Luci e ombre di Google: un libro di Ippolita
di Jan Reister
Il 35% dei visitatori di Nazione Indiana arriva dopo aver interrogato un motore di ricerca, quasi sempre (33%) Google. Usiamo il servizio di statistiche web Google Analytics, molti di noi usano GMail, Google Maps, Google Earth. La tecnologia di Google ha messo alla portata di tutti grandiose comodità e servizi eccellenti, ma ha causato più sottili cambiamenti sociali e cognitivi e, soprattutto, una certa inquietudine dovuta alla concentrazione di informazioni sulle nostre abitudini in rete nelle mani di un unico attore.
Luci e Ombre di Google. Futuro e Passato dell’Industria dei Metadati (IBS, BOL) è uno strumenti per capire l’industria dell’informazione digitale, presentata con chiarezza e intelligenza, analizzandone diversi aspetti (la cultura aziendale, l’open source, gli algoritmi, la privacy, quantità e qualità, la critica politica) con taglio divulgativo e con una buona selezione di fonti per l’approfondimento. E’ un’ottima prima lettura sul tema, e una chiara raccolta di riferimenti per gli addetti ai lavori.
Il libro è distribuito commercialmente ed è anche scaricabile liberamente dal sito degli autori e qui.
Una delle critiche rivolte dal libro ai motori di ricerca è la limitatezza delle fonti indicizzate rispetto a quelle disponibili. L’immagine qui accanto è tratta da un seminario tenuto da Fravia nel 2006 e presenta, in modo impressionista, le aree di informazioni indicizzate da Google, MSN e Yahoo! rispetto alle fonti digitali pubbliche (Bulk) disponibili, e alle fonti non pubbliche (Hidden) residenti su intranet aziendali, governative e commerciali.
Google inoltre (come gli altri motori) non solo interroga una base dati definita e limitata, ma usa filtri basati sulla profilazione individuale (per lingua, per storia personale) per restituire rapidamente risultati di ricerca preconfezionati. Si tratta di un fatto legittimo e anzi utile nella ricerca, ma di cui non si è sempre consapevoli: talvolta è un salutare esercizio di prospettiva provare a considerare un motore di ricerca come il buco di una serratura verso una piccola stanza, anziché come un potente telescopio verso il cosmo.
Il libro descrive anche come Google, nonostante utilizzi il software open source che è lo standard nel settore, adotti un sistema di brevetti e licenze in contrasto con i principi del software libero e a sorgenti aperti. L’accesso alle funzioni dei servizi Google è quasi sempre mediato da interfacce (API) basate sull’autenticazione; viene spesso adottata nei progetti comunitari la licenza BSD, adatta all’uso commerciale del software perché permette di chiuderne i sorgenti. La critica a questi aspetti è promettente, anche se sarebbe interessante un ulteriore approfondimento legale in questa direzione.
La privacy individuale è il tema di più urgente rilievo per chi utilizza i servizi di Google. Le ricerce, i servizi di statistiche web, la posta elettronica, i servizi di pubblicità, collaborazione, geoinformazione, accumulano di fatto numerosissime dettagliate informazioni sulle attività che una persona svolge in rete, su quello che fa, cerca, scrive, apprezza e compra. La semplice presenza di una simile banca dati, quale che siano le dichiarazioni di intenti del suo gestore, è un rischio per la privacy individuale, per le libertà civili, per la libertà di mercato. E’ il tema più complesso e rilevante del libro, un delicato rapporto tra vantaggi percepiti per chi usa i servizi e rischi concreti di abuso.
La delega a un servizio esterno di ricerca e organizzazione delle informazioni è alla base della critica cognitiva mossa dal libro nei confronti di Google. La ricerca, intendiamoci, è fondamentale per muoversi tra masse di informazione poco strutturata (un archivio usenet o di una mailing list…), ma affidare a un motore la costruzione e il richiamo di nessi logici e di informazioni chiave porta al un impoverimento della conoscenza e a un tutoraggio forzato. Sono molti quelli che scrivono “Nazione Indiana” in Google per la visita quotidiana al nostro sito, siamo in moltissimi a cercare su GMail indirizzi e informazioni che abbiamo archiviato solo lì, per fare solo due esempi.
Ho trovato invece più debole la critica rivolta dagli autori al modello aziendale di Google, basato in realtà su una intensa meritocrazia tipica degli ambienti di sviluppo software. Più complessa la critica politica al capitalismo impersonato da Google, come dimostrano le attività di filtraggio, censura e repressione svolte direttamente o indirettamente dall’azienda in Cina.
Ci sono alternative? Abbiamo già ceduto porzioni preziose e irrecuperabili della nostra privacy, o sono tutte esagerazioni?
Aggiornamento 3 aprile 2008: il libro è stato tradotto e pubblicato in Francia.
interessante, purtroppo non riesco ad entrare nel sito degli autori.
f.s.
molto interessante, grazie jan.
pure io, sarà un caso?
Gente seria, questa del collettivo Ippolita. Anche se “distribuito commercialmente” significa che nella Feltrinelli di Largo Argentina il volume costa sui dieci euro, se non sbaglio. Insomma, qualcuno ci prova. Non credo i compagni del collettivo, più probabile che si tratti dell’editore Feltrinelli in persona, quello del sito “non spedite manoscritti in redazione tanto non li leggiamo”.
In questo schizo double bind, tra esigenze di mercato e filosofia del copyleft, sono maestri i colleghi di Apogeo: in libreria gli ultimi volumi sull’elearning 2.0 costano un occhio, ma con un po’ di pazienza puoi scaricarteli comodamente in Rete.
Per restare al merito della discussione (affangoogle), faccio un esempio semplice semplice. Se digitate “guerra iraq” i primi articoli che appaiono sono quelli di wikipedia, di repubblica e più o meno tutta la stampa italiana critica verso l’intervento americano in Iraq.
Ancora più interessante, se digitate “11 settembre”, i primi in classifica, oltre al solito wikipedia, sono luogocomune e disinformazione.it, due siti che gratta gratta viene fuori qualche goccia distillata di antisemitismo.
Ne avevo già parlato a proposito delle convergenze fasciocomuniste di personaggi come Lyndon Larouche, che con il suo network è un altro protagonista assoluto della (dis)informazione by Google (attivo anche in Italia, visitate il sito del MoviSol, movimento per la solidarietà).
Con questo non voglio dire che la guerra in Iraq fosse cosa buona e giusta, ma appunto, chiediamoci di che colore politico è Google dopo che Page e Brin hanno lasciato il testimone nelle mani del lobbysmo democrat.
…occhio a cedere porzioni!
ciau
Chapuce
La soluzione di alcuni problemi è nell’ontologia applicata. Nessuno (o quasi) avrebbe mai immaginato che una branca, apparentemente molto astratta della filosofia, potesse implicare un simile sviluppo applicativo.
Di difficile soluzione invece è la privacy, per ragioni di insufficienza tecnologica.
Consiglierei, per alcuni aspetti delle possibili evoluzioni dei data base, la lettura e il lavoro di ricerca a questo indirizzo: http://ontology.buffalo.edu/smith/articles/italian/Una_filosofia_al_servizio_dell_industria.pdf
Potete inoltre leggere (anche sulla proprietà intellettuale e sul canone portale per una migliore organizzazione della conoscenza nell’interazione uomo-macchina): http://www.labont.it/Research.asp?lan=it
Potete inoltre visitare il sito del dipartimento dove è stata creata una nuova disciplina: l’ingegneria dei documenti: http://cde.berkeley.edu/
Ho aggiunto un link a una copia locale del libro, visto per per somma sfiga il sito ippolita.net è irraggiungibile oggi. Li ho già avvertiti e stanno cercando di rimediare.
https://www.nazioneindiana.com/wp-content/2007/10/thedarksideofgoogle.pdf