Diorama dell’est #5
di Giovanni Catelli
Hlavnà Stanica
Ora puoi stringere il dono dell’istante, al caffè della stazione, a Bratislava, nell’ora dubbiosa che mescola i treni e divide, l’arrivo il partire, la sosta l’addio, l’attesa il ritorno, quali sostanze aduni al ricordo, quali stagioni trattieni alla mano, senza smarrire il peso del giorno, vasta misura di brezze penombre, luci fragori, solo più largo lo spazio fra i gesti, morbido e lento il vagare dei treni, lasco e cedevole il ferro dell’ora, il sole raggiunge i vagoni del sonno, tocca in silenzio le ruggini quiete, varca gli asfalti donati al risveglio, celebra calme stanchezze d’estate.
Bratislava, Café Central
La Obchodnà riluce nella pioggia, io veglio lungo i vetri al Café Central, questa nube di calore luce mi difende, mentre il giorno vara i suoi tram nella caligine, li sferra ignari e lievi nella vasta perdizione, mi raggiunge coll’ondata del suo ghiaccio, coi marosi di ferro del suo tempo predatore, dall’oceano fondo e freddo che distilla una stagione di bufere : è solo il tuo profilo che mi popola d’attese l’accadere, mi dischiude i fiori della polvere, scatena le più terse primavere nello sguardo, come credere davvero al meccanismo, delle cose in corsa, dei volti nella strada, ordinata distruzione, dei giorni delle vite, accumulo di stanche cerimonie, moti senza luogo, calcolo metallico di nuove produzioni : così semplice, distinto, il disegno degli affanni, la fortuita fatale traiettoria degli sguardi, nella via che s’anima di corpi di colori, già si mescolano i segni, le facezie del destino, le complesse architetture che sorreggono e dissolvono, l’istante in ogni gesto, il minuto nell’oblio, l’ora nel ritardo e nell’attesa : io non posso varcare il giorno fino a te, un fiume impenetrabile di cose gesti ombre ci divide, una catena di minuti strade ponti che rinvia, l’anello preciso dell’incontro, già dissolvo passi mete traiettorie nell’attendere, l’approdo serale il tuo sorriso, s’increspano i cerchi del vuoto intorno a me, come in sogno si perde la città per moti lenti, flussi opachi, legioni silenziose, popola e cancella ogni piazza verso il buio, si divide sola dal suo giorno, con immobile saldezza nel distacco, limpido rigore nell’oblio, calma indifferenza lungo il gelo.
Bratislava
Il fiume voga torvo ai suoi rancori, preme la spalla sfinita del ponte, muove un corteo di sospiri, una cupa marea d’abbandoni : serpeggia fra i cementi un palpito di voci, un sommesso vibrìo d’eliche vapori, già s’affilano i partenti, scivolano al gorgo inafferrabile, frugano il ritardo nel minuto, afferrano luce tra i piloni, sfiorano clemenze della sera, esitano al valico dell’onda che dimentica.
Bratislava, dicembre
Questi saldi minuti, d’ogni nostro vederci, sono attesa timore, annuncio delle vie, vaste, a perdifiato, del cieco non vedersi, promessa del mancare, intervallo che divide valve di silenzio.
Ogni volta che arrivi, so, te ne andrai, ogni volta ti vedo, piano, svanire, già mentre sottile mi parli per l’ombra, nel tremore di candela che spira nel caffé, al riparo dai geli del Danubio, dai venti che ti cercano, leggera vela di spavento, meraviglia della sera e degli autunni : ancora cammino, fra le ore del giorno, che lentissime scivolano verso la tua sera, già temo il franare, di stanchi minuti fra noi, tazzine deserte alle mani, bianche leggere dita nel buio : dove corrono, già, le tue strade, quali brine ti chiamano alle soglie del ritorno, la vita silenziosa t’insegue, modella fra le ore le muraglie del tuo giorno, dispone la catena che ti guida fra i minuti, concede minimi respiri di rivolta, pallidi giardini per la resa : noi sporgiamo le mani, nell’aria, cerchiamo le pareti, elastiche, dell’ora, l’invisibile lancetta che ci tiene, il dorso buio delle cose in cui sparire, ma non sale nelle dita il lampo della fuga, non si compie il gesto che recide, già svaniscono farfalle nel futuro, luci concesse dalla sera nel cielo : ogni volta so, dal tuo tacere, che i passi salpano al commiato, le labbra stringono a lasciare, i sorrisi soffiano luce per la notte : resta, sì, un domani, resta, uno spaurire nell’attesa, vuota, prima delle mani, dei silenzi felici, del tuo riso, un affollarsi della vita, verso il tuo stupito riapparire, ma, sento l’infrangersi, remoto, del futuro su di noi, quell’onda nera, vasta, che già precipita nel buio, immensa, e corre, sempre più veloce a cancellare, altri minuti leggeri, altre stanze, altre vane candele nei bar, altre luci, quel volto che vedo sorridere lieto, nel taxi, e non cessa, mai, di restare.
O Giovanni, Giovanni….
chissà mai se ci incontreremo in qualche stazione!
quanta poesia, mentre canti Bratislava…
Quanta luce!
chissà…forse ci incontreremo…