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Separare, pesare e distinguere. Un vizio di forma e una forma di virtù. Primo Levi scrittore tra scienza e morale

di Demetrio Paolin

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A Bruno Vasari
in memoriam

Lo sguardo

Primo Levi non scrive, guarda, a voler essere precisi, notomizza e seziona con precisione chirurgica i fatti vissuti; per questo l’aggettivazione, come ebbe a dire Mengaldo, rappresenta il sigillo regale della sua scrittura.(1) Levi, con molta sobrietà e ironia, non ha mai fatto distinzioni tra lo scrittore e il chimico, sottolineando come il suo apprendistato nella scienza gli abbia offerto strumenti privilegiati per il suo secondo mestiere.

“La chimica è l’arte di separare, pesare e distinguere: sono tre esercizi utili anche a chi si accinge a descrivere fatti o a dare corpo alla propria fantasia. C’è poi un patrimonio immenso di metafore che lo scrittore può ricavare dalla chimica di oggi e di ieri, e che chi non abbia frequentato il laboratorio e la fabbrica conosce solo approssimativamente.”(2)

Nella sua prefazione a Se questo è un uomo parlando delle finalità del libro l’autore afferma: “Esso non è stato scritto per formulare nuovi capi d’accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato dell’animo umano”.(3) Lo scrittore torinese in queste parole preferisce all’intento testimoniale(4) una diversa tensione conoscitiva: a Levi preme non tanto accusare, trovare i colpevoli, quanto capire, comprendere i meccanismi del pensiero che ha portato alla creazione del lager: “Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano”.(5)
Nel ragionare di Levi, a un’azione segue una reazione, l’universo concentrazionario diviene una sorta d’immenso sillogismo dove la premessa maggiore è: ogni straniero è nemico. Data per vera questa definizione, il resto viene da sé e così “la storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo”.(6)
L’atteggiamento di Levi, fin dalla sua prefazione, è quello di un osservatore attento e scrupoloso, niente di ciò che accade deve andare perduto, perché ogni cosa, anche la più miserrima, è ingranaggio fondamentale per capire.

“Ricordo di aver vissuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionale, o da una mia insospettata vitalità, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un’immagine incredibilmente dettagliata. Avevo un desiderio intenso di capire, ero costantemente invaso da una curiosità che ad alcuni è parsa cinica, quella del naturalista che si trova trasportato in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo.” (7)

Il passo, che risponde una domanda di Philiph Roth, nasconde il segreto del doppio legame tra Primo Levi scrittore e Primo Levi scienziato. La scienza e la chimica in particolare hanno un valore di sguardo sul mondo. Lui non è uomo di fede, come lo è Wiesel, non ha neppure il conforto della letteratura o della filosofia (penso in particolar modo a Semprún e Amery).
Levi è uno sguardo. Sono il suo sguardo, che tutto tiene e conserva, e la sua attenzione cinica, tipica degli scienziati che maneggiano ogni cosa cercando di arrivare a una soluzione di un problema, la novità di Se questo è uomo, un libro nel quale si rende conto di “una gigantesca esperienza biologica e sociale”.(8)

L’esperimento

Nel linguaggio scientifico la parola “esperienza” ha connotazioni precise. Secondo il più comune dizionario il lemma è definito “riproduzione sperimentale di un fenomeno, esperimento, prova di laboratorio” (De Mauro). Il lager, quindi, è per Levi scrittore/scienziato un esperimento ed è così che ne dà ragione. Uno dei capitoli centrali di Se questo è uomo è I sommersi e salvati, in cui l’autore torinese ci descrivere i risultati di tale esperienza.
Levi parla dell’esperimento che sta vivendo nel duplice scomodo ruolo di cavia e di osservatore.(9) In primo luogo abbiamo la descrizione di quello che sta per accadere, non senza che l’etologo/animale-uomo da laboratorio ci avverta di come “nessuna umana esperienza sia vuota di senso e indegna di analisi”.(10)
Ecco la descrizione:

“Si rinchiudano tra i fili spinati migliaia di individui diversi per età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi, e siano quivi sottoposti a un regime di vita costante, controllabile, identico per tutti e inferiore a tutti i bisogni: è quanto di più rigoroso uno sperimentatore avrebbe potuto istituire per stabilire cosa sia essenziale e che cosa acquisito nel comportamento dell’animale-uomo di fronte alla lotta per la vita.”(11)

E’ da notare l’uso impersonale del verbo (tipico dei protocolli sperimentali), la catalogazione degli oggetti (gli individui) divisi per una serie di categorie (età, condizione, origine, lingua, cultura e costumi), la descrizione dell’esperienza in sé, che deve essere razionale e ripetibile (ecco spiegati i termini “costante”, “controllabile” e “identico”) e lo scopo della stessa (stabilire cosa sia essenziale e cosa acquisto nell’animale-uomo).
In queste poche righe abbiamo descritto un protocollo infernale,(12) ma certamente ripetibile e controllabile. Il brano può essere letto in sinossi con alcune pagine tratte da La ricerca delle radici, intitolate La misura di tutte le cose:(13) il testo rappresenta “la proposta di un metodo per il controllo della resistenza delle pellicole di adesivo essiccate all’attacco degli scarafaggi”.(14)
E’ interessante che Levi scelga questo protocollo scientifico così da fare un paragone involontario (sappiamo come la ricerca delle proprie radici sia opera notturna)(15) tra gli scarafaggi e deportati.
Qual è, infatti, il risultato finale del lager? Perché noi sappiamo che ogni esperimento ha una sua conclusione. Il protocollo descritto da Levi ne La ricerca delle radici – dove tra l’altro si afferma “il metodo, opportunamente modificato nei dettagli sperimentali, può essere adattato all’impiego con altri animali nocivi”(16) e non si dimentichi che Levi nella descrizione lager/esperimento parla di “animale-uomo” – ha come scopo finale quello di “calcolare la percentuale di distruzione per ogni periodo di ognuno dei due provini mediante la formula: distruzione, percento = 100(A/B x100)”. (17)
Il fine è, quindi, la percentuale di distruzione; non diversamente da quanto postulato nell’esperimento lager, dove il risultato

“sono loro, i Musulmaner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.”(18)

E’ come un filo che unisce i non uomini del lager e gli scarafaggi del protocollo a Giobbe, il personaggio biblico, che diventa l’uomo “degradato ad animale da esperimento”. (19)

La brutta Hyle

In Levi, senza prendere scorciatoie per elaborare teorie teologiche o consolatorie, la scienza e l’approccio scientifico divengono un modo per parlare del male. Infatti la descrizione dei sommersi, precedentemente citata, continua:

“Se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.”(20)

C’è quindi una tensione morale e interrogativa: egli vede nella chimica una lotta sorda e silenziosa dell’uomo con la materia bruta, che Levi racconta nell’articolo dal titolo Il brutto potere (chiaro il riferimento a Leopardi e alla lirica A se stesso) e dove si parla appunto della materia come di un brutto potere, qualcosa di sordo e terribile, che trama contro di noi.
La tesi è presto detta: se per alcuni è facile illudersi che “esistano su questa terra albe, foreste, cieli stellati, visi amici, incontri preziosi”(21) sottratti dalla perversità della natura, questo ameno inganno non è concesso a chi “si sia trovato a combattere la vecchia battaglia umana contro la materia”.(22)
La scienza ci presenta un universo che

“[…]è retto da una forza, non invincibile ma perversa, che preferisce il disordine all’ordine, il miscuglio alla purezza, il groviglio al parallelismo, la ruggine al ferro, il mucchio al muro e la stupidità alla ragione.”(23)

Questa sordità della materia e la sua stupida ostinazione a far male, senza motivo e involontariamente, sono descritte mirabilmente nel racconto di Lilit dal titolo La sfida della molecola,(24) dove si racconta l’esperienza di Rinaldo, giovane studente universitario (biologo) e lavoratore, a cui “parte” una cottura di vernice. Levi trae il racconto dalla sua personale esperienza lavorativa per darci notizia di come senza nessun motivo apparente la natura si ribelli e schernisca l’uomo, facendolo incappare in vizi di forma.
La chiusura ha la secchezza tragica di un aforisma:

“Questa racchiude in sé una qualità beffarda: è un gesto di scherno, l’irrisione delle cose senz’anima che ti dovrebbero obbedire e invece insorgono, una sfida alla tua prudenza e previdenza. La “molecola” unica, degradata ma gigantesca, che nasce-muore fra le tue mani è un messaggio e un simbolo osceno: simbolo delle altre brutture senza ritorno né rimedio che oscurano il nostro avvenire, del prevalere della confusione sull’ordine, e della morte indecente sulla vita.”(25)

Ancora una volta si intravede qualcosa di ben più profondo: la scienza, il suo linguaggio, le sue sconfitte e vittorie sono una lunga, laica e sconsolata riflessione sul male. La molecola che impazzisce è “figura” di una morte indecente, di una morte che non è morte, ma è un semplice finire: il concludersi dei mussulmani nel campo di concentramento.

Il saper fare

Se da un lato la scienza mostra la natura beffarda e maligna della vita, dall’altra è stata proprio la chimica a far sopravvivere Primo Levi. Riandiamo la prefazione di Se questo è un uomo, l’autore torinese inizia: “Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944”.(26) A questo assunto si dovrebbe aggiungere che per sua fortuna il prigioniero Primo Levi era anche un laureato in chimica e che questo lo salvò, alleviandogli un po’ la tremenda prigionia.
Ed Esame di chimica, infatti si intitola uno dei capitoli più belli di Se questo è un uomo, che rappresenta una riflessione non tanto sul male e sulle sue cause, quanto sul come opporsi ad esso.
Leggendolo, incontriamo subito Alex, il Kapò, che lo scrittore descrive in tutta la sua brutalità, mostrandolo per ciò che realmente è: “Alex vola gli scalini: ha le scarpe di cuoio perché non è ebreo, è leggero sui piedi come i diavoli di Malebolge”.(27)
Il Kapò è quindi un personaggio infero, è un diavolo, simile ai tanti che popolano la Città di Dite e che si incarnano nuovamente nelle pagine di Se questo è un uomo. Il vero protagonista del capitolo, però, è Pannwitz. Lui è il chimico, lo scienziato che deciderà la vita del deportato. Anche i suoi tratti, come quelli di Alex, non sono umani: Pannwitz è una creatura infernale:

“Pannwitz è alto, magro, biondo; ha gli occhiali, i capelli e il naso come tutti i tedeschi devono averli, e siede formidabilmente dietro una complicata scrivania.”(28)

Pannwitz è come Minosse,(29) tanto che ci aspettiamo da un momento all’altro che gli spunti la coda e, avvinghiandola su se stessa, emetta la condanna per l’ Häftling 174 517.
L’uomo, invece, incomincia a esaminare Primo Levi e le sue conoscenze di chimica. Paradossalmente è proprio un libro, il testo di Gattermann,(30) a salvare lo scrittore torinese.
“Saper fare qualcosa”: è questo, secondo l’esperienza di Levi, l’unico modo per opporsi alla malizia della natura, a quel brutto potere che inficia ogni nostro gesto. Il sapere le cose, il metterle in pratica sono un modo per resistere al male. Il voler osservare tutto, quindi, non era cinismo, ma un modo per esercitare un “sapere” scientifico che poteva allontanare Levi dalla morte non-morte dei mussulmani.
Il tirocinio nella scienza porta lo scrittore torinese a elaborare una vera e propria etica del fare e del saper fare. Solo in questo modo, infatti, si può comprendere lo sfondo epico delle battaglie, che Faussone ne La chiave a stella intraprende contro ponti e gru traballanti. Esse rappresentano una lotta contro “la malizia e il torto” di cui la storia è impregnata. Proprio perché cosciente di ciò che sono la natura dell’uomo e del mondo, quella di Levi non è un’etica ottimista né tanto meno consolatoria. “Fare” significa esporsi alla fallibilità dell’opera, allo scherno beffardo della molecola. Levi edifica un ponte, ma quello dello scrittore torinese

non è come gli altri ponti,
che reggono le nevicate per secoli.
[…]
Questo è un ponte diverso
[…]
è sordamente vivo
e non ha pace mai,
forse perché dal cavo del suo pilastro
filtra lento il veleno
un malefizio vecchio che non descrivo.(31)

NOTE

P.V. Mengaldo, Lingua e scrittura in Levi, in E. Ferrero (a cura di), Primo Levi: un’antologia della critica, Torino, Einaudi, 1997, p.179.
2 P. Levi, Opere II (a cura di M.Belpoliti), Torino, Einaudi , 1997, p.642.
3 P. Levi, Opere I (a cura di M.Belpoliti), Torino, Einaudi, 1997, p. 5.
4 Levi la sua testimonianza l’aveva già resa scrivendo con l’amico, e medico, De Benedetti un articolo, apparso su la rivista La Minerva Medica.
5 P. Levi, Opere I, cit., p. 5.
6 Ibidem.
7 P. Levi, Conversazioni e interviste, ( a cura di M. Belpoliti), Torino, Einaudi, 1997, p. 87.
8 P. Levi, Opere, cit., p.83.
9 A questo proposito si legga M.Porro, Un Etologo nel lager in E.Mattioda (a cura di), Al qua del bene e del male, Milano, Franco Angeli, 2002. Questa dualità tra osservatore e osservato, potrebbe, parafrasando Contini, definire Primo Levi come personaggio di Se questo è un uomo (cfr. D. Paolin, La Memoria e l’oltraggio. Primo Levi interprete di Dante in Levia Gravia V – 2003).
10 P. Levi, Opere, cit., p. 83.
11 Ibidem.
12 Che questa sia la descrizione più pregnante dell’Inferno la si ricava dalla presenza del termine desueto “quivi” che come bene riferisce Cases è la spia dell’intrusione di Dante e del suo inferno nel racconto leviano. (Cfr. C. Cases, L’ordine delle cose e l’ordine delle parole, in E. Ferrero (a cura di), Primo Levi: un’antologia della critica, cit., p. 14.
13 P. Levi, Opere II, cit. p.1493-95.
14 Ibidem.
15 Ivi, p.1363.
16 Ivi, p. 1494.
17 Ivi, p. 1495.
18 P. Levi. Opere I, cit., p.86.
19 P. Levi, Opere II, cit., p.1369.
20 P. Levi, Opere I, cit., p. 86.
21 P. Levi, Opere II, cit, p. 1203.
22 Ibidem.
23 Ibidem.
24 Ivi, p.162-67.
25 Ivi, p. 167.
26 P. Levi, Opere I, cit., p.5.
27 Ivi, p. 103.
28 Ivi, p. 101
29 Si legga Inf. V e si noti come entrambi siano giudici e decidano la vita e la morte. E da notare la presenza di due avverbi “orribilmente” e “formidabilmente”, che hanno una comune radice nel tema della “paura” e dell’ “orrore”.
30 Ne La ricerca delle radici, Levi cita il Gattarmann in un capitolo intitolato Le parole del padre. E’ interessante notare come il capitolo successivo a Esame di chimica sia Il canto di Ulisse. Accostando queste due narrazioni, sembra che Levi volesse rendere omaggio alla sua doppia natura di scienziato e letterato.
31 P. Levi, Opere II, cit., p.567.

[questo articolo è presente sull’ultimo numero di Nuovi Argomenti]

6 COMMENTS

  1. sono convinta che,
    la scrittura di chi ha vissuto in prima persona un’esperienza, cruda come può essere quella di Levi, trasmette allo scritto una sensibilità capace di compenetrare lo sguardo di chi legge.

    Metto per inciso questa frase, che molto racchiude!

    -E’ come un filo che unisce i non uomini del lager e gli scarafaggi del protocollo a Giobbe, il personaggio biblico, che diventa l’uomo “degradato ad animale da esperimento”. –

    Post molto interessante, Giorgio.
    ciao
    Chapuce

  2. Viene da pensare che, se un mondo migliore è possibile ( e credo che Levi avesse profondi dubbi al riguardo), è possibile solo attraverso una lenta e consapevole opera collettiva di costruzione di pensiero e di senso. Costruzione che va controcorrente, e che come si è purtroppo verificato nel Novecento può venire in ogni momento distrutta dalle forze contrarie che hanno a loro favore la perversa tensione della materia verso l’entropia ed il caos. Il formidabile meme “ogni diverso è da cancellare” si aggira ancora nel mondo, ed anche per l’Europa e a casa nostra….ed i meme sono per la cultura dell’uomo quello che i virus sono per la biologia. Infettivi, pandemici, capaci di rinascere sotto altre forme quando riusciamo a debellarli o a vaccinarci…

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