Il letto di Procuste e la Cura Ludovico #5
di Giorgio Vasta
Quarta intervista su editing e sistema editoriale. Risponde Michele Rossi, editor della narrativa italiana Rizzoli.
Per chi fosse interessato alle interviste precedenti, qui la premessa, segue l’intervista a Paola Gallo, a Giulio Mozzi, a Nicola Lagioia.
Proviamo a partire da una definizione secca: che cosa si intende per editing?
L’editing viene comunemente inteso come il lavoro sul testo propedeutico alla pubblicazione. Insieme all’autore si legge il testo, ci si confronta sui punti forti e su eventuali debolezze, si rilegge insieme come potrebbe leggere un lettore neutro, si cerca di intervenire per… un momento però. Io ti sto rispondendo come se il pregiudizio ideologico (!) contro una fase del lavoro editoriale così delicata, certamente interpretabile ma anche maieutica, che necessita di grande umiltà e preparazione possa cambiare rotta. Io questo non lo credo purtroppo possibile (o almeno non ora e non qui) perché la finalità di certe critiche vuol essere un attacco a quello che viene definito un sistema economico brutale e “normalizzatore” che ha la precisa finalità di uniformare la voce dei propri autori per mungerli come vacche e produrre non più opere d’ingegno ma oggetti di veloce consumo che come abiti di H&M o Zara durino il tempo di un fine settimana e poi siano pronti per essere gettati senza lasciare traccia né memoria. La finalità è la produzione di bestseller e il tramonto della letteratura. Io mi prendo questa libertà e mi concentrerò e prenderò per buono l’assioma dell’editore cannibale. E da editor al soldo dell’editore cannibale ti risponderò:
L’editing è il momento in cui ci si appropria del testo dell’autore e si applicano i canoni della linea editoriale della casa editrice. Si taglia ciò che non serve, si tolgono le parole che non sono necessarie e si limano i picchi creativi. L’autore durante queste operazioni di restauro per fortuna è inane pur in alcuni accessi ribellistici, perché la minaccia della non pubblicazione piega anche gli animi più indocili. L’autore è prima di tutto una primadonna egotica di cui ci si deve preoccupare in modo ridotto. L’autore italiano è poi sempre alla ricerca di qualche spicciolo per tirare a campare, per cui a volte, ai più riottosi, che sono anche quelli con più difficoltà a pubblicare, si allunga qualche centinaio di euro in più spacciato come promozione e il gioco è fatto.
Come si imposta il lavoro con gli autori?
Gli si fa un discorso chiaro e tondo: a noi la tua poetica interessa nei limiti di un’aderenza al nostro modello di scrittura grezza e standardizzata che andrà ad aumentare il fatturato, per cui chiudi gli sfinteri e cominciamo a tagliare, che la prossima volta la trama te la diamo direttamente noi. Alla casa editrice non interessa Proust ma al massimo un eventuale neoproustianesimo che mi permetta di spendere il nome di Proust (autore che non legge più nessuno ma che è sempre chic) per vendere copie del nuovo fortunato scalzacani di turno.
Come si comportano gli autori rispetto all’editing? C’è disponibilità? Resistenza?
Alcuni come ho già detto si ribellano, ma questa pletora di scansafatiche senza uno straccio di idea li pieghiamo anche gratis, basta non rispondere al telefono per qualche mese e farsi negare dalle segretarie.
Il luogo comune, con particolare solerzia ribadito negli ultimi tempi, vuole l’editing come una forma di manipolazione capziosa del testo – ad opera di uno sgherro della casa editrice, appunto l’editor – finalizzata all’adeguamento del testo stesso alle condizioni delle mode e del mercato.
Cosa produce, secondo te, un’idea di questo genere? Perché, cioè, in Italia l’editing subisce questo destino di demonizzazione?
Lascio perdere allora la deviazione stanislavskijana per porre a mia volta una domanda: ma se l’editore avesse scoperto qual è la via al bestseller perché si ostinerebbe a pubblicare decine e decine di titoli che vendono poche migliaia di copie? Basterebbe pubblicarne solo uno e limitarsi a ristampare.
La questione delle mode la virerei dal punto di vista degli scrittori prima che degli editori: perché a pochi mesi da ogni bestseller ci arrivano in casa editrice decine di libri direttamente riconducibili a un tema o a un autore? Se poi in un determinato periodo storico si inaugura un filone, una corrente, un’apertura di mercato legata a questioni politiche, geopolitiche, statistiche o patafisiche, perché dovremmo scandalizzarci. Ci scandalizza che Calvino sia costantemente ristampato? Ci scandalizza che dopo una comparsata televisiva Meneghello vada in classifica? L’editoria vive nel tempo degli uomini, come tutti. L’editore che trova un bestseller fa bene il suo lavoro. È il bestseller che permette di fare ricerca, di investire su autori che non raggiungono immediatamente il grande pubblico e di farli crescere. E voglio dire di più: non è necessariamente vero che il libro che vende ottocento copie sia migliore di quello che ne vende ottocentomila. Non è un assioma accettabile questo della nicchia, dei valorosi esclusi. Chiediamoci perché un tal libro ha toccato una necessità o semplicemente il gusto di un gran numero di persone. In Italia si continua a pensare che vendere tanto sia male, che si vendano tanto solo pessimi libri e gli editori per vendere tanto uniformano (ma come si fa ad uniformare una voce? Siamo seri per favore!) le voci di autori veri (perché gli autori di bestseller non possono essere Autori ma solo Marchettari asserviti all’Ordine) per piegarli ai propri fini. Questo è falso. Chiedete agli scrittori, che parlino loro, loro che i libri scrivono e li pubblicano. L’editore interviene sul testo finché non è soddisfatto del risultato, in quanto non è una semplice tipografia, ma sempre in maniera dialogica e costruttiva con l’autore del testo. Questo è almeno il mio approccio. L’editor dev’essere un lettore esperto, di qualità, ma il suo ruolo vive solamente se si instaura un patto di fiducia tra lui e l’autore, questo è fondamentale. Se poi ci sono autori che sentono la necessità di far intervenire altri sul proprio testo, è una precisa decisione dell’autore che non commento, come credo che se ci sono casi di editor interventisti ad ogni costo bisogna parlare di tizio o caio, e non del lavoro dell’editing tout court.
Un’altra idea – per molti una convinzione indiscutibile – è quella che pensa al sistema editoriale come a un qualcosa di omogeneamente cinico e opportunista, un luogo nel quale – attraverso la già descritta mortificazione dell’autorialità – si procede compattamente alla fabbricazione di prodotti commerciali. Sembra quasi che la condizione d’accesso al lavoro editoriale sia il pelo sullo stomaco, una cinica ignoranza, un appetito da squali e un disincanto assoluto che si traduce in strategia commerciale.
Io credo che ogni casa editrice metta in atto ogni giorno le proprie strategie culturali e di crescita economica. Perché la casa editrice è un impresa economica, sai? Se non vende, e quindi non fa leggere i libri che pubblica, chiude. (Gli editori in perdita hanno forti sponsor che li utilizzano come fiori all’occhiello e non devono preoccuparsi di avere i conti in pareggio.) Per far questo sceglie le professionalità migliori che trova sul mercato. Il resto sono infatuazioni riduttivistiche e tendenziose di chi teorizza quanto già detto.
Che si distingua poi tra editor e editor come tra idraulico e idraulico è ovviamente possibile e lecito, ma questo è un altro paio di maniche.
L’editoria vive sulla scoperta di nuove voci, sulla promozione e sulla difesa di quelle che si stanno facendo strada. Questo è importante dire. Non credo nell’editore che castra ma nell’editore che dialoga e che può esprimere la sua opinione, questo sì.
Qual è, nel rapporto tra editor e autore così come in quello tra i diversi comparti di una casa editrice, il valore della negoziazione?
La negoziazione con l’autore è insita nel patto di fiducia che si deve instaurare, quella tra i diversi comparti della casa editrice è frutto di reciproci compromessi e esigenze. Sono, inutile dirlo, entrambe fondamentali.
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Tutto molto didattico e istruttivo. Ma perché quei corsivi?
Per distinguere le due diverse intonazioni, quella ironica (corsivo) da quella non ironica (tondo).
Lo chiedevo perché non ci vedo tanta ironia (nei corsivi).
Buon lavoro.
O.C.
complimenti per l’ironia. ;-)
“L’autore è prima di tutto una primadonna egotica di cui ci si deve preoccupare in modo ridotto”. Be’, è esattamente così. In effetti, la cosa più divertente che ci sia nel sistema dell’editoria.
Caro Signor Michele Rossi, direi che alcuni bestseller più che un valore sociologico hanno un valore sociopatologico. La Rizzoli è una casa editrice importante, di quelle che rivelano le tendenze. Questo è il suo compito. E lo fa bene. Mi pare.
L’ultimo libro della Rizzoli che ho acquistato è stato quello su Gesù di Nazareth. Spero che questo testo fondante non sia stato profanato nella sua dimensione egotica da nessuno. Sarebbe meno rappresentativo.
“Gli si fa un discorso chiaro e tondo: a noi la tua poetica interessa nei limiti di un’aderenza al nostro modello di scrittura grezza e standardizzata che andrà ad aumentare il fatturato, per cui chiudi gli sfinteri e cominciamo a tagliare, che la prossima volta la trama te la diamo direttamente noi.”
Ok. Perlomeno ha parlato chiaro e tondo, senz’ombra di dubbio.
Apprezzo la sincerità delle risposte. Per una volta tanto, anzi questa è proprio l’unica, si dicono un po’ le cose come stanno realmente.
Ovviamente non apprezzo per niente la politica dell’editing in Rizzoli. Sarà per questo che tiro avanti quando vedo un titolo Rizzoli, o no? Anch’io sono sincero.
Bastava questa intervista per dire dell’editing. Le altre erano non necessarie, da cestinare.
Mi ritengo soddisfatto: per una volta tanto un po’ di onestà c’è stata. Onestà che è uguale all’acqua calda, ma ci si era così tanto abituati alle docce fredde che persino una riscoperta tanto ridicola fa bene alla mente.
Carissimo Sig. Michele Rossi,
mi fa piacere che si trovi il tempo di instaurare un filo diretto tra lei e i commentautori di questo sito.
Meno piacere mi fanno definizioni (anche se messe in corsivo) come “primadonna egotica di cui ci si deve preoccupare in modo ridotto” o “scalzacani” cui ammollare qualche biglietto da centoeuro per metterli a cuccia.
Ancor meno piacere mi ha fatto venire a conoscenza del fatto che è praticamente impossibile consegnarle un manoscritto in conto visione (avrete anche voi un ufficio NUOVE proposte editoriali?) e che vi affidiate al principio del silenzio-diniego. Del resto il silenzio è l’unica forma di dialogo che pare possibile con le grandi case editrici.
Trovo giustissimo il richiamo al fatto che i libri vadano venduti (altrimenti l’editore chiude). Peccato, però, che occorra anche trovarli i nuovi talenti (magari in Italia), no?
Stamattina ho avuto un simpatico scambio di battute con un editor di una casa editrice, cui ho avuto la dabbennagine di spedire un maoscritto sette (7) mesi orsono. Pare non sia ancora arrivato il momento di sfogliarmi.
“E poi, questi esordienti! Per un editore è molto meno rischioso prendere un grande dal mercato anglosassone, pagargli i diritti e tradurlo.”
Complimenti! Ha scoperto l’acqua calda. E ha tradito la missione dell’editore, a mio modo di vedere.
Gli autori esordienti hanno un triplo handicap, a mio modo di vedere:
1. Sono italiani: ovvero con un mercato potenziale infinitamente inferiore a quello ispanico o anglosassone (in termini di milioni di possibili lettori)
2. Sono italiani: dei 57 milioni di abitanti del bel paese, una percentuale infima legge almeno un libro al mese
3. Sono esordienti, ovvero panglossianamente illusi sui mistici funzionamenti del cosiddetto mondo dell’editoria.
Onestamente c’è da sfiduciarsi in partenza… lo ammetterà.
Suo, amaramente
PG
PS La maggior parte degli esordienti, caro Sig Rossi, non ha in animo di fare soldi da quello che scrive, ma amerebbe molto essere letta.
PPS per completezza, riporto anche il commento all’intervista precedente… sono arrivato in ritardo (a commentare)
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Tutto giusto. Penso anch’io che tutti gli editori stiano smaniando alla ricerca di nuovi talenti.
Peccato che nell’ultimo anno e mezzo in cui ho bussato alle porte “smanianti”, non abbia ricevuto che cortesi no (nei casi più educati). Vige il principio del silenzio diniego e, quando qualcuno restituisce un manoscritto… l’autore scopre che 8 mesi non sono serviti neanche a sfogliarlo (libro intonso senza alcun segno di apertura: la prossima volta lascio un capello a pag 23, così lo posso dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio). Frustrante a dir poco e poco furbo per l’immagine di chi restituisce (forse per questo restituiscono in pochissimi ;-))
Ho provato anche a propormi alla minimum fax, ma (vado a memoria), mi è stato risposto che sono “pieni per due anni”. Vorrà dire che riproverò nel 2009.
Ultima chicca. una piccola casa editrice mi ha detto di si… peccato che la rilettura che vorrebbero fare… avverrebbe se e solo se falcidiassi (per ragioni di mercato) le pagine del mio romanzo da 300 a 150. Alla faccia della letteratura! ;-)
Cito anche un record di valutazione da Guiness dei Primati: una grande casa editrice mi ha risposto dopo dieci giorni con un no impersonale via email (a fronte del cartaceo che ho inviato). Non hanno avuto la decenza di scrivere il mio nome e cognome nella lettera di risposta. Possibile che in dieci giorni si riesca a valutare un testo (è scritto in italiano perfetto, preciso).
Nell’articolo si scrive che si stappa una bottiglia di spumante quando si incontra un libro meritevole di una qualche lettura (che lasci qualcosa): ma siete davvero sicuri che ciò corrisponda a verità?
Io non ho santi in Paradiso, ho scritto due romanzi, leggo in modo feroce da quando ero men che adolescente. Ma pare che questo non basta all’editoria tradizionale…
Un discorso a parte andrebbe fatto per gli editori di autori APS (A Proprie Spese, secondo la bellissima definizione di Eco: da rileggere il capitolo del Pendolo). Ho avuto tre proposte, tutte entusiastiche, e tutte allineate a rifilarmi il nulla per 3.000€.
Capirete lo stato di profonda sfiducia che mi pervade ogni volta che entro in una libreria. Suggerirei meno retorica in questi interventi e un maggiore attagliarsi alla realtà dei cosiddetti “esordienti”.
Distinti Saluti
PG
@ PG
Potrei anche appoggiarti. Ma non lo faccio.
E sai perché?
Perché, se non altro, Michele Rossi ha detto un po’ di quella verità – non tutta – che tutti dovrebbero sapere.
Non ha in realtà detto nulla di nuovo: la (ri)scoperta dell’acqua calda. Ma apprezzo l’onestà.
L’editoria è anche e soprattutto quella detta da Rossi.
Ha detto in maniera brutale, perlomeno così qualcuno si toglierà di testa un po’ di fisime circa l’editoria tutta rose fiori e buonismo e meritocrazia.
Un’ultima cosa: piccoli editori, molto piccoli, lottano contro i mulini a vento e li leggono gli esordienti e li vendono anche. Non saranno Rizzoli, ma chi se ne strasbatte. Piccoli editori con un titolo riescono a vendere duemila copie e anche più, se l’autore vale. Ci sono titoli “di comodo” nei grandi cataloghi dei grandi editori che non le vendono duemila copie: sono in catalogo per.
Chissà, forse Michele Rossi te lo dirà lui perché: mi pare che non abbia peli sulla lingua, quindi.
… per ta sorata, razza di cretino gonfio e pontificante… Non hai di meglio da fare che lasciare commenti scemi?
Caro Pg non essere sfiduciato, tieni conto che anche se il tuo libro un giorno uscisse (te lo auguro) potresti sentirti poi sfiduciato per altre ragioni (per esempio: non se lo sono letto, non lo hanno recensito. Oppure, se il tuo libro uscisse per una casa editrice ‘grande’: non hai venduto abbastanza perchè si possa pensare di stamparti ancora). E’ il triste mercato delle parole: vali per quello che vendi ma a questa logica non ci si deve rassegnare, secondo me e qui parlo da ‘poeta’ (come appartenente a un altro micromondo, in altre parole, dove non c’é selezione di merato e permangono spesso logiche pseudo-corporative o amicali). Personalmente, e tronando alla narrativa italica, credo che fare l’editor sia un lavoro da ‘scittori’, cioè un lavoro per cinici bastardi con un minimo senso della realtà e delle reali possibilità di un manoscritto (anche per questo ci vuole del ‘talento’, dico per individuare in modo ‘oggettivo’ il ‘trend’ di un’epoca….magari esagero, diciamo il ‘trend’ di un decennio, con tanto di lucchetti incatenati sui lampion idi Ponte Milvio a Roma). Parlo da profano, voglio dire non sto mica dicendo che fra cento anni tanta letteratura italiana di oggi verrà dimenticata, quello poi sarebbe il giudizio di un ‘romanziere di appendice’, come rileva puntualmente Proust verso pagina 60 delle ‘fanciulle in fiore’. Dico solo al buon Pg (se posso permettermi un cosiglio) di non prendere troppo sul serio il micromondo dell’editoria/carta stampata, con le sue logiche generaliste, la crescente professionalizzazione dell’attività dello scrivere e del ‘correggere il testo’, i party e tutta la merda e i fiori che ruotano mescolati intorno ai loghi di grandi gruppi e alle sportive e dinamiche redazioni della media editorìa. Bisogna invece prendere molto sul serio se stessi, se si ha qualcosa da dire tirarla fuori e non lasciarsi corrodere dall’esperienza del ‘no’, quando si materializza in lettere di rifiuto o in mail. Poi al limite si fallisce, esiste pur sempre l’amore nella vita reale, sulla giustizia non saprei dire, è un concetto sfuggente, ambiguo, contraddittorio e non riesco ancora a farmene un’idea precisa. In bocca al lupo (è una cosa che si dice sempre, in questi casi) e un caro saluto.
In un precedente post sempre sull’editing, avevo lanciato la proposta di fare un raffronto basandoci su un testo, e la mia idea era di partire da “Tre metri sopra il cielo” di Federico Moccia. Semplicemente perché di questo testo sono state pubblicate due versioni da Feltrinelli: quella editata e poi quella originale dello scritore romano.
Io sono pronto a scrivere le prime due pagine della versione editata,
chi posta però quella originale? poi, lo facciamo questo confronto su Moccia?
Perché in questo litblog, invece di presentare interviste a editor, non si guarda alla faccenda da un altro punto di vista?
perché non si postano brani di romanzi e racconti nella doppia versione: prima e dopo l’editing?
perché gli autori non si fanno avanti?
parlare teoricamente può essere sì interessante, ma poi bisogna andare sullo specifico.
e lo specifico sono i testi
Uno scrittore è immorale (o molto bisognoso) il giorno in cui permette che qualcuno gli modifichi gli scritti; finché vende scritti che non sono destinati per necessità intrinseca alla vendita, dimostrerà non già la sua contradditorietà, ma soltanto la sua mancanza di rendite (Elémire Zolla)
Io preferisco avere piuttosto che un pregiudizio ideologico, una morale.
@Marco Mantello
Hai detto cose vere e senza veli. Apprezzo il tuo in bocca al lupo e ti saluto caramente.
@Giuseppe Iannozzi
apprezzo anche la tua franchezza. Sui piccoli autori (la maggior parte campa sulle prebende che chiede PRIMA) ho puntualizzato che chi non chiede soldi, chiede tagli del 50% (può una storia ridursi del 50%?).
Almeno questa è la mia esperienza.
Attendiamo la replica di Michele Rossi.
Ciao
PG
ma proprio la ghigliottina dovevi scegliere!?
non riesco a entrare!
cappuccetto rosso,
tu devi temere i lupi, non le ghigliottine.
@PG
Immagino che ti volessi riferire ai piccoli editori e non autori come hai scritto.
C’è una terza via, che è capitata a me : le prime 1000 copie non becchi royalties. Però mi pare un patto onesto, tutto sommato. I piccoli editori che ho conosciuto erano pieni di buone intenzioni che si scontravano con la difficoltà di mettere insieme pranzo e cena, poverini.
La linea editoriale delle maggiori case editrici è molto chiara. A loro non interessa la pittura. Oggi ho visto due lesbiche francesi con tanto di cavalletto dipingere su un cartone telato uno scorcio di Ponte Vecchio. Con una sacralità grottesca. Molto più pregnante una stampa d’epoca color seppia. Almeno decora la parete con discrezione. E puoi condividerla con centinaia di altre persone nel resto del mondo.
Il compito di una casa editrice è stampare manifesti e cartoline per i turisti. Per gli amanti dello scachettamento su tela ci sono gli artisti di strada.
La letteratura oggi è come la pittura. Non la si può mettere su carta.
@ PG
La formula per il successo è questa:
Vai da un buon tipografo e fatti stampare il libro, ma, ATTENTO ALLA COPERTINA. La copertina te la fai fare a immagine e somiglianza di quelle di una casa editrice titolata.
Ad esempio prendiamo l’einaudi.
Basta uno struzzo come logo e una copertina colorata con un’immagine.
poi…
poi giri l’italia in lungo e largo lasciando un po’ di copie in ogni agenzia einaudi.
contratti con l’agente per mettere i tuoi libri ben visibili e vedrai che la gente ti comprerà e il tuo libro, se è bello, diventerà una bomba atomica.
passerai alla storia per aver ‘turlupinata’ una “grande casa editrice” sfruttando la sua rete di promozione, ma nessuno potrà accusarti di nessun reato.
basta che allo struzzo metti una piuma in più.
made in taiwan. mah.
clamoroso…iannozzi, dimmi che hai scherzato anche tu…che stai facendo finta di prendere seriamente la presa per il culo di Michele…dimmelo che non ci credi a quello che hai scritto…
@PG:caro PG ti scrivo in qualità di aspirante scrittore non pubblicato (rifiutato da un po’); c’è una possibilità che non hai preso in considerazione, ovvero che il tuo libro fosse brutto. O, se preferisci, che avesse davvero bisogno di essere scorciato. O no? Anche a me hanno rifiutato dei manoscritti e la prima cosa che ho pensato non è stato: l’editoria ipocrita e ruffiana non mi vuole ma (MA) evidentemente non ho fatto del mio meglio; posso migliorare; il testo non era così valido. Assurdo, eh? Un aspirante scrittore umile…
@mario
ho preso in considerazione questa opportunità. Peccato che non sia stato letto da nessuno.
Prima di contattare le case ho conosciuto due editor e ho chiesto il loro parere indipendente. Mi hanno detto che è molto bello. Ma rimarrà chiuso nel cassetto dei miei sogni.
PG, hai pensato di darti fuoco davanti al Duomo di Milano?
@GiusCo
Non male come provocazione ;-)
La leggo in chiave ironica?
Be’, non sono un editor e non ti avrei sulla coscienza, anche se l’istigazione e’ da codice penale. Sentiamo Rossi, pero’, magari ci dice che l’hanno gia’ in programma. Nel frattempo pero’ ti godi la vita, ok? ;-)
Per soddisfare le continue richieste di testi in doppia versione, prima e dopo l’editing, cito l’incipit della poesia “Lo zero”:
“Mai odioso sarà quell’imo piano
e quell’erbetta, che a sì picciol tutto
dello zenit primier l’udito ammette.”
L’originale era: “L’infinito”
“Sempre caro mi fu quest’ermo colle
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”.
P.S. Editing a cura di Domenico Garelli, in “T’odio empia vacca”, di Dossena, RIZZOLI!!!:- )
P.P.S. Quanto sopra, a dimostrazione che l’editor è una sorta di bastian contrario rispetto all’autore…
P.P.P.S. A proposito di autori in cerca di editori, segnalo il delizioso corto di Grenar “Lo scrittore cerca un autore”. Cliccare sull’immagine nel mio blog.
Errata corrige: “Lo scrittore cerca un editore”
La presa o no per il culo di Rossi è purtroppo specchio della verità. Purtroppo per i lettori e gli scrittori, siano essi famosi o no.
Se la Rizzoli cercava un po’ di pubbicità su N.I., cristo, l’ha trovata: ma poca in verità.
Iannozzi, figurati se il mega Gruppo RCS ha bisogno di pubblicizzarsi subdolamente attraverso un’intervista sull’editing in NI. Cacchio, un po’ di senso della realtà. A volte le spari davvero grosse.
Pubblicizzare la loro idea di editing.
Ste’ cose, bufala o no, non le avrebbero mai e poi mai dette, nemmeno sul giornaletto City (free press). Però per N.I. andavano bene ‘ste cose. Difatti dico “poca in verità”. Forse si sperava in un feedback, che altri blog riprendessero l’intervista, che qualcuno si inalberasse sul serio e allargasse così la notizia in rete. Io ho sbadigliato e ho riso di gusto. Questo per dire: l’acqua calda rimane acqua calda. E non mi aspetto alcuna risposta che vada oltre l’acqua calda che è stata propinata su N.I.
Ora, se permetti, ho altro da fare che non continuare un thread morto.
Il commento che avevo lasciato, mangiato o chissà.
Non mi ripeto. Amen.
Non mi sembra il caso di continuare ad alimentare l’ipertrofia egotica degli Editors. Gli bastino i carlini di compagnia.
Amen.
Iannozzi, ma come? mi deludi così? neanche un po’ di incazzatura nel momento in cui qualcuno ti fa notare un topica pazzesca? non è da te…e’ da te invece la chiusura mentale che ti fa ribadire i concetti anche a costo di dire delle cose davvero poco credibili. Ecco così ti riconosco.
@PG: continuiamo il nostro discorso (valido però in generale), visto che dalla tua risposta precedente deduco che sai discutere e conosci la netiquette. Se due editor hanno trovato il tuo libro molto (ribadisco: molto) buono, perché non l’hanno pubblicato loro o promosso presso le case editrici (o agenzie) per cui lavorano?
Il problema, dalla poca (un anno) esperienza che mi sono fatto in campo editoriale come vituperato lettore di manoscritti, è che la qualità dei testi è (mediamente) aumentata in virtù dell’aumento della quantità dell’offerta, e così oltre ad allungare i tempi di lettura degli inediti (risposta alla prima parte del tuo problema) manca la volontà di investire in lavori discreti ma non privi di difetti o privi di difetti ma non brillanti (nel senso di dotati di pregi tali da comensare difetti anche gravi). Semplicemente perché è molto facile trovare qualcosa di meglio. E come si fa a dargli torto?
Altro problema è il numero di esordienti che bisognerebbe far uscire. Quanti dovrebbero essere all’anno? Dieci, cento, mille? Se si dovessero pubblicare tutte le cose discrete che arrivano in una casa editrice medio-grande le cifre sarebbero queste…ma che esordio sarebbe? chi leggerebbe venti esordienti Einaudi all’anno?
Comunque non demordere. Non c’è mai stato periodo così proficuo per un esordiente. Si pubblicano esordienti come mai prima d’ora (checché se ne dica). Anche case editrici che mai hanno pubblicato narrativa italiana fanno uscire testi di autori italiani (penso a Instar, per dirne una) e ci sono decine di piccole case editrici (serie) alle queli offrirsi. Senza fretta, però. Più piccole sono meno mezzi hanno per la lettura degli inediti (logico, no?). Ieri un amico (ormai scrittore conclamato se non acclamato) mi ha detto che la sua casa editrice gli ha risposto dopo un anno (un anno!) da che aveva mandato loro un racconto. Fai tu. Lui ha aspettato e ora si gode il (discreto) succcesso.
Tutto questo per dire, e il discorso vale per me come per te, che l’alibi del mondo editoriale cieco nei confronti degli esordienti non è più valido (valeva ancora qualche anno fa). Fa male, lo so. Ma se non ci pubblicano la ragione è che i nostri lavori non sono così buoni, punto e basta. Accettarlo è la cosa migliore che possiamo fare. Come minimo vorrà dire che faremo meglio la prossima volta.
@mario
Disamina corretta ma non aderente alla realtà. Potrei o potremmo risponderti che spesso le case editrici non pubblicano l’esordiente di qualità ma l’esordiente che venderà. Ti basta come esempio i 100 colpi di spazzola ? E questo famigerato racconto ha generato una letteratura a strascico mediocre, se non pessima, di prodotti editoriali preconfezionati creando un nuovo filone. Un filone in cui prolificano i racconti di giovani donne, meglio se affette da qualche patologia psichica, afflitte da una sessualità tormentata, protagoniste di storie nemmeno tanto velatamente incestuose, sempre incomprese dal mondo che è di solito composto da indifferenti o imbecilli. Potrei citarti a memoria almeno quattro o cinque titoli pubblicato da case editrici medio-grandi. Libri pubblicati e subito, per fortuna, dimenticati.
Ora pare che tiri l’esotermismo, la fantapolitica, il thriller esistenziale che ha per protagonista di solito un poliziotto, un giornalista, un magistrato o avvocato. Per fortuna in questi filoni si inseriscono anche fior di autori ( penso a Biondillo, Binaghi, Carofiglio, ecc. ) ma presto vedremo i cloni dei vari Ferraro, Bonetti, Guerrieri ( i rispettivi protagonisti dei loro romanzi ) così come abbiamo letto, nel primo caso, le gesta emulatorie della Melissa.
Per questo capisco l’amarezza di PG, che è poi anche la mia. Non è sempre sopravvalutazione o eccesso di autostima, è confronto con un mercato editoriale in cui le valutazioni non vengono fatte sulla qualità dell’autore ma solo sulle potenzialità di vendita.
La frase “sei bravo ma il tuo racconto non tira”, che è il sunto delle lettere di diniego, almeno le più cortesi, è maledettamente rispondente alla realtà dei fatti.
@Bruno: non ti dirò che quello che dici non è vero (infatti, in parte hai ragione). Solo che mi sembra, come dici del mio commento, poco aderente alla realtà. O meglio una visione distorta della stessa (e intendo in senso leggero, credimi, come vedere il bicchiere mezzo vuoto). Perché oltre ai quattro o cinque titoli che dici di poter elencare a me vengono in mente i romanzi, di Geda (per Instar), Rosella Postorino, Elena Varvello, Giorgio Fontana, Alessandro De Roma, Pietro Grossi (l’anno scorso), e molti altri di esordienti (assoluti) che sanno scrivere, raccontare, non cercano il successo commerciale (basta vedere le quarte per capire di che parlano).
In più grandi case editrici hanno pubblicato, in questi mesi, romanzi come quello di Marosia Castaldi (Tetralogia di Dark Water,Feltrinelli), Flavio Santi (L’eterna notte, Rizzoli), Dies Irae di Genna, Terra matta (Rabito, Einaudi). Non proprio i classici oggetti commerciali o potenziali best seller. Come lo spieghi?
Aggiungi anche Ferrari, pubblicato da Fazi pochi mesi fa.
Non mi pare di aver detto che non si pubblicano buoni libri. Ho detto, e lo riaffermo, che i criteri selettivi spesso, spessissimo ( non sempre, appunto ) sono ispirati alla commerciabilità del testo e al suo possibile inserimento in un filone del momento, anzichè alla qualità.
E Comotti? E Paolin? E Monica Viola? Ed Eugenio De Medio? E l’appena uscito Alessio Pasa? Tutti nuovi di zecca. Li vogliamo ricordare? :- /
Sì, ditemi come si spiega la vendita dei romanzi(?) di Umberto Eco.
Come si spiega il pendolo di Foucault.
Non lo so. Io ho rinunciato a capire. è tutto molto complesso al punto che generalizzare è oltremodo riduttivo. ci sono in gioco una miriade di variabili impazzite. e molto dipende anche dal carattere dell’autore. ci sono autori molto schivi che appena appena mandano il loro manoscritto a tre, quattro editori. e magari, pur andando vicini alla pubblicazione, non ci riescono e allora si fermano lì. paralizzati per anni dal rifiuto.
Molto bene, è quello che dico, buoni scrittori ce n’è. Peccato per la mezza marchetta di Angelini che ha nominato solo autori di Vibrisselibri (cosa voleva intendere che solo Vibrisse fa ricerca?).
@Bruno: scusa ma io questo filone commerciale, dietro questi nomi, non lo vedo proprio. Per quale motivo Ferrari sarebbe vendibile e il mio romanzo (e il tuo, e quello di GB) no?
Eppure è evidente (tranne che per Iannozzi che non legge le interviste ma pelucca di qua e di la e poi, fluviale, commenta – ma lui è talmente sopra le righe che quasi gli vuoi bene) che 4 editor di 4 case editrici molto differenti (per dimensione, politiche editoriali, etc.), che pubblicano libri molti diversi, più o meno tutti dicono sempre la stessa cosa: tutto è molto più banale e meno dietrologico di quanto, “da fuori”, vi immaginate.
E io stesso, “da fuori”, quando ancora non pubblicavo, mi immaginavo chissà che. Poi, “entrandoci”, ho scoperto che l’editoria è come il “resto del mondo”: alti, bassi, brutture, bellezze. Tutto qui.
E, anzi, ho conosciuto davvero belle persone: i promotori dei libri, i librai, i correttori di bozze, l’uff. stampa, etc. etc. (ma che lo dico a fare? Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire).
Per esempio, per te, Gianni Biondillo, come è avvenuto l’approccio? Hai pure tu spedito il manoscritto? Ti ringrazio per la risposta. un saluto.
Bonjour…è permesso?
deve essere molto stimolante e divertente fare il correttore di bozze!
se ne vedranno di tutti i colori, o sbaglio?
Sì, piacerebbe anche a me che Biondillo raccontasse della sua prima esperienza editoriale.
io nel mio piccolo ho pubblicato solo un saggio (cinematografico) e il lavoro della redazione è stato solo di correzione di bozze. Cioè, in realtà una parte originale l’hanno tagliata, ma perché era più specificatamente legata a un discorso letterario (essendo alcuni film del regista che ho trattato trasposti da romanzi).
Insomma, questo per dire che io non ho esperienze dirette nella narrativa e gradirei che chi le ha avute da scrittore ne parlasse apertamente.
Grazie
@ Mario. No, non siamo gli unici a fare ricerca. Ma con sicurezza gli oltre cinquanta lettori del Comitato di Lettura di VL hanno aderito all’iniziativa di Mozzi con il fermo intento di uscire da ogni logica di profitto. Mi pare che siamo l’unica casa editrice a praticare questa forma di lotta.
@ Biondillo
Prima esperienza editoriale, non sessuale però!!!
PS: Uno scrittore minore di una casetta editoriale davvero piccinina, anni fa mi confidò di essere andato a letto con la sua “editor” durante le varie session di incontri.
Ma siamo poi sicuri che il libro di PG sia meglio di cento colpi di spazzola?
(senza offesa per carità…)
No, non m’inalbero, nemmeno per le cavolate di Biondillo che dimostra sempre una signorilità fuori dall’ordinario.
Di nuovo: amen.
Gianluca,
la prima volta che incontrai Paola Mastrocola mi raccontò che lei ci mise circa 5 anni prima che un editore le pubblicasse il suo primo romanzo. Marco Vichi addirittura 16! (ti cito due autori che hanno un ottimo riscontro di pubblico)
Io ho avuto una fortuna sfacciata. Durante la scrittura del mio primo romanzo una mia cara amica lesse le prime 10 pagine e mi disse:
“Tu questo lo pubblichi!”
“Figurati” le risposi, “non conosco nessuno. Chissà che mafia ci vuole per essere letti…”
“Tu questo lo pubblichi” insistette. “Quando l’hai finito dammelo, se non lo fai tu te lo porto io nelle case editrici!”
Finitolo le rammentai per scherzo la sua offerta. Mi chiese il dattiloscritto, prese l’autobus e lo portò in Guanda. Mi fece da postina, insomma, non spesi neppure un francobollo.
Nel frattempo, un amico dell’amico dell’amico conosceva Dazieri, in Mondadori. Feci un’altra copia e gliela diedi (che passò di mano in mano).
Poi non ci pensai più.
Due mesi dopo ricevetti la telefonata di Luigi Brioschi, l’editore di Guanda: “Lo pubblichiamo” mi disse. Io ero alla stazione di Lecco, stavo andando in un cantiere, mi tremarono le gambe.
Qualche tempo dopo l’amico dell’amico dell’amico mi disse che il manoscritto era in seconda lettura in Mondadori e stava avendo un ottimo riscontro.
“Fermali” gli dissi. “Ho appena firmato il contratto con la Guanda”.
Andò così, in modo esasperantemente banale.
(La suddetta amica, che credette in me più di me stesso, fu poi ringraziata nelle note finali del libro).
@Lucio: mi sa che le case editrici che lavorano senza volontà di profitto sono molte di più di quante si voglia immaginare. Riconoscerlo sarebbe quanto meno onesto. In ogni caso ammiro vibrisselibri anche perché ci ho visto una passione meravigliosa. Ma questo lo sappiamo già, no?
Comunque nessuno ha risposto. Quale sarebbe il filone commerciale degli autori citati in precedenza (da me come da Angelini), esordienti e no? Quale? Come vedi, Bruno, la realtà è molto più restia agli inscatolamenti di quanto crediamo. Facciamo delle osservazioni e, puf, la realtà è lì a spingere e sgomitare per uscire dalle caselline.
E, con questo, mica dico che l’editoria italiana è perfetta. Come potrebbe, visto la miseria del mercato (numero di lettori potenziali)? Non lo è. Ma dipingerla come un luogo di mercimonio, di scorrettezze e, soprattutto, di poca cura per il lavoro delle persone, è falso, e scorretto nei confronti delle persone che ci lavorano (più per passione, che per altro, caro Lucio)
@Mario. Ma le altre case editrici devono quantomeno far quadrare i conti (l’affitto, le spese di telefono, di stampa, di distribuzione eccetera). A VL, casa editrice on line, il problema non si pone: tutti lavorano gratuitamente e quando, dopo aver vagliato CENTINAIA di proposte, pubblichiamo un autore, ci aspettiamo – autori compresi – solo soddisfazione, non euro. Se poi qualche casa editrice cartacea insiste per attingere al ns catalogo, benissimo, non diciamo di no. Ma ne discutiamo a posteriori. Lo scopo principale era un altro: selezionare per pura passione, in assoluta libertà da condizionamenti economici. Non abbiamo da perdere che le catene delle nostre biciclette:- )
A Gianni Biondillo.
Grazie per la risposta.
p.s. (la risposta era, ovviamente, per Riccardo oltre che per Gianluca)
la risposta credo che possa essere per chiunque sia interessato a riceverla, ed è una gran bella risposta!
grazie anche da parte mia.
A Gianni Biondillo dico grazie per la risposta
La mia storia, invece, è questa: mandai invano, per anni, le mie splendide opere come autore per ragazzi a Orietta Fatucci di El-Emme-Einaudi Ragazzi. Sempre respinte. Poi il caso volle che entrassi in rapporto con quella casa editrice e quella editor come traduttore. A quel punto riproposi il già visionato “Quella bruttacattiva della mamma!” e la risposta fu: “Splendido. Lo pubblichiamo”. Qualche anno più tardi ebbi un qui quo qua con Orietta Fatucci. Risultato: fui sbattuto fuori casa editrice e anche fuori catalogo:- )
Mi sembra il giudizio di Gianni Biondillo delle ore 15 quello più aderente alla realtà.
Sono dell’idea però che sarebbe stato più proficuo che gli addetti ai lavori (editor, eccetera) si fossero concentrati nel parlare dell’editing del puro momento della negatività. Mi risulta, per le conoscenze personali che ho, che loro stessi soffrano e non poco di certe tendenze editoriali (stili lessicali, costruzione narrative private di paratassi eccetera eccetera) che a loro volto non è detto che non soffrano dell’analfebetismo letterario italiano.
La colpa non è mica degli editori! e neanche degli editor che devono campare! Non sono inscritti all’albo dei coraggiosi, ma alla camera di commercio!
A Lucio Angelini dico grazie per la risposta.
(e chissà, ho mandato delle cose proprio a VibrisseLibri… a Giulio Mozzi, comunque. ma non è questa la sede per parlarne: non mi sembrerebbe corretto – ma un po’ ne ho parlato…perdonatemi!!!)
@mario
E’ antipatico fare nomi ma vabbè.
Il filone erotico-introspettivo-patologico alla 100 colpi annovera mediocri titoli come Tre voli della Zocchi ( Garzanti ), Fogliadisole della Belliardo ( ahimè, mia ex amica ) ( Marsilio ), Broken Barbie della Amitrano ( Fazi ), tutta scrittura al femminile intimistica e parecchio narcisista. Ce ne sono ancora diversi ma ti cito solo i casi che conosco direttamente e relativi a grosse case editrici. Se passiamo ai thriller l’elenco non finisce più. Ripeto, ci sono tanti titoli buoni in giro ma la massa è composta da ciò che si colloca meglio in un contesto storico del mercato editoriale. Io ho pubblicato con un minuscolo editore napoletano, delle dimensioni di un Belasco di Morozzi ( per chi conosce il personaggio morozziano ) e sono contento di averlo fatto. Ma la mia è una classica pubblicazione “a strascico” perchè si colloca nel contesto della narrativa napoletana post-Gomorra. Anche se quando l’ho scritto non conoscevo nè Gomorra nè Saviano ( a cui sono grato di esistere, per intenderci ).
@ Biondillo, ho letto di lei sull’Espresso. Sa di essere stato citato fra le cause ( positive ) dell’ingresso nel cda della Guanda del direttore editoriale ? Poi dice che con la letteratura non si fanno i soldi. Li fa chi li deve fare, ecco tutto. Onore al merito, comunque.
Errata corrige. Ipotassi al posto di paratassi.
E meglio non parlare nemmeno di paraipotassi, dislocazione,
Oddio, Bruno, no, non l’ho letto! Cosa ho fatto io???
@biondillo
Giusto per non fare confusione : la battuta su chi fa i soldi con la letteratura non era diretta a lei ma al citato direttore editoriale, oggi azionista della sua casa editrice. A lei auguro sinceramente ancora maggior successo, visto che se lui è stato bravo a intuire le sue qualità, lei è il legittimo proprietario di quelle qualità.
@biondillo
Dunque, l’Espresso riportava la notizia dell’ingresso nel cda come azionista del direttore editoriale della Guanda. Nel citare i successi di questo signore, che sono notevoli, la Guanda è una gran bella casa editrice, elencava alcuni autori “scoperti” dallo stesso e fra i diversi nomi spiccava come un faro nella notte ( esageriamo, va’ ) proprio il suo. Si tratta dell’Espresso di due settimane fa.
@pinco pallino
Beh… perlomeno è scritto in italiano…
@gianni biondillo
Purtroppo non sempre capita di avere una fortuna del genere… Magari in una prossima vita ;-)
Soltanto ora leggo le interviste e, per quanto possibile, i vari commenti. Effettivamente ci si accapiglia molto: su vedute, su vedute delle vedute, e via dicendo.
Lo scritto, come qualsiasi opera creativa, in certi momenti (e non è detto)necessita di un confronto.
A differenza del cinema, della musica, del teatro, è qualcosa che inizia e si conclude in quasi completa solitudine. E’ l’opera di uno solo.
Non intervengono attori, sceneggiatori, scenografi, coreografi, montatori, direttori luce, bassisti, cantanti, ecc.
Non c’è di queste presenze nè di questi apporti.
Magari la scrittura è vicina alla pittura o alla scultura (vedi galleristi e critici vs. editori ed editors), ma la scrittura si realizza in un dentro che è soprattutto la costrizione e l’uniformità dell’opera: mente dell’autore-scrittura-libro-mente del lettore.
Questo per dire che l’editing è forse l’occasione di confronto, la soia sulla ricetta preferita al posto del solito sale.
E se poi la soia fa cacare si può sempre tornare indietro, o magari scoprire che del sale si può fare a meno.
Perchè tanto odio
ma in questo post
mancano comenti femminili!
come mai?
Avevo posto alcune domande. Purtroppo sono rimaste senza risposta.
Lucia
Qui
http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2007/05/09/intervista-ad-achille-maccapani-2/
si racconta un altro esempio di come si inizia a pubblicare. Stralcio la parte interessata:
So che collabori con dei saggi di argomento giuridico per Italia Oggi, ma poi nel 2005 riscopri il romanzo tenuto in cantina per vent’anni Taci e suona la chitarra, edito da Frilli. Dicci un po’ di questa storia e di come é andato.
Durante un incontro con Luca Doninelli (era il febbraio ‘85), cui avevo sottoposto quel romanzo, mi sentii dire che era meglio mi dedicassi alla saggistica. Dal ’93 ho pubblicato libri di diritto comunale. Dal ‘96 ho iniziato a collaborare con Italia Oggi, sempre per commentare leggi, decreti, circolari, sentenze. Nell’estate del 2004, durante un trasloco, ho ritrovato il vecchio romanzo. L’ho riveduto integralmente per sei mesi e ho smesso a fine febbraio 2005. L’ho spedito ad una ventina di case editrici: Frilli mi ha contattato dopo due settimane, l’hanno accettato subito.
Lucia, perdonami, ma dove sono le tue domande? Io qui non le ho trovate…
Caro Gianni,
avevo posto alcune domande nel secondo post di Giorgio Vasta – provabilmente inopportune – più che di domande si trattava di curiosità, ovvero:ho letto che Vasta pubblicherà a settembre il suo primo romanzo con minimum fax – per la quale lavora, mi pare come editor.
Ero curiosa di sapere se:
accade sovente che un editor ad un certo punto pubblichi un proprio romanzo;
vasta avrà a suo fianco un editor che “tagliuzzerà” il suo testo.
Ero curiosa di conoscere le sensazioni di Vasta come editor e come scrittore.
Magari qualcuno potrebbe intervistare lui.
Buon pomeriggio a tutti.
Lucia
In buona sostanza, un’intervista al signor Vasta nella sua duplice veste di editor e scrittore esordiente.
Lucia
Metaediting
molto interessante….
Curioso quanto osserva Lucia.
Curioso ed esatto.
Ci sono editor che diventano scrittori
e scrittori che diventano editor.
Forse è giusto così,
però mentre il passaggio da scrittore a editor lo trovo naturale,
il passaggio da editor a scrittore lo trovo dubbio:
voglio dire,
in questo caso siamo sicuri che a contare non sia tanto l’opera quanto il nome che hanno?
Un nome che cioè gli apre tutte le porte della pubblicazione. perché sono del “settore”, perché si sono fatti conoscere…
Ho espresso male una riflessione. Ecco, diciamo così:
“in questo caso siamo sicuri che a contare non sia più il nome che hanno, piuttosto che l’opera in sé?”
Lucia, io non lavoro per minimum fax, lavoro come consulente editoriale ed editor per Bur. Il libro uscirà nel 2008 e non il prossimo settembre. Il fatto che sia previsto un editing mi sembra assolutamente naturale. Che poi tu ponga la questione in termini di “tagliuzzamenti” è qualcosa che non capisco, sembra che tutte queste interviste non abbiano modificato in nulla – neppure intaccato – i pregiudizi che intendevano contrastare. L’editing “tagliuzzante” è un editing che per mia fortuna non mi riguarda né come editor né come autore, e, per quanto questo possa apparire sbalorditivo, non riguarda nessuna delle persone con le quali mi trovo di solito a lavorare. Questo non significa che un editing “addomesticante” non esista, significa che presumere che esista soltanto e soprattutto quello è qualcosa che non sta né in cielo né in terra. Circa la domanda sul fatto che sia o no frequente che un editor pubblichi un libro, non riesco a capire davvero che cosa tu intenda dire. Fare l’editor non costituisce una precondizione allo scrivere e pubblicare un libro, non è né un valore aggiunto né un deterrente. Sembra che a dover valere sia l’idea che fare l’editor sia qualcosa che si configura come “essere” un editor, un’irreggimentazione, un imprigionamento ontologico che dovrebbe inevitabilmente precludere la possibilità di scrivere e pubblicare oppure, sempre tendenziosamente, favorirla. Ma davvero si può essere disposti a pensare che se qualcuno che come lavoro fa l’editor scrive e pubblica un libro questo avvenga “anche”, se non “soprattutto”, perché lavora in editoria? Davvero non si può avere la disponibilià etica e intellettuale a pensare a un mondo nel quale valga l’assunzione di responsabilità e di rischi, nel quale la passione si mescola alla disciplina e costruisce un motore per fare le cose? Non è troppo semplificante pensare di vivere sempre nella casa dei fantasmi?
Giorgio,
la mia risposta è si con toni meno passionali da quelli che hai utilizzato per rispondermi ma – comunque – affermativa.
Non ho parlato nè di deterrenti, nè di condizoni e men che meno di valore aggiunto: ma credo, e lo scrivo con estrema serenità, che hai la possibilità di pubblicare e realizzare un tuo progetto anche perchè conosci le persone “giuste” e le persone giuste conoscono te e ti offrono una possibilità.
Incontrovertibile il fatto che godi una “corsia preferenziale” rispetto a chi non frequenta l’ambiente e non ha le tue conoscenze.
Negli ultimi due tre anni ti ho visto ovunque (non è un male, una persona per fare strada deve avere anche grandi capacità relazionali).
Il mio discorso non conteneva in sè alcuna critica o pensiero negativo e non capisco perchè tu ti sia messo subito sulla difensiva.
Oggi – e non intendo cadere in luogo comune alcuno – è già una grande fortuna avere la possibilità di sfruttare una possibilità.
Non posso apprezzare il tuo lavoro di editor ma sicuramente – riservandomi la lettura del tuo libro nel 2008 – potrò apprezzare le tue qualità di scrittore.
Lucia
Giorgio,
nel mio discorso non c’è nulla di personale, tanto è vero che nell’ultima raccolta pubblicata da minimum fax, fra le tante schifezze – roba illegibile nei temi e nella forma – ho trovato il tuo pezzo estremamente piacevole e ben scritto.
Ciao di nuovo.
Lucia
lucia secondo me fa l’insegnante. o qualcosa di simile.
Nel ringraziare Gianni Biondillo per essere stato citato, mi preme raccontare l’esperienza vissuta, con maggiore specificazione rispetto all’intervista a Marino Magliani. Durante la riscrittura del primo romanzo, ho avuto la fortuna di avvalermi della collaborazione di una editor esterna a qualsiasi casa editrice; ha esaminato il dattiloscritto, ha evidenziato i punti critici, abbiamo discusso insieme e trovato le parti da sviluppare e quelle da tagliare. Così ho riveduto lo sviluppo della trama. Siamo andati avanti fino a febbraio 2005. Poi, dopo aver capito che non potevo andare oltre un certo limite fisiologico, ho chiuso e ho spedito il dattiloscritto alle case editrici, con l’esito già raccontato a La poesia e lo spirito. Per il secondo romanzo (quello appena uscito), è andata diversamente. Da una prima stesura (marzo 2006), sono passato ad un testo più ampliato (giugno 2006), per poi effettuare ulteriori revisioni; a dicembre 2006 mi trovavo alla quinta revisione. Quando a fine gennaio 2007 ho firmato il contratto editoriale, è iniziata una fase di verifica totale, cercando di eliminare il superfluo. Poi ho lavorato con una editor (bravissima), la quale è intervenuta snellendo il testo, eliminando i punti critici e valorizzando quelli utili alla narrazione. Da qui è stato facile eliminare le residue ramificazioni prive di sbocco. Insomma, sono giunto alla settima versione: quella definitiva.
Vorrei quindi precisare che il testo finale, una volta terminato dall’autore, è – quasi sempre – solo un punto di partenza. Molti elementi contradditori non emergono all’occhio dell’autore, che rimane soggettivo, e forse anche affezionato a quanto ha scritto. E’ naturale che, oltre all’esame preventivo del gruppo di amici lettori da test, ci debba essere la valutazione di un editor, che evidenzi i punti deboli e aiuti l’autore a rimuoverli e cercando di potenziare il romanzo affinchè si trasformi in un libro vero e proprio. Psicologicamente l’autore deve (e lo dico con assoluta serenità) distaccarsi dal lavoro svolto, ed analizzare il risultato finale del lavoro, una volta terminata la trasformazione con l’editor, ma solo al fine di verificarne la rispondenza con l’obiettivo generale che aveva in testa.
Elena Rosa, faccio tutt’altro.
Sono un avvocato penalista.
E sarei stata sicuramente una pessima insegnante.
Buona serata.
Lucia
Lucia,
un editor è molto spesso anche uno scrittore e viceversa. Non è che un che fa l’editor, poi si “eleva” a rango di scrittore. La editor degli italiani di Guanda, per fare un esempio, è Laura Bosio, scrittrice sopraffina (è editor da poco tempo rispetto alla sua carriera di scrittrice). La Gioia, intervistato da Giorgio è uno scrittore che pubblica per Einaudi. Michele Monina, scrittore e giornalista, fa editing, Michele Rossi (che rammento è un (ex) indiano) scrive pure lui, etc. etc.
Le cose non sono affatto separate: non è che stiamo parlando di uno che prima fa l’idraulico e poi si mette a progettare grattacieli!
Stiamo parlando di persone che vivono di libri. Trovo anzi abbastanza naturale quello che tu paventi come una corsia preferenziale: se per anni ti sei occupato attivamente di libri (come promotore, lettore, editatore, traduttore, etc.) è molto probabile che nel frattempo tu stia portando avanti un tuo mondo di scrittura. Stefano Massaron è uno scrittore e pure un traduttore, così come Raul Montanari. Cos’è, in quanto traduttore non puoi scrivere di tuo?
Farsi un nome in un ambiente, farsi rispettare per le idee, per la qualità del prodotto, per la passione, etc., come in tutti i campi professionali, di certo ti da un’attenzione particolare: ma sta’ certa che se il libro che poi proponi non è buono non c’è editore che te lo pubblichi, manco in ginocchio.
Ci sono esempi famosissimi, nell’ambiente, di insigni critici e professori universitari che hanno cercato di piazzare i loro romanzi nelle case editrici più famose (e meno famose) e non ci sono riusciti (incarognendosi, poi, e stroncando tutto quello che veniva da quella casa editrice).
No, ti anticipo, non ti faccio nomi, non ho voglia di essere querelato. Sono molto pieni di sé i suddetti critici. E non ostante ciò, il “potere” da mediatori che hanno non è stato affatto una corsia preferenziale alla pubblicazione.
Direi di essere quasi d’accordo su tutto quello che ha datto Giorgio Vasta sul modo di operare dell’editor e sopratutto trovo ridicolo accusare, sospettare nel passaggio tra editor a scrittore. ma che c’entra?
E sono d’accordo anche su questo:
“sembra che tutte queste interviste non abbiano modificato in nulla – neppure intaccato – i pregiudizi che intendevano contrastare”,
annotando però che una banale conoscenza dei meccanismi della comunicazione su Internet, avrebbe portato a prevedere questo esito per un argomento così delicato per un popolo di aspiranti scrittori in cerca di un minimo di lettori alfabetizzati, ragion per cui occorreva impostare diversamente. Il pregiudizio è una nebbia psicologica, occorre affrontarlo con una strategia per rimuoverlo
Ma che ti aspettavi Vasta? ormai non c’è più nessuno che crede a nessuno (sono qui diventati tutti figli di Tashtego ahahaahah)
Caro Achille,
complimenti per l’equilibrio espositivo e buon lavoro.
“sembra che tutte queste interviste non abbiano modificato in nulla – neppure intaccato – i pregiudizi che intendevano contrastare”
Infatti, se intendevano modificare è tempo perso. Nessuno cambia mai idea, soprattutto quando non ce l’ha.
se la risposta e’ NO, la casa editrice lo fa sapere?
Onde evitare inutili perdite di tempo, e’ possibile inviare il manoscritto ad altre case?