Diorama dell’est #3
di Giovanni Catelli
Trnava
E’ un errore il viaggio, in queste città d’illusione, lunga pena il partire, al termine dei giorni, al segreto confine, che divide nel mattino, la luce dal passo, le monete dal gesto, l’ora dal respiro : si va, poi, come sonnambuli al distacco, avidi ancora dei minuti, colmi di vita nello sguardo, eppure ignoti ed invisibili alle cose, lenti nelle strade, alla sorpresa dei passanti, già storditi nell’affanno, ed incalzati, da severi testimoni, amare svagatezze, fragili occasioni del conforto : si diffonde, appena, l’oppressione del ritardo, si dipana lunga mappa di tragitti e lontananze, sono asfalti frecce ponti arrampicati nella gola, sorde vibrazioni di motore lungo il corpo, eppure sfugge, ancora, la rassegnazione fredda, il calcolo mortale, il sacrificio irreparabile fra i gesti : è una grande luce nelle vie, non si conosce fuga dall’istante, la salvezza compare, fra gentili rumori, agili correnti, d’aria senza peso, lungo i tavoli promessi, al volo dell’estate, nel passare indifeso, di gesti senza pena, si propaga un disegno, di sole tra le case, una voce di foglie, dal sonno della piazza, un ormeggio ci chiama, sulla riva che indugia, ecco glasse meringhe tazzine, a sorreggere intera la vita.
Jicin
Così rari bambini lieti nello sguardo, per le strade mattutine della Boemia, lungo cieli vasti e nuvolosi, nell’incerto sogno dell’estate, li seguivo fiduciosi attenti, nell’acquario mite del lunotto, per mobili orizzonti di colline, aggrappati allo stupore, fermi, nella vampa di luce dei crinali, sulla poppa fuggitiva della vita, con la timida tenacia dell’incanto, li vedevo salutare, silenziosi compagni delle nubi, partiti alla vacanza, tra fedeli plastiche del viaggio, nell’incavo chiaro della sorte, filavano leggeri, nel moto incomprensibile di tutto, viravano sospesi nell’estate, sulla soglia fragile del mondo, salutavano compagni di momenti, lamiere incroci alberi terrazze, come piccoli soldati del destino, mentre l’auto, vorace, inseguiva, il Paradiso delle mappe, io salivo quella rampa, tesa, dell’istante, un abisso mobile d’asfalti, già cedevo, nella curva, la città, mi rifugiavo ancora nel saluto, dall’ignaro spazio che muoveva nel giorno la sua pagina.
Olomouc
Vedi ancora quei tram, sospesi nella pioggia, orfani dell’alba, quando già la domenica s’avvia, lungo la piazza immobile, traversa il porfido infinito, dilegua per i viali di cintura, lascia la città nel vuoto, ignara del chiarore, prigioniera, di lontani rammarichi, remoti sonni rassegnati, ere d’invasione, si dilatano le cose in sogno, esposte ancora buie al giorno, si rovesciano le ombre inconsapevoli, ruscellano segrete acque tra le case.
Rajka
E sfogli queste carte senza fine sulla tavola, non trovi nelle foto i giorni del partire, insegui sulle pagine cifre senza vita, incauto nella corsa inciampi lungo i volti, maceri nell’aria le fibre del tramonto, docili materie che placano i confini, ti accanisci nelle ombre spente degli inchiostri, a soccorrere il tempo di pallide frontiere, inarchi lo stupore degli anni spaventosi, afferri la smarrita soglia d’altre luci, entri nelle sale ignare dell’assedio, visiti parole appena pronunciate, brindi alla saldezza del presente, senza mai tradire l’attimo che sfiori, mai cadere nel buio del distacco, mai concedere il gesto dell’oblio ; siamo qui a negoziare minuti con la notte, vegliamo la sosta di lenti rimorchi, si lustrano i ferri degli aridi scali, sussurrano caute manovre di treni : dove inclinare, fra poco, il volante, dove cercare la corsa più lieve, la fuga degli occhi più lesta e segreta, si muovono appena le tende nell’ora, si posa la polvere ai tavoli quieti, mi trema il bicchiere al passaggio di luci, non so come cedere al gesto del viaggio, al motore che morde severo l’estate, risalgono dense giornate al respiro, si ferma lo sguardo su vani profili, m’insegue crudele nel vuoto la strada : come recidere il tempo nell’aria, dissolvere placidi spazi alla sera, piegare indifese promesse alla sorte, so di gettare il mio dado nel buio, sento l’opaco timore del moto, voglio celare un’attesa nel gioco, un passo di ombre nel ritmo di corsa, frugo la vasta parvenza dei giorni, chiamo fedeli città del ritardo.
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Bellissimo pezzo, dritto, gancio, rovescio e affondo. Steso, ancora una volta.
Avanti così.
Sto per partire e la prima cosa che leggo è: Tornava!
e mi lascio cullare…
è una prosa poetica di ampio respiro, fluente come un corso d’acqua, a volte calmo, a volte irruento, ma sempre elegante…
Verità e poesia, in queste intense righe:
‘è una grande luce nelle vie, non si conosce fuga dall’istante, la salvezza compare, fra gentili rumori, agili correnti, d’aria senza peso, lungo i tavoli promessi, al volo dell’estate, nel passare indifeso, di gesti senza pena, si propaga un disegno, di sole tra le case, una voce di foglie, dal sonno della piazza, un ormeggio ci chiama, sulla riva che indugia, ecco glasse meringhe tazzine, a sorreggere intera la vita. ‘
Complimenti a Giovanni
chapuce
molto piacevole, come al solito; forse mi era piaciuto di più il diorama #2, qui il ritmo è perfino troppo ricercato, una successione di dodecasillabi troppo regolari, che ti fa perdere il senso di quello che leggi. Comunque ottimo livello.