e allora visto che le mie iniziali FM non vanno bene, mi autodenuncio nome e cognome, tanto non mi conoscete)

    Baci a tutti.
    …ricordiamoci l’intelligenza emotiva: perche’ questa paura per le emozioni e per i suoi “eccessi” FM? Scusa forse e’ una roba che impera in TV, ma io non la vedo da tre anni e sono quindi un po’ fuori dal mondo e forse invece tu ne sei saturo. Io critico solo il fatto di vedere Primo Levi sempre e solo come lo scrittore della tragedia collettiva e non come uno scrittore “serio” (come dice Vonnegut).

  10. Ho scannerizzato questa intervista
    dal DOMENICALE DEL SOLE 24ORE dell’8 aprile scorso

    L’8 marzo del 1980 una giovane dottoranda belga che ha tradotto “Il sistema periodico” incontra lo scrittore Primo Levi nella sua casa torinese. Lui le rivela che lavora per lo più senza un piano, in maniera sperimentale. E si lamenta delle traduzioni: «Ho minacciato di fare causa all’editore francese”

    Dialogo tra Primo Levi e Catherine Petitjean

    Primo Levi: Mi sento riconoscente al mio mestiere di chimico perché mi ha insegnato cose in un modo concreto, molto prezioso.
    Catherine Petitjean: In che senso, per analizzare?
    P.L: Sì, per analizzare. Ecco io preferisco scrivere che parlare di queste cose. È più facile scrivere che parlare, e le cose che dico sono meno spiegate che quando scrivo.
    C.P: Quando lei scrive un libro come fa? Lei scrive un piano oppure scrive…
    P.L: Non ho mai fatto due volte nella stessa maniera. Se questo è un uomo l’ho scritto quasi completamente a rovescio e senza piano. La tregua, invece aveva un piano, ma era logico perché è una storia cronologica, un viaggo. I due libri di racconti. Storie naturali e Vizio di forma sono delle raccolte di racconti che avevo già pubblicato prima, in buona parte su giornali. Il sistema periodico è senza piano e anche La chiave a stella. Direi che salvo La tregua in generale non ho mai preparato un piano preciso prima di scrivere, semmai l’ho preparato e poi non l’ho rispettato, non l’ho osservato.
    C.P: E quando lei scrive, scrive in una volta o riprende il testo?.
    P.L: Anche questa non è una regola Se questo è un uomo l’ho riscritto due volte per intero perché quando è stato ripubblicato una seconda volta dieci anni dopo l’ho corretto molto e ho aggiunto anche due capitoli che non c’erano nella prima edizione.
    C.P: Ma la prima edizione non si trova più?
    P.L: No. Io ne ho due copie e ancora sono stampate su carta di guerra, è ingiallita ma rilegata…si vede benissimo che è un’edizione, come dire…
    C.P: Di fortuna?
    P.L: Sì, di fortuna Non si trova.
    La tregua l’ho corretto abbastanza poco e anche gli altri dopo. Adesso, ho imparato a scrivere con la macchina, io scrivo alla macchina direttamente. Ne ho comprata una. Non correggo quasi più. È un mestiere questo, è veramente un mestiere. Si impara con l’esperienza. È molto più economico scrivere una sola volta invece di due.
    Conviene imparare come s’impara ad andare in bicicletta (ride).
    C.P: Ci saranno ancora altri libri? Ne sta preparando altri?
    P.L: Ci sono una decina di temi che vorrei svolgere, che ho già visto svolti anche in parte ma su cui non sono d’accordo oppure che, a mio parere, non sono nuovi. E mi sembra questo una specie di dovere da compiere.
    C.P: Un dovere morale.
    P.L: Un dovere morale, sì.
    ***

    C.P: Mi piacerebbe tradurre tutto il libro.
    P.L: Anche a me piacerebbe che lei traducesse, ma a che scopo? Per pubblicarlo?
    C.P: Sì.
    P.L: Sa come vanno queste cose in tutto il mondo, no? È meglio prima avere un contratto firmato con la casa editrice se no si ritiene il lavoro per nulla. È una fatica terribile (ride).Anche a me piace molto tradurre. Ora le dirò una cosa: Se questo è un uomo è stato tradotto in francese, così male che io ho minacciato l’editore francese di fargli causa. Gli ho scritto che se lo pubblicava, l’avrei denunciato per danno, perché veramente è disastroso. Ci sono degli errori di traduzione, proprio! Il più bell’errore che ricordo è che ho scritto in italiano “scalcinato”. Ora “scalcinato” è un termine piuttosto volgare italiano, vuole dire abîme, fané , nono so come si dica…si dice di vestito scalcinato, letteralmente è per muri: un muro scalcinato è un muro che perde la calce, è un muro che è guasto, ma si dice di un’automobile, per esempio, non saprei come si può dire in francese.
    C.P: Plutôt: “logoro”?
    P.L: Sì, ma “logoro” è maltenuto, un’automobile, per esempio, può essere “logora” ma anche arrugginita, si dice che è “scalcinata”
    C.P: “Elle tombe en morceaux”, sì. Qualche cosa del genere, e qui, si parla di un personaggio, di un uomo, che è scalcinato e hanno tradotto “décalcifié”.
    P.L: Sì, Décalcifié ( ride )
    C.P: Per quanto riguarda i libri che sono tradotti, lei segue la traduzione?
    P.L: Quando conosco la lingua, sì. Anzi, dopo questo fatto, in tutti i contratti con Einaudi in Italia ho fatto mettere che voglio vedere la traduzione prima che sia pubblicata. Se è in francese, inglese o tedesco. Per le altre lingue, no. Per le altre lingue comunque, ho sempre chiesto che fosse completa, che non manchi niente.

  11. A chi parla di “emotività” (capito FM?, scarseggi di emotività, blablabla), dicevo, a chi parla di scrittura emotiva consiglio di rileggere con estrema attenzione il saggio su avanguardia e sperimentalismo postato oggi su NI. Ci troverete senz’altro ritmo, passione, emozione!

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017