Dimmi che non vuoi morire – Intervista a Massimo Carlotto
di Paolo Roversi
Massimo Carlotto \ IgorT – Dimmi che non vuoi morire – Mondadori
(Paolo Roversi vive a Milano. Collabora con riviste e siti web. I suoi ultimi romanzi sono “Blue Tango” (Stampa Alternativa, 2006) e “La mano sinistra del diavolo” (Mursia, 2006). Dirige il portale www.milanonera.com)
L’Alligatore è tornato. La novità è che finalmente sappiamo che faccia abbia. Nei cinque romanzi, e nei molti racconti, in cui è stato protagonista il suo creatore, Massimo Carlotto, non l’aveva mai descritto fisicamente, lasciando a noi lettori il compito d’immaginarcelo. Ora grazie a questa graphic novel, o romanzo illustrato se preferite, lo possiamo vedere in faccia. Grazie alla matita di Igort (nom de plume di Igor Tuveri, autore di fumetti tradotti in tredici paesi, un’attività tra Tokyo, Parigi e New York; sue illustrazioni pubblicate sul prestigioso “New Yorker”), adesso, attraverso i suoi tratti azzurri e sfumati, vediamo in volto anche Beniamino Rossini, amico e spalla storica dell’Alligatore la cui biografia Carlotto aveva raccontato nel bel romanzo “La terra della mia anima”, edito da E/0 nel 2006.
Tratti duri ed essenziali quelli di Igort ma vivi e fortemente suggestivi. Devo confessare che mi ero avvicinato un po’ titubante alla lettura di questo opera, scettico sul fatto che si potesse rappresentare un mondo, forzatamente astratto perché l’immaginazione di migliaia di lettori è difficile da imbrigliare, in un fumetto, invece mi sono dovuto ricredere. Il romanzo si legge d’un fiato, e la grafica lo arricchisce, lo completa in un certo senso. Ti fornisce quell’elemento in più, una sorta di piacevole cornice alla narrazione.
In “Dimmi che non vuoi morire”, l’Alligatore torna con un’altra storia dalla parte dei deboli. Veri o presunti, ambientata tra il Veneto e la Sardegna, come dire la patria natia e quella adottiva di Massimo Carlotto. Nella narrazione compare anche una parentesi parigina fatta di caffè fumosi e canzoni in cui Igort rappresenta una città dal forte sapore bohemien.
Il titolo dell’opera, è una citazione musicale: si tratta di un brano cantato da Patty Pravo e scritto da Vasco Rossi. Il paragone, o l’indizio se volete, serve a raccontarci molto della protagonista femminile della storia: Joanna, una ragazza che vive come se fosse l’incarnazione di una cantante degli anni Sessanta. La donna si esibisce nei locali cagliaritani ed è l’amante di uno scaltro ristoratore sardo. Per chi non conoscesse la saga dell’Alligatore, al secolo Marco Buratti, sappia che il protagonista è un investigatore senza licenza, ex detenuto, ed ex cantante di blues al cui fianco, anche in questa storia, ritroviamo i due soci storici: Beniamino Rossini, contrabbandiere e rapinatore, esponente della vecchia malavita milanese e Max la Memoria, ex appartenente ad un gruppo della sinistra rivoluzionaria, esperto di contro informazione e analista dei fenomeni malavitosi. Tutto si mette in moto quando Joanna scompare da Cagliari ed il ristoratore li ingaggia per rintracciarla. I tre la ritrovano a Parigi e la riportano, controvoglia, a Cagliari. Sembra finita senonché dopo qualche tempo la donna si presenta nel locale dell’Alligatore per chiedere il suo aiuto: è accusata di aver ucciso il suo amante. Buratti, in bilico fra seduzione e compassione, decide allora di aiutarla credendola innocente e, con i suoi soci, ritorna a Cagliari per scoprire la verità.
Un libro che leggerete d’un fiato, che (ci) racconta l’Italia, quella dei perdenti, della piccola e grande malavita, della disillusione. Loriano Macchiavelli in un saggio contenuto in “Massimo Carlotto: interventi sullo scrittore e la sua opera” curato dallo storico traduttore francese dell’autore, recentemente pubblicato da E/O scrive “Carlotto sta dalla parte dell’uomo, contro la delinquenza di Stato. L’autore ci racconta che la legge vale per i disperati, che i potenti ne sono immuni e sono autorizzati a non tenerne conto. Sono vaccinati contro l’onestà. Con Carlotto il processo di trasformazione, iniziato da Scerbanenco, proseguito da Sciascia, si va completando”.
Stilos ha intervistato l’autore.
Mi ha fatto una grande impressione vedere rappresentati sulla carta Rossini e l’Alligatore. Leggendo le cinque avventure precedenti in cui comparivano, nella mia testa li avevo idealizzati in un certo modo. Tu li immaginavi proprio così o quella che vediamo è l’interpretazione che ne ha dato Igort? Ci sono state delle discussioni a riguardo?
Ne abbiamo parlato ma ho lasciato a Igort la libertà assoluta di interpretare i personaggi. Il “segno” è il suo territorio espressivo e la nostra collaborazione è nata con l’obiettivo di “raccontare” una storia e dei personaggi fondendo le nostre “arti”. Quando, finalmente, li ho visti sono rimasto sorpreso perché erano esattamente come li avevo immaginati. Erano proprio loro e mi sono ritrovato a casa.
E’ difficile sceneggiare una storia a fumetti? Raccontaci come avete lavorato: tu hai scritto il testo e Igort ha seguito con le immagini oppure il processo è stato più laborioso?
Anche la sceneggiatura è stata elaborata da Igort. Io ho voluto scrivere un romanzo e poi consegnarlo nelle sue mani, rimanendo a guardare un po’ da lontano l’evoluzione del progetto. Con Igort il dibattito è stato intenso sui tratti generali della storia, sulla concezione della letteratura di genere, del poliziesco e del noir, della generazione e del ruolo e del senso dei luoghi in cui si sviluppava la trama. Ma abbiamo sempre inteso rimanere distinti nelle nostre specificità.
Come mai la scelta di una narrazione di questo tipo: dopo tanti romanzi “classici” avevi un desiderio di sperimentazione?
Amo la graphic novel per la sua potenza narrativa. E sentivo il bisogno di irrompere nella serie dell’Alligatore con uno strumento in grado di rimettere in discussione i personaggi. In 5 romanzi e diversi racconti non avevo mai descritto fisicamente l’Alligatore, lasciando ai lettori la libertà di immaginarlo come meglio credevano. Ora invece l’Alligatore ha un volto e questo ha, in qualche modo, chiuso un periodo sul personaggio e la serie con una storia che ritengo una delle più belle e meglio riuscite.
Domanda classica ma dovuta, credo. l’Alligatore è una sorta di tuo alter ego letterario: quanto c’è di te nel personaggio e quanto invece è finzione letteraria?
A parte le conoscenze di certi ambienti e le passioni per il blues e il calvados non condivido altro con l’Alligatore. Certo non è poco ma posso assicurare che la finzione letteraria prevale, il resto sono solo sfumature di ambienti e spezzoni di memoria.
Per quanto tempo ancora è destinata a durare la saga di questo personaggio? Lo porterai sempre con te o, anche tu, come Camilleri ha fatto col suo Montalbano, hai già scritto l’uscita di scena dell’Alligatore?
Dopo la morte “vera” di Beniamino Rossini, che ho raccontato ne La terra della mia anima, ho posto il problema ai lettori. Dal dibattito, fortunatamente, è emerso il desiderio di continuare a leggere le avventure dell’Alligatore e certamente continuerà con le graphic novel, forse anche con un altro romanzo, è ancora presto per prendere una decisione del genere. Quello che è certo è che sarà solo Igort a disegnare l’Alligatore.
Perché secondo te il pubblico si affeziona così tanto ai personaggi seriali? Si sente rassicurato?
Da tempo sto tentando di ragionare sullo sviluppo possibile dei personaggi seriali e questa esperienza della graphic novel mi ha fornito elementi preziosi. Io non credo che il modello americano di lasciare invariati i personaggi seriali (che la letteratura poliziesca italiana ha ereditato e riprodotto) abbia ancora un senso. Siamo abituati a eroi o antieroi di carta che non mutano mai mentre il mondo intorno a loro subisce continue e profonde trasformazioni. Io voglio tentare di sovvertire questa tradizione e cercare di adeguare il personaggio ai “suoi” tempi con la certezza che alcuni lettori storceranno il naso ma con la speranza di riuscire a convincerli dell’importanza di sperimentare nuovi territori narrativi nella serialità.
Negli ultimi anni alla tua attività di scrittore “solitario” hai affiancato quella di scrittore a quattro mani. Hai cominciato con Videtta per “NordEst” edito da E/O, e hai continuato quest’anno sia con Igort in questo volume, che con Abate nel romanzo “Mi fido di te” recentemente apparso per Einaudi.
Cosa ti piace della scrittura “collaborativa”?
Mi permette di imparare tecniche diverse di narrazione (lo sceneggiatore, il giornalista, il fumettista) e di proporre al lettore il prodotto di questa contaminazione. Credo sia fondamentale per un autore misurarsi con la scrittura a quattro mani perché rimette in discussione la metodicità che è alla base di ogni professionista che si occupa di scrittura e questo provoca sani e fruttiferi sconvolgimenti di un lavoro che, a volte, rischia di peccare di routine.
E’ appena uscito un libro su di te, curato da Laurent Lombard, dal titolo “Massimo Carlotto: interventi sullo scrittore e la sua opera”, edizioni E/O: che effetto fa essere il protagonista e non più l’autore di un’opera letteraria?
Confesso di averlo letto con un misto di sorpresa e apprensione. Ma anche di grande soddisfazione. Non credevo che il mio lavoro meritasse tanta attenzione da parte di studiosi del genere. E poi mi hanno fatto enorme piacere le dimostrazioni di affetto di amici e maestri come Loriano Macchiavelli. Credo che si rivelerà uno strumento utile per i critici e per i numerosi studenti che dedicano le tesi di laurea agli autori italiani di noir.
Da “Arrivederci amore ciao” hanno tratto un film, tu hai scritto un episodio della serie Rai, Crimini e ora ne stai scrivendo un altro per la seconda serie.
Che rapporto hai con questi media? Cosa puoi dirci di questa esperienza?
Amo il cinema e le fiction e mi piace scrivere sceneggiature. E poi questo è un momento importante per la produzione italiana, non solo per la quantità di film tratti dai romanzi di autori nostrani ma anche per la qualità che sta migliorando continuamente nonostante le mille difficoltà in cui si dibatte il cinema e la televisione di questo paese.
E’ vero che il tuo prossimo romanzo sarà un noir storico? Ci puoi anticipare qualcosa?
Si tratta della storia di tre musicisti alle prese con i pirati alla fine del ‘500 in un Mediterraneo profondamente segnato dalla guerra di civiltà. Altro non posso aggiungere se non che è la prima volta che mi misuro con il passato ma è anche vero che per certi versi assomiglia incredibilmente al presente.
(Pubblicato su Stilos – giugno 2007)
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Grande Igort.
Dio benedica Carlotto e Igort. Io mi commuovo, se ci penso. A nos si bì, deddus.
Sì, grande Igort. La sua grandezza è “giapponese” come quella dell’immenso Taniguchi, che ha fatto di tutto, hard boiled come racconti intimi e minimali, manga fantastico (se si può chiamare così Una lontana città) e libri per ragazzi. Tutto splendido. Come per Taniguchi, le regole di Igort sono qualità e ispirazione. Cosa riesce a sfornare dipende da quelle, può essere un noir, può essere una storia di formazione delicatissima come Baobab, possono essere i bellissimi manga che disegnava per la Kodansha ltd..
Sono contento di poterlo leggere su NI. Sono anche contento che nel post sopra si trovano a leggere insieme Moresco, Inglese e Raos.
ma Stilos ha un sito?
sarebbe, infatti, interessante commentare le interviste e/o recensioni più di rilievo
@ Enrico de Lea.
Se ne trovi, di recensioni e interv, che vuoi portare all’attenzione del blog, segnalale pure. Mica posso fare tutto io :-))
Che, per altro, non faccio un tubo a parte leggere…
I due commenti qui sopra non sono di sandrone dazieri. enrico, non mi risulta che stilos abbia un sito. sopra è riportato il sito di milano nera, webzine di cui paolo roversi è il curatore.
Confermo. Stilos è solo cartaceo. Spesso comunque in rete, dopo qualche giorno dall’apparizione, si trovano molti degli articoli pubblicati. Visto l’interesse, e se Franz è d’accordo, vi manderò anche le prossime interviste.
Gli scrittori di genere da bambini giocavano solo coi soldatini? E le macchinine. Le costruzioni… Mai pettinata una Barbie? Tutti figli unici?