La Mazzafirra a Grosseto
Se vi capita di passare da Grosseto in questi giorni, non perdetevi la mostra Teatralità nel Barocco fiorentino , allestita presso il Museo Archeologico e d’arte della Maremma (piazza Baccarini 3, tel.0564488754, biglietto d’ingresso 5 euro, aperta fino al 30 settembre). Vi si possono ammirare 17 capolavori provenienti dalla collezione Luzzetti, che evidenziano la vocazione teatrale e scenografica della pittura da stanza fiorita in Toscana al tempo degli ultimi Medici. Fra questi segnalo in particolar modo Giuditta con la testa di Oloferne di Cristofano Allori. L’opera è una versione autografa (datata e siglata 1618) della Giuditta della Galleria Palatina a Firenze, che ebbe una così vasta fortuna da essere fin da subito replicata in numerose varianti anche dall’Allori (l’elenco di 30 pezzi fornito da Chappell nel 1984 era già il frutto di una selezione). Nel 1620 Giovan Battista Marino avvertiva che gli amatori d’arte parigini si accontentavano di copie anche “goffe” pur di gustare “le maraviglie dell’originale”. Alla sua straordinaria notorietà molto contribuirono i risvolti autobiografici tramandati da Michelangelo Buonarroti il Giovane a Filippo Baldinucci, in cui si diceva che l’autore “ritrasse al vivo nella faccia di lei l’effigie della Mazzafirra, e dipinse se stesso per Oloferne”. Lo sguardo meduseo dell’incantevole amante di Cristofano (Maria di Giovanni Mazzafirri, una celebre cortigiana per la quale il pittore perse la testa, e che morì proprio nel 1618) ha affascinato parecchi studiosi nel corso del tempo. Claudio Pizzorusso (ne Il Seicento fiorentino, edito da Cantini) racconta che “di lei si sono cercati babbo e mamma, se ne sono ripercorsi i lineamenti di bocca, mento e scatola cranica, tanto che oggi se ne potrebbe fare un ologramma”. Seguendo la lettura data dal Marino, l’opera allude al subdolo agguato teso a Oloferne con l’arte della seduzione, e rappresenta la tormentosa bellezza femminile che colpisce “di strale” e uccide “pria col bel viso”.
(ORARI: 10-13 17-20, ven e sab apertura fino alle 23, lunedì chiuso)
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Per una rappresentazione ancora piu’ drammatica di Giuditta ed Oloferne vedete quella di Artemisia Gentileschi, conservata al museo di Capodiomonte a Napoli.
Entrambi di scuola caravaggesca mi pare
Viens-tu du ciel profond ou sors-tu de l’abime,/o Beautè?
Ton regard, infernal et divin,/verse confusèment le bienfant et le crime.
Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso,/o bellezza?
il tuo sguardo, infernale e divino,/versa confusamente il beneficio e il crimine.
Charles Baudelaire, Inno alla bellezza, dai Fiori del male
la cosa che più mi stupisce in quest’immagine, è l’espressione di dolore che la testa mozzata reca ancora sul viso.
opera bellissima.
bellissima davvero. Segnalaci qualche altra chicca del grossetano, Sergio, dài. Grazie a.
gli psicologi del Cepu dicono che è molto eloquente che io abbia chiamato mia figlia, il mio Es, in questo modo.( meglio che Mantide, o Lucrezia)
@antonio
l’esperto del grossetano dovrebbe essere rovelli, quindi lascio a lui la parola.
@mattia
la mia amica stefanie golisch sostiene che la giuditta di artemisia sia una scena di cucina, con le due donne che si rimboccano le maniche e tagliano la carne del maiale. a me pare una felice intuizione critica.
Molto bella anche la Giuditta di Francesco FURINI, 1636, che sta alla Galleria Nazionale d’Arte Antica, Roma: si vede Giuditta a decapitazione compiuta, mentre mostra alla serva la testa di Oloferne a terra.
qui Giuditta è infinitamente triste e molto aristocratica.
la Giuditta di artemisia è una massaia, sì.
qui si trova tutto, o quasi:
http://www.wga.hu/index1.html
Vi segnalo 10 foto dello spettacolo JUDITH dell’Odin Teatret, regia di Eugenio Barba, con Roberta Carreri (tutto indimenticabile):
http://www.odinteatret.dk/productions/current_productions/album/judith/album.htm
fem
Garufi, per favore, una buona intuizione critica è che questo quadro è legnoso, tronfio, impacciato, insomma orrendo (la testa poi sarebbe da ritagliare col cutter tanto è brutta: meglio un buco, sarebbe più misterioso). Quello che tu e la tua amica sostenete essere una scena di cucina, il dipinto di Artemisia (prendiamo tra le versioni questa: http://www.homolaicus.com/arte/pittrici/Artemisia_Napoli.jpg), è vivo, sentito, se è caravaggesco è per condivisione del linguaggio di Caravaggio, non è alla maniera di. Basterebbero le intuizioni di quel bianco sporco del letto, un’apparizione che si insinua nel buio come una lingua (o una piccola Moby Dick, o ancora un bianco di Fussli), o il riflettersi del ritratto di Giuditta in quello dell’ancella, come se fossero la stessa donna fermata nell’immagine in due momenti diversi. Questa è l’intelligenza di Artemisia, che supera il padre, il tuo Cristofano non ci riesce.
Barbieri i due quadri non sono confrontabili.
Quello di Artemisia (1611) ci fa distogliere lo sguardo dall’orrore della scena, le due donne si aiutano.
Una tiene fermo Oloferne che si è svegliato nel terrore di una lama affondata nel collo e si dibatte, cercando di afferrarla con la destra.
L’altra, Giuditta fa concretamente il lavoro, lo fa con attenzione, ribrezzo, deve essere veloce perché Oloferne potrebbe sopraffarle.
L’intuizione critica del lavoro di macelleria è giusta. Artemisia ci dice che l’unica esperienza della sua Giuditta/massaia è quella e a quella deve fare appello.
Nella visione di Allori tutto è già successo, la testa è già staccata da busto di oloferne, nessun realismo, solo una superba et simbolica messa in scena barocca che presuppone un sotto-testo.
Ambedue “sentono” Caravaggio – alla cui influenza nessun artista dell’epoca poteva restare indifferente – ma lo fanno in modo molto diverso.
La Giuditta di Caravaggio è del 1598, dunque è stata dipinta tredici anni prima rispetto a quella di Artemisia e vent’anni prima di quella di Allori. Vent’anni sono tanti. Caravaggio nel frattempo era morto. Artemisia cerca una visione analoga a quella del maestro, ma punta tutto sull’orrore col risultato di fare di Giuditta (che nel quadro di Caravaggio resta una principessa piena di alterigia e ribrezzo per ciò che sta facendo) una massaia, anzi una macellaia.
Mi permetto di percepire un Allori completamente altrove.
Si preoccupa d’altro, si intrattiene col tema Giuditta ma potrebbe essere questo come un altro, non entra nel merito, la sua Giuditta è dipinta magistralmente, come, temo, Artemisia non saprebbe fare.
Ci gioco:)
le due giuditte e le due ancelle sono differenti a partire dalle maniche, arrotolate (giuditta e l’ancella di gentileschi) oppure no (quelle di mazzafirra, lunghe e abbondanti e immacolate e a sbuffo, uffa neppure uno schizzo di sangue, sangue che peraltro inonda non visto non detto il suo vestito e la sua faccia il suo colorito per cui non c’è da cercare il padre e la madre della sontuosa mazzafirra, il padre è uno, ed è colui che l’ha dipinta col sangue. Materia cerebrale, sangue autoreferenziale: che plasma). tutto gioca attorno al rimboccarsi le maniche e in definitiva: all’azione, al moto proprio che manca, in effetti, alla mazzafirra mera proiezione istantanea fuori contesto scarna eterea incorporazione altrui (cepu:), Tutto il contrario rispetto alla forza delle braccia forti e scoperte della gentileschi in azione, anche pittorica, che tengono a distanza ciò che è vivo e vicino e mostruoso, e che deve morire ma non ci sta. Però (e quindi) non concordo sul negativo della cucina. in cucina , spazio domestico femminile “per eccellenza” avvengono e molti e più o meno metaforici e più o meno rudimentali sgozzamenti, il più delle volte traslati dalla camera da letto, altro spazio domestico “femminile” per eccellenza. (anche lo spazio domestico di gentileschi, mi pare, è stato teatro di efferate macellerie, in parte finite in tribunale)
Tash, perché non vedi nel dipinto della Gentileschi il mistero di quel bianco, e il mistero di quella riflessione tra le due donne; e perché non vedi per esempio il realismo becero della testa decapitata di Cristofano Allori, non vedi l’incongruità, la mancanza di poesia dei colori che ha scelto per il costume di Giuditta, con quel giallo così brutto sotto la testa mezza nera. Perché non vedi queste cose Tasch, cosa ti manca?
Perché nella tua mentale “stanza delle similitudini” sai vedere soltanto che un coltello taglia la carne come tu tagli una bistecca?
Non so perché parli di me – e di quello che “so vedere” che non coincide con quello che tu “sai vedere” – invece di parlare delle opere in oggetto, Barbieri.
Dire che tu percepisci il mistero di quel bianco è solo un tentativo di fare letteratura, nemmeno di pregio.
È una scorciatoia che molti scriventi usano quando discettano di cose d’arte.
Io mi limito ad affermare una cosa più prosaica: tecnicamente e tematicamente i due quadri non sono confrontabili, perché le loro INTENZIONI, sono diverse – al di là del mistero, o della bellezza/bruttezza di qualsiasi colore vi sia steso sopra – diversa direi la cultura che li produce.
L’adesione di Artemisia alla visione di Caravaggio mi è sempre sembrata dis-autentica e soprattutto non supportata da capacità tecniche adeguate, da un senso della forma e del colore, sufficiente a far sì che l’impostazione data alle due versioni delle Giuditta trascenda davvero l’impressione di macelleria, per esempio.
Per contro la tecnica di Allori, per quello che posso vedere (non ho mai visto questo quadro dal vero), è notevolissima, ma è soprattutto nella diversità delle intenzioni che sta la sua autonomia.
Ripeto, mi sembra di percepire che di Giuditta non gliene possa fregare di meno, mentre si applica con voluttà nel delineare in modo davvero sorprendente il volto della modella, che risulta ai miei occhi di modesto osservatore un eccezionale ritratto di donna, completamente alieno dalla convenzionalità della Giuditta di Artemisia.
Se poi non ti piasce il suo giallo, pazienza.
Coi gialli non si può mai dire, però.
A questa bella discussione aggiungo solo un dettaglio forse trascurato, e cioè che fin dal titolo della mostra si evidenzia il carattere scenico, teatrale, di molta pittura seicentesca, non solo toscana. Accusare quindi di “legnosità” la postura della Giuditta alloriana sarebbe come deprecare l’oscurità nei dipinti di Caravaggio. Senza contare che lo stesso Caravaggio fu in molti casi “legnoso”. Penso alla postura e all’espressione della Maria Cleofe nella deposizione vaticana, oppure all’apostolo con le braccia tese nella cena in Emmaus londinese. E’ una precisa scelta antiplastica, la stessa che, molto tempo dopo, caratterizzò per es. il giuramento degli Orazi di Jacques-Louis David. Sul confronto fra questa giuditta e quella di Artemisia han già detto meglio di me Tashtego e Gina, per cui taccio.
Ah ecco, ora Garufi spiega che la mostra è sulla teatralità intesa come legnosità (chiamata curiosamente “l’antiplastica”). Pare di essere in un libro di Gadda con quest’antiplastica. I pittori sono scelti in base alla capacità di dipingere quadri legnosi, cioè non vivi, morti, ovvero orrendi, inutili, di quelle cose che speri che il tempo trasformi in un’affascinante opera concettuale polverizzandone qualche parte.
Certo, al profano verrà in mente che anche la teatralità può produrre cose egregie, del resto più teatrale della Madonna del parto di Piero non c’è nulla, dato che abbiamo persino il sipario, eppure l’opera è un capolavoro, uno dei più grandi.
Ma qui no, si vede che lo sponsor è una ditta di legnami. Anche appendendolo al contrario, il quadro di Cristofano resta orrendo.
@ Tash faresti addormentare anche l’ecstasy.
non tutti la pensiamo uguale, caro Andrea,
e meno male!
:-)
artemisia è nel filone del realismo caravaggesco, potente
carofano è fuori tempo, decora, mima piuttosto l’eleganza del parmigianino, ne avesse conoscenza diretta o no, senza possederne la glacialità concettosa.
La sua è una prova di virtuosismo, di confidenza col pennello, nada mas. L’osservazione di Barbieri sul bianco sporco è da pittori, come no
cristofano
sul fatto che non la si pensi uguale e meno male ci sarebbe molto da tacere